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Gli “occidentali” diventano docenti di greco 1. Guarino Veronese

26 2.7. Agostino impara il greco

4.3. Gli “occidentali” diventano docenti di greco 1. Guarino Veronese

Fra le più famose scuole di greco nell’Italia del primo Umanesimo vi furono quelle di Guarino da Verona a Ferrara e di Vittorino da Feltre a Mantova, organizzate come collegi e frequentate dai figli dell’aristocrazia e dell’alta borghesia dell’ Italia settentrionale (Witt 1995, 186 s.). L’idea del collegio (contubernium), infatti, rappresentava la concretizzazione dell’ideale umanistico di una educazione

91 Se tuttora manca uno studio complessivo sulla vita e l’opera di Apostolis come nota Geanakoplos (1967, 81), «sarebbe interessante indagare quale peso le sue teorie avrebbero potuto esercitare sui metodi contemporanei di pedagogia se le sue idee fossero sate seriamente prese in considerazione dagli umanisti italiani contemporanei» (Idem, 120). Cfr. Geanakoplos 2011 per una valutazione del discorso di Apostolis sulla cultura in Italia.

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globale, che comprendeva non solo l’apprendimento, ma anche uno stile di vita dedito alla cultura (Sani 1999, 349).

Guarino Guarini o Guarino Veronese (1370–1460), educatore e umanista italiano, nel 1403 si recò con il letterato bizantino Manuele Crisolora a Costantinopoli, dove perfezionò la sua conoscenza del greco. Al suo ritorno in Italia, nel 1408, insegnò prima a Firenze poi a Venezia, dove ebbe tra i suoi allievi Vittorino da Feltre. Trasferita la scuola a Verona nel 1419, dieci anni dopo fu chiamato a Ferrara alla corte degli Estensi, per diventare precettore di Leonello, figlio del marchese Niccolò: in questa città fondò una scuola, una sorta di pubblico studio, che fu trasformato in università nel 1442. La scuola di Guarino comprendeva tre livelli: elementare, grammaticale e retorico. Da alcune lettere e dalla testimonianza del figlio Battista, possiamo ricostruire la metodologia impiegata da Guarino per insegnare il greco, come ha fatto da ultimo Ciccolella (2008, 140).

Dopo aver imparato a leggere, a scrivere e a padroneggiare i primi rudimenti della grammattica latina, i giovanissimi discenti perfezionavano morfologia e sintassi sulle Regulae grammaticales di Guarino, che sottolineava l’importanza della produzione orale in latino, chiamato themata, e incoraggiava gli studenti a redigere un proprio dizionario, annotando le parole nuove in un quaderno (codicillum) raggruppandole in base al significato. Il greco veniva insegnato probabilmente in parallelo al latino mediante la versione abbreviata degli Erotemata di Crisolora approntata dallo stesso Guarino: i discenti leggevano a voce alta, memorizzavano le regole grammaticali e facevano gli esercizi. Per Guarino gli autori greci erano completamento degli autori latini: Virgilio veniva “filtrato” attraverso Omero, Cicerone attraverso Demostene. Oppure erano mezzo di accesso alle scienze: Strabone per la geografia, Tolomeo per l’astronomia, e così via. Il greco veniva considerato essenzialmente una lingua scritta: gli allievi di Guarino traducevano dal greco in latino, e vice versa, ma senza dedicarsi, a quanto pare, alla produzione orale in greco come avveniva, invece, in latino.

4.3.2. Vittorino da Feltre.

Il più celebre educatore del nostro Umanesimo fu indubbiamente Vittorino da Feltre (1378–1446), che, dopo aver studiato latino a Padova sotto la guida di Gasparino Barzizza, a Venezia dal 1415 frequentò le lezioni di greco di Guarino. Nel 1423, Gianfrancesco Gonzaga, marchese di Mantova, gli affidò l’incarico di istruire i suoi figli. Qui Vittorino fondò il collegio che chiamò Casa Gioiosa o Ca’ Zoiosa, per enfatizzare il ritorno al termine latino ludus che significa “scuola” e nello stesso tempo “gioco”. Nella scuola furono educati i figli del marchese e ragazzi di ogni estrazione sociale, incluse personalità di spicco come Federigo da Montefeltro, futuro duca di Urbino e il filologo Lorenzo Valla. Vittorino diresse la scuola per 22 anni fino alla sua morte.

