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S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), Lezione 18, “Introduzione al trauma; l’inconscio”, in id., Opere, vol.11, Boringhieri, Torino, 2003, p.22.
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Come è stato rimarcato all’interno di diversi studi, la teoria sul trauma nella forma elaborata a Yale, nasceva dall’incontro e dall’innesto tra il decostruzionismo letterario (più precisamente la teoria della significazione di Paul de Man) e quindi tra la critica della rappresentazione, con gli studi psicoanalitici e clinici sulla sindrome da stress post-traumatico come era stata definita nella seconda metà del Novecento nel contesto statunitense. Scriveva in proposito Susannah Radstone:
“la trauma theory come è stata sviluppata nel lavoro di Caruth e Felman e Laub appartiene per molta parte, innanzitutto alla decostruzione, al post-strutturalismo e alla psicoanalisi. Essa è anche informata di studi clinici, per la maggior parte provenienti dal contesto statunitense, svolti su pazienti sopravvissuti ad esperienze ritenute ‘traumatiche’. La combinazione delle influenze subite può essere tracciata attraverso i contenuti di Trauma: Explorations in Memory, di Caruth, che include, oltre al capitolo scritto da Felman e Laub, anche contributi dei neurologi Van der Kolk e Van der Hart e di letterati come Georges Bataille e Harold Bloom”.42
Provenendo dal coté letterario della teoria della significazione di Paul de Man, sia Caruth che Felman si erano dedicate all’analisi di testimonianze di sopravvissuti ad eventi tragici della storia, proprio prendendo a modello l’analisi della letteratura europea romantica e moderna di De Man, secondo cui “tropi e figure intorno a cui il testo si struttura rivelano fondamentali contraddizioni che portavano ad altri significati indecifrabili”43. Allo stesso modo quindi, le nostre autrici avevano cercato nei loro lavori di portare il passato traumatico “a parlare indirettamente, attraverso gap sintomatici, silenzi, ricordi distorti e rimozioni”44. Un metodologia questa che come tale spiega la scelta di una collaborazione con la psicoanalisi, alla quale infatti “la lettura decostruttiva attraverso dettagli apparentemente marginali che possono invece rivelare ciò che un testo può rimuovere” apparteneva già.45 Accostando la versione della decostruzione
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S. Radstone, cit., p. 15. 43
A. Meek, Trauma and Media: Theories, Histories and Images, New York e Londra, Routledge 2010, p. 20.
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Ibidem. 45
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letteraria di Paul De Man e la registrazione della testimonianza dell’Olocausto dei Fortunoff Video Archives di Yale, il lavoro inaugurale dei trauma studies esplorava la natura e la funzione della memoria e dell’atto del testimoniare, da un lato nella loro relazione generale con l’atto del leggere e scrivere, e dall’altro nella loro particolare relazione con l’Olocausto. Così, il lavoro di Laub su alcuni sopravvissuti e quello di Felman su alcuni testi letterari ebbero come comune obiettivo riportare indirettamente “il passato a parlare”46: mediante un’innovativa modalità di accostamento di esempi tratti dalla letteratura moderna -canonica, da Camus a Dostoevskij- e video riguardanti persone comuni, il libro di Felman e Laub si muoveva oscillando tra letteratura e linguaggio visivo, tra arte e autobiografia, tra psicoanalisi e storia, definendo il trauma della Shoah innanzitutto come indice di una crisi radicale della testimonianza, come “accadimento storico senza precedenti di un evento che ha eliminato i suoi testimoni”47.
La scelta di lavorare sulla giustapposizione delle testimonianze dell’Olocausto con la letteratura classica si connotava come elemento capace di accrescere il valore del progetto di Felman e Laub, poiché sembrava realizzare il tentativo di riportare all’interno della critica letteraria e della psicoanalisi la dimensione della realtà, ovvero “gli eventi e le implicazioni della storia contemporanea”48. Un proposito questo, che raggiungeva il suo apice nel saggio conclusivo di Felman su Shoah di Claude Lanzmann (1985), documentario sulla Soluzione finale nazista dove secondo la nostra studiosa la testimonianza di sopravvissuti, carnefici e altri testimoni registrati nel film costituiva l’ “embodiement” di una storia traumatica. Il film di Lanzmann, scriveva Felman, era qualcosa di più che un documento storico, esso offriva un approfondimento senza precedenti della complessa relazione tra la storia e la testimonianza, che rivelava una crisi traumatica della verità scaturita dall’esperienza dell’Olocausto. Come scrive Allen Meek, la lettura di Shoah compiuta da Felman combinava la teoria decostruttiva dei limiti della rappresentazione con alcuni argomenti riguardanti la singolarità storica del genocidio nazista: alternando prospettiva clinica e letteraria, Felman e Laub, 46 Ivi, p.10. 47 Felman e Laub, p. 5. 48 Ivi, p. xvi.
