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51 6.3. Tra Metodo diretto e Metodo naturale

Nel primo decennio del Novecento, la denominazione “Metodo diretto”, associata sempre all’idea di un metodo “progressista”, si diffuse, a quanto pare, dapprima in Francia, grazie a una circolare ministeriale del 1901, firmata da Leygues, che caldeggiava appunto l’uso di tale “Méthode directe”, e grazie a un’altra direttiva del 31 maggio 1902 che lo imponeva nelle scuole del paese (Puren 1988, 434). In questo quadro, come Puren (1988, 121–67) ha mostrato, principi e tendenze diversi erano confusi sotto il nome della “metodologia diretta”. I fautori contemporanei di ciò che Puren (1988, 95) chiama “metodologia diretta” non solo raccomandavano una riduzione dell’uso della madrelingua del discente in classe, ma affermavano il primato della lingua parlata non veicolata dall’intermediazione dello scritto e l’importanza dell’insegnamento induttivo della grammatica, l’utilizzo di testi connessi e contestualizzati con la controversa questione dell’impiego della trascrizione fonetica (sostenuta da Paul Passy ma per la verità non raccomandata ufficialmente in Francia fino al 1908), questi principi corrispondevano alle principali idee del Movimento della Riforma. Così la versione francese ufficiale del Metodo diretto era assai vicina alla Riforma, o Nuovo Metodo, come veniva chiamato in Germania133. Molto più vago era il rapporto con le idee poco accademiche dei sostenitori del “Metodo naturale”, cioè del citato Gouin e dell’americano di Maximilian Berlitz, fondatore della catena di scuole ancor oggi attive, pure in qualche modo accostate al “Metodo diretto” e con esso confuse. Invece anzi Puren (1988, 108) parla di un ‘véritable boycott’ delle idee di Gouin nei teorici francesi dell’insegnamento della lingua all’inizio del Novecento. E anche Paul Passy nell’importante saggio De la méthode directe dans l’enseignement des langues vivantes, pubblicato nel 1899 a Parigi, sottolinea accuratamente le differenze fra (la sua interpretazione del) “metodo diretto” (che lui chiama “méthode rationelle”) e i “metodi naturali”, come quello di Gouin, che enfatizza eccessivamente la comprensione a spese della produzione con la memorizzazione della “serie” di azioni in contesti ben definiti, nonché la propria contrarietà alle pratiche didattiche in classe sostenute da Berlitz: il rigetto della grammatica esplicita, della traduzione e in generale assoluto dell’impiego della lingua madre dell’apprendente in classe. Eppure quella confusione continuò (e ancora perdura).

In Inghilterra la situazione dell’insegnamento delle lingue vive era precaria: mancando un equivalente delle Realschulen tedesche con i loro curricula moderni, dove si combinavano materie teoriche con attività pratiche, mentre le public schools inglesi tendevano a emulare le scuole private nel dare il massimo risalto alle lingue classiche; e neppure le università offrivano una formazione adeguata al docente di L2. Alla riflessione su questo stato di cose contribuì la Modern Language Association, fondata nel 1892, mentre personalità come Archibald H. Sayce (1879) e il sopra citato Henry Sweet negli ultimi venti anni dell’Ottocento, e, nelle prime due decadi del Novecento, F.B. Kirkman e Walter Rippmann, si sforzarono di divulgare i principi del Movimento della Riforma, che si affermavano in Germania. Ma la corretta trasmissione di questi fu ostacolata dalla confusione di cui sopra, alimentata anche, per esempio, dal fatto che dal 1890 Howard Swan e Victor Bétis,

133 In Germania, dopo la constatazione che il metodo diretto era “costoso” se pensato per la maggioranza delle scuole pubbliche, pur nella convizione che il MGT non era adatto allo sviluppo della competenza comunicativa delle lingue moderne di cui si avvertiva sempre più il bisogno diffuso per i cambiamenti economici, tecnologici e sociali del Novecento, si pervenne a un “compromesso” con l’ideazione del metodo “intermediario” (“vermittelnde Methode”), caratteristico dell’insegnamento delle lingue straniere nelle università tedesche negli anni Cinquanta ed è tuttora diffuso. Come indica il suo nome, il metodo nasceva nel tentativo di “mediare” il raggiungimento di obiettivi tradizionali e obiettivi “moderni”, sull’onda delle riflessioni del Movimento della Riforma e delle instanze del metodo tradizionale: la partecipazione dello studente è attiva; la lezione avviene in classe nella lingua-obiettivo, mentre le spiegazioni delle regole grammaticali e delle questioni più difficili avviene nella lingua madre; la memorizzazione di nuove parole avviene in contesto; l’apprendimento della grammatica è induttivo; la presentazione della grammatica è in progressione ciclica; gli esercizi sono finalizzati all’uso orale della lingua, sebbene siano previste attività grammaticali e traduzione.

