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131 mercato di queste aree? Nell’ultimo decennio, sia in Europa che in Italia,

non hanno avuto mercato. Il mercato immobiliare ha dimostrato infatti il suo disinteresse verso i cosiddetti “vuoti”, preferendo ad essi la gestione di trasformazioni (finalizzate a migliorare le strutture industriali esistenti o a trasferire le stesse in siti più appropriati), vuoti che si trovano oggi ad avere costi elevatissimi (fatta eccezione per le aree agricole), perché negli anni ’80 sono stati sottratti dal mercato da soggetti privati, pubblici, compagnie di assicurazione ed enti previdenziali, che hanno cercato di costituire un portafoglio di aree per speculare sull’auspicato mutamento di destinazione d’uso delle stesse. Infine, il mercato delle grandi aree è un “non mercato” perché in Italia, negli ultimi cento anni, è mutato il modo di fare attività di valorizzazione delle aree e non si immette più sul mercato l’esito della trasformazione ottenuta, ma si procede alla trasformazione dell’area (secondo le esigenze dei futuri fruitori), solo dopo aver trovato l’utilizzatore in grado di pagare un canone adeguato.

Siamo d’altra parte in un periodo piuttosto favorevole per le aree dismesse, che vede molte di loro, dopo anni di immobilità, avviarsi a riabilitazione, per di più ad opera di grandi nomi dell’architettura (ad esempio, Gregotti, Renzo Piano e Norman Foster).

Nell’ultimo decennio, il mercato immobiliare si è rivelato incapace ad assorbire il notevole stock edilizio esito delle trasformazioni di aree dismesse per lo più localizzate in aree centrali o semicentrali delle città. E in assenza di idonee misure a suo sostegno, si è dimostrato incapace ad opporre alla massiccia offerta, per di più riversata simultaneamente su di esso (in gran parte terziario e residenze, tipico mix funzionale attribuito alle aree oggetto di riqualificazione in questi anni), una pari domanda (di quelle funzioni e in quelle quantità).

Inevitabilmente, la crisi del “mercato del riuso” ha generato profonde ripercussioni nelle aree dismesse soprattutto in quelle prossime a trasformarsi; determinando, per alcune, il rallentamento dell’avvio già preventivato delle trasformazioni, per altre, l’arresto della partenza, nella necessità dei proprietari-promotori di contrattare nuovamente con i governi locali funzioni delle aree maggiormente compatibili con le richieste del mercato. E in casi non così rari, chiedere ai governi locali una parziale contrazione delle alte densità fondiarie ottenute in precedenza con tanto accanimento, allo scopo di mantenere alti i prezzi dei prodotti delle trasformazioni (risultando ora l’offerta limitata) e per contenere i costi delle opere di urbanizzazione.

Allo stato attuale, la congiuntura economica è molto diversa. Ma la redditività dell’investimento comporta comunque che le funzioni da attribuire alle aree siano quelle richieste dal mercato del momento, che

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varia continuamente e che ha tempi brevi, se non brevissimi, laddove il riuso delle aree comporta generalmente tempi medio-lunghi. Questa disparità di tempi comporta la necessità di ricalibrare il mix di funzioni pensato all’inizio delle operazioni di trasformazione con le richieste del mercato nel frattempo subentrate. La redditività dell’investimento può spingere anche a propendere per l’attribuzione alle aree di funzioni nuove o poco conosciute, alla ricerca del consenso del pubblico e conseguentemente dell’apertura di un mercato “nuovo”, con il rischio che tale scelta comporta, ossia la facile caducità delle funzioni stesse. E, infine, può spingere anche a propendere per una commercializzazione graduale degli esiti delle trasformazioni, così da mantenere costante nel tempo il tasso di profitto dell’intervento.

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4.2 “POLITICHE” RIABILITATIVE

Negli ultimi anni, in Italia, a fronte delle recenti opportunità non solo economiche ma anche di tipo normativo-procedurale che possono essere utilizzate per l’attuazione degli interventi, sono notevolmente aumentate le aree dismesse riqualificate o prossime a riqualificarsi.

Rimangono ancora molte, però, le aree dismesse che faticano ad assumere nuove identità.

E’ sembrato quindi utile formulare alcune considerazioni relativamente agli elementi che possono essere ritenuti strategici per il conseguimento del successo delle iniziative di riqualificazione delle aree, sia in relazione ad una concreta attuazione degli interventi, sia in relazione al successo delle operazioni stesse, in termini di raccolta di consenso e redditività degli investimenti.

