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43 I ministri mantennero, quindi, la natura di organi costituzionali dello Stato181, forniti di una

competenza che proveniva loro direttamente dalla legge e che essi esercitavano non a titolo di delegazione o di supplenza, ma per diritto proprio entro i limiti fissati dalle direttive generali del Capo del Governo182.

Nonostante il parere contrario della dottrina dominante, tuttavia, alcuni Autori si pronunciarono a favore della sussistenza di un rapporto gerarchico tra Capo del Governo e ministri183, individuando:

 nell‟aggiunta della responsabilità di ciascun Ministro verso il Capo del Governo;

 nel potere di questi di tracciare le direttive generali dell‟azione politica;

 nella facoltà attribuitagli (oltre che di dirigere e coordinare l‟opera dei ministri, anche) di decidere sulle divergenze che potessero sorgere tra di essi

l‟introduzione di un vero e proprio vincolo di subordinazione gerarchica184.

Si affermava, pertanto, che la collocazione dei singoli ministri alle immediate e dirette dipendenze del Capo del Governo, quali semplici esecutori degli ordini dati da quest‟ultimo, ne avesse talmente ridotta (se non addirittura soppressa per intero) l‟autonomia sostanziale da fargli perdere il rango di organi costituzionali185, riducendoli a veri e propri delegati del Capo del Governo per la gestione di quello o quell‟altro ministero, «invitati» a dimettersi o trasferiti dall‟uno all‟altro dicastero qualora non eseguissero con fedeltà e con precisione gli ordini del Capo186.

181 Di questo avviso D. Donati, Appunti di diritto costituzionale, op. cit., p. 66 s.; G. Meloni, La posizione costituzionale del Capo del Governo, op. cit., p. 138 ss.; E. Sailis, Considerazioni e note, op. cit., p. 127 s.; A. Bargone, Governo, op. cit., p. 459 e S. Romano, Corso di diritto costituzionale, op. ult. cit., p. 219.

182 C. Mortati, L’ordinamento del governo, op. cit., p. 103.

183 … secondo una tesi oggi assolutamente prevalente: cfr. F. Staderini, L’ordinamento della Presidenza del Consiglio, op. cit., p. 137; S. Trentin, Dallo statuto albertino al regime fascista, Venezia, 1983, p.

196; E. De Marco, Le funzioni amministrative, op. cit., p. 14 s.; S. Labriola, Storia della costituzione italiana, op. cit., p. 240, nt. 103; F. Donati, La responsabilità politica dei Ministri, op. cit., p. 82 s.; S.

Merlini, Il Governo, op. cit., p. 183; C. Ghisalberti, Storia costituzionale, op. cit., p. 358.

184 Cfr. M. La Torre, La Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Riv. dir. pubbl., 1927, n. 1, p. 552; C.

Girola, Teoria, op. cit., p. 289 s.; V. Montulli, Il Primo Ministro, op. cit., p. 88; S. Longhi, Governo Fascista, op. cit., p. 114 ss.; F. Guarneri, Il Capo del Governo, op. cit., p. 51 ss.; V. Corsini, La presidenza del Consiglio, op. cit., p. 41; B. Donati, Statuto, in Nov. dig. it., XII, Parte I, Torino, 1939, p.

877.

185 … «a meno di non voler adoperare, per forza, un attributo che aveva perduto il suo vero significato»:

così V. Crisafulli, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, in Studi Urbinati, 1939, nn. 1-2-3-4, p.

107.

186 F.L. Ferrari, Il regime fascista italiano, Roma, 1983, p. 206. In quanto superiore gerarchico, al Capo del Governo spettava anche il potere di annullare o revocare il provvedimento di un Ministro: si trattava, tuttavia, di una facoltà limitata a «casi e provvedimenti sporadici, di importanza eccezionale e di carattere spiccatamente politico», altrimenti sarebbe stato leso «l‟indiscusso principio» che il Ministro fosse, «in

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1.2.2. La forma di governo nel «ventennio» fascista

La parte politicamente e costituzionalmente più eversiva della legge 24 dicembre 1925, n. 2263 stava, tuttavia, nella tacita abrogazione del rapporto fiduciario fra Governo e Parlamento187: la previsione della responsabilità tanto del Capo del Governo (per l‟indirizzo generale politico del Governo, ai sensi dell‟art. 2, comma 1) quanto dei ministri segretari di Stato (per tutti gli atti ed i provvedimenti dei loro ministeri, ai sensi dell‟art. 2, comma 3) verso il Re, infatti, escludeva implicitamente ogni responsabilità politica del Governo di fronte alla Camera rappresentativa188. In altri termini, si affermava la possibilità per il Governo di rimanere al potere anche dopo un eventuale voto di sfiducia del Parlamento189, svuotandosi così di ogni contenuto il sindacato politico delle due Camere: principio basilare del regime rappresentativo e, certamente, principio di regime dello Statuto190.

