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Mirella Marotta Peramos, Rapidità e indugio: analisi della struttura temporale di 'Notturno

Capitolo II- Una prima interpretazione dell’opera di Antonio Tabucchi Varietà tematiche

2.2 Mirella Marotta Peramos, Rapidità e indugio: analisi della struttura temporale di 'Notturno

temporale di 'Notturno indiano' di Antonio Tabucchi

«CUADERNOS DE FILOLOGÍA ITALIANA», N.7 (2000), pp. 875-892

Mirella Marotta Peramos, in uno dei suoi articoli pubblicati in Cuadernos de

filologia italiana244, intende analizzare la struttura temporale di Notturno indiano; la studiosa compone una diligente analisi critica dell’opera, partendo dalle prime parole che l’autore indirizza ai suoi lettori. Il romanzo comincia infatti con tre pagine nelle quali il narratore sembra porsi in una dimensione interlocutoria ed aperta con chi legge, dal momento che gli chiede di prestare attenzione all’interpretazione del materiale che gli offrirà nel corso della narrazione. Mirella Marotta Peramos cerca di dare una spiegazione a questa insolita dichiarazione dell’autore e afferma che l’opera si inserisce appieno nelle coordinate del Minimalismo, questo significa che non potrà dire tutto, anzi, per essere breve, essenziale e “moderna”, l’opera dovrà omettere il più possibile: «Per questo motivo al lettore spetta, […] di “riempire i buchi”»245. Ovviamente, colui che legge, sarà chiamato ad assolvere questo compito, seguendo le tracce che l’autore ha lasciato. Un’altra caratteristica richiesta dai minimalisti è una prima e rapida comprensione dell’opera da parte del lettore/spettatore. Mirella Marotta Peramos mette in luce un aspetto significativo su cui si basava la corrente minimalista. L’opera, secondo la loro particolare visione, deve essere fruita, per la prima volta, in un modo rapido e «totalizzante»;246 solo in un secondo momento, il lettore dovrà riflettere su quanto ha letto

244 MIRELLA MAROTTA PERAMOS, Rapidità e indugio: analisi della struttura temporale di 'Notturno

indiano' di Antonio Tabucchi, «Cuadernos de filologia italiana», n. 7 (2000), pp. 875-892.

245 Ivi, p. 876. 246 Ibidem.

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ed assimilato ed in questo «adopererà molto più tempo»247 di quanto ne abbia investito nel portare a termine il primo compito. A sostegno di questa tesi, la studiosa decide di riportare alcune suggerimenti avanzati da Tabucchi in merito alla fruizione di un’opera letteraria:

D’altra parte, lo stesso Tabucchi osservava in un intervento molto bello a proposito del tema “Come nasce una storia”, che “prima si crea un’opera e poi si riflette su di essa, di solito — aggiungeva non senza ironia— è un’attivitá divertente e ingannevole che non serve a nessuno e che facilmente porta a false conclusioni” e un po’ più avanti continuava dicendo: “Peraltro, ho sempre cercato la complicità di qualcun altro nella mia scrittura”, e con ciò lasciava aperta la porta al lettore por entrarci o interpretare a suo piacimento.248

La studiosa cerca di analizzare la cornice letteraria che fa da contorno al romanzo, passando in rassegna le primissime pagine di Notturno indiano, in cui è presente, in epigrafe, una frase di Maurice Blanchol che riflette sull’insonnia. Tale citazione ha, chiaramente, la funzione di introdurre il lettore in una dimensione onirica che rappresenterà il reale filo rosso della narrazione, sul cui argomento Tabucchi ritorna anche nella pagina successiva. Il lettore intanto può sperimentare il primo esercizio di lettura, del quale si è parlato, degustando dapprima «la bellezza dell’opera»249 e lasciando per una seconda lettura, o per una terza, il lavoro di penetrare «il senso profondo»250 che essa

nasconde.

Mirella Peramos si sofferma su quanto la costruzione narrativa di Notturno indiano sia imprevedibile e destabilizzante. L’autore incomincia la narrazione del suo racconto infatti

247 Ibidem.

248 Ivi, p. 877. ANTONIO TABUCCHI, Come nasce una storia, «Scrittori a confronto. Incontri con Aldo

Busi, Maria Corti, Claudio Magris, Giuliana Morandini, Roberto Pazzi, Edoardo Sanguineti, Francesca Sanvitale, Antonio Tabucchi», ANNA DOLFI e MARIA CARLA PAPINI (a c. di), Roma, Bulzoni, 1998, pp. 181-201.

