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R ESILIENZA E S OSTENIBILITÀ

ANTINOMIE DEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO

2. CONTRIBUTI DA UNA “COMUNITÀ INDAGANTE”

2.1 P RINCIPI DI RESILIENZA NELLA C ULTURA TECNOLOGICA DELLA PROGETTAZIONE

2.1.2 R ESILIENZA E S OSTENIBILITÀ

Anna Cantini ∗, Carlotta Mazzola∗∗, Manuela Romano∗∗∗

La resilienza nel progetto sostenibile

La sostenibilità, sin dai suoi documenti fondativi, ha riconosciuto nel benessere collettivo e nella tutela dell’ambiente la chiave di sviluppo della società (WCED, 1987) e ha avviato un percorso di conoscenza delle relazioni tra le at- tività dell’uomo e le limitate capacità degli ecosistemi di sostenerle.

Nell’esortare politiche e comportamenti responsabili e attenti al valore complessivo delle risorse, la sostenibilità ha da sempre auspicato uno sviluppo in grado di «offrire servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i

membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi naturali, edificati e sociali da cui dipende la fornitura dei servizi» (ICLEI, 1994).

Le conoscenze acquisite dagli avanzamenti teorici sul tema, hanno diffuso un atteggiamento di responsabilità e consapevolezza nei confronti dei cambia- menti repentini e catastrofici prodotti dall’intervento antropico, e alimentato il dibattito culturale nella concezione dei processi di trasformazione sostenibile dell’ambiente costruito. Nella ricerca di strategie efficaci, negli anni più recenti, ha assunto particolare rilievo il concetto di resilienza.

Come affermato dagli organizzatori della Conferenza “Resilience, innova- tion and sustainability: navigating the complexities of global change” (Stoc- colma, 2011), i concetti di sostenibilità e resilienza sono strettamente connessi tra loro. La sostenibilità indaga in che modo i mutamenti provocati sul sistema socio-ecologico globale influiscono sul benessere e lo sviluppo della società. La resilienza, invece, assume particolare importanza nella comprensione di come il sistema stesso sia in grado di trasformarsi nel tempo adattandosi ai cambiamen- ti (Bologna, 2008). Un sistema resiliente, infatti, ha la caratteristica di reagire a fenomeni di disturbo, siano essi di stress (costanti) o shock (improvvisi o im- prevedibili) provenienti da sollecitazioni esterne, e, attraverso processi di auto-

Anna Cantini è dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle

Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano

∗∗ Carlotta Mazzola, è dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Architettura, Ingegneria

delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano.

∗∗∗ Manuela Romano è dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università

organizzazione, evolvere in nuove condizioni di stabilità, non necessariamente uguali a quella precedente al disturbo. La resilienza così definita nelle discipli- ne dell’ecologia applicata, è, infatti, «la capacità dei sistemi di assorbire il di-

sturbo e riorganizzarsi mentre ha luogo il cambiamento, in modo tale da man- tenere essenzialmente le stesse funzioni, la stessa struttura, identità e capacità feedback» (Walker et al., 2004). Nella teoria del resilience thinking, Walker

evidenzia come la resilienza, insieme all’adattabilità e la trasformabilità, siano caratteristiche fondamentali per governare le complesse dinamiche di un siste- ma socio-ecologico. L’adattabilità rappresenta la capacità di «imparare, combi-

nare l’esperienza e la conoscenza, regolando le risposte al variare degli agenti esterni«, mentre la trasformabilità è «la capacità di creare un nuovo sistema quando le strutture ecologiche, economiche o sociali diventano insostenibili»

(Walker et al., 2004, Folke et al., 2010, Walker et al., 2006).