Alla luce dei casi analizzati, ma anche degli esiti conseguiti da altre aree, già trasformate in Italia, alcuni elementi strategici per una concreta attuazione degli interventi derivano direttamente dalla avveduta dotazione da parte di alcuni comuni, il cui territorio è particolarmente interessato dal fenomeno della dismissione delle aree, di piani di “nuova impostazione”, che fanno della riqualificazione dei siti dismessi il punto focale delle loro strategie. Considerando le aree dismesse “risorse”, intendono metterle a profitto a vantaggio della collettività, per realizzarvi luoghi di aggregazione, per insediarvi attività di valore civico, per innescare meccanismi di valorizzazione del patrimonio edilizio, per creare nuove opportunità occupazionali, allo stesso tempo salvaguardando, se presenti, i caratteri storici, architettonici o paesaggistici degli edifici che su queste aree insistono e conseguentemente, delle aree stesse. Ancora, questi piani di nuova concezione, semplificando i processi amministrativi di attuazione degli interventi, definendo in modo certo le procedure che possono essere utilizzate e conseguentemente, fissandone i tempi, invogliano i privati ad intervenire nelle operazioni di trasformazione, anche prevedendo spesso meccanismi di tipo perequativo, come premi nei diritti edificatori, sconti sulle opere di urbanizzazione o incentivi di tipo fiscale.

Nell’attuazione delle “politiche” riabilitative, alcuni elementi strategici per la buona riuscita degli interventi possono essere di tipo gestionale, correlati ad una continuità politico amministrativa per tutto il tempo del processo di trasformazione delle aree, che può garantire il buon esito delle trasformazioni e il rispetto dei tempi stabiliti.

Ancora, altri elementi strategici possono essere di tipo economico, come l’attivazione di risorse (comunitarie, ministeriali o degli enti locali), di diversa entità, diversamente finalizzate (all’avvio dei processi di bonifica delle aree

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o alla realizzazione di alcuni interventi capaci di innescare altre iniziative), ma comunque efficaci a mettere in moto la trasformazione delle aree.

A livello comunitario, il Progetto Odet (Operational dialogue on enviroinment and urban tourism), promosso dall’Ente Fiera di Milano, con un budget, in realtà, ai giorni nostri piuttosto limitato (648.000 euro), sostiene il recupero delle aree dismesse finalizzato alla gestione di grandi eventi. Il progetto ha come obiettivo l’identificazione di “metodi e strumenti innovativi per la trasformazione di problemi ambientali in vantaggi per la qualità dell’ecosistema urbano” e come obiettivo specifico “l’individuazione di politiche volte all’introduzione di criteri di sostenibilità ambientale nei progetti di trasformazione e riqualificazione urbana finalizzati alla gestione di grandi eventi (sportivi, culturali, espositivi, fieristici)”, anche attraverso il recupero di aree degradate o dismesse.

Il Docup-Ob 2 sostiene il recupero di aree dismesse finalizzato alla creazione di servizi alle imprese. Rappresenta il documento unico di programmazione attraverso il quale le varie Regioni italiane utilizzano i fondi europei “per lo sviluppo del tessuto economico e produttivo delle realtà locali”, variamente distribuiti alle varie regioni (per il periodo 2000- 2006 l’Unione Europea ha assegnato alla Regione Toscana più di 1.000.000.000 di euro). I finanziamenti sono destinati ai progetti di rilancio e sviluppo delle zone industriali in fase di riconversione, delle zone rurali in declino e delle aree urbane in difficoltà. L’azione 2.4.2. è finalizzata al recupero di aree dismesse per la creazione di servizi alle imprese e gli interventi ammissibili a contributo consistono in opere per la ristrutturazione di immobili, l’ampliamento di edifici, la realizzazione di attrezzature e servizi tecnici e tecnologici necessari per il funzionamento delle strutture che verranno create.

I programmi (di attivazione o di attuazione) delle Agende 21 locali, cofinanziati dal Ministero dell’Ambiente e del Territorio, incentivano il recupero delle aree dismesse, perché finalizzati ad “aiutare le comunità locali ad attivare politiche di sviluppo sostenibile condivise da tutti gli attori presenti nel territorio”. In coerenza con quanto previsto da piani e programmi di livello europeo, le principali aree tematiche e i settori d’intervento prioritari di Agenda 21 locale, sono clima ed atmosfera, natura e biodiversità, prelievo delle risorse e produzione di rifiuti ed, infine, salute e qualità dell’ambiente urbano (qualità dell’aria, qualità dell’aria indoor e radon, mobilità e trasporti, inquinamento acustico, inquinamento elettromagnetico, biotecnologie e OGM, sicurezza alimentare, bonifica siti inquinati). Nell’ambito del bando 2002, i programmi di attivazione o di attuazione delle Agende 21 locali cofinanziati sono stati 116, per uno stanziamento complessivo di 13 ml. di euro e le regioni con il maggior numero di proposte progettuali ammesse a finanziamenti sono state la

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