249 PERAMOS, Rapidità e indugio… p. 877. 250 Ibidem.

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con una serie di sorprese prospettate ai suoi lettori: «Questo libro, oltre che un’insonnia, è un viaggio»251. La prima frase è «già un’alterazione dell’ordine logico dei concetti»:252 Tabucchi, attraverso questa osservazione lapidaria, sembra infatti dare per scontato ciò che non lo è per nulla, ovvero il fatto che il romanzo scaturisca da una lunga insonnia - informazione che il lettore non sarebbe stato in grado di dedurre se non dalle parole di Blachol poste in epigrafe - e, al contrario, sembra voler aggiungere, come informazione nuova per lettore, ciò che invece era già chiaro e facilmente desumibile, cioè che il romanzo avrebbe trattato di un viaggio. Le sorprese in realtà, non si esauriscono con questa bizzarra spiazzante dell’autore. La presentazione al lettore continua cosí:

L’insonnia appartiene a chi ha scritto il libro, il viaggio a chi lo fece. Tuttavia, dato che a me é capitato di percorrere i luoghi che il protagonista di questa vicenda ha percorso, mi é parso opportuno fornire di essi un breve indice.253

Con questa dichiarazione, Tabucchi arriva ad infrangere la «triplice identità», cioè la completa coincidenza tra l’autore del testo, l’autore effettivo del viaggio ed il narratore. Questa sovrapposizione è normalmente riscontrabile ovunque, in quanto chi scrive è sia colui che ha compiuto il viaggio, sia il narratore effettivo dell’opera. Le parole con cui Tabucchi si presenta al lettore, infatti rompono il principio dell’identità di persone dentro all’opera, oltretutto, introducono un aspetto fino a quel momento assente nella tradizione della letteratura di viaggi, cioè quello dell’insonnia. La dichiarazione rilasciata l’autore, contiene, tuttavia, una piccola verità. Infatti, lo stesso Tabucchi sosteneva effettivamente di aver fatto quel viaggio in India:

251 TABUCCHI, Notturno indiano… p. 9. 252 PERAMOS, Rapidità e indugio… p. 877. 253 Ibidem.

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poi viaggi ne ho fatti anch’io, mi è capitalo di farli. Non tutti sono rimasti impigliati nelle mie pagine perché io non ho mai viaggiato por scrivere, corno potrebbe succedere, ho viaggiato per altri motivi. Poi alcuni viaggi sono rimasti nelle pagine, altri se no sono andati dopo aver fatto la doccia. C’è rimasto Notturno indiano perché...,perché in India ho provato un grande senso di estraneità che forse dal mio romanzo viene fuori. Forse è un luogo della terra che ha dato di piú il senso di estraneità a una persona non preparata culturalmente come me.254

Mirella Marotta Peramos cerca di trarre conclusioni ragionevoli e suggerire qualche riflessione significativa, affermando che, il libro di Tabucchi, se da un lato attinge alla letteratura del viaggio, come genere ormai codificato, dall’altro cerca ripetutamente di distaccarsene; basti notare il fatto che l’autore decida di inserire una nota onirica e notturna all’interno di questa struttura narrativa. La terza pagina dell’introduzione assolve invece alla funzione di ‘indice’ dei luoghi visitati; non a caso un’altra caratteristica della letteratura da viaggio è la delineazione degli itinerari con le varie tappe in cui il personaggio fa sosta. Mirella Peramos sottolinea, ancora una volta, come lo scopo di Tabucchi sia duplice: da un lato desidera rientrare nei canoni della tradizione, dall’altro tenta di divincolarsene, non appena gli si presenta la possibilità. Infatti, per poter comprendere appieno la linea entro la quale si muove Tabucchi, bisogna rifarsi a quanto detto prima: l’autore tende a rispettare la tradizione letteraria alle sue spalle per poi, subito dopo, spiazzare il lettore infrangendone i canoni; non a caso, le tappe delineate nella sua cartina non sono «luoghi geografici»255, come ci si aspetterebbe normalmente, ma costruzioni di palazzi che assolvono a funzioni specifiche, alberghi, ospedali, stazioni di treno e altri luoghi di passaggio. Ancora una volta, il lettore resta sensibilmente spiazzato da tutto ciò.