Nel costruire processi volti al raggiungimento di una dimensione sostenibile dell’ambiente costruito, in questa logica, il cambiamento assume un ruolo fon- damentale nel passaggio da “fattore di rischio” a “potenziale per innescare nuo- ve opportunità”. L’approccio resiliente, a differenza dell’approccio sostenibile, “invita” a convivere con i cambiamenti, senza cercare di rimuovere le cause che li hanno generati. Fondamentale è l’attivazione di strategie integrate che coin- volgano tutti i fattori (ambientali, sociali, culturali, istituzionali, economici) che influenzano l’operabilità dei sistemi. Tale concezione implica la costruzione di un framework in grado di cogliere i fattori di fragilità che causano perdite di funzionalità e rilevare le “capacità di resilienza” dei sistemi naturali, sociali ed economici (Colucci e Cottini, 2015), ossia le capacità di mantenere un equili- brio e auto-organizzarsi di fronte ai cambiamenti, alle vulnerabilità e alle diver- sità che caratterizzano il territorio e condizionano il vivere contemporaneo (Fe- liciotti et al., 2016).

Il rilevamento dei fenomeni di disturbo, può definire l’attitudine di un si- stema a subire adattamenti e trasformazioni e contribuire quindi all’elaborazione di indirizzi progettuali specifici, più incisivi ed efficaci (Luca- relli et al., 2017). I fenomeni perturbativi diventano così gli elementi chiave nei processi di programmazione di interventi volti a conferire una “nuova qualità” desiderata, anche attraverso percorsi di conoscenza per gli individui e per le istituzioni, che con il loro agire sono parte determinante dell’insostenibilità.

L’esperienza condotta nella campagna “100 Resilient Cities” dalla Rocke- feller Foundation, in tal senso, rappresenta un esempio applicativo dei principi di resilienza nei processi di rigenerazione della città contemporanea. “100 Resi- lient Cities” definisce, infatti, la resilienza urbana, come «la capacità di indivi-

dui, comunità e istituzioni di resistere, reagire o adattarsi a condizioni di diffi- coltà» derivabili da chronic stresses o acute shocks. I chronic stresses, fanno

riferimento ai cambiamenti e alle vulnerabilità legate al disagio sociale, agli impatti ambientali del costruito, all’inefficienza dei servizi di trasporto pubbli- co e in generale alla carenza di risorse. Gli acute shocks sono riferiti invece,

agli eventi catastrofici improvvisi quali: terremoti, inondazioni o eventi terrori- stici. Secondo “100 Resilient Cities”, un sistema urbano, affinché sia in grado di resistere, rispondere e adattarsi a tali sollecitazioni deve essere:

- reflective: capacità di imparare dal passato per operare con scelte responsa- bili e durevoli per il futuro;

- resourceful: capacità di ottimizzare i modi di utilizzo delle risorse;

- inclusive: capacità di rendere partecipe l’intera collettività nei processi deci- sionali;

- integrated: multiscalarità e multidisciplinarità negli approcci decisionali; - robust: capacità di durare nel tempo e resistere alle sollecitazioni esterne

attraverso sistemi bene concepiti, costruiti e gestiti;

- redundant: capacità di raggiungere in diversi modi un determinato bisogno o di diversificare le proprie funzioni interne;

- flexible: capacità di adattarsi velocemente a diverse condizioni in risposta al mutare delle circostanze.

L’iniziativa invita le organizzazioni governative a sviluppare processi rivolti alle intere comunità, chiamando in gioco risorse materiali e immateriali, e mira a incrementare le capacità di resilienza proprio a partire dal rilevamento delle criticità e delle potenzialità del contesto. Secondo questa logica, muovendo dal- la comprensione delle problematiche e delle dinamiche che influiscono sull’operabilità dei luoghi, è possibile costruire nuovi strumenti e processi di controllo (Caterina, 2013). Se, infatti, il percorso per il raggiungimento di una dimensione sostenibile è legato a «un processo adattivo, locale e creativo che […] non rappresenta uno stato né una visione immutabile […] ma una conti-

nua verifica nella gestione delle città per individuare le attività che spingono il sistema verso l’equilibrio e quelle che lo allontanano» (ICLEI, 1994),

