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Mediazione Come “ Strumento Tampone”

6.3 L’esperienza Italiana

6.5 Mediazione Come “ Strumento Tampone”

L’allarme sociale legittima l’esistenza di incrementare forme di controllo. Ciò che conta, da parte dell’ordinamento, è adoperarsi per garantire la sicurezza, ma come afferma Messner, si cerca di garantirla non attraverso una reale analisi delle condizioni sociali della devianza e, quindi, attraverso delle pratiche che, almeno, rappresentino dei tentativi di risoluzione del problema, ma attraverso dei processi di riduzione dei danni, processi di “contenimento della criminalità” orientati secondo il principio della minimizzazione dei costi382. Prima la via seguita era quella delle pratiche dirette ad arginare la devianza tramite interventi di modifica del comportamento dei soggetti agenti volto alla “normalizzazione” dei medesimi. Una volta constatato il fallimento di un tale approccio, lo Stato ripiega su una nuova politica di deresponsabilizzazione e di “delega” ai cittadini. Lo Stato si dichiara non esclusivamente responsabile del controllo della criminalità, e richiede la cooperazione della collettività attuando una sorta di “suddivisione del lavoro”. In questo senso la mediazione opera come strumento per la riduzione del danno criminalità attraverso il coinvolgimento dei privati. I vantaggi per lo Stato sono notevoli. Se il fallimento delle precedenti pratiche aveva minato la credibilità del sistema la mediazione rappresenta una nuova chance. Si afferma infatti che con essa si pongono in primo piano le esigenze della vittima fino ad ora relegata in un ambito marginale e che al reo viene fornita la possibilità di autoresponsabilizzarsi con notevoli vantaggi anche sul piano procedurale, ed infine, si afferma che ad entrambi è data la possibilità di riconciliarsi, con vantaggi per l’intera comunità che risentirà delle influenze positive della raggiunta stabilità dei rapporti. Una romantica favola dalla quale, però, “le istituzioni traggono profitto, perché nella misura in cui riescono a giustificare il dominio paternalistico sulla vittima e l’intervento repressivo nei confronti del reo, rinsaldano il loro fondamento di legittimità e la loro violenza simbolica”383. Considerando poi che il sistema penale rischiava una implosione per il

pesante carico giudiziario che non riusciva ad affrontare non solo in termini economici ma, soprattutto, in termini di gestione pratica, si riscontra un ulteriore vantaggio.Le tipologie di reato che sono state affidate alla pratica della mediazione di solito rientrano nella categoria dei reati contro il patrimonio e non è un caso che questi, più facilmente,

382 Ibidem.

si prestano alla ricerca di un accordo sull’entità della riparazione. Per i reati violenti si afferma che è troppo complesso giungere ad un incontro tra le parti, considerando che il reo difficilmente ammette le sue colpe facendo venire meno quel carattere consensuale che come si dice è alla base del rapporto. In tali casi, secondo la dottrina, se la mediazione può trovare un margine di applicazione, questo non può che esser dopo la sentenza e mai come pratica alternativa al procedimento penale384.

Nei reati di violenza domestica, secondo i dati delle autrici Hester e Person, addirittura l’utilizzo della mediazione potrebbe ingenerare degli effetti negativi. Si afferma che l’uomo, in molti casi, solo apparentemente si dimostra conciliante e ammette le proprie responsabilità385. La riappacificazione risulta essere una finzione, questo perché in genere si tratta di violenze ripetute e protratte per molti anni, per cui difficilmente la pratica mediatoria può avere un effetto deterrente. Infatti dai dati risulta una percentuale altissima di insuccessi dei programmi di conciliazione ed un aumento dei rischi per la donna di subire ulteriori violenze386.

Questi esempi sono indice di una difficile attuazione pratica della mediazione ad ampio spettro, ossia estesa anche a quelle tipologie di reato in cui è assente l’aspetto patrimoniale, mentre predomina quello personale.

Gli studi sugli effetti della mediazione parlano di riuscita della medesima, di soddisfazione della vittima, ma il parametro di riferimento considerando anche la tipologia di reati cui viene applicata risulta il più delle volte legato alla conclusione di un accordo sul risarcimento materiale.

Non tutte la coppie antagoniste reo-vittima possono accedere all’istituto in questione. Per l’autore di reato, come già affermato, in genere, si richiede una disponibilità alla ammissione della propria responsabilità e alla riparazione delle conseguenze del reato, per cui sono esclusi i soggetti che lamentano una responsabilità non esclusiva dell’accaduto e che ritengono la vittima compartercipe. Rispetto ai soggetti disponibili ad una ammissione totale di colpa, è facile immaginare una disponibilità massima alla riparazione non fosse altro che per evitare le conseguenze infauste del processo.