Il curriculum che lì si svolgeva era ispirato ampiamente dall’Institutio oratoria di Quintiliano e dallo pseudo-plutarcheo Περὶ παίδων ἀγωγῆς, ma era anche basato sulla convinzione che l’istruzione, incluso lo studio delle letterature classiche, dovesse anzitutto essere un mezzo per l’edificazione morale e religiosa; lo studio del greco e del latino dovevano approdare a un quadro unitario della civiltà antica rivisto alla luce della tradizione cristiana. Vittorino insegnava personalmente latino, che era anche la lingua di uso quotidiano e la lingua veicolare di insegnamento, mentre per il greco si serviva dell’aiuto di maestri bizantini cui offriva vitto e alloggio; per esempio, assunse nel 1430 Giorgio Trapezuntio e tra 1443 e il 1446 Teodoro Gaza. Secondo la testimonianza di Ambrogio Traversari in visita alla scuola di Vittorino nel 1433, Cecilia, figlia del marchese Gonzaga, all’età di sette anni, era capace di leggere, scrivere e declinare fluentemente le parole greche. Gli autori letti erano Virgilio, Omero, Cicerone, Demostene, Seneca e i poeti tragici greci, Esiodo, Pindaro, Aristofane, Teocrito, Platone, Aristotele, Plutarco e qualche scrittore cristiano. La metodologia didattica che Vittorino adoperava sia per il greco che per il latino era basata sulla lettura ad alta voce, sulla memorizzazione e sulla recitazione del testo spiegato precedentemente dal docente (Ciccolella 2008, 142).

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4.3.3. Il greco in classe.

Il trattato più importante di questo periodo sulla “didattica delle lingue classiche” è senz’altro il De ordine docendi et studendi92, scritto da Battista Guarino, figlio di Guarino, a Verona nel 1459. Nel trattato viene sottolineata l’importanza di uno studio completo e metodico della grammatica latina e dello svolgimento di esercizi orali e scritti. Battista afferma inoltre, anche sull’auctoritas di Quintiliano, l’impossibilità di una piena e compiuta padronanza della lingua latina «senza la conoscenza della lingua greca»93, dato che gran parte dei vocaboli latini deriva dal greco, e la letteratura latina ha origine da quella greca. Per l’insegnamento del greco Battista propone alcune regole pratiche, dimostrando sensibilità pedagogica quando, ad esempio, riconosce come il consiglio quintilianeo di far apprendere il greco ai bambini sia impraticabile, dato che il latino non è più lingua colloquiale94: gli studenti, invece dovranno acquisire il greco dopo aver acquisito le basi in latino (postea quam nostrarum fundamenta contingerant). Mentre i Greci (cioè i Bizantini) erano soliti – a suo dire – insegnare la loro lingua in maniera confusa e disordinata (confuse et inordinate), Battista raccomanda l’uso di un buon testo come Erotemata di Crisolora, nella versione abbreviata predisposta da suo padre Guarino. Gli studenti prima dovrebbero imparare le regole generali (praecepta), ossia le declinazioni e i verbi regolari e irregolari tamquam ungues, grazie all’interazione tra docente e discente (frequenti et diligenti praeceptoris interrogatione); e solo quando padroneggino la grammatica a un livello adeguato, potranno leggere gli autori greci: prima, gli autori di prosa più semplici per consolidare il dominio della grammatica, poi Omero, poetarum princeps, «che non è difficile da imparare» (ad discendum non difficilis), ed è una fonte per tutti gli scrittori, soprattutto per Virgilio; infine la commedia, l’epica, la tragedia per perfezionarsi. Importante è anche potenziare il lessico greco, mentre la scrittura è considerata più efficace della memoria a causa della difficoltà del greco; la traduzione è un buon mezzo per imparare la lingua di Omero e perciò viene raccomandata la pratica del vertere dal greco al latino e viceversa95. Ma qualora, in mancanza di un docente, gli studenti di greco siano autodidatti – prosegue il Guarini – possono usare testi bilingui, come le Sacre Scritture, con una fedele traduzione in latino, e questo è un metodo che si è mostrato efficace per certuni – forse Battista si riferisce ad Ambrogio Traversari, che aveva imparato il greco con l’aiuto di un’edizione bilingue dei Salmi e del Nuovo Testamento; infatti, è facile apprendere il lessico greco con un confronto con quello latino. Raccomanda infine di leggere ogni frase ad alta voce, che è come mettere in circolazione il sangue: tiene alta l’attenzione del lettore e rende più agevole la comprensione e la memorizzazione del testo.