l’approccio resiliente può innescare nuove processualità. Secondo una conce- zione rigorosamente sistemica l’applicazione del concetto di resilienza, o me- glio, la capacità di rilevare le caratteristiche di resilienza, potrebbe condurre ad azioni attuabili per gradi, in funzione delle specifiche esigenze e delle risorse disponibili. Si potrebbero pertanto costruire strategie volte a controllare le “condizioni di stato” dei sistemi e prefigurare obiettivi di efficienza perseguibili per fasi. Alla luce di quanto finora affermato circa il possibile ruolo della “resi- lienza” nei processi di sviluppo sostenibile, nei paragrafi che seguono, si svi- luppano alcune riflessioni sull’incidenza del fattore “durabilità” nelle relazioni tra i concetti di sostenibilità e resilienza e sulla necessità di considerare gli stes- si concetti sempre secondo una visione sistemica.

Il fattore durabilità tra sostenibilità e resilienza

Rispetto al concetto di sviluppo sostenibile, la comunità globale ha adottato principi trasversali di sostenibilità che rimangono, tuttavia, ancora a livello

programmatico, non essendo sempre vincolanti per le azioni progettuali sull’ambiente costruito. L’avanzamento delle conoscenze tecnologiche legato, per esempio, all’introduzione di strumenti di simulazione parametrica, così come ai progressi in ambito della scienza dei materiali e dell’innovazione strutturale, hanno portato allo sviluppo di metodologie di controllo degli impatti ambientali ed economici. Tuttavia, tali metodologie trovano ancora un debole riscontro nelle prassi operative legate alla trasformazione nel tempo dell’ambiente costruito, intesa come progettazione per cicli di vita e manutenzione dei sistemi.

La difficoltà, da una parte, nel tradurre i principi di sostenibilità in azioni progettuali e, dall’altra, nell’adottare metodologie circolari di progettazione e manutenzione, richiede di indagare ulteriormente la declinazione operativa del progetto sostenibile. Rispetto a tale scenario, si propone un approfondimento entro questi termini: la resilienza può contribuire a determinare una dimensione sostenibile durevole dell’ambiente costruito?

In questo scritto, a partire dalle definizioni di sostenibilità, basate sulla principale letteratura scientifica di riferimento, si focalizza l’attenzione sulla relazione tra sviluppo sostenibile e durabilità delle azioni progettuali. Si introduce, in seguito, il concetto di progetto sostenibile nel tempo - definendolo durevole - e di come la resilienza assuma il valore di variabile che, messa a sistema con l’efficienza, rende possibile la sostenibilità nel tempo.

Nella storia recente, la sostenibilità ha dimostrato di essere un obiettivo ineludibile per la progettazione delle attività umane e la valutazione dei loro impatti. Il concetto di sostenibilità è stato introdotto in letteratura in seguito alla crisi petrolifera degli anni 70, quando il modello di crescita economica è stato messo in discussione. Daly, economista e padre della Teoria dello Sviluppo Sostenibile, sostiene che è necessario parlare di sviluppo piuttosto che di

crescita sostenibile1, in quanto «non può esistere una crescita infinita su un

pianeta finito». La nozione di sviluppo sostenibile si basa sull’assunzione dei

vincoli che definiscono la carrying capacity della Terra ossia la capacità di sostenere tutte le forme viventi di cui l’uomo e la natura hanno bisogno per sopravvivere (Daly, 1996). Lo sviluppo acquisisce la caratteristica di sostenibilità nel tempo quando Brundtland nel 1987 definisce la sostenibilità

come quella necessità di cercare equità a carattere intergenerazionale2 per il

futuro.

1 «Se usiamo il termine crescita per indicare un cambiamento quantitativo e sviluppo per

riferirsi a una modifica qualitativa, allora possiamo dire che l’economia in stato stazionario si sviluppa ma non cresce, proprio come la Terra di cui l’economia umana è un sottosistema» (Daly, 1996).