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traduttori del corso di Gouin, fecero molta pubblicità per promuovere il Series Method o, come venne da loro chiamato nella loro interpretazione, il “metodo psicologico”.

Si muovevano alla Riforma (e questo ancora notare negli anni Cinquanta) critiche mirate in realtà ai metodi diretti o naturali e le tecniche utilitaristiche di Gouin e delle scuole Berlitz, approdate anche in Inghilterra: insegnamento superficiale e non rigoroso, negligenza della grammatica, confusione creata nella mente degli allievi con il monolinguismo e il rifiuto della traduzione dalla L2 alla L1 (che invece i riformatori non intendevano affatto in senso assoluto). Tutti elementi che suscitavano la resistenza dei docenti del sistema scolastico, i quali di norma, a differenza degli insegnanti delle scuole private, non erano parlanti nativi della L2, e quindi non erano particolarmente sicuri nel francese e tedesco parlato.

Lo scoppio della Grande Guerra, l’accendersi dei nazionalismi e l’isolazionismo americano fecero il resto, frenando il dibattito e la diffusione, oltre che delle pubblicazioni e dei nuovi libri di testo, delle nuove idee.

6.4. W.H.D. Rouse e il Metodo diretto applicato alla didattica delle lingue classiche.

All’inizio del XX secolo una serie di fattori sociali ed economici determinarono una forte pressione esterna per cambiare questo stato di venerazione per il mondo antico, destinato a fornire un’educazione liberale alle élites inglesi134: una serie di pessimi raccolti; l’espansione senza freno dell’industria; la competizione con la Germania e gli USA; l’isolamento inglese dall’Europa e la minaccia del militarismo della Prussia a detrimento dell’ Europa e in particolare dell’Impero britannico ; l’allarmismo che scaturiva dagli insuccessi nella guerra boera; la proletarizzazione della mano d’opera nella classe lavoratrice. In risposta a questi fattori, anche la scuola necessitava di un cambiamento profondo: l’insegnamento delle lingue moderne e delle scienze naturali, per esempio, entrarono nei curricula scolastici, mentre l’insegnamento delle lingue classiche era divenuto il principale bersaglio dei critici del vecchio sistema, anche perché si constatava che, nonostante l’elevato numero di anni e di ore previste per lo studio del latino, il profitto degli studenti era così scarso che la maggioranza di loro, poco dopo aver lasciato la scuola, non ricordava se non poche frasi (Digby-Searby 1981, 38).

Nel 1902 il Parlamento, dunque, stava esaminando l’Education Act135 che l’avrebbe ridefinito e riorganizzato il sistema scolastico del Regno, e nell’acceso dibattito, di fronte al rischio della scomparsa della cultura antica dalle scuole inglesi, fra coloro che si rendevano conto che era necessario cambiare metodologie di insegnamento c’era W.H.D. Rouse (1863-1950).

Appassionato docente di greco e latino, si era trasferito nel 1890 dalla scuola di Bedford al Cheltenham College nei pressi di Bath, trovandovi un ambiente a lui congeniale in cui lavoravano da tempo docenti di lingue moderne che avevano aderito con entusiasmo ai dettami del Movimento della Riforma grazie alla lettura del pamphlet di Viëtor. Nel 1895 il Preside H.A. James, ottenuto l’incarico in una nuova scuola, aveva portato con sé Rouse, di cui aveva una profonda stima, dal Cheltenham College al Rugby College. Questi frattanto, oltre che all’insegnamento, si era dedicato alla stesura di una storia dell’istituto scolastico e a di due testi didattici Demostrations in Latin Elegiac Verse e Demostrations in Greek Iambic Verse, sulla composizione di versi latini e greci dalla lingua inglese, una tipologia di esercizio tanto diffusa nelle scuole di élites di quel periodo,

134 Già nel 1693 il filosofo Locke soleva dire a proposito del latino: “Lo considero assolutamente necessario a un gentiluomo” (Testa 1950, 195), mentre un secolo dopo, Walpole sosteneva che «ogni gentiluomo deve capire il greco e il latino» (Chandos 1984, 33), e in un articolo sul “Times” del 1866 Robert Lowe ricordava che il latino costituiva «una parte indispensabile dell’educazione del gentiluomo» (Stray 1995b, 71-73).

