“Mi sono arrovellato per mesi. Volevo che lo spettatore provasse la sensazione di non ricordare. Pensai che nascondendo al pubblico ciò che il protagonista non ricordava, lo spettatore si sarebbe immedesimato nel protagonista. L’unico modo per farlo era percorrere a ritroso la narrazione”213.
Tratto dal romanzo Memento Mori, scritto da Jonathan Nolan (fratello del regista) e uscito dopo la realizzazione del film, Memento, con il suo protagonista affetto da una amnesia post-traumatica, si inscrive a pieno titolo all’interno della categoria dei mind-game movies, in quanto testo che, contravvenendo alle norme della narrazione classica, presenta immagini mentali legate ad un processo di formazione del soggetto che è destinato a fallire. Così, come sempre avviene in questo tipo di film, anche qui “ci troviamo in senso collettivo in una prolungata situazione post-traumatica, dove non esistono più le persone come soggetti intesi in senso classico unitario, e non esiste più neppure il soggetto della tradizione filosofica”214. Che soffrano di amnesia, o di schizofrenia (Elsaesser nel fornire questa descrizione fa esplicitamente di riferimento a Memento per il primo caso, e a Fight Club per il secondo), i protagonisti di queste vicende hanno sempre vissuto esperienze traumatiche […] [o] hanno già lasciato il mondo dei viventi”, prerogative queste che conferiscono alle immagini un valore continuamente
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Intervista a C. Nolan, contenuta nell’edizione Dvd di Memento. 214
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ambiguo, duplice, che avvolge “costantemente lo spettatore in una schizo-logica che si svela nel migliore dei casi soltanto alla fine, ma senza per questo venire in alcun caso risolta”215.
Nel caso del nostro film, la schizologica non deriva propriamente da un meccanismo di rovesciamento finale, sebbene questa sia la sensazione prodotta nel pubblico, ma da un impianto formale e narrativo che è del tutto lineare, ma disposto al rovescio. Come spiega lo stesso Nolan, Memento è innanzitutto un
thriller psicologico sulla storia di un uomo che non è più capace di ricordare e che
cerca di vendicarsi, il cui racconto è strutturato nel modo più soggettivo possibile, ottenuto giocando con le categorie formali e narrative proprie del genere noir, così da alterare la percezione del tempo nello spettatore. Il tentativo infatti, è quello di proiettare lo spettatore nella mente del protagonista, di fargli vivere la sua confusione, le sue incertezze e le sue paranoie, e per questo la scelta di basare il racconto su un solo punto di vista, che si rivela alterato, è l’escamotage per costringere il pubblico a doversi districare nei percorsi tracciati da un narratore inattendibile.
Formalmente strutturato come una “combinazione tra gli elementi narrativi del
noir classico” e dei “ritmi sperimentali narrativi e di montaggio”216 di autori come Orson Welles e Nicolas Roeq, Memento non presenta una struttura deficitaria o aperta, ma semplicemente rovesciata: a ben vedere, infatti dice il regista, nessuna scena di questo film potrebbe essere collocata diversamente o omessa, perché ognuna di esse è legata alla successiva e alla precedente secondo un sistema logico di concatenazioni necessarie e univoche. Nonostante ciò, spiega Nolan, il pubblico vive questa alterazione (inversione) cronologica come un processo di progressivo disorientamento che ha ripercussioni anche di natura spaziale, e da cui deriva una confusione complessiva che in effetti corrisponde a quella del disturbo del protagonista, alla sua incapacità di inquadrare la consequenzialità degli eventi, nonché di cogliere il semplice trascorrere del tempo, la differenza tra giorni, anni, o settimane.
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Ibidem. 216
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Modellata intorno al disturbo del protagonista quindi, la struttura di Memento non vuole essere quella “anarchica” di un film sull’amnesia, come essa è intesa nel senso comune. Se in questo caso infatti nessuna regola sarebbe possibile, per cui qualunque evento potrebbe essere interpretato come verità, nel film di Nolan invece, il particolare tipo di amnesia del protagonista non equivale ad una totale
tabula rasa dei ricordi, ma più che altro ad un “vuoto” nella personalità di
quest’uomo, uno spazio bianco e incolmabile tra chi era prima e chi è adesso: egli dispone di alcuni dati oggettivi che gli consentono di riconoscersi, come il suo nome, la sua casa, l’infanzia, ma non è in grado di conciliarli con l’uomo che è adesso. Questa particolare condizione di spaesamento, e la conseguente necessità di una ricognizione al fine di individuare il significato degli eventi, si configura anche come elemento chiave per una immediata identificazione tra spettatore e protagonista: la necessità di ricognizione rispetto agli eventi e il confronto con un unico punto di vista, sono infatti i catalizzatori di un meccanismo rapido di immedesimazione tra pubblico e protagonista, che a ben vedere lo rende esposto a una facile manipolazione da parte del narratore inaffidabile. In questo senso allora, potremmo anche dire che a differenza di altri mind-game film -come I soliti
sospetti, o Il sesto senso- in cui è il finale a rovesciare il senso del film, mediante
un twist epistemologico che comporta la necessità di una reinterpretazione del film, Memento investe invece, per la produzione del disorientamento spettatoriale, in una modificazione progressiva del rapporto con il protagonista, inducendolo a diffidare prima dei personaggi che lo circondano e poi dell’attendibilità di quelli che Leonard Shelby chiama i “fatti”, fatti che egli manipola (in)volontariamente attraverso la sua amnesia.