Ad ulteriore precisazione dei rapporti tra Governo e Parlamento intervenne, poi, la legge 31 gennaio 1926, n. 100 che di fatto soppresse la distinzione tra potere esecutivo e potere legislativo (posta a suo tempo nello Statuto) quanto alla potestà di predisposizione normativa.

Ciò avvenne in parte con l‟estendere in maniera smisurata il potere regolamentare del Governo, ed in parte con l‟attribuire al Governo il potere di emanare, in via straordinaria, norme giuridiche capaci di derogare a leggi formali del Parlamento (art. 3), nelle due forme dei decreti legislativi (fondati su una delegazione) e dei decreti-legge (fondati soltanto sulla necessità).

Non bisogna, peraltro, dimenticare che (ai sensi dell‟art. 6 della legge del 1925) nessun oggetto poteva essere posto all‟ordine del giorno di una delle due Camere senza l‟adesione preventiva del Capo del Governo.

Si sanzionò, pertanto, la piena ed incondizionata annessione del potere legislativo al Governo, il solo a dover giudicare se e quando si verificassero quelle ragioni di «assoluta e urgente necessità» che gli permettevano di esercitarlo in quella forma, senza concorso del Parlamento (mentre quest‟ultimo, senza il beneplacito del Capo del Governo, non poteva neanche cominciare a discutere su un disegno di legge)191.

linea generale, capo di ogni singola amministrazione» pur rispondendo dell‟andamento di questa «verso il Re e verso lo stesso Capo del Governo»: così M. La Torre, La Presidenza del Consiglio, op. cit., p. 552.

187 S. Merlini, Il Governo, op. cit., p. 183.

188 D. Donati, Il Governo del Re nella classificazione delle forme di governo, in Riv. dir. pubbl., 1933, n.

1, p. 516.

189 S. Longhi, Governo Fascista, op. cit., p. 110.

190 S. Labriola, Storia della costituzione italiana, op. cit., p. 238 s.

191 P. Calamandrei, La funzione parlamentare sotto il fascismo, in A. Aquarone, M. Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Bologna, 1974, p. 73 ss.

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La successiva legge 9 dicembre 1928, n. 2693 (in parte modificata nel 1929) provvide, poi, a costituzionalizzare il «Gran Consiglio del fascismo» trasformandolo da organo del Partito nazionale fascista in organo dello Stato, anzi in «organo supremo» che coordinava ed integrava

«tutte le attività del regime sorto dalla rivoluzione dell‟ottobre 1922» (art. 1)192.

Il Gran Consiglio era posto alle dirette dipendenze del Capo del Governo (che – ad eccezione di taluni membri di diritto – ne sceglieva discrezionalmente i componenti, lo convocava e ne determinava l‟ordine del giorno)193, con funzioni deliberative nei casi stabiliti dalla legge ma, soprattutto, con funzioni consultive su ogni altra questione politica, economica o sociale di interesse nazionale (quando se ne rilevasse la necessità, su interrogazione del Capo del Governo) e su tutte le questioni aventi carattere costituzionale (obbligatoriamente)194.

Al Gran Consiglio venne, inoltre, attribuito il compito di formare e tenere aggiornata, su proposta del Capo del Governo, la lista dei nomi da presentare alla Corona per la nomina, in caso di vacanza, del successore del Capo del Governo stesso, nonché la lista delle persone che, sempre in caso di vacanza, esso reputasse idonee ad assumere funzioni di governo (art. 13)195. Ora, è dubbio se tale disposizione dovesse interpretarsi come diretta a vincolare rigidamente la potestà di scelta del sovrano (quindi tenuto, anche nel caso di morte o di volontarie dimissioni del Capo del Governo, a cercare il successore nella lista formata ed aggiornata dal Gran Consiglio, pur non essendovi alcuna disposizione che esplicitamente stabilisse un obbligo in tal senso)196 o, viceversa, come semplice obbligo giuridico di prendere in considerazione la lista predisposta prima di procedere alla nomina (fatta salva, dunque, la possibilità di una designazione estranea alla medesima)197.

In ogni caso, la ratio di tale disposizione era quella di mantenere la soluzione di un‟eventuale crisi di governo nell‟ambito del sistema vigente instaurato dal fascismo198.

192 Ivi, p. 74 s.

193 C. Ghisalberti, Storia costituzionale, op. cit., p. 361. Al Capo del Governo era riservata «in via del tutto esclusiva» la nomina di una parte dei membri che componevano il Gran Consiglio, peraltro di numero non definito, a cui egli provvedeva «con proprio decreto, di nomina o di revoca, sottratto ad ogni e qualsiasi controllo»; in questo modo, il Primo Ministro poteva «determinare a proprio piacimento la composizione del Gran Consiglio, e quindi determinare le maggioranze, scoraggiando ogni sia pur ipotetica velleità di dissenso, o anche solo di una meno certa ed assoluta fedeltà politica negli orientamenti del collegio»: così S. Labriola, Storia della costituzione italiana, op. cit., p. 247.

