due batterie di tine18 di depurazione, disposte in serie per un totale di 13 elementi.
Le loro condizioni sono pessime, considerato che alcune sono crollate su se stesse, mentre altre sono state fortemente lesionate dai detriti caduti dall’alto con la disgregazione delle esili capriate componenti la copertura.
L’edificio successivo, molto simile al secondo, ospita sempre quattro decantatori, meglio conservati rispetto ai precedenti e ancora contenenti le parti solide delle soluzioni che ovviamente hanno resistito all’evaporazione naturale.
L’ultimo reparto, ovvero il quinto, ospita come il terzo due batterie parallele di tine per un totale di 12 elementi, anche questo, come il precedente, si presenta in forte degrado, con le tine abbattute dal crollo della copertura.
L’impianto è completato da una serie di edifici posti all’estremità ovest del complesso, che consistono in magazzini di stoccaggio dei prodotti chimici, silos di raccolta dei minerali e il reparto di macinazione oramai in stato di semirovina.
Fig.116: Sala elettrolisi, prospetto est.
Fig.117: Sala elettrolisi, prospetto sud.
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Fig.118: Sala elettrolisi, pianta generale. Il corpo in basso a sinistra è la sala elettrolisi con l’avancorpo e la sala del carro-ponte; il corpo in basso a destra, rettangolare e stretto è il Reparto Fusione; il corpo in alto è il reparto contenente i bacini di decantazione, la sala di filtraggio, la sala tine ed i magazzini.
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Fig.119: Sala elettrolisi, prospetto ovest.
Fig.120: Sala elettrolisi, prospetto nord.
Fig.121: Sala elettrolisi, sezione trasversale 1.
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Fig.123: Sala elettrolisi, sezione longitudinale.
l’impianto era destinato alla produzione di zinco elettrolitico: l’alimentazione a questo impianto era costituita dalle “calamine ferruginose” prodotte nella vicina miniera di Campo Pisano, ed aventi contenuto di zinco del 22-26% quasi tutto presente sotto forma carbonatica (smithsonite). L’attacco chimico mediante H2SO4 concentrato sulle calamine finemente macinate, portava in soluzione la frazione carbonatica mentre lasciava inalterata la frazione sterile goethitica che, separata per filtrazione, veniva inviata in discarica, dando luogo ai cosiddetti “Fanghi Rossi sterili”.
Nell’ambito del periodo di vita dell’impianto (1926-1983) sono state prodotte e depositate in discarica non meno di 2.000.000 di tonnellate di fanghi goethitici; questi prodotti costituiscono degli accumuli gradonati, terrazzati, molto acclivi e con altezze sino a 40 metri dal livello di base, ed occupanti una superficie di circa 80.000 mq.
L’incessante interazione con le acque meteoriche superficiali e d’infiltrazione sul complesso delle discariche riesce sia ad asportare e a trasportare facilmente a valle ingenti quantità di solidi finissimi superficiali, sia a portare in soluzione quantità di metalli pesanti in essi contenuti, di cui lo zinco è quello presente in concentrazioni più elevate.I fanghi rossi residui dell’impianto elettrolitico contengono ancora, secondo alcuni che volevano sfruttarli, tenori apprezzabili di zinco; certamente, in un’ottica mineraria, si tratta del sito più spettacolare di tutta la Sardegna.
Il Ministero della Salute ne aveva previsto la rimozione, o quantomeno la totale copertura, onde evitare l’inquinamento dovuto al dilavamento od alla polverizzazione19, ma, di contro, stati posti sotto vincolo dalla Soprintendenza ai Monumenti delle Province di Cagliari ed Oristano quali segni indelebili di un passato che ha contraddistinto lo sviluppo della città di Iglesias e di tutta l’area sud-occidentale dell’isola.
Per proteggere, dunque, l’intera zona dall’inquinamento causato dai fanghi, e allo stesso tempo conservare gli spettacolari cumuli di fanghi rossi, è stata proposta una complessa e costosa opera di protezione, ovvero la ricopertura con sostanze sintetiche trasparenti.
153
5.2
LINEE
GUIDA
PER
UNA
POLITICA
RIABILITATIVA
Con la fine dell’industria mineraria, nacque la necessità di costituire un nuovo modello socio-economico e l’esigenza di valorizzare, in modo integrato, le “risorse” e i “valori” che costituiscono l’enorme patrimonio di questa zona. Con la salvaguardia e la valorizzazione delle valenze geominerarie, storiche e ambientali, si aprì una vasta gamma di prospettive di sviluppo delle aree interessate, capaci di creare le condizioni perché un nuovo modello economico subentri a quello incentrato sulle attività estrattive.
