ANTINOMIE DEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO
1.4 I NNOVAZIONE TECNOLOGICA E RESILIENZA : NUOVE TRAIETTORIE DI RICERCA
Ernesto Antonini ∗, Francesca Giglio∗∗, Massimo Rossetti∗∗∗
Adattivo, reattivo, flessibile, fragile, resiliente: sono solo alcuni tra i termini esplicativi le caratteristiche di un materiale, tradizionale o innovativo che sia. Nonostante la continua e difficilmente controllabile evoluzione tecnologica in questo campo, le strategie adottabili per assorbire una sollecitazione senza pre- giudicare le funzionalità caratteristiche di un materiale, sono sostanzialmente due.
La prima richiede di dotarsi di una riserva di risorse, da mobilitare per ri- spondere alla sollecitazione critica, se e quando eventualmente questa si mani- festerà. Così, l’altezza e la robustezza dell’argine, o lo spessore delle mura del castello, vengono dimensionati ben oltre quanto richiesto per rispondere alle condizioni ordinarie, in modo da conferire loro la capacità di opporsi, senza crollare, il primo alle piene eccezionali e il secondo alle cannonate in caso di assalto nemico.
Al contrario, la seconda strategia, quella “resiliente”, non punta a contrasta- re l’azione avversa, ma ad attenuarne gli effetti distruttivi, accettando modifica- zioni anche rilevanti degli equilibri statici e qualche sacrificio. Offre al fiume la possibilità di esondare, allagando aree dove la piena produce danni non cata- strofici. Oppure, invece di erigere ciclopici bastioni massicci, costruisce solo due sottili paramenti murari paralleli e riempie lo spazio intermedio di materia- le sciolto, in cui il proiettile dissipa la sua energia di impatto, dopo avere dan- neggiato lo strato esterno della cinta difensiva, ma evitandone il collasso. Pie- garsi per non spezzarsi è la tipica risposta offerta alla sollecitazione dagli orga- nismi biologici, la cui capacità adattiva ha sempre esercitato sugli umani un’attrazione irresistibile e fornito ispirazione per lo sviluppo della tecnica.
Nonostante le ali di Icaro e le macchine di Leonardo, la svolta tuttavia non è venuta dall’applicazione di modelli biologici, ma dalla disponibilità di enormi quantità di energia e delle tecnologie capaci di sfruttarla: sono stati motore a
∗ Ernesto Antonini è professore ordinario di Tecnologia dell’architettura presso il Dipartimento
di Architettura dell’Università di Bologna.
∗∗ Francesca Giglio è ricercatrice in Tecnologia dell’architettura presso il Dipartimento di Archi-
tettura e Territorio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
∗∗∗ Massimo Rossetti è professore associato di Tecnologia dell’architettura presso il Dipartimento
combustione ed elettricità poco più di un secolo fa a consentire comportamenti dinamici ai manufatti inanimati. E solo nell’ultimo scorcio del XX secolo, la possibilità di riprodurre non solo i comportamenti macroscopici, ma la struttura fondamentale della materia, ha potuto trasformarsi in una via praticabile e pro- durre i primi risultati applicativi.
La disponibilità crescente di soluzioni in grado di conferire ai manufatti comportamenti adattivi, insieme all’acquisita consapevolezza degli effetti am- bientali negativi indotti dall’approccio “statico”, sono gli elementi che impon- gono la resilienza come esigenza essenziale da soddisfare nella progettazione degli ambienti e degli oggetti, a tutte le scale. «La metafora del materiale che
resiste e non si spezza, è passata nell’arco di qualche decennio nella biologia per indicare la capacità di un organismo di autoripararsi dopo un danno, nell’ecologia e anche nel linguaggio informatico: un sistema operativo capace di adattarsi e resistere all’usura» (Belpoliti, 2013).
Misurare la resilienza
Anticipato da dinamiche avviate in altri settori - come spesso accade nelle co- struzioni - il paradigma della resilienza, nelle sue molteplici connotazioni mul- tidisciplinari, ha suscitato tuttavia un’intensa mobilitazione nelle discipline del progetto. Per essere assunto, nell’ultimo decennio, come obiettivo determinante nel progetto della trasformazione dell’ambiente e in particolare di quello antro- pizzato. Coinvolgendo la scala sociale, quella ambientale e insediativa, quella dei componenti e dei sistemi edilizi, fino a investire i loro comportamenti e i loro costituenti alla scala della materia e della sua stessa struttura.