384 G. SCARDACCIONE,1998, Op., cit., cap. V.

385 M HESTER - C. PEARSON; Domestic violence, mediation and child contact arrangements: issues

from current research; in “ Family Mediation”; 1993, n. 3.

Rispetto alla disponibilità delle vittime, dalla ricerca di Maguire e Corbett, frutto di un’analisi delle esperienze straniere, è molto più elevata la disponibilità delle vittime di reati contro il patrimonio a partecipare ad una mediazione con il reo, rispetto alle vittime di reati violenti (19%)387.

Da queste considerazioni si deduce che per le mediazioni intraprese nell’ambito dei reati a sfondo patrimoniale con disponibilità dei soggetti sopra considerati, la percentuale di successo non può che essere elevata. Non esistono ricerche, nonostante la mediazione sia una pratica non nuova in alcuni paesi stranieri, atte a comprovare degli effetti positivi in termini di riduzione della criminalità ed incidenza sui tassi di recidiva. Viene, pertanto, da chiedersi se la mancanza di tali dati derivi dall’incompletezza delle statistiche a riguardo, oppure dalla considerazione che la mediazione, così impostata, non sia realmente efficace. Sicuramente rappresenta un vantaggio per tutti i paesi che soffrono di un ormai cronico “eccessivo carico giudiziario”, ma se non se ne può ammettere il carattere realmente conciliativo, dobbiamo affermare che siamo di fronte ad un nuovo “strumento-tampone”, utilizzabile in pochi casi, che alla lunga mostrerà sicuramente i suoi limiti. Le perplessità sono molte e non investono solo il passaggio, seppur difficile, dalla teoria all’atto pratico, ma si incentrano anche sull’idea stessa di mediazione che, come osserva Pavarini, potrebbe aver subito un uso distorto e strumentale da parte del sistema penale che dal momento in cui si ibrida con altre sostanze le corrompe o le annulla388. Messner, definisce la mediazione, non come una modalità privata di composizione dei conflitti ma, come “una teatralizzazione statale-penalistica dettata dall’urgenza di giustizia”389 evidenziando con questa espressione che solo apparentemente la mediazione tenta un incontro tra reo e vittima mentre, nella realtà, essa si strutturata per tutelare gli unicamente gli interessi della parte offesa. Non a caso le parti non sono realmente libere di determinare l’esito del loro incontro, né è in dubbio chi sia il soggetto meritevole di ottenere giustizia, né è possibile ipotizzare che, alla fine, sia il reo a risultare vittima. I ruoli sono stabiliti e con essi l’esito finale. Il tutto si risolve in un mero rituale. « È la legge che pone un premio per un dato comportamento procedurale

387 M. MAGUIRE - C. CORBETT; The effects of crime and work of Victim Support Schemes; in G.

SCARDACCIONE, Op., cit., p. 51.

388 M. PAVARINI; Relazione al convegno per la presentazione del libro “Lo spirito della mediazione di J.

MORINEAU, Bologna, 2001.

389 C. MESSNER Mediazione penale e nuove forme di controllo sociale; in “ Dei delitti e delle pene”;

delle parti coinvolte e che ricambia con caramelle nel caso in cui le parti pervengano ad una soluzione “autonoma”; nel caso contrario tiene ferma la minaccia»390. Agli occhi di Messner la mediazione si presenta come una nuova forma di controllo sociale, funzionale ad un sistema penale sovraccarico, e soprattutto fortemente legittimante il potere istituzionale, tramite un “dominio paternalistico” sulla vittima e un intervento comunque contenitivo nei confronti del reo. Ai fini di una corretta formulazione ed attuazione dell’istituto, l’incontro tra i soggetti coinvolti dovrebbe essere libero ed incondizionato. Solo cosi la comunicazione può svolgersi su un piano “sentito”, elemento indispensabile per raggiungere una riconciliazione reale tra le parti. Ma questo, rappresenta forse il problema più serio. Sostenere infatti che il consenso non venga viziato dalla prospettiva di un procedimento d’indulgenza o dalla minaccia di un ritorno al penale, significa avere un’idea della mediazione del tutto “romantica”.

390 C. MESSNER, Op., cit., p. 102.

CAPITOLO VII

Il superamento della logica del contrappasso attraverso il