2 «L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i

bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle future generazioni di rispondere ai loro» (WCED, 1987).

Presa coscienza della limitatezza delle risorse disponibili per l’uomo, lo sviluppo sostenibile è stato associato, fin dalla sua origine, alla necessità di utilizzare in modo efficiente le limitate risorse disponibili, nel rispetto delle capacità di scelta delle generazioni future.

Un’ulteriore accezione della sostenibilità è stata introdotta da Kates nel 2001, che l’ha declinata come quella struttura a tre elementi, composta da: sviluppo ambientale, sviluppo economico e sviluppo sociale (Kates et al., 2001). Lo sviluppo equilibrato degli aspetti sociali, economici, ambientali riferiti all’attività umana e ai suoi impatti in un ecosistema, deve garantire nel “tempo” l’adempimento degli obiettivi della sostenibilità.

In questo quadro concettuale, la durabilità, cioè la capacità di mantenere nel tempo i risultati ottenuti e di implementarli, diventa caratteristica ineludibile per lo sviluppo sostenibile. Ma in cosa consiste un sistema durevole e quali possono essere le caratteristiche che lo determinano?

Se, da una parte, lo sviluppo sostenibile durevole richiede un uso ottimizzato delle risorse nel tempo, l’efficienza è sicuramente una declinazione della durabilità: caratterizzata da un processo di razionalizzazione, l’efficienza si traduce nella riduzione della diversità e della connettività del sistema, ottimizzando le risorse. Dall’altra parte, è bene sottolineare come gli obiettivi sostenibili si devono mantenere durevoli anche in caso di alterazioni alla dinamica di sviluppo, sia in termini di capacità di risorse che per eventi imprevedibili; così, per esempio, la crisi petrolifera degli anni 70 ha indotto la ricerca di fonti energetiche rinnovabili.

Questa capacità del sistema di mantenersi durevole e coerente nel tempo, a fronte anche di perturbazioni improvvise dello stato iniziale, è concettualizzata come resilienza e assume, nelle riflessioni proposte in questo scritto, la valenza di seconda caratteristica della durabilità. Diversamente dall’efficienza, la resilienza predilige processi di interconnessione e variabilità per poter garantire più risposte in uno stato alterato del sistema. Citando Bernard Lietaer: «un

sistema troppo efficiente nel tempo, collassa; mentre un sistema resiliente nel tempo, provoca la stagnazione del sistema stesso. La natura non privilegia sistemi a massima efficienza, ma in equilibrio tra i due poli opposti di efficienza e resilienza. [Questo si spiega per il fatto che, ndr] troppa efficienza porta alla fragilità; e troppa resilienza porta alla stagnazione. La finestra di durabilità non si trova equidistante dall’efficienza e dalla resilienza: […] ma, per essere ottimale, è necessario avere più resilienza che efficienza» (Lietaer et

al., 2008)3.

La resilienza è un concetto teorico che è stato largamente discusso e modificato a partire dalla prima definizione nell'ambito della fisica dei materiali come proprietà meccanica. Spesso questa nozione è definita come umbrella

concept (Klein et al., 2004) o ancora boundary object (Brand and Jax, 2007)

per mettere in evidenza la sua transdisciplinarità e gli approcci olistici di cui è oggetto quando viene applicata. La resilienza è definita come una proprietà che presenta alcune caratteristiche a volte contraddittorie (Djament-Tran et al., 2011): ridondanza, diversità, adattabilità, interdipendenza, connettività, flessibilità. Spesso viene associata alla nozione di mantenimento delle funzioni e di persistenza di un sistema (Holling, 1973). Generalmente, la resilienza è associata a uno stato di crisi; come Nassim Taleb sottolinea, il concetto di resilienza rischia però di essere drammatizzato e ricondotto a uno stato di crisi perenne, con le implicazioni sociali e economiche che ne possono derivare (Taleb, 2012). È interessante anche riportare come in letteratura (Boschma, 2015; Simmie et al., 2010) si faccia riferimento al modello resiliente non solo come processo di risposta a uno stato imprevisto, ma anche alla capacità a lungo termine di riconfigurare la struttura del sistema in prospettiva delle opportunità future di sviluppo.