Secondo l’indagine di settore Design+Insights1, la resilienza rappresenta il
primo tra i 5 principali trend che caratterizzeranno l’innovazione della proget- tazione nei prossimi anni, seguita da aspetti più consolidati quali Sostenibilità,
Active Design, Luoghi di lavoro multigenerazionali, Tecnologia. Le interviste a
progettisti e una mappatura delle opere realizzate a livello mondiale motivano tale “primato” con la costatazione che un obiettivo largamente condiviso e as- sunto come cruciale è quello di conferire all’opera capacità di resistere a terre- moti, inondazioni, uragani e, in generale, a violenti cambiamenti climatici e ad altrettanto intense perturbazioni sociali ed economiche.
Lo standard di valutazione RELi (REsilience action List), proposto da Per- kins+Will, misura la resilienza di un edificio ex-novo, ovvero la capacità del manufatto progettato di fronteggiare eventi estremi e di adattarsi ai cambiamen- ti climatici. Le linee guida in cui il protocollo si concretizza sono incentrate su tre grandi categorie di eventi naturali potenzialmente catastrofici, pioggia, ven- to, incendi, e si integrano con i due rating system più utilizzati in USA per le
valutazioni della sostenibilità di manufatti costruiti: LEED del GBC per gli edi- fici e Envision Program dell’Institute for Sustainable Infrastructure.
Le perturbazioni indotte da condizioni ambientali sempre più estreme - mol- te delle quali a loro volta dipendenti dall’azione antropica, locale o remota- in- vestono tutti gli ambiti e agiscono sul loro assetto fisico a tutte le scale. L’impatto sui manufatti costruiti - a causa delle cruciali funzioni di protezione degli occupanti che essi sono chiamate a svolgere - genera effetti particolar- mente critici: la sua mitigazione si può certamente giovare dell’aumento della resilienza complessiva del contesto in cui si collocano, ma dipende strettamente anche dalla loro specifica capacità adattiva, assicurata dai comportamenti degli elementi costruttivi di cui sono costituiti, quindi dalle decisioni progettuali da cui essi derivano.
L’involucro esterno è la “prima linea” dell’interazione fra il manufatto edi- lizio e gli agenti ambientali: le traiettorie di ricerca che si delineano per i pros- simi anni individuano nei materiali e nei sistemi costruttivi il territorio di inno- vazione più promettente per lo sviluppo di involucri resilienti, integrando effi- cacemente molte delle soluzioni a cui punta già oggi la progettazione ambien- talmente consapevole.
Ispirandosi alle strategie di risposta dinamica alle sollecitazioni esterne adottate dagli organismi viventi e dai sistemi naturali - basate su reattività, adat- tività e capacità di auto-riparazione di singole parti, che concorrono così a de- terminare il comportamento del sistema complesso - l’innovazione investe so- prattutto i materiali e i componenti edilizi, incorporandovi singole prestazioni, il cui apporto deve essere integrato nel funzionamento dell’edificio, per diven- tare efficace (Brownell and Swackhamer, 2015).
Negli ultimi due decenni, questa traiettoria ha alimentato lo sviluppo e poi l’ingresso sul mercato di diversi materiali “ecoattivi”, dalla gamma di coating funzionalizzanti che sfruttano la fotocatalisi per ottenere superfici autopulenti, fino ai PCM, Phase Change Material, che forniscono capacità termica non sfruttando la massa inerziale, ma grazie al loro cambiamento di fase, permet- tendo di alternare ciclicamente assorbimento e rilascio dell’energia termica in relazione alla variazione della temperatura a cui sono esposti. Nella stessa dire- zione, anche la diffusione di dispositivi per la captazione dell’energia solare ha reso “attive” ampie superfici dell’involucro dell’edificio, con un effetto indiret- to di aumento della sua resilienza, in termini di riduzione della dipendenza da fonti energetiche esterne e quindi di disponibilità di risorse autoprodotte con cui fronteggiare le esigenze indotte da condizioni ambientali sfavorevoli, senza ag- gravarne gli effetti. Queste applicazioni pionieristiche rappresentano in qualche modo i precursori degli scenari che si aprono grazie allo sviluppo delle nano- tecnologie e a un esteso ricorso a soluzioni ispirate alle strategie dei viventi, o biomimetiche (Leydecker, 2008).