Come ha scritto Peter Thomas217, la vicenda di Memento è molto semplice da descrivere: si tratta in effetti di un film di investigazione e di vendetta, in cui il protagonista Leonard Shelby (Guy Pearce), un ex investigatore assicurativo, si muove alla ricerca dell’uomo che crede abbia stuprato e ucciso sua moglie, e che è scappato colpendolo alla testa e provocandogli un danno permanente al cervello, una perdita della memoria a breve termine. Leonard ha fatto della vendetta della
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P. Thomas, “Victimage and Violence. Memento and Trauma Theory”, in Screen, 44, (summer) 2, 2003, pp. 200-207.
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moglie la sua ragione di vita, ma la sua ricerca è più ardua rispetto a quella di un qualunque detective, dal momento che il suo disturbo anterogrado gli impedisce di incamerare nuovi ricordi. Così, non riuscendo a ricordare tutti gli eventi intercorsi tra il suo passato immediato e la tragica notte dell’aggressione, ha escogitato un sistema per non perdere gli indizi nel passaggio da una fase amnesica all’altra, un rigoroso metodo di scrittura e di documentazione con cui cerca di rimettere in ordine eventi che gli sembrano disposti come un puzzle: per tutto il film quindi, Lenny prende continuamente appunti, scatta polaroid delle persone che incontra e di quegli oggetti che ritiene utili o significativi, arrivando addirittura a tatuarsi sul corpo le informazioni più preziose per il procedere delle sue indagini. In altri termini, egli letteralmente indossa la sua storia -e quindi la sua identità- sul suo corpo, o la porta in giro nel suo portafogli.
Attraverso il criterio che egli costantemente enuncia, “ordine e metodo”, attraverso quello che definisce il necessario “condizionamento”, ritenendolo l’unico meccanismo capace di indurlo a ricordare stimolando la memoria non razionale ma istintuale, Leonard sostiene di combattere il suo trauma, un intento che nel corso del film si rivelerà falso. In quanto soggetto traumatizzato, Leonard interviene infatti sugli elementi fattuali di cui dispone, cancellandoli progressivamente e manipolando quelli rimanenti, in modo da modificare di volta in volta la sua ricostruzione degli eventi e da reinterpretare i ricordi, che egli stesso definisce soggettivi e inaffidabili. Ciò a cui cerca di sfuggire in realtà nella sua investigazione, è il fatto che sua moglie fosse sopravvissuta all’aggressione, e che probabilmente sia stato lui ad ucciderla involontariamente. Il senso di colpa per questo evento viene poi combinato nella memoria di Leonard con quello per un suo importante caso investigativo, quello di Sammy Jankins, un uomo colpito da una apparente amnesia a seguito di un incidente d’auto, con cui Lenny si va perciò progressivamente identificando, mescolando inestricabilmente la propria vicenda biografica con il caso di Jankins.
Sarà solo Teddy, l’investigatore di polizia che ha seguito il suo caso, a svelare questa verità, lasciando intendere che Leonard ha attribuito a Sammy Jankins la propria storia, ovvero quella di una moglie malata di diabete, che incapace di accettare l’amnesia del marito si farà uccidere in un estremo tentativo di
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risvegliarne la memoria. Così strutturato, il film di Nolan, si rivela innanzitutto un’analisi della memoria e della capacità della mente di stravolgere i ricordi, e una riflessione sulla disperazione del personaggio principale costretto a vivere in un mondo irreale, manipolato da chi lo circonda, e in primo luogo proprio da Teddy, personaggio ambiguo, che si serve di Leonard deviandone l’individuazione di presunti colpevoli in base ai propri interessi. È qui allora che emerge il chiaro discrimine tra chi è il Leonard del presente, ormai un omicida che non ricorda di aver già compiuto la sua vendetta sul suo “John G.”, e il Leonard Shelby di San Francisco che ricorda di essere.
