A conclusione di questo secondo capitolo, riporto alcune domande fatte a Marco Pratellesi, condirettore di Agi. Nella sua carriera ha lanciato e diretto le testate digitali del gruppo Monrif (Quotidiano.net; La Nazione.it; Il Resto del Carlino.it; Il Giorno.it) ed è stato direttore responsabile dal 2002 al 2010 del sito del “Corriere della Sera”. Nell’incontro che gentilmente mi ha concesso, gli ho posto le domande che qui sotto riporto.
1) Quali sono i cambiamenti maggiori che lei ha notato nella professione del giornalista nell'epoca del digitale?
PRATELLESI – Sicuramente, o molto probabilmente, l'indebolimento dell'intermediazione. Cioè il fatto che nel giornalismo fino all'era così detta del social, comunque del Web 2.0, ovvero, l’era che ha permesso a tutte le persone di esprimersi, che evidentemente è anche un pregio, un progresso di esprimersi liberamente attraverso la rete, questo ha fatto sì che ad esempio politici, opinion maker, manager, industriali, ma gli stessi studiosi, attori, sportivi, calciatori, sportivi in generale, tutte quelle persone che prima dovevano necessariamente passare attraverso la mediazione di un giornalista per accedere attraverso i mass- media all'opinione pubblica, oggi hanno strumenti personali che gli consentono di
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parlare direttamente con il pubblico e quindi anche con l'opinione pubblica, perché in alcuni casi queste persone hanno anche molti followers o seguaci e questo ovviamente gli consente di parlare direttamente al proprio pubblico, mettendo così il giornalista in una condizione di svantaggio. Infatti, un giornalista non può ignorare le dichiarazioni di un politico, di un premier, di un vicepremier, di un ministro, di un dirigente di un'azienda importante, di uno sportivo o di un opinion maker, ma proprio per il meccanismo dell'immediatezza per cui ciò che viene diffuso, viene immediatamente distribuito dalla rete. Il giornalista può rilanciare ma non ha spesso il tempo materiale per fare una parte di quello che è il lavoro fondamentale, cioè la verifica, il controllo della fonte. Un esempio banale: Salvini dice una cosa che gira in rete, cosa fa il giornale? La prende e intanto la rilancia, perché la attribuisce comunque al Ministro dell'Interno, vicepremier, leader leghista. Però se poi quella frase che ha detto risulta essere sbagliata, ha degli errori, è imprecisa, ma nel frattempo è stata rilanciata, il giornalista non ha avuto il tempo di verificare la fonte. Quindi, a differenza di prima che poteva contrastare e contraddire in diretta la fonte che faceva la dichiarazione, oppure prendersi il tempo per verificare, oggi questo tempo non c’è più.
2) Il rapporto tra sito Web e social network è conflittuale o pacifico all'interno dei giornali on-line?
PRATELLESI – Come sempre queste cose sono in parte pacifiche e in parte conflittuali, ovviamente c'è una conflittualità che deriva anche da fattori economici. Il fatto che per esempio i social network, diciamo le grandi piattaforme facebook, Google, in realtà adesso anche Amazon per certi aspetti, rastrellano la stragrande maggioranza degli investimenti pubblicitari. Pertanto, se l'80% del mercato finisce su queste piattaforme, tutti gli altri siti derivanti da testate giornalistiche, quindi siti di informazione, devono condividere o distribuirsi una fetta molto più piccola tutti insieme. Quindi sicuramente c'è un conflitto dal punto di vista delle risorse, se quelli prosciugano le risorse diventa difficile poi galleggiare dove si creano quasi dei
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monopoli dal punto di vista degli investimenti pubblicitari. È vero anche che i siti ricevono dei benefici da questi strumenti, perché spesso rilanciano contenuti dei siti stessi. Quindi da una parte, gli editori si lamentano perché dicono “noi paghiamo per realizzare i contenuti, ma poi i benefici molto spesso finiscono sulle piattaforme, su chi non paga”, e qui la famosa questione della retribuzione per quei contenuti confezionati che vengono ripresi dagli aggregatori, dai social tali e quali e dai siti rilanciati sulla rete.
3) Il giornalismo partecipativo sostituisce la figura del giornalista professionista?