Senza cadere nella retorica che evoca la integrale riproduzione nei sistemi artificiali dei comportamenti metabolici degli organismi naturali, l’adattività e
la reattività, veicolate da un materiale ai sistemi più complessi che lo incorpo- rano, sono emblematiche di una innovazione produttiva che propone alle appli- cazioni in campo architettonico nuove “capacità resilienti”, che vengono confe- rite grazie alla riproduzione di accorgimenti ispirati ai sistemi biologici, o svi- luppate al fine di ridurre gli impatti dei rifiuti, riciclando prodotti di scarto, o veicolate dal ricorso a materiali innovativi, nanomodificati, non convenzionali (Brownell, 2010).
Una prospettiva, molte traiettorie
Un ambito che si profila particolarmente attuale è quello del riutilizzo degli RSU (Rifiuti Solidi Urbani) come materia prima per la produzione di prodotti per l’edilizia. Un’azione sostenuta con forza dalla Commissione Europea, che nel 2015 ha lanciato il pacchetto di misure per la Circular Economy, allo scopo di innescare un sistema virtuoso di produzione e consumo di beni materiali, do- ve «il valore dei prodotti e dei materiali si mantiene il più a lungo possibile; i
rifiuti e l'uso delle risorse sono minimizzati e le risorse mantenute nell'econo- mia quando un prodotto ha raggiunto la fine del suo ciclo vitale, al fine di riu- tilizzarlo più volte e creare ulteriore valore» (Commissione Europea, 2015).
L’idea della Circular Economy nasce dalla necessità di gestire la crescente quantità di rifiuti solidi prodotti a causa del progressivo inurbamento delle po- polazioni a livello globale. Sebbene negli ultimi anni, la produzione di rifiuti in Europa sia diminuita in valore assoluto e la raccolta differenziata cresciuta, la dinamica a livello mondiale muove in direzione opposta: la quantità di RSU, stimata al 2012 attorno a 1,3 miliardi di tonnellate annue, salirà nel 2025 a circa 2,2 miliardi, soprattutto a causa dei fenomeni di inurbamento nei Paesi in via di sviluppo (Hoornweg and Bhada-Tata, 2012).
I materiali maggiormente avviati al riciclaggio in ambito europeo sono car- ta, cartone, vetro e plastica. Quest’ultima presenta già molti casi di applicazioni in edilizia: dagli isolanti termici ottenuti dalle bottiglie, agli aggregati per i cal- cestruzzi alleggeriti, fino ai pannelli di rivestimento. Quasi il 70% dei 25,8 mi- lioni di tonnellate di rifiuti di plastica post-consumo prodotti in UE nel 2014 è stato riutilizzato attraverso il riciclo di materiale o la produzione di energia, mentre il rimanente è stato conferito in discarica. Il riutilizzo degli RSU si pro- fila quindi come un ambito dove la resilienza nasce come reazione a uno stress di origine antropica.
Non solo. In risposta alle sempre più numerose manifestazioni di eventi climatici perturbativi, i produttori di componenti edili stanno mettendo a punto soluzioni che, invece di opporsi, permettono all’evento di “dare sfogo” ai propri effetti in maniera non distruttiva e anzi, se possibile, li sfruttano. È il caso della crescente diffusione delle pavimentazioni drenanti, che offrono il duplice van- taggio di impedire l’allagamento e permettere all’acqua di filtrare ed essere
smaltita nel sottosuolo. Un costante lavoro di perfezionamento ha portato ad applicare tali prodotti non solo in ambito carrabile (es. parcheggi, zone di tran- sito, ecc.) ma anche nelle pavimentazioni di spazi pubblici. Nei sistemi più re- centi, il drenaggio non viene più assicurato dal percolamento attraverso le fu- ghe, né dalla conformazione della superficie a pieni e vuoti alternati, come in molte soluzioni correnti, ma grazie all’utilizzo di leganti polimerici atossici che, incorporati nel conglomerato in fase di produzione, permettono il passag- gio dell’acqua dallo strato superiore agli strati inferiori, garantendo comunque le prestazioni di solidità e resistenza richieste. L’ampia scelta di colori, geome- trie e finiture ha ormai “sdoganato” questi prodotti dal semplice utilizzo in aree perlopiù anonime e ha aperto la strada alla loro applicazione in altri ambiti del progetto di architettura.