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puntavano a sottolineare una diversa relazione tra conoscenza ed eventi, tra letteratura ed evidenza dei fatti. In questo senso allora, come aveva già sostenuto Radstone, la teoria sul trauma ha rappresentato nell’ambito accademico la risposta a determinate aporie e blocchi degli studi umanistici, configurandosi, secondo Thomas Elsaesser, come la replica all’idea dell’impossibilità di teorizzazione propria della postmodernità. A questo proposito Elsaesser scrive: “è come se la
trauma theory apparisse ‘dietro’ la post-modernità, mappando i suoi blocchi
politici [e] implicitamente riconoscendo, ma non più avendo rimpianto […] per il fatto che le grandi narrazioni siano finite, inclusa la grande narrazione dell’Olocausto, che è stata considerata sia l’ultima grande narrazione che la vera epitome dell’impossibilità delle grandi narrazioni”.49
In linea di continuità con il lavoro di Felman e Laub si poneva successivamente anche Cathy Caruth, con la sua definizione di trauma come evento ritardato nella mente del soggetto, che come tale determinava l’impossibilità di rappresentazione dell’esperienza traumatica. In questo senso allora secondo l’autrice la storia avviene e si configura come un sintomo, e “trauma è il nome di una storia impossibile, o il nome dell’impossibilità della storia come narrazione, come ordinata sequenza di eventi, di agenti come soggetti, cronologia e come causa- effetto, come razionalità delle azioni”50.
Si tratta di una non rappresentabilità del trauma che, come scrive ancora Elsaesser è sia di natura oggettiva che soggettiva, in quanto nel primo caso il trauma comporta la fallacità della memoria e dei suoi significanti, mentre nel secondo sono i significanti della rappresentazione ad essere messi in discussione. In quest’ottica allora, secondo Caruth, la sindrome da stress post-traumatico si configura come un caso limite non solo per la psichiatria, ma anche per l’analisi storica e letteraria affermando perciò la necessità per gli studi umanistici di attenersi alla letteralità del trauma come unica possibilità per una testimonianza della storia.
Così caratterizzata la teoria sul trauma si andava ad intersecare in modo ambivalente con il dibattito teorico del ventesimo secolo sulla decostruzione e
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T. Elsaesser, “Postmodern as Mourning Work”, in S. Radstone (a cura di), “Trauma and Screen Studies: Opening the Debate”, op.cit., (pp. 193-201), p. 200.
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della sua relazione con la storia e con il referenzialismo, di cui era parte integrante, ma che al contempo tentava di allontanare e superare. Al problema di come rappresentare l’irrappresentabile, ovvero di come nominare l’innominabile per usare le parole di Samuel Beckett, gli studi sul trauma cercavano aprire nuove possibilità di soluzione, indicando un nuovo spazio di dispiegamento teorico, ovvero ponendo nuova enfasi sulla questione della temporalità e della spazialità, ora determinate in relazione all’evento. “Trauma sarebbe allora diventato il nome per una referenzialità che non si collocava più […] in un particolare tempo o spazio, ma la cui referenzialità […] nonostante ciò era postulata, […] dislocata in base all’evento”.51 Di conseguenza, in ragione di questa necessità di attenersi all’evento, alla letteralità del trauma da un lato, e dall’altro di fugare le accuse di astrattismo tipicamente rivolte al decostruzionismo, gli studi di Yale scelsero di porre in relazione la sindrome post-traumatica “con lo status fotografico e filmico […] dell’immagine nella cultura contemporanea”52. I film infatti oltre a configurarsi come prodotti culturali più direttamente in contatto con l’audience contemporanea e con le pratiche di consumo dei mass-media, si erano d’altro canto rivelati uno strumento straordinario per dare forma, testo e voce ad un storia “dal basso”, ad una storia del quotidiano, la quale da un lato autenticava l’esperienza di vita attraverso il potere dell’immediatezza proprio dell’immagine in movimento, e dall’altro invece mostrava la capacità del cinema di falsare l’autenticità attraverso le tecniche stilistico-narrative applicate al suono e all’immagine. Un elemento questo di traumaticità che esplicava concretamente l’ambivalente valore della testimonianza come fonte storica.
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T. Elsaesser, cit., p. 200. 52
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