monarchia, sarebbe continuato il regime luogotenenziale fino all‟entrata in vigore delle deliberazioni dell‟Assemblea costituente sulla nuova Costituzione e sul Capo dello Stato (art. 2, comma 5)249.
1.4. La proclamazione della Repubblica italiana ed i lavori dell’Assemblea costituente Il Re Vittorio Emanuele III, invero, abdicò formalmente al trono (in data 9 maggio 1946) in favore del figlio Umberto, rompendo l‟impegno (preso con il proclama di Bari del 12 aprile 1944) di ritirarsi dalla vita pubblica in via «definitiva e irrevocabile» e ponendo, così, unilateralmente fine al regime luogotenenziale, in aperto contrasto con quanto disposto dall‟art.
3 del d.l.lgt. 25 giugno 1944, n. 151 e dall‟art. 2, comma 5 del d.lgs.lgt. 16 marzo 1946, n. 98250. Senza dubbio, anche questa mossa mirava a ripulire l‟immagine della monarchia dalle pesanti responsabilità assunte durante il ventennio fascista, liquidando del tutto il vecchio Re e presentando un nuovo sovrano che era sembrato – in certi momenti – in conflitto con il regime e che, dunque, poteva meglio accreditare la tesi di un rinnovamento monarchico conforme alle esigenze dei tempi.
I partiti del Cln, tuttavia, non reagirono duramente alla rottura della «tregua istituzionale»
compiuta dal monarca (nonostante proteste verbali e prese di posizione più o meno ufficiali) ed attesero pazientemente l‟esito della consultazione popolare, fissata (con d.lgs.lgt. 16 marzo 1946, n. 99) per il 2 giugno 1946251.
In questa data l‟elettorato, pur dividendosi in due blocchi abbastanza equilibrati, diede la prevalenza alla scelta repubblicana a cui favore andarono, secondo la proclamazione della Corte di cassazione (integrata il 18 giugno con il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste ed i reclami), 12.717.923 voti validi, mentre 10.719.284 furono i voti validi a favore della monarchia e 1.498.136 i voti nulli252.
Contemporaneamente al referendum istituzionale, gli italiani votarono per eleggere i 556 deputati dell‟Assemblea costituente, i cui seggi furono così ripartiti: 207 alla Democrazia cristiana; 115 al Partito socialista; 104 al Partito comunista; 41 all‟Unione democratica nazionale; 30 al Fronte dell‟uomo qualunque; 23 al Partito repubblicano italiano; 16 al Blocco nazionale delle libertà; 20 a liste minori253.
249 I precedenti storici della Costituzione, op. cit., p. 20.
250 A. Reposo, Lezioni sulla forma di governo parlamentare, op. cit., p. 63.
251 F. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 180.
252 V. Onida, L’ordinamento costituzionale, op. cit., p. XVI.
253 F. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 180 s.
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1.4.1. La «Commissione dei 75» e l’articolato finale del progetto di costituzione
L‟Assemblea costituente, tuttavia, non sembrava essere la sede tecnicamente più idonea per la preventiva elaborazione di un articolato progetto costituzionale, in quanto composta da membri – come detto, ben 556 – dalla preparazione giuridica assai diversificata.
Attraverso una modifica del proprio regolamento interno, quindi, deliberò la nomina di un‟apposita Commissione per la Costituzione, composta di 75 membri (e pertanto comunemente denominata «Commissione dei 75») nominati dal Presidente – l‟on. Meuccio Ruini – rispettando la proporzione dei vari gruppi politici presenti in Assemblea, con il compito di elaborare e proporre – entro tre mesi – il progetto di costituzione da discutere in aula254.
La Commissione, anch‟essa troppo numerosa per deliberare collegialmente, si organizzò a sua volta in tre sottocommissioni, corrispondenti alle principali sezioni previste nella nuova Carta costituzionale:
la prima (presieduta dal democristiano Umberto Tupini) doveva occuparsi dei diritti e doveri dei cittadini;
la seconda (presieduta dal comunista Umberto Terracini) doveva occuparsi dell‟organizzazione costituzionale dello Stato;
la terza (presieduta dal socialista Gustavo Ghidini) doveva occuparsi dei rapporti economici e sociali.
In più, fu istituto un Comitato di redazione più ristretto (denominato «Comitato dei 18») con il delicato compito istituzionale di «redigere» il testo del progetto di costituzione mediante il coordinamento e l‟armonizzazione delle norme via via approvate dalle tre sottocommissioni, rimettendosi alla Commissione nel suo «plenum» le decisioni sui punti rimasti controversi e l‟approvazione finale255.
Si trattava di un compito formale, quindi tecnico nonché letterario; ma (come del resto era stato previsto) il Comitato si ritrovò inevitabilmente ad affrontare anche questioni di merito, in quanto:
chiamato a scegliere tra le formulazioni da più parti presentate per gli stessi argomenti;
il loro collocamento poteva influire sul significato delle norme;
254 A. Giovannelli, Assemblea Costituente, op. cit., p. 8.
255 A. Amorth, I lavori dell’Assemblea costituente, in G. Rossini (a cura di), Dal 25 luglio alla Repubblica: 1943-1946, Torino, 1966, p. 430.
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fatalmente si riaccesero (in seno ai 18) contrasti superati nelle sottocommissioni con la maggioranza di voti ma non con l‟unanimità o la quasi unanimità dei consensi256.
La II Sottocommissione affrontò pregiudizialmente il problema della scelta della forma di governo pressoché all‟inizio dei lavori, prendendo le mosse dalla relazione sul potere legislativo esposta da Costantino Mortati nella seduta pomeridiana del 3 settembre 1946257.