Molto promettente è anche lo sviluppo di materiali in grado di autoripararsi in caso di danneggiamento, frutto di innovazioni che le attività di ricerca e spe- rimentazione di punta alimentano efficacemente. In tale ambito, è significativo il lavoro compiuto alla Delft Technical University nello sviluppo di cementi autoriparanti per cisterne idriche. Il cemento autoriparante rappresenta la con- cretizzazione dell’obiettivo della massima riduzione della manutenzione -e di conseguenza del suo costo- particolarmente nel caso di applicazioni dove gli interventi risulterebbero tecnicamente più difficili o insostenibili. Il protagoni- sta del processo di autoripazione è un batterio, in grado di produrre calcite in presenza di acqua (Miodownick, 2015). Dall’applicazione alle cisterne, all’uso più diffuso in situazioni di rischio (ad esempio idrogeologico) il passo potrebbe essere breve e gli effetti di portata molto rilevante.
Il comportamento dei materiali esposti agli effetti degli agenti atmosferici assume particolare importanza nel caso delle superfici antiche e di pregio, dove la prestazione strettamente tecnica di mantenimento delle funzionalità essenzia- li deve conciliarsi con l’esigenza primaria di non alterazione dell’aspetto della superficie, pena il venir meno di una componente essenziale del suo valore sto- rico. Alcuni trattamenti di recente sviluppo comprendono, ad esempio, primer anticorrosione metallica per i ferri di armatura che non richiedono l’asportazione dello strato di ruggine, poiché la loro composizione induce la migrazione degli ioni dal calcestruzzo verso la superficie delle barre di acciaio, sulla quale formano una pellicola resistente alla corrosione. Allo stesso modo, esistono rivestimenti protettivi per metalli, materiali lapidei, ceramica e calce- struzzo basati su composti di silicato di potassio e zinco che creano sulla super- ficie un film protettivo di natura inorganica, quindi maggiormente compatibile con la composizione dei supporti sui quali viene applicato, rispetto ai protettivi a base organica.
In stretta correlazione con le soluzioni per la protezione dei materiali utiliz- zati in ambito civile si collocano le innovazioni nei settori della sensoristica e del monitoraggio, grazie ai quali è possibile diminuire ulteriormente i costi e le attività di manutenzione. Tra questi, i dispositivi per il controllo in fase di vita
utile delle strutture, come i Mems (Micro Electro Mechanical Systems), che si basano sull’interazione di parti elettroniche e ottico-meccaniche sulla stessa micropiattaforma. L’uso di tali sensori, soprattutto nel caso di opere come di- ghe, ponti e infrastrutture stradali e ferroviarie permette di operare un monito- raggio costante e fornire modelli affidabili del comportamento dei manufatti, anche in risposta a eventi di portata eccezionale.
Nell’ambito dell’innovazione di prodotto, si profilano, quindi, diverse traiettorie, alimentate da una crescente “domanda di resilienza” e caratterizzate dall’adozione, spesso combinata, di approcci differenti: dal “progetto” dello stesso materiale e delle sue prestazioni, alla modifica di alcune delle sue carat- teristiche, ottenuta per trasferimento tecnologico sia da altri settori industriali, sia all’interno dello stesso settore edile, da ambiti già sperimentati verso altri campi di applicazione.
Lo scenario che si apre rimanda alle acute analisi di Fritjof Capra, che os- servava l’esistenza in natura di connessioni tra diversi sistemi - nested system - di cicli, di flussi e di “probabilità di interconnessioni”, segnalandole con gran- de anticipo come modelli a cui ispirare la ricerca scientifica (Capra, 1975).