Con i monologhi in voce over, con la tendenza a comunicare i propri problemi a gran voce (non sapendo cosa ha già raccontato e a chi), il mondo interiore di Leonard e il suo punto di vista sono assolutamente dominanti nel film, per cui come scrive Peter Thomas, “noi lo conosciamo più o meno come lui conosce se stesso”218. Ma al di là di questi elementi, è in realtà la struttura rovesciata del plot il più importante meccanismo narrativo che costruisce la prossimità emozionale dello spettatore con Leonard e la sua ricerca. Come spiega Nolan, il film è composto dall’alternanza di scene a colori e in bianco e nero (due traiettorie narrative, in cui tutte le scene procedono in avanti, ma sono disposte in ordine inverso) in cui la sezione a colori porta lo spettatore indietro nel tempo, mentre le scene in bianco e nero forniscono indizi sull’andamento del racconto: ogni sequenza a colori termina all’inizio della scena a colori successiva, che però la precede dal punto di vista cronologico. Per guidare lo spettatore lungo la narrazione a ritroso, poi, le riprese che aprono ognuna di esse vengono ripetute alla fine della scena successiva. Non potendo usare riprese diverse per le sequenze di collegamento, dato che ogni minima differenza sarebbe stata fuorviante, il film procede “per icone” (così per esempio accade per l’omicidio di Teddy, a ritroso nell’incipit del film, e poi riproposto al termine della successiva sequenza a colori, per sottolineare il legame tra le scene). Una strategia narrativa questa, che consente allo spettatore di esperire vicariamente lo stesso disorientamento del protagonista.
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Secondo Nolan, la struttura di Memento si evince dalle prime tre scene del film, che forniscono una sorta di mappa della narrazione: “volevamo comunicare con immediatezza il ritmo del film” dice Nolan nell’intervista riportata nei contenuti extra della versione in DVD, e con esso “le differenze tra le scene a colori e quelle in bianco e nero, il modo di progredire della narrazione”. Per questo motivo quindi la prima sequenza consiste in una vera e propria azione a ritroso, un
rewind, che dovrebbe consentire allo spettatore di comprendere la progressione
temporale del racconto. Come scrive Thomas, la prima scena di Memento corre letteralmente all’indietro: da una Polaroid del personaggio di Teddy assassinato (Joe Pantoliano), si passa allo sviluppo dell’immagine, allo scatto della stessa e infine al momento in cui Teddy viene ucciso da Leonard con un colpo di pistola alla nuca219. Si tratta di una sequenza che, da un lato, con la sua struttura formale rovesciata si connota come dichiarativa del modo in cui procederà la narrazione, a ritroso appunto, e che dall’altro ha poi lo scopo di stemperare la crudezza dell’omicidio, come si nota dalla scelta di far volare gli occhiali come conseguenza del colpo di pistola, o dalle inquadrature ravvicinate sugli occhiali e sul sangue piuttosto che sul corpo di Teddy. Come sostiene Dodi Dorn (editor del film), così strutturata, questa sequenza trasforma delle immagini molto crude in immagini graficamente interessanti. Lo spettatore qui non resta inorridito, poiché la sua attenzione è deviata sulla sorpresa prodotta da inquadrature apparentemente insolite, il cui procedere a ritroso si fa progressivamente evidente, finché non si vede la pistola volare in mano a Leonard. La prima scena avvince e confonde lo spettatore allo stesso tempo, mentre lo introduce nella narrazione.
Nella scena successiva, l’immagine diventa in bianco e nero; l’obiettivo, come sostiene il regista, è quello di conferire e sottolineare oggettività alla sequenza, conferirle cioè un carattere quasi documentaristico, ottenuto con una macchina da presa posizionata in alto, le cui inquadrature rimandano a quelle di una telecamera di sicurezza, con un conseguente effetto straniante. L’aspetto documentaristico è però qui anche sottolineato dai contrasti di luce creati dalla fotografia, una
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Come spiega il direttore della fotografia, La sequenza a ritroso dei titoli di testa è stata realizzata facendo scorrere la pellicola al contrario, una tecnica particolare in cui si è prestata molta attenzione ai collegamenti a ritroso tra i fotogrammi. L’uso del negativo originale ha poi consentito immagini così nitide, che la scelta della stampa ottica avrebbe invece fatto risultare sgranate. Una scelta che dunque privilegia l’apparenza realistica di spazio e azione in questa scena.
