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La Neologia nello “Spazio di Discorso” massmediatico

II.2. La Neologia nei mass media dell’informazione

II.2.5. Neologia massmediatica e funzioni del linguaggio

II.2.5.1. Macrofunzioni della neologia massmediatica

La prima delle due macrofunzioni che le EVAN assolvono nel contesto giornalistico è relativa ai costrutti sintattico-pragmatici in cui un elemento frastico – spesso una nominalizzazione – svolge il ruolo di attention getter. Secondo Dardano & Puoti, ciò accade, ad esempio, quando una nuova parola condensa espressionisticamente, in una ripresa testuale cataforica, quanto è stato detto nel periodo precedente165. Stando a questa definizione, la funzione che si configura è di natura eminentemente pragmatico-testuale. Crediamo, tuttavia, di poter agevolmente estendere il meccanismo di attention getting anche al di là dei confini della costruzione sintattica delle frasi, per ritenere che tale funzione sia connaturata alla presenza stessa di una EVAN, quale che sia il suo ruolo sintattico entro la porzione frastica di occorrenza. Si può assumere, infatti, su di un piano pragmatico, ma non necessariamente morfosintattico, che la funzione di attention getting consista nella capacità di un elemento frastico di attirare su di sé l’attenzione linguistica e cognitiva del destinatario, a prescindere dal fatto che ciò avvenga attraverso lo spostamento avanti o indietro del tema, o la presenza di altri costrutti marcati sintatticamente o attraverso la presenza di segnali discorsivi, e così via).

Crediamo, infatti, che sia la natura stessa dei lessemi neologenici, con la loro neoforicità (la quale, come abbiamo visto, può depositarsi su diversi livelli di lingua) a far scaturire il meccanismo dell’attention getting, sia nella dimensione orale che in quella scritta della comunicazione. Ciò significa, nondimeno, presupporre che almeno in parte, i parlanti abbiano cognizione di ciò che è nuovo e di ciò che preesiste nella lingua e che, o in alternativa, esista una sensibilità linguistica nei confronti della neologenicità (e non della

165 Cfr. M. Dardano-A. Puoti, Stile nominale nel quotidiano e nel telegiornale, in M. Dardano-G. Frenguelli,

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neologia), la quale può essere indotta dai livelli sintattico-pragmatici e semantici della testualità (come nei casi di nominalizzazione e tematizzazione ricordati da Dardano&Puoti), ma che può anche configurarsi come competenza neologica, di natura eminentemente lessicale (e che comprenda anche la capacità di un confronto lessematico sugli assi sintagmatico e paradigmatico e nelle dimensioni della sincronia e della diacronia), prodotto della maturazione della complessiva competenza linguistica individuale.

Il richiamo all’individualità è valido anche in rapporto alla seconda macrofunzione ricoperta dalle EVAN, per la quale andrà tenuto presente il contesto dialogico tra due individui, anche laddove esso sia quello tra un Emittente e un Destinatario Ideali, come nelle forme di comunicazione uno a molti tipiche dei mass media: il messaggio costruito attraverso una neologenia presuppone lo scambio di un’informazione e, soprattutto, di un’informazione nuova, dal primo al secondo.

La teoria della comunicazione166 ha sottolineato l’essenzialità di questa funzione, poiché la relazione informativa che si stabilisce tra mittente e destinatario, al momento di comunicare un’informazione, fa sì che quest’ultimo subisca una modificazione, accedendo ad una conoscenza che non possedeva prima o modificando la struttura cognitiva di una conoscenza preesistente. Ciò che ci interessa notare è che anche la neologia pone il problema della trasmissione di un’informazione, non solo perché, spesso, ad un nuovo referente corrisponde una nuova forma lessicale che apre agli interlocutori un campo di informazione nuovo, ma anche per il fatto stesso che la porzione lessicale nuova, ancorché non legata ad un nuovo oggetto o concetto, immette una sorta di shock linguistico nella comunicazione.

Dal momento che, già nelle riflessioni di R. Jakobson si possono rinvenire, con l’accentuazione della funzione espressiva e di quella conativa del linguaggio167, in relazione rispettivamente al parlante e al destinatario, le nozioni di quelle che saranno le forze illocutorie e perlocutorie del linguaggio definite da J. Austin168, sembra necessario ricollocare l’unità neologica, prodotta in un discorso, ai due poli del processo di scambio

166 Cfr. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, cit. e M. A. K. Halliday, Sistema e funzione nel linguaggio:

saggi raccolti da Gunther Kress, trad. it. a cura di R. Sornicola, Il Mulino, Bologna 1987.