194 F. Teresi, Le istituzioni repubblicane, op. cit., p. 39.

195 S. Longhi, Governo Fascista, op. cit., p. 111.

196 P. Calamandrei, La funzione parlamentare, op. cit., p. 77. Di una «vera e propria delimitazione della potestà di scelta del Capo dello Stato», benché «la locuzione di stile» adoperata nella disposizione possa

«far dubitare dell‟effettivo contenuto normativo di essa», parla a sua volta S. Labriola, Storia della costituzione italiana, op. cit., p. 250.

197 C. Mortati, L’ordinamento del governo, op. cit., p. 87 ss.

198 P. Caretti, Forme di governo e diritti di libertà nel periodo costituzionale provvisorio, in E. Cheli (a cura di), La fondazione della Repubblica dalla costituzione provvisoria all’Assemblea Costituente, Bologna, 1979, p. 39.

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La legge 19 gennaio 1939, n. 129 concluse, infine, il ciclo di distruzione del sistema parlamentare operato dal regime fascista, sopprimendo la Camera dei deputati ed istituendo, in sua vece, la «Camera dei fasci e delle corporazioni» (art. 1)199.

Quest‟ultima si distinse non solo per la totale assenza di rappresentatività dei suoi membri (tratti, ope legis, tra coloro che rivestivano determinate cariche nel Partito nazionale fascista e nelle corporazioni, e chiamati «consiglieri nazionali» invece che deputati, quasi per mettere in rilievo il carattere essenzialmente consultivo della nuova Assemblea), ma anche per la perpetuità della sua durata, non essendovi più alcuna necessità di determinare la scadenza della legislatura per il rinnovo della rappresentanza200.

In questo modo, il Parlamento veniva completamente esautorato e si rafforzava ancora di più la posizione assolutamente preminente del Capo del Governo «Duce del fascismo»201, che poteva tranquillamente revocare (privandoli della carica politica o sindacale ricoperta) quei

«consiglieri» che, per ipotesi, non si mostrassero sufficientemente disciplinati202.

Alcuni giuristi del tempo, invero, respinsero almeno inizialmente l‟idea che la legge costituzionale del 1925 avesse determinato la fine del regime parlamentare, partendo dal presupposto che la responsabilità dei ministri verso la Corona e verso il Capo del Governo non implicasse in alcun modo una modifica dell‟art. 67 dello Statuto, inteso a stabilire una responsabilità politica dei ministri non solo di fronte alla Corona ma, indubbiamente, anche di fronte al Parlamento203.

Si riconosceva, certamente, una deviazione del governo parlamentare verso il governo costituzionale, ma la Camera conservava il diritto di procedere alla designazione del Capo del Governo ed il sovrano, in presenza di una manifesta e più volte espressa censura dell‟indirizzo generale politico del Governo da parte della Camera, non avrebbe potuto esimersi dal sostituire il Primo Ministro204.

Assolutamente prevalente, tuttavia, risultò essere l‟opinione (pressoché unanime nella dottrina contemporanea)205 che il combinato disposto della legge 24 dicembre 1925, n. 2263 e della

199 P. Calamandrei, La funzione parlamentare, op. cit., p. 81 s.

200 C. Ghisalberti, Storia costituzionale, op. cit., p. 372 s.

201 … qualifica assunta dal Capo del Governo con regio decreto 27 ottobre 1937, n. 1839 così ponendosi la leadership del partito unico «a fondamento della stessa premiership, in una sorta di vera e propria unione personale»: così A. Reposo, Lezioni sulla forma di governo parlamentare, op. cit., p. 48.

202 S. Merlini, Autorità e democrazia, op. cit., p. 82.

203 Il legislatore, quindi, «avrebbe dovuto dichiarare espressamente la sua volontà di sopprimere la responsabilità ministeriale di fronte al Parlamento»; non avendolo fatto, «l‟articolo 67 conserva(va) intero il suo valore, quale esso emerge(va) dal complesso della Carta albertina»: così G. Maranini, La divisione dei poteri, op. cit., p. 82 ss.

204 V. Montulli, Il Primo Ministro, op. cit., p. 67 ss.

205 Cfr. A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1965, p. 76; E. Rotelli, La Presidenza del Consiglio, op. cit., p. 306; S. Labriola, Storia della costituzione italiana, op. cit., p. 238 s.;

F. Donati, La responsabilità politica dei Ministri, op. cit., p. 80 s.; A. Reposo, Lezioni sulla forma di

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