Inoltre, il dibattito scientifico ha posto l’accento sulle caratteristiche che rendono un sistema più o meno resiliente. Sempre Lietaer sostiene che la resilienza di un sistema è migliore quanto più esso è composto da elementi diversi che interagiscono tra loro, perché la loro interazione determina più canali alternativi, ossia più possibilità di reazione, in caso di perturbazione.

Alle luce delle considerazioni fin qui sviluppate, si può quindi affermare che alcune delle caratteristiche che possono produrre una dimensione sostenibile dell’ambiente costruito sono la durabilità, l’efficienza e la resilienza; quest’ultima non intesa come caratteristica generale, ma declinata criticamente in rapporto alla durabilità e all’efficienza di un sistema. In sostanza, la sostenibilità nel tempo del progetto è qui proposta nell’accezione di durabilità - caratteristica fondamentale del progetto tecnologico - mediante la progettazione e l’utilizzo di sistemi efficienti e resilienti.

Sostenibilità e resilienza come proprietà sistemiche

Nella Sistemica, corpus concettuale della Teoria Generale dei Sistemi (Minati, 2014) si intende per sistema un oggetto di studio che, nonostante sia continuamente definito dalle interazioni che avvengono sia tra gli elementi che lo compongono sia con l’ambiente esterno, reagisce ed evolve come un unico insieme. Le qualità sistemiche sono in realtà proprietà diverse e non deducibili da quelle dei componenti del sistema; ad esempio, la qualità sistemica di un computer è quella di processare informazioni, mentre la qualità dell’insieme dei suoi componenti è il numero.

La Sistemica potrebbe fornire il quadro metodologico e strategico per declinare operativamente la sostenibilità. In altre parole, l’approccio sistemico può rivelarsi un possibile metodo di indagine multi-scalare per garantire il raggiungimento in chiave resiliente degli obiettivi sostenibili.

In primo luogo, se la sostenibilità non è intesa come un obiettivo finale da traguardare collettivamente, bensì come un processo dinamico e in evoluzione (Fiskel, 2003), può essere considerata essa stessa una qualità sistemica (Meadows, 1972). Infatti, le proprietà sistemiche non sono uno stato che risulta dalle interazioni del sistema, ma sono continuamente stabilite dalle relazioni dinamiche che definiscono il sistema stesso. Dallo studio della letteratura scientifica, appare evidente che la sostenibilità debba essere una qualità da mantenere nel tempo, coerentemente alle decisioni iniziali e in rapporto all’evolversi delle condizioni, anche in caso di sviluppi non previsti allo stato iniziale. Infatti, come ancora Fiskel specifica, un prodotto o servizio sostenibile è quello che continua, possibilmente con modifiche di progettazione, a soddisfare le esigenze del sistema di riferimento.

In secondo luogo, la Sistemica fornisce un ulteriore strumento di analisi: nella Teoria dell’Emergenza si concettualizza come i comportamenti degli agenti che compongono il sistema, adottano un carattere emergente che mantiene coerente il sistema stesso nella fase di transizione da uno stato all’altro; da questo deriva che i comportamenti emergenti in una fase, diventano comportamenti strutturali nella fase successiva (Minati, 2014). In questo senso, è utile un’interpretazione in chiave sistemica della resilienza: essa può essere letta come la capacità di far emergere quei comportamenti che diventano strutturali nella transizione degli stati del sistema. In altre parole, sono resilienti quei comportamenti che rendono il sistema sostenibile nel tempo, assicurandone la sua coerenza e durabilità.