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fotografia naturalistica, nonché da una maggiore varietà di inquadrature. Così, anche la prima sequenza in bianco e nero ci introduce nel mondo disorientato di Leonard: in questa direzione vanno infatti il primissimo piano sulle chiavi - di segno opposto per esempio alle ampie inquadrature del cinema classico che aiutavano nella definizione spaziale della scena- e le parole del protagonista, che non aiutano a chiarire spazio e tempo in cui lo spettatore viene calato. L’esitazione nella voce fuoricampo di Lenny alimenta infatti ulteriormente questa sensazione, esprimendo il suo disorientamento, che diventa a questo punto il disorientamento dello spettatore stesso, spiazzato dal non avere un personaggio o una regia che chiarisca la direzione, spazio/temporale, del racconto.
È solo nella prima sequenza a colori del film iniziato che si forniscono elementi meno criptici allo spettatore. Ci troviamo nel momento in cui Teddy raggiunge Leonard al Discount Hotel. Mentre si dirigono verso le auto, Teddy prova a prendere quella di Lenny, dove sa che ci sono dei soldi e una pistola, cose che Leonard non può ricordare. Il tentativo si rivela tuttavia vano, perché Leonard ha una foto su cui ha scritto che quella è la “sua auto”: come spiega lo stesso Nolan,
Memento si basa proprio su questo genere di indizi fallaci, su queste tracce che
traggono in inganno, fatti apparenti, che pretendono di apparire come verità e che invece sono il frutto di una manipolazione. L’auto che Lenny crede, o meglio vuol credere, sia la sua, idea che legittima attraverso la “scrittura” in calce alle sue Polaroid, è in realtà di Jimmy, uno spacciatore che ha ucciso credendo fosse l’assassino di sua moglie, e a cui ha sottratto non solo l’auto ma anche i vestiti che adesso indossa. La verità, di questo episodio dunque, come di tutto il film, non è quella scritta da Lenny -sebbene la scrittura per lui sia sinonimo di “fatto”, e in quanto tale opposto al ricordo (fuggevole e ingannevole)- è invece quella che Lenny, come si vedrà nell’epilogo, ha rimosso, ovvero che ha letteralmente, freudianamente, “scelto di non ricordare”. È questo meccanismo della dimenticanza che Memento mette in scena, una selezione mnestica che, come aveva già scritto Freud, funziona in base alla discriminante del piacere o dispiacere che l’evento procura al soggetto 220.
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Di conseguenza, poi, sopprimendo il contesto narrativo di ogni scena, la struttura del film opera per incoraggiare lo spettatore a condividere le erronee valutazioni di Leonard. La cosa è evidente per esempio nella scena dell’inseguimento tra Lenny e uno spacciatore di nome Dodd (Callum Keith Rennie). Colto da una delle sue amnesie mentre cerca di scappare, Leonard si chiede: “ora, cosa sto facendo? Oh, sto rincorrendo quest’uomo”. Essendo il film strutturato al rovescio, anche noi non sappiamo precisamente cosa stia accadendo, e confidiamo, come lui, nell’apparenza, aderiamo cioè anche noi all’ipotesi che sia Leonard l’inseguitore, finché lo vediamo avvicinarsi a Dodd per scoprire, che “no! è lui che rincorre me!”.
Come dice lo stesso Nolan, il protagonista di Memento presenta diverse ambiguità. Non conosce la sua età, non sa cosa gli sia accaduto precisamente né quando. Nelle scene a colori, con scelte cromatiche atte a riprodurre il mondo di Lenny, con la sua incapacità di elaborare ricordi, un mondo al contempo verosimile e dall’altro che esprime un senso di limitazione, suggeriscono il punto di vista di questo personaggio. A differenza delle sequenze in bianco e nero perciò, qui la posizione della macchina da presa risulta quasi sempre posizionata al disopra della spalla del protagonista, per poi seguirlo passo passo, in ogni suo spostamento. Quando Lenny non è inquadrato, gli inserti, i dettagli di un luogo come di una foto, hanno comunque la funzione di condividere il suo spazio. In questo modo allora lo spettatore è con lui in ogni inquadratura, osservando nel dettaglio ciò che egli vede e fa.
Come sostiene Nolan, Memento è una storia raccontata da un narratore inaffidabile. Leonard non mente, né sogna, vede semplicemente la vita in modo diverso. Il film perciò a ben vedere ruota attorno al fatto disturbante dell’avere una visione delle cose che viene poi rovesciata dall’emergere di nuovi elementi. È questo lo sforzo a cui Memento sottopone lo spettatore, che dopo aver visto il film dovrà ulteriormente elaborarlo, dovrà sezionarlo.
Laddove -dice Nolan- il cinema consente di manipolare il punto di vista in modo occulto, ossia di far immedesimare il pubblico in modo inconsapevole, inducendolo a riflettere sulla propria vita, condividere la visione di un personaggio come Leonard, assolve in Memento allo scopo di disorientare lo
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spettatore perché possa calarsi in una visione del mondo diversa da quella convenzionale.