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quanto fallimentare, se è vero che, nonostante le centinaia di ore dedicate, la maggioranza degli allievi era alla fine capace di scrivere solamente versi scialbi, zoppicanti e con errori (Digby-Searby 1981, 38; Stray 1995b, 37). Importanti sono, nelle prefazioni delle due opere, le prese di posizione di Rouse sulla metodologia di insegnamento, che deve essere fondata sulla conversazione, su domande e risposte, sulla comprensione attraverso il metodo induttivo, sulla produzione creativa in lingua antica per un approccio più diretto e quasi più autentico alla letteratura classica. E proprio nel 1902 si presentò a Rouse l’occasione della sua vita: la dirigenza della Perse Grammar School, fondata dal Dr Stephen Perse nel 1615 a Cambridge e tuttora operante. Il County Council aveva dimezzato nel 1901 i fondi della scuola, dove si insegnava un curricolo classico, per dirottarli verso una nuova scuola impostata su materie più commerciali ed economiche: la conseguenza immediata fu la riduzione degli iscritti, da 213 a 106. Nonostante queste difficoltà, Rouse raccolse la sfida, sostenuto dalla sua intima adesione al mondo antico136, e dal desiderio di sperimentare e mettere alla prova quel che lui pensava fosse la missione della sua vita: rivitalizzare la nazione attraverso la riforma dell’insegnamento della cultura classica.

La sua onestà intellettuale, la sua cultura accademica e la sua umanità attrassero estimatori e sostenitori, disposti perfino a lavorare senza stipendio: come Henry Caldwell Cool, inventore del metodo “Play Way”, che enfatizzava il coinvolgimento dei discenti nella drammatizzazione per un più efficace apprendimento, oppure un membro del Direttivo della scuola, A.I. Tillyard, che convinse i colleghi a non dare adito ad azioni legali per il mancato pagamento da parte della scuola, in modo da consentire a Rouse di proseguire con il suo “esperimento”. Innanzitutto Rouse ripensò il curricolo generale137 degli studi degli allievi della Perse School, dando grande importanza alle scienze naturali e all’esperienza della produzione di manufatti con il lavoro manuale. Il suo approccio olistico, sempre alla ricerca di un equilibrio armonico tra scienze naturali e lingue moderne e antiche, è tipico degli intellettuali “umanisti” della sua generazione: in questo modo, l’ideale sarebbe stato iniziare con lo studio della lingua inglese in quanto lingua madre, partire a 9 con il francese, il latino a 11 e il greco a 14 al fine di evitare quella che lui stesso chiama “indigestione mentale”.

Quanto al latino e al greco, in base all’esperienza di docente svolta a Bedford, Cheltenham e Rugby, Rouse era convinto che l’apprendimento delle lingue fosse importante e dovesse approdare a una proficiency linguistica, ma che altrettanto fondamentale fosse l’esperienza educativa e istruttiva dell’approccio alle lingue e alle civiltà classiche. L’essenziale, secondo Rouse e i suoi colleghi, era modificare i metodi di insegnamento delle lingue antiche, per far risorgere il cadavere della cultura classica cambiando lo spirito, l’atteggiamento dei ragazzi, che, come scriveva Rouse in una lettera, «work out of sense of duty, or to please a master whom they liked, or to get promotion» (Stray, 1995a, 19).

136 Imbevuto del ruralismo romantico di John Ruskin e William Morris e del filellenismo caratteristico dell’età edoardiana, Rouse nutriva un’autentica venerazione per il valore della vita umana contro gli effetti nichilistici e alienanti dell’indutrializzazione e dell’inurbamento, della burocrazia e della macchina. Figlio di un missionario cristiano in India, Rouse elaborò un personale sincretismo tra ellenismo e cristianesimo in una visione essenzialmente etica.

137 L’organizzazione dell’insegnamento del latino alla Perse School era articolato su quattro anni. In generale, il latino veniva insegnato quando il ragazzo aveva 11 o 12 anni, mentre il greco veniva insegnato a 14 anni. La conversazione in lingua è introdotta fin da subito: mentre Jones, che era incaricato dell’insegnamento delle classi iniziali, sembra più disposto di Rouse a usare la lingua inglese per le spiegazioni, Rouse si occupa delle classi più avanzate e fluenti nelle due lingue. Gli aspetti della grammatica venivano spiegati man mano che venivano incontrati secondo un ordine prestabilito, dato che molti dei libri di testo, destinati alla circolazione esclusiva all’interno della scuola, nei primi anni erano stati scritti direttamente da Rouse e da uno dei suoi colleghi, per introdurre una varietà graduale di elementi grammaticali.

