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4.3 Prevenzione generale positiva

Mentre la finalità di prevenzione generale negativa si rivolge prevalentemente alla minoranza dei potenziali violatori della legge penale, quella di prevenzione generale positiva è diretta alla maggioranza. Si punisce perché attraverso la pena si esercita quella che viene considerata funzione primaria che è di produrre il riconoscimento delle norme e la fedeltà nei confronti del diritto da parte della maggioranza degli osservanti286.

Questi principi sono presenti nella teoria sistemica di Luhman in cui la pena diventa strumentale alle finalità di stabilizzazione, rinnovando la fiducia del consociati nell’ordinamento minacciato dal comportamento illecito287. Secondo questa prospettiva, l’equilibrio del sistema dipende dalla capacità di “normalizzazione”, cioè dalla facoltà di assorbire la pluralità di aspettative dei “sottosistemi” (uomini). L’essenziale, secondo Luhmann, è che il sistema possa infatti ottenere consenso288. Tuttavia, in molti ritengono che la teoria sistemica rappresenti una grave decadenza del pensiero dal momento in cui si arriva a liberarsi della verità per sostituirla interamente con ciò che è funzionale289. Il pericolo intravisto è quello di “stabilizzare il gruppo sociale intorno a valori imposti dall’ordinamento”290 e di allontanarsi dall’uomo che è ridotto a sottosistema, regredendo sostanzialmente ad un diritto penale stantio e conforme ad un paradigma fittizio che è sempre stato quello del discorso giuridico penale autoritario291.

285 E. DOLCINI, La commisurazione della pena, Padova 1979, p. 219. 286 M. PAVARINI, Op.,cit., p. 327.

287 Cfr N. LUHMANN, Potere e complessità sociale, Milano, 1979

288 E. ZAFFARONI, Alla ricerca delle pene perdute, Napoli 1984, p. 100. 289 E. ZAFFARONI, Op., cit., p. 101.

290 E. DOLCINI.- G. PAGLIERO, Il carcere ha alternative?, p.230. Milano. 291 E. ZAFFARONI, Op., cit., p. 100.

4.4 La special prevenzione

Dalla seconda metà del XIX sec., in linea con il pensiero positivista si afferma la dottrina della prevenzione speciale. Questa tende ad impedire che chi si è reso responsabile di un reato torni a delinquere anche in futuro292. La scuola positiva si preoccupa della difesa sociale e delle misure strumentali alla sua realizzazione. Afferma la necessità di predisporre pene graduate, non sulla base della gravità del reato, ma sulla base della pericolosità del reo valutata in termini di potenziale e probabile recidiva293. L’idea centrale di questo orientamento è che il delinquente sia un essere antropologicamente inferiore, più o meno deviato o degenerato e che il problema della pena equivale perciò a quello della difesa più adeguata per la società294. In questa

prospettiva, le pene assumono il carattere di misure tecnicamente appropriate alle diverse esigenze terapeutiche e ortopediche della difesa sociale: misure igienico– preventive, misure terapeutico-repressive, misure chirurgico- eliminative, a seconda dei tipi di delinquenza295.

Alla pena Ferri affianca i mezzi preventivi di difesa sociale contro il reato, che assumono la forma e la denominazione di “sostitutivi penali”, rendendo, in un certo senso marginale, il ruolo della pena stessa.

La special prevenzione focalizza l’attenzione su alcuni soggetti specifici ritenuti, in base a diversi criteri, particolarmente inclini a delinquere e cioè pericolosi296. Nei confronti di questi soggetti, come sostiene l’Antolisei, lo Stato deve promuovere la risocializzazione e «ove questo non sia possibile, separare dal consorzio umano gli individui pericolosi, rendendoli innoqui. Coloro che, d’altro canto,- prosegue lo stesso- ritengono che si debba mirare esclusivamente all’emenda dei condannati-anche a prescindere dal fatto che in parecchi casi, più che l’emenda occorre la cura, non considerano che esistono autori di reato che sono ribelli a qualsiasi tentativo di rieducazione (gli incorreggibili), mentre ve ne sono altri che non hanno bisogno di essere emendati, come avviene per la maggior parte dei contravventori e delinquenti occasionali, passionali e politici297».

292G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte generale, Bologna 2005, p. 651. 293 G. PONTI, Compendio di criminologia, Milano, 1999.

294L. FERRAJOLI, Diritto e ragione –teorie del garantismo penale p. 254 Roma Bari ,1989 295 E. FERRI, Sociologia criminale, Torino 1900 p. 864.