Sappiamo anche con una certa attendibilità (Ciccolella 2008, 134-135) come insegnava il greco in classe Ludovico da Ponte detto il Virunio, docente di greco e latino a Reggio Emilia dal 1500 e autore degli Erotemata Guarini, compendio del manuale di greco di Guarino. Il dotto leggeva in classe il manuale di grammatica, traduceva ogni frase in latino per gli studenti e faceva commenti sulla pronuncia e sulla grammatica. La frequente ripetizione e l’uso di immagini e metafore facilitava l’apprendimento. In qualche caso, come ad esempio per l’articolo greco, Virunius si sentiva libero di usare come lingua veicolare l’italiano invece che il latino, che non aveva l’articolo. Dopo lo studio grammaticale sul manuale, i discenti dovevano praticare quanto avevano imparato e, sotto la guida del docente, leggevano testi greci e li traducevano in latino. Il manuale di Virunio esemplifica il processo di “distillazione” cui era stata sottoposta la farraginosa grammatica bizantina per adattarla alle esigenze di un uditorio occidentale.

92 Per una sintesi aggiornata sull’opera e sull’autore cfr Piacente 2002.

93 Guarino, De ord., 15, 16: absque litterarum graecarum scientia.

94 Guarino, De ord., 18: Quo pacto eam linguam discere possint, pro ingenioli nostri iudicio commostrabimus. Nec sane me fugit Quintilianum ut ab illis sumatur exordium praecipere, quod mihi ea ratione difficilius videtur: quia, cum ea nobis lingua naturalis non sit, nisi prius aliquod loquendi principium ex nostra habuerint, in ea perdiscenda pueri nescio quo modo deferentur. Atque ita mihi persuadeo Quintilianum sic praecepisse, quia suis temporibus latinam linguam omnes haberent, nec in ea tanta elaboratione opus esse.

95 Guarino, De ord., 20: Ubi vero aliquantum progressi fuerint, tunc vel ex Graeco in Latinum vel ex Latino in Graecum vertere incipient; quo genere exercitationis proprietatem splendoremque verborum et promptitudinem linguae facillime comparabunt; multa enim quae legentem forte fallerent, transferentem nullo modo fugere possunt.

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Nel 1493, Girolamo Amaseo, uno studente di 26 anni di Padova, scappò di casa e si recò a Firenze, dove frequentò, per imparare il greco, la scuola di Varino Favorino Camerte, un allievo del Poliziano. L’Amaseo descrisse la sua esperienza in una lettera al fratello Gregorio che costituisce uno dei più interessanti documenti sull’insegnamento del greco nel Rinascimento (Pozzi 1966, 192–201). Gli studenti incominciavano a leggere, a prendere note e a fare il riassunto sui testi elementari cioè sulla grammatica di Lascaris (Constantinum omnem primo pernotavi […] libellum mira dispositione ex Constantino, excerptis quibusdam necessariis, confeci). Per praticare il greco scritto, Girolamo copiava (excribere) parti del Pluto di Aristofane, un esercizio meno facile di quel che sembra considerando la quantità di abbreviazioni e legature presenti nei manoscritti e nelle prime edizioni a stampa. La classe di Girolamo era composta da sedici studenti: un poeta di cinquant’anni, uomini di trenta e quarant’anni, ragazzi e giovani (iuniores… ephebi). Qualcuno di loro, come lo stesso Girolamo, proveniva da altre città. Oltre a studiare sodo, i discenti dovevano affrontare problemi pratici: vitto e alloggio costosi e pessimi, coabitazione con altre persone e mancanza di arredamento nelle stanze. Ogni giorno, Varino leggeva trenta versi dell’Odissea al mattino, circa venti versi del Pluto di Aristofane nel pomeriggio e quaranta versi dell’Iliade alla sera. Per ogni frase, Varinus forniva una traduzione parola per parola (verbum e verbo transferens) e poi evidenziava le regole della declinazione e coniugazioni (verborum et nominum inflexionem, si duriuscula est, reperit), le etimologie e le figure retoriche. Dopo una seconda lettura, Varinus interrogava gli studenti sulla sua lezione. Ma l’attività più impegnativa per gli studenti rimaneva la traduzione dal greco in latino: se Crisolora incoraggiava a elaborare una traduzione letterale ad verbum come strumento propedeutico e preliminare allo studio della lingua, Varino sottolineava la necessità di una traduzione più elaborata, ad sententiam, più fedele e rispettosa dello stile dell’originale: ciò significava anche allontanarsi dalla concezione medievale della traduzione per ritornare allo spirito antico del tradurre come imitari et aemulari.

Papa Leone X de’ Medici (1513–1521) portò avanti il progetto del padre, Lorenzo il Magnifico, e fondò a Roma una scuola chiamata Gymnasium Caballini montis, ubicata sul declivio del colle Quirinale. Giano Lascaris e il cretese Marco Musuro, professore a Padova, vi furono chiamati a insegnare greco, Benedetto Lampridio di Cremona latino. E papa Leone diede l’incarico a Musuro di portare a Roma dieci o dodici ragazzi greci perché fossero istruiti sia in latino che in greco. Inoltre una stamperia fu annessa alla scuola, nella casa di Angelo Colocci. L’impresa fu un successo tanto che Lascaris progettò di fondare scuole simili a Firenze e a Milano, ma la mancanza di fondi e la morte di papa Leone X nel 1521 lo impedirono, e nel 1519 il Gymnasium e la stamperia chiusero i battenti.

4.3.4. Aldo Manuzio.

Aldo Manuzio (ca. 1450–1515) oltre che studioso e celebre stampatore (primo a pubblicare molti testi greci, inventore del formato “tascabile” che rese accessibili i classici a un pubblico molto più vasto: Dionisotti C. 1995), fu anche profondamente coinvolto nei problemi dell’insegnamento. Tra il 1470 circa e il 1485 fu a Ferrara e a Carpi, a insegnare greco ai figli del Principe Alberto Pio di cui egli conobbe anche il celebre zio, Giovanni Pico della Mirandola. Dopo aver fondato la “Nuova Accademia” che raccoglieva studiosi interessati agli studi greci, si dedicò alla stampa di testi per l’insegnamento: grammatiche, vocabolari greco-latino e semplici testi da leggere (come per esempio preghiere, Carmina aurea di Pseudo-Pitagora e le Sententiae di Pseudo-Focilide) con traduzione latina a fronte, che di solito accompagnavano tutte le edizioni di grammatiche greche. Imprese che, come ha mostrato Botley (2002, 218 s.) analizzando la produzione di libri greci ad opera di alcuni stampatori a Milano, Venezia e Parigi, erano frutto di una collaborazione fra docenti e stampatori.

Manuzio aveva in effetti ereditato dal suo maestro Battista Guarini il principo di una stretta connessione il greco e il latino.

Se nella Musarum panagyris (sic), Aldo espresse la sua idea di un curriculum combinato greco-latino, nel 1493 pubblicò gli Institutionum grammaticarum libri quattuor, una grammatica latina a domanda e risposta, sul modello dell’Ars di Donato, e influenzata dai Rudimenta grammatices di Niccolò Perotti (1468). In un’edizione del 1501, Aldo si dichiarò insoddisfatto delle grammatiche esistenti, in

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particolare del Doctrinale di Alessandro di Villedieu, che definiva “spaventose” per gli studenti, auspicando il ritorno alle antiche grammatiche dove la tipica domanda (per esempio la prima in assoluto: Quid est Grammatice? Ars et professio quae usu, ratione atque auctoritate constat) introduce un’altra domanda e in forma dialogica lo studente viene condotto alla conoscenza grammaticale, mentre altre tipiche formule di catechismo grammaticale (come Da declinationem) fissano in forma più sistematica la regola imparata (come Da declinationem).

Da Ambrogio Traversari a Aldo Manuzio, quindi, gli umanisti, seguendo il monito di Quintiliano, utilizzarono ampiamente il latino nella didattica della lingua greca, sia in funzione di comparazione linguistica sia come lingua veicolare, anche a livello librario (Ciccolella 2010, 597-598): la prima edizione degli Erotemata di Crisolora è bilingue: da una parte c’è il testo greco, dall’altra la traduzione latina di Guarino (Ciccolella 2009).

Da documenti “pedagogici” giunti fino a noi (quaderni, note ecc.), sappiamo che l’insegnamento della lingua latina nel Medioevo in Italia, basato in modo preponderante sulla memorizzazione (Grendler 1989, 196; Gehl 1993, 88; Marcucci 2002, 119), era differenziato in due fasi: in un primo momento il testo grammaticale (infatti Black si riferisce alla lettura della Ianua di ps.Donato) veniva ripetuto parola per parola (“per lo testo” secondo il volgare del tempo) anche senza vera comprensione, in un secondo momento (“per lo senno”), il maestro forniva una traduzione nella lingua vernacolare per permettere al discente di capire il testo e alla fine di impararlo a memoria96. E infatti in molti manoscritti si notavano alcuni espedienti per agevolare la comprensione, come ad esempio punti per dividere le frasi in sezioni più brevi, incipit di capitoli e paragrafi marcati e resi evidenti a livello grafico e tabelle e diagrammi per le forme grammaticali. I testi grammaticali, inoltre, erano redatti con ampi margini e spazi interlineari, spesso persino in colonne o su pagine alternate per far spazio a glosse, note o una estensiva traduzione in latino.

Nel Rinascimento italiano si mantenne spesso questa “metodologia” per l’insegnamento del greco, impiegando come lingua veicolare il latino. Dai documenti di cui siamo in possesso, appare che il docente incominciava la lezione leggendo una parte del testo greco, mentre i discenti prendevano nota della pronuncia. Poi il docente traduceva il testo e lo spiegava, e a questo punto, con tutta probabilità, gli studenti erano in grado di memorizzare la grammatica.