Di quelle indicazioni oggi, molto più che in passato, cogliamo la rilevanza anche ai fini di conferire qualità a uno spazio progettato, o ai comportamenti che ci proponiamo di far conseguire a un edificio: un’attività sistemica e meta- bolica che alimenti reciprocamente ambito naturale e artificiale, realizzando connessioni efficaci, si presenta come un obiettivo cruciale. Per questo l’innovazione produttiva può mirare a essere complementare alla qualità del progetto di architettura e non ipocritamente “sostenibile” o fine a se stessa, con- tribuendo così a integrare i livelli di resilienza ambientale e sociale di una sin- gola architettura, così come di un complesso sistema urbano.
Verso architetture resilienti
In questa prospettiva, diventa cruciale definire modalità, responsabilità e priori- tà delle azioni da avviare; un esercizio meno neutrale e più complesso di quanto non appaia. Questo in particolare a causa della multidimensionalità dei feno- meni in gioco, che richiede di considerare, nelle loro interdipendenze recipro- che, sia l'ambito fisico alle diverse scale (le risorse, i materiali, l’edificio, la cit- tà, gli ecosistemi, il pianeta) sia quello sociale (la produzione, il consumo, il lavoro, il benessere psicofisico, la mobilità delle persone). L’interdipendenza fra scala globale e scala locale dà la misura di quanto l'approccio sia innovativo e dirompente rispetto a un più consueto e rassicurante procedere per settori, funzioni e scale dimensionali ben distinte e gerarchicamente concatenate.
Ciò impone di considerare non solo l’intero processo in tutte le sue fasi, in- clusa la dismissione dell’opera, ma anche di prevederne le interazioni con le
situazioni che si produrranno nel contesto, locale e globale, con cui questa inte- ragisce.
Per farlo, bisogna riuscire a collegare gli effetti alle cause, cioè individuare come la resilienza si produce, quali caratteristiche del manufatto la condiziona- no e in che misura. Definire le “catene causali” significa individuare parametri e indicatori affidabili e condivisi e, con essi, alimentare modelli efficaci di si- mulazione predittiva che permettano di confrontare le diverse opzioni e di valu- tare quelle che diventeranno progetto, potendo documentare in maniera convin- cente “come” e “quanto” rispondono alle esigenze. Una situazione, insomma, a cui si adatta perfettamente il “paradosso del muro” utilizzato da Blachère per sostenere la necessità di un approccio scientifico alla progettazione (Blachère 1966): per questo proporre risposte più resilienti e meno destabilizzanti per l'e- cosistema impone di superare le dichiarazioni di principio ed applicarsi invece allo sviluppo di strumenti e indicatori affidabili.
References
Belpoliti, M. (2013), “Resilienza: l’arte di adattarsi”, Domenica del Sole 24 Ore, 18/12/2013.
Blachère, G. (1966), Savoir Bâtir. Habitabilité, durabilité, économie des bâtiments; Pa- ris: Eyrolles; (Trad. it.: Saper costruire. Abitabilità durabilità economia degli edifi-
ci, Hoepli, Milano 1971).
Brownell, B. (2010), Transmaterial 3. A Catalog of Materials that redefine our Physical
Environment, Princeton Architectural Press, New York.
Brownell, B. and Swackhamer M. (2015), Hypernatural: Architecture's New Relation-
ship with Nature, Princeton Architectural Press, New York.
Capra, F. (1975), The Tao of Physics: An Exploration of the Parallels Between Modern
Physics and Eastern Mysticism, Shambhala Publications, Boulder.
Commissione Europea (2015), L'anello mancante - Piano d'azione dell'Unione europea
per l'economia circolare. Comunicazione della Commissione al Parlamento euro- peo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Re- gioni COM (2015) 614/2, Bruxelles.
Hoornweg, D. and Bhada-Tata, P. (2012). What a Waste. A Global Review of Solid
Waste Management, World Bank, Washington.
Leydecker, S. (2008), Nanomaterial in Architecture, Interior Architecture and Design, Birkhäuser, Basel.
Miodownick, M. (2015), La sostanza delle cose, Bollati Boringhieri, Torino.
Pauli G. (2010), Blue Economy: 10 anni, 100 innovazioni. 100 milioni di lavori, Edizio- ni Ambiente, Milano.
Salvia, G., Rognoli, V. e Levi, M. (2009), Il Progetto della Natura. Gli strumenti della