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Nel memorandum fornito alla Commissione della Classical Association nel 1906, Rouse così sintetizza i fondamenti del suo metodo “diretto” applicato all’insegnamento delle lingue classiche e basato sulla “parola parlata” (Stray 1995a, 20):

1) è naturale: la lingua è un mezzo di comunicazione tra due organi biologici cioè la lingua e l’orecchio, mentre le lettere scritte sono un mezzo di preservare il materiale di una lingua cioè esse hanno la medesima relazione con la lingua parlata di uno spartito musicale con la musica;

2) è viva: la parola scritta non ha nessun mezzo per tenere desta l’attenzione, mentre la parola parlata, se ben detta e se intellegibile, dirige l’attenzione e produce un durevole impatto nella mente del discente, proporzionale alla forza del carattere del parlante;

3) è veloce: la pratica, ripetuta più molte volte in un dato tempo, risulta essere più efficace in termini di economia di tempo.

4) è intelligente e creativa: tale approccio promuove una risposta che non è la risposta “a pappagallo”, ma qualcosa di nuovo creato sul momento dal discente.

Quando, nel 1907, la Perse School affrontò una crisi economica e Rouse chiese al Board of Education un sostegno finanziario straordinario, poiché l’istituzione volle un resoconto della attività didattica svolta presso la scuola volta a giustificare tale atto, allora, Rouse e i suoi colleghi, W.H.S. Jones e R.B. Appleton, produssero due saggi distinti, per il greco e per il latino, pubblicati qualche tempo dopo, rispettivamente nel 1910 e nel 1914138.I due opuscoletti offrono una massa di dati raccolti durante un anno di insegnamento delle lingue classiche alla Perse School, dando spazio alla riflessione teorica, a giustificazione del Metodo diretto.

La parte che riguarda il greco è più dettagliata rispetto a quella dedicata al latino, rivelando la particolare inclinazione dello studioso per la lingua di Omero; per esempio un’appendice di 28 pagine dedicata all’apprendimento del lessico greco, elenca 1600 vocaboli messi in ordine alfabetico, annotando a che punto dell’anno ognuno dei suoi cinque alunni aveva usato per la prima volta quella parola nella produzione scritta.

Questi lavori costituiscono una fonte preziosa perché fotografano ciò che avveniva in classe nell’applicazione concreta del metodo diretto usato da Rouse: il Metodo diretto coinvolge emotivamente l’apprendente, si basa sull’associazione immediata di un suono con un’azione, un pensiero e un’azione senza la mediazione di una parola inglese, in conformità al modo in cui i bambini imparano la propria lingua all’asilo: prima mediante l’ascolto, poi mediante il parlato, poi il tatto e, infine, la vista. I primi elementi della lingua classica, per esempio, venivano introdotti oralmente attraverso una serie di ordini e comandi facilmente eseguibili dai discenti139.

Più è semplice il vocabolario, più è semplice usare la morfologia e la sintassi, secondo processi di imitazione, di variazione e infine l’uso autonomo di ciò che è stato appreso. Quattro sono i punti essenziali che, secondo Rouse, il docente deve tenere in mente per condurre un proficuo corso di greco o latino:

1) ogni studente si deve sentire a proprio agio nel chiedere spiegazioni ogni volta che non ha capito, senza timore di venir per questo rimproverato: far finta di aver capito non è una via educativamente vantaggiosa;

2) il lavoro su argomenti nuovi deve essere svolto in classe, mentre a casa occorre riservare il ripasso o qualche verifica; altrimenti si rischia una qualche forma di copiatura;

3) tenere la disciplina non costituisce alcun problema se tutti gli alunni sono interessati; ciò che realmente fa la differenza nel determinare l’efficacia dell’insegnamento sono il gradimento e la piacevolezza dell’imparare a scuola ciò che desta curiosità e costituisce una novità, secondo l’ammonimento di un grande pedagogo del passato, Quintiliano (I, 1, 20): id in primis cavere

138 Cfr. Rouse-Jones-Appleton 1910 e Idem 1914.

139 Ad esempio con i verbi: surgo, ambulo, revenio, sedeo. A: surgo; classe (ad A indicandolo): surgis, (al docente): surgit. B e C: surgimus; classe (a B e C): Surgitis, (al docente): surgunt.