167 Nelle formulazioni teoriche di Jakobson, la nozione di un linguaggio denotativo avente come funzione

essenziale la trasmissione di un’informazione ha fatto posto alla nozione di un linguaggio di cui gli elementi emotivi formano più sistemi simultanei di cui ciascuno è caratterizzato da una funzione differente. Cfr. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, cit.

168Cfr. J. L. Austin, Come fare cose con le parole: le William James lectures tenute alla Harvard University nel

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linguistico: il parlante può utilizzare una parola nuova in maniera non neutra, ma ricercando un effetto sul destinatario e, quando l’effetto sia riuscito o almeno recepito, il destinatario prende coscienza del carattere volutamente neologenico del vocabolo impiegato.

Dunque, andranno sempre tenuti presenti anche il dominio di referenza e il contesto pragmatico-semantico in cui si colloca la EVAN: quando si è fuori dalla pura denotatività e cioè – assumendo il MLP sopra introdotto – quando la EVAN non sia una neoformazione, ma una neologenia, il suo impiego può essere considerato, infatti, un atto illocutorio il cui

obiettivo è perlocutorio169. Questo tipo di scambio linguistico, basato sulla presenza di novità linguistica, era stato così descritto da Ch. Marcellesi:

si tratta, per il parlante, di una creazione cosciente che stabilisce una sorta di complicità tra lui e il destinatario del discorso. Quest’ultimo, perfettamente cosciente dell’azione tentata su di lui per mezzo del vocabolo impiegato, è sensibile al carattere specifico di questo vocabolo, tanto che questa azione assume un carattere individuale: è verso di lui, e verso lui solo, che gli sembra diretto il “fare” del discorso170.

Lo studioso aveva inoltre descritto il discorso marcato neologicamente come un “luogo della suggestione” e della “complicità linguistica e ideologica”171. Del resto, la capacità attrattiva e la focalizzazione sulle intenzioni pragmatiche del locutore erano state riconosciute anche come caratteristiche essenziali della comunicazione ostensiva, nell’ambito della “teoria della pertinenza”172.

L’atto linguistico neologenico può dunque rientrare nei fenomeni marcati ostensivamente e, poiché «gli stimoli ostensivi suscitano un’anticipazione di pertinenza, e questa pertinenza potrà essere ottenuta solo riconoscendo l’intenzione informativa del locutore»173, si configura come evento comunicativo in cui è fondamentale l’interazione pragmatica tra le intenzioni del mittente e il riconoscimento della pertinenza (cioè, del significato ostensivo e non necessariamente di quello morfologico) della novità lessematica, in quello specifico momento del discorso, da parte del destinatario.

169 Cfr. S. Scotti Morgana, Le parole nuove, cit., pp. 9-10. Sulla natura degli atti linguistici cfr. J. L. Austin et

al., Gli atti linguistici, cit. e J. R. Searle, Atti linguistici, cit.

170 Cfr. Ch. Marcellesi, Néologie et fonctions du langage, “Langages”, 36 (1974), pp. 95-102. 171 Cfr. Ivi.

172 Cfr. D. Sperber D. Wilson, La pertinenza, Milano 1993, Ed. Anabasi, pp. 228-229. 173 Ivi, pag. 230.

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Talea reciprocità, che Marcellesi chiamava complicità ideologica, viene di fatto innescata ostensivamente dal carattere retorico della neoforia, entro uno scambio comunicativo la cui creazione e la cui interpretazione sono marcate dalla suggestione indotta dalla funzione poetica propria della struttura linguistica. Infatti, «gli effetti poetici creano impressioni condivise piuttosto che un sapere condiviso» e «gli enunciati che producono effetti poetici possono essere utilizzati precisamente per suscitare sentimenti di reciprocità apparentemente affettiva più che cognitiva» sebbene, analizzando «questi effetti affettivi al microscopio della teoria della pertinenza, si scopre che sono composti da una serie di piccoli effetti cognitivi», per cui si vede confermata la necessità di una loro analisi testuale e psico-linguistica174.

Quelle fin qui descritte ci sembrano, in effetti, le circostanze che guidano l’impiego di molte EVAN nel linguaggio giornalistico, le quali riescono, in virtù della loro ostensività e delle loro implicazioni retoriche, ad innescare le macrofunzioni descritte, fuse nella loro stessa natura linguistica, attirando l’attenzione del destinatario e, in certi casi, anche stabilendo con esso un’intesa che può avere finalità ideologiche o di orientamento nell’interpretazione dei fatti narrati.

II.2.5.2. Strategie newness-centered del linguaggio giornalistico: