Il paesaggio mediterraneo è uno di quelli modificati dalla presenza umana da più tempo, in quanto proprio in quest’area si è probabilmente per la prima volta sviluppata la pastorizia e l’agricoltura intorno al 8.500 A.C. (Diamond, 2006). E’ quindi particolarmente complesso produrre efficienti analisi di paesaggio, inteso in senso ecologico, per le aree di tipo mediterraneo, anche se presentano complessità dovute alla necessità di comprendere interrelazioni tra attività antropiche e biodiversità che guardano indietro di millenni. Va anche sottolineato che “i criteri guida alla valutazione [dei paesaggi] scaturiscono da un modello culturale che non tiene conto del livello di rappresentatività dell’ambiente (sotto valutazione). Così la maggior parte delle aree valutabili appartengono a territori geograficamente remoti, montani e comunque di difficile accesso e ‘scansati’ dalle attività umane. Queste si sono concentrate nei fondo valle, nei terreni più fertili, con maggiore disponibilità d’acqua e quindi con una diversità biologica potenziale molto elevata. Di queste parti del nostro real world conosciamo poco e poco abbiamo conservato. Una particolare attenzione dovrebbe pertanto essere riservata proprio alle aree più prossime all’uomo” (Farina, 2001). In questo senso è giustificata l’attenzione ad un paesaggio, quello della Maremma Laziale, che indubbiamente presenta le caratteristiche sopra individuate. Nel comprendere le dinamiche ecologiche dell’area di studio dobbiamo quindi avere bene in mente la fotografia diacronica dell’evoluzione della presenza antropica nei territori mediterranei, ed in particolare le questioni dell’evoluzione dell’assetto del paesaggio (inteso in senso ecologico) e della sua articolazione spaziale, strutturale e funzionale, e di come le specie di animali e di piante si siano co-adattate alla nuova situazione venutasi nel tempo a creare. Il quadro concettuale di riferimento per la valutazione del paesaggio che si è effettuato nel corso del presente studio è quello proposto da Farina (1991; 1993; 2001), e che si articola sulle seguenti questioni e problemi: necessità di far riferimento a specie “bersaglio” o a processi che hanno una relazione più o meno diretta con l’uomo; problemi di scalarità: la definizione di contesto geografico e contesto temporale; possibilità di affrontare la questione dal punto di vista dei “processi” o da quello dei “problemi”, assai più complesso perché intervengono modelli socio- economici e culturali che filtrano i processi e restituiscono proprietà emergenti (biforcazione iniziale di qualunque approccio all’analisi e valutazione di paesaggio); definizione di indicatori di processo (sintetici): integrità, frammentazione, resilienza e resistenza, disturbo); valutazione del paesaggio attraverso specie chiave, e il comportamento animale come processo per la valutazione; valutazione dei cambiamenti nei paesaggi; concetto della salute ambientale e del paesaggio (vigore, organizzazione, resilienza, frammentazione, livello di deforestazione, superficie coperta da vegetazione, livello di urbanizzazione, quantità di barriere, accuratezza nella gestione di paesaggi
culturali, specie rare e minacciate, proprietà scalari e in accuratezza, sistemi effimeri; valutazione strutturale del paesaggio (valutazione del mosaico; valutazione del debito ecologico). Nell’ambito del presente studio si è voluto affrontare la questione dal punto di vista dei “problemi” (come sopra definito in Farina, 2001), che “significa valutare una fetta più ampia della complessità ecologica sebbene spesso l’approccio attraverso i processi sia più facile e di immediata comprensione – i problemi sono infatti espressione di più processi tra loro interagenti). [….] Pertanto nella valutazione dei problemi devono necessariamente essere inclusi non solo i processi ecologici sensu strictu ma anche i processi formati del modello socio-economico e culturale” (Farina, 2001). Il modello logico di riferimento è quindi stato quello che vede le pressioni sugli ecosistemi che osserviamo sul territorio non solo come conseguenza di interventi diretti effettuati (ad esempio, il taglio di un bosco da parte di un contadino), ma anche come conseguenza delle politiche agricole decise a Bruxelles e Roma (sul livello rispettivamente nazionale e regionale). Queste questioni possono essere viste dal punto di vista della scala di indagine come un sistema multilivello nel quale ad ogni salto di scala ecologica corrisponde una diversa attività conoscitiva, un diverso strumento di pianificazione, un diverso livello di attività gestionali e un diverso approccio di governance socio- politica (vedi Tabella 3.1).
Pertanto possiamo individuare un primo livello di questioni da indagare, che attengono a problemi più strettamente ecologici, cercando di utilizzare la comunità degli uccelli come indicatore principale, interpretandola in base a elementi strutturali, funzionali e spaziali del paesaggio, che tutti insieme concorrono a determinare le specie che osserviamo nell’area di studio. Un esempio di modello ideale che riassume in modo semplificato le relazioni tra questi elementi, con riferimento agli uccelli nidificanti e residenti annualmente nell’area di studio è quello presentato in Figura 3.1. Se consideriamo non solo gli uccelli nidificanti e residenti permanentemente nell’area, ma anche quelli migratori (che siano nidificanti o semplicemente presenti durante le migrazioni o durante la sola stagione invernale) i rapporti si complicano in quanto sulla specie incidono anche le condizioni delle aree attraversate durante la migrazione e quelle nell’area di nidificazione (per gli svernanti) o di svernamento (per i nidificanti). Simili modelli possono essere delineati per tutte le specie di animali e di piante. Esistono però una serie di altri processi che incidono sugli elementi strutturali e su quelli funzionali del paesaggio, che sono i processi antropici: ad esempio l’agricoltura, le attività forestali, la costruzione di infrastrutture, l’utilizzo di vari stadi del ciclo delle acque per le attività civili, industriali e di nuovo agricole. Questi processi dovrebbero essere incorporati nel nostro modello per renderlo più realistico: e tra l’altro possono essere processi di straordinaria importanza ecologica, come nel nostro caso, perché con una visione diacronica possiamo percepire come essi siano sostanziali nel determinare l’aspetto del paesaggio attuale.
Tabella 3.1. Questioni di scala nella pianificazione e gestione (da Tallone, 2007)
Scala Dim.
(km)
Attività di conoscenza Strumento di pianificazione
Attività gestionali Governance
Biogeografica (Ecoregionale)
> 500 Corologia delle
specie
Dinamiche storiche
Carta della Natura Linee guida per
l’assetto del territorio
Programmazione di grandi sistemi ambientali (Alpi, APE, Ecoregioni) GATT, Unione Europea, Governo nazionale Regionale 50<>5
00 Areale delle specie
Unità fitoclimatiche Unità di paesaggio Filogeografia
Piano dei Parchi Piano Territoriale Regionale Piano Paesistico Regionale Sistemi Informativi Territoriali Elaborazione strumenti di pianificazione Politiche territoriali (agricoltura, trasporti, infrastrutture) Governo regionale 1<>50 Analisi mosaico ambientale Analisi specie- paesaggio Comprensione dinamiche di metapopolazione
Piani dei singoli parchi
Piani Territoriali di Coordinamento Piani di Gestione di
ZPS
Design della singola area protetta (perimetro, zonizzazione, aree contigue) Progetto di interventi di gestione e restauro ambientale a scala di patch di paesaggio Progetto di “corridoi” Gestione di popolazioni animali (vertebrati omeotermi) Governo provinciale, enti di gestione delle aree protette, comunità montane
Fine <1 Utilizzo dello
spazio e delle risorse da parte degli individui Dinamica interna
della singola patch Effetto margine,
effetto arca
PRG comunali Piani di Gestione di
SIC e di singoli siti
Progetto di singoli interventi di restauro “a scala di siepe” Gestione di habitat e di popolazioni di vertebrati non omeotermi, invertebrati Comune, ente di gestione di usi civici e università agrarie, enti gestori di aree protette e siti Natura 2000
Ho cercato di schematizzare (in modo molto semplificato) questo genere di relazioni nel modello ideale rappresentato in Figura 3.2.
Il terzo livello evocato da Farina (2001) è quello delle cause socio-economiche che determinano il dispiegarsi dei fattori eco-antropici alla scala locale: nel nostro caso cercheremo di analizzarli almeno per sommi capi, per definire quali sono le politiche e le azioni che possono essere realmente efficaci a grande scala per determinare il paesaggio che osserviamo.
Figura 3.1. Modello semplificato delle possibili relazioni tra avifauna e habitat nell’area di studio.