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maniera dettagliata; all’arcobaleno e all’eclisse, che ritengono apportatori di disgrazie. Ma anche ai venti, un tempo uomini “che lottarono fra loro” fino a quando non vinse il vento occi- dentale che da allora, quando appare, fa fuggire gli altri.
Secondo gli Onas, alcune persone dopo la loro morte di- ventano uccelli e i più abili nel fabbricare le frecce diventano civette bianche, chiamate Scêt. Uomini erano anche l’uccello
fringuello Chingola, il pettirosso (Schiga), il karkai, un grosso fal-
co che “quando era uomo era sempre in lotta con tutti”. Uno “scarabeo bicorne, nero dall’integumento molto duro ed elegan- te”, era un tempo un eccellente medico Ona; mentre “gli alberi, secondo loro, piangono o si lamentano secondo gli spiriti che in essi trasmigrano” e pure “alcune montagne e colline […] erano persone vive, uomini e donne”. La balena, invece, sposò il ven- to e ne nacque l’uccello mosca (schionoktau). Nella Terra del Fuoco si potevano trovare anche molte “pietre selci, che paiono punte di frecce in lavorazione, non ancora finite”, che gli Onas raccoglievano religiosamente conservandole con molta cura perché le ritenevano “infallibili talismani” (pp. 75-76).
Borgatello venne anche a sapere che “il demonio, o lo Spirito cattivo Keyèi o Kzortu, appariva molto spesso fra loro e s’intratteneva con loro famigliarmente”:
Kzortu compariva sempre improvvisamente ad un circolo o riunione di Indiani, quando questi si trovavano intorno al fuoco e che egli sorgeva precisamente dal mezzo del fuoco e dopo di essersi trattenuto alquanto cogli Indiani, si dileguava come fumo, senza che nessuno se ne accorgesse, né sapesse dove fosse andato; sempre si presentava nudo e dipinto di rosso e sul capo mostrava una specie di promontorio acuto a guisa di corno. Mi accertarono altresì che Kzòtu scherza- va con loro con grande dimestichezza e si divertiva special- mente nel tirare tizzoni accesi addosso agli Indiani, sulla loro pelle nuda, e questi alla loro volta non mancavano di rendergli la pariglia […]. Ve n’erano molti di varie stature, grandi e piccoli e mediocri ed anche vecchi, però tutti simili nell’abbigliamento e nelle fattezze, che erano cattivi ed in- segnavano la malizia. (pp. 76-77)
Alle feste prendevano parte pure delle “malefiche donne, chiamate Alpe, che erano molte e cattive”:
Apparivano avvolte in una coperta formata con pelli di animali di varie specie col corpo tutto dipinto in rosso. Esse s’intrattenevano specialmente in mezzo alle donne, facendo
Le popolazioni indigene della Patagonia e della Terra del Fuoco nelle Memorie del salesiano Maggiorino Borgatello
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da padrone, ma minacciavano anche gli uomini, e nienteme- no di squartarli, se non facevano quanto loro ordinavano; e pare che alcune volte ne cacciassero alcuni per antri oscuri e deserti, a viva forza, dinnanzi a loro, dei quali parecchi non furono più visti tornare indietro. (p. 77)
Nonostante i limiti dell’approccio dei Salesiani (ma anche dei missionari degli altri ordini) a queste culture, quello che Borgatello ci ha saputo offrire nella prima parte delle sue memorie e di cui abbiamo ritenuto opportuno proporre un articolato panorama dando voce quasi sempre a questo mis- sionario, ci fornisce uno spaccato eloquente del valore e del significato di questa come di tutte le esperienze odeporiche di tanti altri suoi confratelli. Un dato di fatto che lui stesso ha chiaramente presente quando, pienamente consapevole dell’aporia che in tutta l’esperienza missionaria caratterizzò l’atteggiamento nei confronti del conflitto tra la sopravvi- venza dei nativi ed il meccanismo che avrebbe portato alla modificazione dei loro parametri culturali e quindi alla loro progressiva scomparsa, conclude sottolineando che gli “era parso bene di raccogliere queste nuove memorie utili alla scienza e alla religione, prima che le due razze Indiane scom- pariscano per sempre dalla scena di questo mondo, il che pare non sia lontano ad effettuarsi” (p. 79).
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Indiani d’America, incontri transatlantici
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Gli studi culturali dell’ultimo ventennio hanno ampliato la discussione sulla posizione dei nativi americani nei rapporti transatlantici. Tra i tanti che hanno ricostruito ideologie, in- contri, persone e storie facendo emergere il ruolo attivo degli indiani1, vanno citati almeno gli studi di Harry Liebersohn,
Aristocratic Encounters: European Travelers and North American Indians; Alden T. Vaughan Transatlantic Encounters: American Indians in Britain 1500-1776; Kate Flint, The Transatlantic In- dian (1776-1930) e del cherokee Jace Weaver, che in The Red Atlantic: American Indigenes and the Making of the Modern World, 1000-1927 si ricollega al punto di vista di Paul Gilroy – illlu-
strato nel fondamentale The Black Atlantic del 1993 – riper- correndo la circolazione di persone, prodotti e testi attra- verso cui i nativi americani entrano attivamente nel discorso globale dello scambio atlantico e dando rilievo ad esempi di cosmopolitismo nativo. In questa prospettiva si prenderanno
1. Tra gli studi sulla presenza di indigeni americani nelle varie nazioni europee val la