È proprio la contestuale presenza delle emergenze geominerarie, delle valenze naturali e delle testimonianze archeologiche che ha permesso di effettuare la delimitazione delle aree d’interesse, creando un circuito che consentisse di attribuire alla Sardegna uno straordinario valore storico e ambientale. È con questa consapevolezza che la regione Sardegna intende riscoprire e valorizzare la storia e la cultura mineraria dell’Isola, proiettandola in un contesto più ampio, con l’obiettivo di diffondere i valori che essa possiede, a livello internazionale.
In quest’ottica di idee l’UNESCO riconosce l’importanza di un Parco Geominerario della Sardegna che acquista un significato non solo simbolico ma consente alla Regione di avanzare una grande opportunità, per valorizzare e promuovere il suo patrimonio, determinando una rinascita economica e sociale20.
La Conferenza Generale dell’UNESCO, tenutasi a Parigi nel 1997, ha accolto favorevolmente la proposta della Regione sarda, riconoscendo un valore internazionale al Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna, che poteva considerarsi il primo esempio della nuova rete di geositi/geoparchi istituita nel corso della stessa Conferenza21.
Il 30 settembre 1998 a Cagliari, alla presenza dei responsabili dell’Unesco, è stato siglato il documento noto con il nome di Carta di Cagliari22 con la quale ci si impegnava a promuovere e sostenere la creazione del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna.
20
Regione autonoma della Sardegna, Il Parco Geominerario della Sardegna, Sintesi del Progetto, ed. Tema, Cagliari, 1998.
21
Cfr. M. Preite, G. Maciocco, Da miniera a museo. Il recupero dei siti minerari in Europa. Alinea, Firenze, 2000.
22
La carta di Cagliari si rifà alla conferenza dell’UNESCO (Parigi, 1997), che ha istituito la rete mondiale dei Geositi/Geoparchi, con lo scopo di tutelare e valorizzare il patrimonio tecnico-scientifico, storico- culturale ed ambientale dei siti in cui sono state utilizzate le risorse geologiche e ambientali. Oltre alla tutela degli insediamenti si intende valorizzare le realtà presenti all’interno del Parco, al fine di promuovere il progresso sociale, culturale ed economico delle popolazioni. (Tratto da: www.parcogeominerario.it)
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Inizia così una accurata delimitazione delle aree d’interesse, individuate in 81 comuni che si estendono per 3771 chilometri quadrati. Questo territorio è stato diviso in otto aree di cui l’ultima, quella del Sulcis - Iglesiente – Guspinese, risulta essere la più vasta (rappresenta il 65% dell’estensione totale ed interessa una superficie di 2.455 kmq) ed è quindi la più rappresentativa dell’intero Parco23.
Nel 2001 è stato istituito il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, con la pubblicazione di un Piano del Parco che delinea le azioni programmatiche per ciò che riguarda lo sviluppo economico, la valorizzazione e la divulgazione di una cultura fatta di valori e tradizioni.
Come già detto, la miniera di Monteponi è situata nella regione del Sulcis-Iglesiente–Guspinese, che è individuata come AREA 8 del Parco Geominerario, ed è situata nella parte sud-occidentale della Sardegna;
La geografia della regione comprende il tratto della costa occidentale della Sardegna che va da Porto Pino nel Sulcis, con gli stagni di Maestrale e de Is Brebeis, a sud, alle coste di Arbus a nord, delimitate dall’emergenza di Capo Frasca e chiuse sugli stagni di Marceddì e di S. Giovanni.
Fig.124: Monteponi, i fanghi rossi visti dalla strada.
Una volta riconosciuta, quindi, la rilevanza del patrimonio di risorse territoriali ed ambientali rese disponibili al riutilizzo dalla dismissione degli impianti mirerari ed industriali, il problema centrale è divenuto la scelta
23
Mezzolani S., Simoncini A., Sardegna da salvare. Storie Paesaggi Architetture delle Miniere. Il Parco Geominerario della Sardegna. Vol. XII, Ed. Archivio Fotografico Sardo, Nuoro, 1993.