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oportebit, ne studia, qui amare nondum potest, oderit, et amaritudinem semel perceptam etiam ultra rudes annos reformidet. Lusus hic sit;

4) il profitto è garantito se tutta la lezione di latino in classe è ricca di attività varie in latino: non importa la quantità di testo, che può essere inizialmente anche di poche righe, purché durante la lezione gli alunni siano continuamente coinvolti in esercizi e discussioni in latino, secondo un principio di gradualità.

Analogamente, per il greco gli studenti, che incominciavano a circa 14 anni, nel primo anno leggevano libri scritti da Rouse, First Greek Course con un compendio di grammatica e Greek Boy at Home con una serie di brani di difficoltà graduata tra loro tematicamente correlati, e alla fine dell’anno ripassavano la grammatica in maniera sistematica.

Rouse (1908, 107) sottolineò sempre l’importanza della lettura ad alta voce per l’apprendimento delle lingue classiche da svolgersi in classe interattivamente tra docente e discente: «Reading itself is generally a sufficient test. Neither Latin nor any other language can be properly read aloud, with due emphasis, unless it is understood».

Ma va precisato che, nonostante le radicali differenze di impostazione rispetto al MGT, nel metodo di Rouse la grammatica viene studiata seriatim; come precisa egli stesso: «Grammar is set to be learnt in the usual way, but in the way of what bears on the text. The first texts are selected to illustrate restricted parts of grammar […] but, within limits, it matters little what parts of grammar are first taken. The order will be decided by practical usefulness, i.e., common things first, and as few irregularities as possible» (in Stray 1995a, 21). Conferme e ulteriori informazioni circa l’attività di didattica si ricavano da è l’opera Scenes from Sixth Form Life, pubblicato nel 1928, dove in 10 capitoli dedicati a Virgilio, Livio, Cicerone, Orazio, Tucidide, Eschilo e Sofocle, Rouse descrive con accuratezza le lezioni svolte in classe, basandosi sulle note e sulle dispense accumulate durante la sua carriera. Questo libro di cronache scolastiche suscitò qualche perplessità e incredulità nei critici di Rouse, poiché dalle risposte in greco e latino e dalle composizioni registrate sembrava emergere un livello esageratamente alto che gli alunni della Perse avrebbero raggiunto; la reazione di Rouse, allora, fu tanto indignata da convincerlo a chiedere ai suoi ex alunni di sottoscrivere un documento per certificare la attendibilità del contenuto del libro. Anche dalla registrazione di queste lezioni, è evidente l’importanza della lettura ad alta voce da parte di Rouse: è la caratteristica essenziale di quello che lui chiamava living word: la parola viva e vivente dell’autore antico era la testimonianza di un passato lontano, ma sempre vicino140. Dai resoconti dei suoi studenti emerge che le lezioni di Rouse erano stimolanti, ma stressanti: Rouse con la sua dottrina, la sua passione e la sua sensibilità pedagogica faceva rivivere il mondo antico nell’arena dove i novelli gladiatori erano gli alunni del “sesto anno”. Proprio per la sua mancanza di fiducia nella parola scritta, Rouse fu sempre riluttante a produrre manuali in cui condensare la sua esperienza di insegnamento delle lingue classiche. Ma alla fine fu costretto a cedere alle pressanti richieste di mettere per iscritto ciò che faceva da anni in classe: nacque così, Latin on the Direct Method, scritto nel 1925 in collaborazione con il collega Appleton. Rouse, tuttavia, continuava a preferire il contatto umano con gli alunni e amava invitare presso la Perse numerosi ospiti dalla Gran Bretagna e dall’Europa, e non solo, in modo che potessero constatare di persona gli eccellenti risultati che otteneva nell’insegnamento delle lingue classiche. Fra questi , a dimostrazione della stima che Rouse, sin dal 1910, si era conquistato come figura pubblica di educatore e di studioso del mondo classico, e che lo circondò fino alla morte avvenuta nel 1950, vi furono alti funzionari ministeriali, come il prussiano Walther Reinhardt e il russo Peter Sokoloff.

140 Rouse scriveva: «The boys always used plain text, and had no notes at all, except what I gave them, or what they found for themselves; and if I gave them a reference, they had to look it up and copy it for themselves. In revising for