296 F. CAVALLA, La pena come problema ,il superamento della concezione razionalistica della difesa

sociale Padova 1979 p. 27.

La teoria special preventiva, come traspare anche dal pensiero dell’Antolisei, ha dato luogo ad una serie diversificata di soluzioni; infatti l’obiettivo prefisso può essere perseguito attraverso tecniche sanzionatorie molto differenti. Differenti sono del resto i principi ispiratori della teoria stessa, che, da un lato, risente dell’influenza del determinismo positivista e, dall’altro, dell’ottimismo riformatore convinto che anche il delitto sia una questione sociale risolvibile298.

4.5 L’art. 27 della Costituzione e le sue interpretazioni.

Sebbene l’art. 27 nel suo terzo comma indichi espressamente quale debba essere la finalità della pena, e cioè quella di rieducare il condannato al fine di permetterne il recupero sociale, è necessario tenere presente che nel momento in cui si svolgono i lavori preparatori della Costituente, il dibattito sulla funzione della pena ruota ancora attorno ai postulati della scuola classica e della scuola positiva; di conseguenza se la norma costituzionale corrisponda alla scelta inequivoca per un finalismo special- preventivo di tipo positivo delle pene e del sistema penale, non è facilmente deducibile.

- Negli anni ‘50 un elevato livello di criminalità desta un forte allarme sociale, pertanto le interpretazioni della dottrina ruotano apertamente attorno a preoccupazioni general - preventive, cui si accompagnano “revival” di teorie retributive per lo più orientate in senso religioso. I presupposti politici ostacolano il finalismo rieducativo espresso dalla norma e le argomentazioni di studiosi retribuzionisti come Petrocelli e Bettiol utilizzano strumentalmente elementi testuali contenuti nello stesso art. 27. Secondo Petrocelli, infatti, «se le pene avessero dovuto avere un contenuto essenzialmente ed esclusivamente rieducativo; se, insomma, le pene non avessero dovuto avere carattere (…) punitivo, il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità non avrebbe avuto ragion di essere, perché una funzione che sia essenzialmente rieducativa esclude da sé, per la sua stessa natura, i trattamenti contrari al senso di umanità, senza bisogno di alcuna dichiarazione esplicita»299.

298 M. PAVARINI Introduzione al sistema penale, Op., cit., p. 328.

299 B. PETROCCELLI Retribuzione e difesa nel progetto del codice del 1949 in Rivista italiana di diritto

- Negli anni ’60, caratterizzati da un certo sviluppo economico, e incentivati politicamente da un “incipiente” e riformista centro sinistra, la concezione polifunzionale della pena conosce sicuramente il suo più alto riconoscimento e il problema del recupero sociale dei detenuti, si va ad inquadrare in un’ottica di miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini. Nel 1963 durante il convegno di Bressanone dedicato al “problema della rieducazione del condannato”, etribuzionisti e non retribuzionisti raggiungono un compromesso, identificando la rieducazione del condannato con un processo pedagogico e/o terapeutico, tendente a favorirne l’attitudine a vivere nell’osservanza della legge.

- Nei primi anni ‘70 cresce la consapevolezza che «quanto più un sistema penale è caratterizzato nel senso della prevenzione speciale, tanto maggiore deve essere la gamma di strumenti sanzionatori o di mezzi alternativi alle sanzioni penali»300.

In questo periodo il principio di rieducazione vive indubbiamente la sua stagione più felice tanto da venire assunto a principio ispiratore nelle proposte di modifica relative al catalogo delle sanzioni. Tuttavia, dalla fine degli anni ‘70 in poi, l’ondata progressista si interrompe bruscamente, la critica relativa alla funzione rieducativa della pena è decisamente forte e dirompente. Non vale e non basta, sostiene Bricola, «che la pena sia conforme al senso di umanità e assicuri il rispetto della dignità umana. Si tratta - precisa- di formule vaghe e di rito, buone per ogni uso, capaci di ospitare qualsiasi contenuto»301. I riscontri sono oggettivi, considerando che nonostante le positive premesse, il sistema complessivo di controllo delle libertà, negli anni successivi, si estende fortemente, contribuendo a far raggiungere al nostro paese le vette più alte della classifica europea, in termini di più elevata repressione penale.302

Il fallimento consiste in modo visibile nella mancata realizzazione della promessa di “restituire” soggetti “recuperati e rieducati” alla vita societaria. I tassi di recidiva, (circa il 70%), non lasciano dubbi al riguardo. Ma ciò che colpisce è che la reiterazione

300Cfr. G. FIANCACA, Rapporti civili, Bologna 1991.