Mortati scartò subito tanto il regime presidenziale (per il timore che l‟eccessivo risalto conferito alla figura del Presidente potesse provocare «conati cesaristici», tanto più probabili in assenza di quel formidabile contrappeso rappresentato dalla struttura federalistica dell‟ordinamento)258 che il parlamentarismo assembleare della Terza Repubblica francese, proponendo l‟adozione di un modello «misto» in grado di combinare la flessibilità del governo parlamentare (fondato sulla fiducia, ma indeterminato nella durata) con la stabilità del governo direttoriale (che consente ai governi che abbiano conseguito la fiducia di rimanere in carica per un periodo di tempo prefissato)259.
L‟innovazione principale consisteva nella prescrizione di un voto di fiducia esplicito, motivato sulla base di un programma concreto, che vincolasse la Camera a mantenere in vita il Governo per un certo periodo di tempo (che il relatore proponeva in due anni, ma che poteva variare in base ad altre considerazioni).
Di conseguenza, soltanto nel caso di dissidio sistematico tra potere legislativo e potere esecutivo, di entità tale da escludere ogni possibilità di conciliazione, il Capo dello Stato avrebbe dovuto esigere un motivato voto di dissenso delle Camere, riservandosi di valutare circa la convenienza di revocare il ministero oppure di procedere allo scioglimento delle Camere, così da mettere il popolo in condizione di esprimere consapevolmente un chiaro giudizio sul punto in contestazione, atto a fungere anche da direttiva per la futura legislatura260. Questa soluzione, pur non costituendo – a detta dello stesso Mortati – un‟effettiva garanzia della stabilità dello schieramento politico, sembrava comunque favorire (con riferimento alla specifica situazione italiana) una stabilità maggiore di quella garantita dall‟instaurazione di un regime presidenziale, perché impegnava maggiormente le forze politiche richiedendo un loro accordo su un programma concreto proprio nella fase di conferimento della fiducia al Governo,
256 I precedenti storici della Costituzione, op. cit., p. 136.
257 G. Amato, F. Bruno, La forma di governo italiana, op. cit., p. 38.
258 L. Primicerio, L’architettura delle istituzioni politiche in Assemblea Costituente tra scelte di valore e regole organizzatorie: la forma di governo, in Diritto e cultura, 1997, nn. 1-2, p. 563.
259 E. Cheli, La riforma mancata: tradizione e innovazione nella Costituzione italiana, Bologna, 2000, p.
42.
260 Cfr. l‟intervento dell‟on. Mortati nella seduta di martedì 3 settembre 1946, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, VII, Commissione per la Costituzione: II Sottocommissione, Roma, 1971, p. 898 ss.
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e limitava (ma non escludeva) la risoluzione dei conflitti fra Legislativo ed Esecutivo mediante l‟appello al popolo261.
In sede di dibattito, il solo a pronunciarsi a favore del regime presidenziale fu l‟on. Calamandrei il quale, partendo dalla premessa che in Italia si era veduta sorgere una dittatura «non da un regime presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare, anzi parlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità dei partiti e della impossibilità di avere un Governo appoggiato ad una maggioranza solida che gli permettesse di governare», e dopo aver sottolineato l‟inutilità – contro le crisi frequenti – sia delle procedure aggravate per i voti di sfiducia, sia della durata fissa del Governo, si pronunciò a favore dell‟investitura diretta del vertice del potere esecutivo, al fine di garantire al Capo del Governo un‟autorità tale da farne il capo riconosciuto di una coalizione di partiti, avvicinandolo «a quel prestigio che negli Stati Uniti d‟America o in Inghilterra deriva al Presidente o al Primo Ministro dall‟essere Capo del partito di maggioranza»262.
A suo avviso, pertanto, l‟elezione presidenziale costituiva l‟unico meccanismo istituzionale in grado non solo di forzare la logica intrinseca alla competizione tipica dei sistemi a multipartitismo estremo, imponendo ai partiti di definire prima le loro alleanze e di sottoporle direttamente alla scelta degli elettori, ma anche di contribuire alla bipolarizzazione del sistema partitico ed alla conseguente stabilità dell‟Esecutivo263.
Favorevole al modello assembleare era, invece, la posizione espressa sul versante comunista, significativamente presentata in due tonalità: in primis, quella più schietta ed estrema dell‟on.
La Rocca favorevole all‟istituzione di un‟Assemblea rappresentativa popolare che fosse nello stesso tempo legislativa ed esecutiva, elaborasse la legge e ne controllasse l‟esecuzione, esaminasse, criticasse e decidesse, sorvegliasse l‟osservanza delle sue decisioni264.
In secondo luogo, quella più contenuta ed accorta dell‟on. Amendola favorevole all‟introduzione di un regime parlamentare il più aperto possibile, che respingesse l‟adozione di congegni di stabilizzazione dell‟Esecutivo suscettibili di ridurre l‟influenza dei partiti (considerati come i principali fattori della stabilità istituzionale) o di irrigidirne gli schieramenti politico-parlamentari, e permettesse l‟adeguamento della situazione governativa allo sviluppo della situazione politica del Paese265.
261 F. Bruno, I giuristi alla Costituente: l’opera di Costantino Mortati, in U. De Siervo (a cura di), Scelte della Costituente e cultura giuridica, II, Bologna, 1980, p. 104.
262 Cfr. l‟intervento dell‟on. Calamandrei nella seduta di giovedì 5 settembre 1946, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, VII, op.
cit., p. 933 s.
263 L. Primicerio, L’architettura delle istituzioni politiche in Assemblea Costituente, op. cit., p. 574.
264 Cfr. l‟intervento dell‟on. La Rocca nella seduta di giovedì 5 settembre 1946, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, VII, op. cit., p. 928.
265 Cfr. l‟intervento dell‟on. Amendola nella seduta di giovedì 5 settembre 1946, ivi, p. 939.