Come scrive Susannah Radstone, e prima di lei Ruth Leys, la teoria mimetica, ovvero l’ipotesi dissociativa del trauma proposta da Felman e Caruth, in cui si descriveva il soggetto come incapace di gestire la memoria traumatica secondo un processo ordinario -rendendo perciò complessa l’estrapolazione e la definizione stessa di testimonianza storica- riconduceva ad una nozione di soggettività che sostanzialmente metteva in crisi l’ideale dell’autonomia individuale, e che ridimensionava il potenziale controllo razionale tradizionalmente assegnato al soggetto sano. Nasceva da qui, Secondo Leys, il problema della teoria dissociativa (ovvero della teoria mimetica) del trauma, ossia dal fatto che la sua nozione di un soggetto assente da se stesso, che involontariamente imita una passata esperienza traumatica, minacciava di fatto di destabilizzare la tradizionale “sovranità dell’individuo”93, dal momento che essa riteneva i soggetti traumatizzati mai
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pienamente capaci di tenere il controllo né il carico della propria persona. Queste inattese implicazioni della teoria mimetica del trauma, scrive Leys, generarono pertanto in quello stesso contesto teorico anche una “tendenza antimimetica”, che provava a teorizzare il “trauma come se esso fosse un evento puramente esterno, sopravvenuto ad esercitare il suo dominio su una vittima passiva”. Emergeva un modello alternativo quindi, in cui la produzione di ricordi non era più necessariamente interpretata come legata ai processi inconsci del mondo interiore, ma al contrario, considerava i ricordi “immediati”, pur costituendo essi delle inassimilabili memorizzazioni di eventi traumatici. Anche in questo caso i ricordi traumatici restavano legati al processo della dissociazione, attraverso la quale occupavano un’area designata della mente che ne preclude ritrovamento, ma a differenza della teoria “mimetica” dove il trauma induceva una dissociazione psicologica da se stessi, nella tendenza anti-mimetica il trauma appariva più che altro la memorizzazione di un evento inassimilabile che viene dissociato dalla
memoria. Così caratterizzate, scrive Ruth Leys nella sua genealogia, le due istanze
della teoria sul trauma, mimetica e antimimetica, hanno coesistito all’interno di questi studi, avvicendandosi intorno al problema di una nozione di soggettività di tipo moderno, che metteva in crisi l’idea di una assoluta capacità delle facoltà umane di controllare le proprie azioni e reazioni, una crisi del soggetto come descritto nella teoria di Vico.
È in questo senso allora, spiegava Leys, che il discorso sulla soggettività si lega al discorso della rappresentazione. La teoria cosiddetta mimetica che abbiamo appena descritto, infatti, poggiando su un’idea di soggettività assente da se medesima involontariamente, ovvero una soggettività destabilizzata, incapace di sovranità e autonomia come invece il dettame di eredità positivistica avrebbe voluto, richiamava anche un interrogativo di carattere metodologico più generale: se lo stato del trauma era da considerare dal punto di vista clinico uno stato
straordinario, in cui il paziente presenta un’anomala codificazione del ricordo
rispetto alla maniera ordinaria, riprendere questa dinamica per porla a modello fondativo di una teoria della rappresentazione significava che la trauma theory tentasse di delineare una soggettività “traumatizzata” come modello di soggettività postmoderna, una soggettività non autonoma e non sovrana di se
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stessa. La necessità della difesa di un obbligo ideologico rispetto alla sovranità e all’autonomia del soggetto, spiega secondo Leys l’emergere della teoria anti- mimetica del trauma. In questa prospettiva infatti le implicazioni ideologiche della tendenza antimimetica all’interno della teoria del trauma diventano chiare: il suo vantaggio risiedeva nel fatto che essa portava il soggetto traumatico a essere teorizzato come “sovrano e autonomo” anche se passivo; nel fare ciò essa riportava in auge “una stretta dicotomia tra il soggetto autonomo e il trauma esterno”94.
Come abbiamo già scritto, le tendenze mimetiche e antimimetiche e le modalità in cui si sono avvicendate non possono essere considerate in modo isolato all’interno delle discipline interessate allo studio della memoria traumatica secondo Leys, che infatti scrive: “dal momento in cui è stato inventato nel diciannovesimo secolo, il concetto di trauma è stato fondamentalmente instabile, difficilmente in equilibrio […] tra due idee, teorie o paradigmi”95. Così, se la trauma theory di Caruth e di Felman e Laub, spiega Leys, enfatizza da un lato la mancanza di memoria e la natura inesperienziale del trauma, mostrando la sua propensione per il paradigma mimetico, nello stesso tempo, nel momento in cui essa rimanda sempre la nascita del trauma ad un evento storico precisato presenterà allora alcuni tratti anti- mimetici96. Ma ciò che davvero interessa in questa operazione di riconoscimento e svelamento delle tracce della doppia istanza del trauma è la nozione di soggettività cui esse ci rimandano: se da un lato infatti nella tendenza mimetica si descrive un soggetto che inconsciamente imita o ripete il trauma, in quella antimimetica il soggetto “si tiene essenzialmente lontano dall’esperienza traumatica”; pertanto “la teoria antimimetica è compatibile con –e alimenta- l’idea che il trauma sia un evento puramente esterno che accade ad un soggetto pienamente costituito”97. 94 S. Radstone, cit., p.21. 95 R. Leys, cit., p. 9. 96
A conferma del fatto che tali istanze coesistono nella teoria sul trauma e la caratterizzano anche nei suoi testi fondativi, possiamo riferire qui anche alcuni elementi del lavoro di Caruth, che si configurano come ascrivibili al versante antimimetico: è il caso dell’interpretazione degli scritti di Freud riportata da Caruth, dove ritorna alla relazione del trauma con un evento, esterno e traumatico, affermando che “l’esperienza che Freud chiama ‘nevrosi traumatica’ emerge come ricostruzione di un evento che non è possibile semplicemente lasciarsi alle spalle”. C. Caruth, Trauma: Exploration in Memory, p.
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