301 F. BRICOLA, Il carcere riformato, Bologna 1977, p. 48. La critica, coinvolge di riflesso anche l’art.

15 ord. Pen., in base al quale il trattamento rieducativo si «svolge avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro, delle attività culturali, ricreative e sportive, agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia». La triade: istruzione, lavoro, religione, attraverso contenuti decisamente conservatori, la costante del trattamento carcerario dall’unità d’Italia in poi, senza alcun tipo di risultato concreto, vedi a questo proposito di G. NEPPI MODONA, I rischi di una riforma settoriale. In margine al disegno di legge sul’ordinamento penitenziario, in “Quale giustizia” 1971, p. 469.

302 M. PAVARINI, Relazione al convegno “Le competenze del giudice di pace e nuove pene non

del reato non avviene tanto durante la concessione dei “benefici”, ma successivamente al riacquisto della libertà, quindi, a conclusione del procedimento riabilitativo.

La progressiva decadenza dell’idea rieducativa si accompagna alla contemporanea crisi del Welfare State, che oltre a non aver prodotto risultati convincenti, manifesta, secondo Bricola, tutta l’inadeguatezza di una politica illusoriamente alternativa. «La grave carenza e l’inadeguatezza dei servizi assistenziali, hanno finito- secondo lo stesso- con l’accentuare la funzione di controllo a discapito di quella finalizzata ad un efficace reinserimento sociale»303. Il fallimento delle pratiche di risocializzazione genera un fenomeno di proliferazione della repressione penale di tipo forte. Si rivalutano le esigenze di difesa sociale e di conseguenza di prevenzione-generale e la legislazione d’emergenza è la risposta alla situazione di allarme sociale, che, da un lato, legittima l’impegno dello Stato nella lotta alla criminalità e, dall’altro, appaga i bisogni emotivi di una società portata a credere nella repressione come unica soluzione possibile. Riemergono le dottrine neoclassiche, riportando in auge l’idea hobbesiana dello Stato concepito come tutore dell’ordine, che agisce attraverso la legittimazione dell’uso del potere punitivo assoluto, nei confronti di chi ha ingiustamente violato l’ordine sociale prestabilito. Contemporaneamente, si consolida una concezione di responsabilità individuale che richiama le teorizzazioni filosofiche proprie del pensiero idealista ed in particolare di quello di Kant, secondo il quale la pena risponde ad un’esigenza etica assoluta. La pena ritorna ad essere vista come imperativo categorico, “giusto compenso”, di una legge morale inesorabilmente infranta, ragion per cui non abbisogna di nessuna giustificazione utilitaristica: solo la realizzazione dell’idea di giustizia, attuabile attraverso la retribuzione, giustifica la pena304.

303 BRICOLA F – Le misure alternative della pena nel quadro di una nuova politica criminale in

AA.VV- Pene e misure alternative nell’attuale momento storico , Milano 1977, p. 400.

304 S. CIAPPI, A. COLUCCI.,Op., cit., pp. 18-19. Si veda a questo proposito la posizione di M. RONCO

in Il problema della pena,Torino 1996. L’autore afferma che la pena non può non possedere un’essenza retributiva essendo questa l’unica teoria che non strumentalizza l’individuo a beneficio dei molti; essa, secondo l’autore, “rendendo efficacemente noto al colpevole il significato del suo delitto conferma nei consociati il giudizio della propria coscienza”. Si veda ancora di M. RONCO, Principi di diritto penale e certezze del senso comune, p. 17: in cui l’autore riprende il concetto asserendo che “La realtà intima della pena, a prescindere dagli scopi esteriori che essa può accidentalmente raggiungere, tra tutti importante, l’eventuale contributo ab externo al raffreddamento della baldanza e dell’arroganza di coloro che, per inveterata dedizione al crimine, più non sentono nella coscienza il morso e l’angoscia della pena naturale, sembra comporsi [...] di distinti elementi, che debbono essere visti nella loro profonda unità perché sia colto il senso e il significato della pena […] In primo luogo, la pena deve essere vista come strettamente connessa al delitto, come atto con cui l’autore abusa della sua libertà, violando così il principio fondamentale di responsabilità. In secondo luogo, occorre vedere, come punto di passaggio dalla colpa alla pena, lo status di separatività da Dio e dagli uomini in cui il reo viene a trovarsi per il fatto stesso del delitto. In terzo luogo, occorre scorgere, come principio che muove la società a punire, il dovere di riaffermare la giustizia offesa, promanante dall’inclinazione al giusto che è infusa nella mente dell’uomo.

CAPITOLO V