PRATELLESI – No, non credo che si possa parlare di sostituzione, proprio per quelle cose che ti dicevo prima, nel senso che il giornalismo partecipativo, cioè quello che è il contributo che gli utenti possono giustamente dare al giornalismo, perché capita spessissimo ormai che persone che magari sono specializzate in determinati settori su certe cose diano dei contributi maggiori a quelli che può dare il giornalista che molto spesso necessariamente è una sorta di tuttologo, è uno che si informa, cerca di capire, ma su molte cose ne sa meno magari dell’esperto, quindi sicuramente ha un valore e può dare contributi molti importanti, però è anche vero che il giornalismo partecipativo è fatto di persone che fanno altri mestieri.
4) Quindi ci sarà anche meno qualità?
PRATELLESI – No, perché ci possono essere delle punte di qualità ottima, ma facendo altri mestieri, difficilmente hanno il tempo di fare tutte quelle operazioni etiche, deontologiche di verifica, di controllo, di qualità dell’informazione che invece un giornalista fa abitualmente o dovrebbe fare abitualmente perché fa parte proprio del proprio lavoro. Quindi anche qui non c’è una contrapposizione, c’è parzialmente un’integrazione, però sono due cose diverse fondamentalmente.
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5) Gli Istant Articles si dice siano un tentativo di risolvere la conflittualità con facebook, ma mi può spiegare meglio questo tema?
PRATELLESI – In realtà non è un modo per superare la conflittualità con facebook. L’ Istant Article è un sistema che è stato messo a punto per rendere più immediata la verifica e il controllo, tant’è vero che molti editori poi l’hanno abbandonato. I contenuti che girano in qualche modo sulla piattaforma facebook sono più velocemente e immediatamente accessibili ai lettori. Però ripeto, questa idea di facebook, che è un’idea molto monopolista, in realtà ha la tendenza a voler contenere tutto, come una sorta di giardino chiuso dove uno va, parla con gli amici, parla con i colleghi di lavoro, legge le notizie, guarda i video. Facebook vorrebbe che avvenisse tutto lì dentro e quindi con un peso fortissimo nella formazione dell’opinione pubblica, come abbiamo visto nei casi della Brexit e di Trump. Il caso Cambridge Analytica ha dimostrato come la manipolazione dei dati all’interno di queste grandi piattaforme possono condizionare l’opinione pubblica. Anche i giornali condizionano l’opinione pubblica, ma nel rispetto di un pluralismo, cioè i giornali o i siti di informazione hanno contenuti in parte diversi, o punti di vista differenti, letture diverse sui contenuti, quindi garantiscono maggiore ventaglio di pluralismo che in qualche modo dovrebbe dare alle persone, ai lettori la possibilità di formarsi un’opinione pubblica nel confronto appunto delle idee, dei punti di vista e così via, delle opinioni.
6) Secondo la sua esperienza, che rapporto c’è tra redazione cartacea e redazione online?
PRATELLESI –È in rapporto simbiotico, ma anche lì con regole vigenti, organizzazione del lavoro, flussi di lavoro diversi, quindi personalmente non credo molto all’integrazione al 100%, cioè all’idea che tutti fanno tutto. Nel giornalismo ci sono specializzazioni, modi di lavorare, flussi di lavoro ed esigenze diverse che
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fa sì che i due siano complementari e integrati, ma che questa integrazione secondo me, per come la vedo io, non possa essere funzionale al 100%.
7) Quindi non vede una scomparsa della redazione cartacea in virtù solamente della redazione online nel futuro?
PRATELLESI – No, ci può essere la scomparsa, perché il fine del giornalismo non è stampare carta ma fare informazione. Ciò ha molto a che vedere con il giornalismo perché fa parte della storia del giornalismo stesso. Il modo con cui veicoliamo le notizie non è necessariamente il giornalismo. Il giornalismo è stato la carta, poi è stata la radio, poi è stata la televisione, ora è internet. Il fatto che possa scomparire la carta e quindi la redazione di carta, intesa come redazione dedita a formare il quotidiano, è molto probabile che succeda perché la carta è palesemente diventata antieconomica in un sistema dell’informazione dove ne circola sempre meno. Così accade anche per la pubblicità nei giornali di carta perché c’è la crisi ovviamente delle vendite, la distribuzione, si stampano meno, quindi forse inevitabilmente andrà a scomparire il supporto cartaceo o rimarrà estremamente residuale nel panorama dell’informazione, ma ciò non vuol dire che non si continuerà a fare informazione con i giornalisti professionisti.
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