254 TABUCCHI, Come nasce una storia…p. 199. 255 PERAMOS, Rapidità e indugio…p. 879.

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La forma a cui si ascrive Notturno indiano è essenziale, rapida, concisa, priva di tutto ciò che è superfluo e non indispensabile, secondo i dettami della corrente minimalista. Il preambolo del romanzo serve a creare una sorta di suspense ed ansia nel lettore, mantenendolo in costante attesa. Su questo argomento, Umberto Eco aggiunge che:

Nella narrativa accade che il testo presenti dei veri e propri segnali di suspense, quasi come so iI discorso rallentasse o addirittura frenasse, e come se l’autore suggerisse: ‘ e ora prova ad andare avanti tu...” 256

L’autore infatti con queste pagine non ha fatto altro che indugiare, perdere tempo, creare attese nel lettore, offrendogli un itinerario del quale ancora non si sa nulla né si può immaginare alcunché. Flavia Ravazzoli ha cercato di analizzare la letteratura di questi anni, condensandone le caratteristiche nella colloquialità del narratore, ironia e rapidità della narrazione257. Quest’ultimo aspetto è quello maggiormente riprodotto nel romanzo, subito dopo la descrizione dell’itinerario infatti il ritmo sembra divenire più rapido e colui che legge è chiamato a adeguarsi a questo cambio repentino di atmosfera. Per rendere conto di questa trasformazione del ritmo prosastico, occorre fare riferimento all’incipit del romanzo stesso:

I1 tassista aveva una barba a pizzo, una reticella sui capelli e un codino legato con un lastro bianco. Pensai clic fosse un sikh, perché la mia guida li descriveva esattamente cosi. La mia guida si intitolava: Indio, a travel survival kit, l’avevo acquistata a Londra più per curiosità che per altro, perché forniva sull’India informazioni assai bizzarre e a prima vista superflue. Solo più tardi mi sarei accorto della sua utilitá’258.

256 ECO, Sei passeggiate nei boschi, Milano, Bompiani, 1994, p. 62.

257 RAVAZZOLI, Il racconto come turno dialogico, in Sul racconto. Una riflessione a più voci intorno allo

statuto della narrazione breve, Bologna, Il lavoro editoriale, p. 40.

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Mirella Peramos osserva la costruzione ritmica del periodo incipitario del romanzo; con questo paragrafo d’apertura, l’autore intende gettare violentemente il lettore nel mezzo della narrazione, iniziando il racconto in medias res; questa scelta sembra quasi confermare la rapidità d’azione cui alludeva Flavia Ravazzoli. Tuttavia, questo incipit in medias res, non trova conferma nella situazione narrativa immediatamente successiva, nella quale, invece, il narratore sembra perdersi in inutili riflessioni e descrizioni che rallentano bruscamente il ritmo prosastico. Tuttavia, il lettore sembra quasi procedere come se sedesse a bordo di un’automobile impazzita, che decelera ed accelera continuamente poiché, andando avanti con la lettura, si assiste di nuovo ad una repentina accelerazione della situazione narrativa: «L’uomo correva troppo forte per il mio temperamento e suonava il clacson con ferocia. Mi pare che sfiorasse i pedoni di proposito, con un sorriso indefinibile che non mi piaceva.»259 Il lettore inizia in questo modo ad abituarsi alle continue discese che caratterizzeranno d’ora in poi il romanzo. L’impalcatura temporale montata da Antonio Tabucchi si caratterizza infatti di una serie di rapide accelerazioni bilanciate da altrettanti rallentamenti e pause. Il capitolo II incomincia, ancora una volta, producendo una sorpresa nel lettore in quanto si apre anch’esso in

medias res, inserendo bruscamente il lettore nell’azione. Tuttavia, Mirella Peramos

sottolinea a ragione che la situazione narrativa prospettata non appare chiara al lettore:

Come si chiamava?

Si chiamava Xavier, risposi.

Come il missionario’? chiese lui. E poi disse: Non è certo inglese,no?