La resilienza, così teorizzata, può essere applicata come modalità operativa a tutti i tipi di sistema. Essa diventa la strategia che consente di rispondere alle sfide della sostenibilità e alla gestione integrata di realtà complesse, grazie ad un approccio sistemico (Voiron-Canicio, 2005). Nello specifico, lo studio di modelli resilienti, comune alle scienze naturali, è largamente diffuso anche nelle scienze sociali (scienze umane, applicate, ecc.) e in letteratura, si evidenzia come un sistema resiliente sia caratterizzato da: i) eterogeneità, forme e comportamenti multipli; ii) efficienza, modesto consumo di risorse e iii) flessibilità e adattabilità, in risposta a situazioni impreviste e in continua evoluzione; iv) coesione, nel senso di caratteristiche coerenti e identitarie (tra gli altri, Fiksel, 2003).

Ci pare rilevante annotare come, sebbene l’approccio transdisciplinare sia molto utile al fine di una comprensione olistica, che può portare innovazione nel proprio campo disciplinare, il rischio reale di trasferire concetti e metodi, sviluppati per altri campi di indagine, è che perdano significato quando trasferiti (Bertuglia e Vaio, 2007) e la concettualizzazione della resilienza non è da meno.

In ultimo, il quadro concettuale della Sistemica appare essere rilevante ai fini di questo contributo per l’apporto relativo all’analisi multiscalare per cui, considerando un problema, si identificano le interazioni, i processi di

emergenza, il ruolo dell’osservatore e i livelli di descrizione. La sostenibilità nella progettazione tecnologica dell’architettura è intesa come analisi delle connessioni multi scalari tra le parti progettate in relazione al costo ambientale di tutto il ciclo di vita, considerando i requisiti di manutenibilità. Data la natura eterogenea delle interazioni, lo studio di un sistema avviene proprio in modo multiscalare. Generalmente, l’ambiente costruito prevede i tre seguenti livelli di osservabilità: la scala territoriale e urbana (macroscopico), la scala dell’edificio (mesoscopico) e quella tecnologica (microscopico).

A livello macroscopico, le strategie proposte negli ultimi anni mirano ad attivare sinergie che aumentino la capacità di resistenza e di reazione del sistema in risposta ai cambiamenti sociali, economici e ambientali. La rigenerazione urbana, per esempio, risulta connessa al concetto di resilienza, in quanto propone azioni di adeguamento dei sistemi urbani in modo che, in condizioni variabili, essi siano capaci di maggior adattamento e duttilità sistemica e per i quali sia possibile prefigurare la simulazione dei comportamenti e delle alternative di risposta. Il sistema urbano richiede strategie di rigenerazione reversibile, poiché non può prevedere in modo deterministico la configurazione futura di parti urbane; inoltre le città hanno naturali aree di diversità che dovrebbero essere bilanciate, per il cui intervento occorrerebbero enormi risorse. Due sono gli approcci essenziali: agire puntualmente nelle situazioni dove è reso emergente, cioè laddove i comportamenti degli agenti del sistema, coerenti tra loro, rendono evidente l’azione, e l’attitudine a governare la complessità. La strategia è quella di generare discontinuità positive, capaci di introdurre miglioramenti ed estenderli per contagio (Fanzini et al., 2013).

A livello mesoscopico, ossia alla scala dell’organismo edilizio da qualche decennio si utilizzano metodologie che valutano gli impatti nel tempo dell’edificio. Un esempio di applicazione è la valutazione del ciclo di vita (Life

Cycle Assessment) che mette a sistema nel tempo l’utilizzo di risorse e materiali

per produrre, mantenere, smaltire, riusare o riciclare le diverse parti dell’edificio.

Non si tratta di una valutazione a fine ciclo di vita, ma di un processo valutativo che considera l’evoluzione del sistema e dei suoi componenti in risposta alle diverse esigenze - e quindi alle diverse prestazioni - mutate rispetto