No, dissi, è portoghese, ma non è venuto a fare il missionario, è un portoghese che si è perduto in India260

259 Ibidem. 260 Ivi, p. 23.

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Il lettore infatti si imbatte in un dialogo senza sapere con chi sta parlando l’io narrante, «dove si trovi e perché sia arrivato lì»261.II capitolo terzo, invece, frena totalmente il ritmo del precedente e si perde in una lunghissima dissertazione sul corvi che sorvolano la città di Bombay:

Gli unici abitanti di Bombay che non si curano del ‘diritto di ammissione’ vigente al Taj Mahal sono i corvi. Calano lenti sulla terrazza dell’Inter Continental, oziano sulle finestre moghul dell’edificio più antico, si appollaiano fra i rami dei manghi del giardino, saltellano sul perfetto grappolo d’orba clic circonda la piscina. Andrebbero a bere sui bordi o beccherebbero la buccia d’arancia del bicchiere del martini se un compitissimo servo in livrea non li scacciasse con una mazza da cricket, come in un’assurda partita diretta da un regista strampalato.262

Il testo procede con questo stesso ritmo all’incirca per due pagine e ciò «deve considerarsi molto per un capitolo che di pagine ne ha cinque»263. Mirella Peramos studiando complessivamente la struttura temporale dell’intero romanzo, rileva che il capitolo IV, esattamente come il secondo, incomincia con una conversazione, il capitolo V, invece, con una lunga descrizione. Mirella Peramos osserva che, dopo il capitolo primo- che condensa dentro di sé l’alternanza tra ritmo rapido e ritmo lento- i rimanenti capitoli (sono in tutto 12) incominciano in questo modo: i pari con un dialogo – che rappresenta il pretesto per introdurre un nuovo interlocutore-, i dispari con delle lunghe descrizioni, seguendo un procedimento retorico chiamato ipotiposi. Il primo e l’ottavo capitolo sono tuttavia simili in quanto in entrambi spetta al narratore il compito di presentare il nuovo personaggio; l’autore infrange così la strategia del discorso diretto,

261 PERAMOS, Rapidità e indugio… p. 884. 262 TABUCCHI, Notturno indiano… p. 33. 263 PERAMOS, Rapidità e indugio… p. 884.

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adottata nel resto del libro per introdurre un nuovo interlocutore. Mirella Peramos mette infatti in luce nel suo studio che:

L’unica eccezione a questo schema fisso, è il capitolo 8, che riprende in modo identico lo schema del primo: la presentazione di un personaggio non attraverso un discorso diretto ma con una descrizione fatta dal narratore.264

La continua alternanza fra questi ritmi temporali crea una tensione costante nel lettore, il quale viene indotto «a correre»265 in determinati momenti della narrazione e ad immaginare tutto quello che l’autore gli cela. Questa manipolazione temporale è funzionale a stordire il lettore, creando quello che Eco definisce «effetto nebbia»,266 necessario ad indurre quell’idea di sonno o di insonnia che l’autore vuole rendere. In questo modo, l’autore impone al lettore un «tempo di lettura»267, costringendolo

continuamente a mutare ritmo. La rapidità d’azione è una caratteristica stilistica della letteratura italiana di quegli anni, secondo anche quanto emerge dagli studi di Flavia Ravazzoli. Infatti, come osserva Mirella Peramos, il rallentamento del ritmo e l’indugiare in lunghe descrizioni, non era pienamente conforme con gli stilemi in voga in quegli anni. In questo senso, può essere utile consultare ciò che Umberto Eco sostiene in merito a questo argomento; secondo il critico:

c’è un modo di indugiare nel testo, e perdervi tempo, per rendere lo spazio. (...)uno dei modi di rendere l’impressione dello spazio è di dilatare, rispetto al tempo della fabula, sia un tempo del discorso sia il tempo della lettura268.

264 PERAMOS, Rapidità e indugio… p. 885. 265 Ibidem.

266 ECO, Sei passeggiate…pp. 40 e sgg. . 267 PERAMOS, Rapidità e indugio…p. 885. 268 Ivi, p. 87.

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A partire da questa affermazione, Umberto Eco inizia a ragionare sulla descrizione del lago di Como, che si può leggere all’inizio dei Promessi sposi, e si chiede come mai Manzoni indugi così marcatamente nella descrizione del paesaggio. La risposta che si dà è semplice; evidentemente, vuole preparare il «lettore a leggere un libro il cui principale protagonista è qualcuno che guarda dall’alto le cose del mondo»269 Mirella Peramos sostiene che, la divagazione, l’indugiare attraverso descrizioni di personaggi, luoghi, il rallentamento del ritmo prosastico, rappresentano semplici strategie per mettere in atto quella «fuga perpetua» di cui parlava Italo Calvino.270 La domanda più giusta da porsi è:

«Perché l’autore rallenta?». Leggendo la nota ai lettori di Notturno indiano, si apprende che lo scopo del romanzo è cercare qualcuno, un’Ombra. Quando questo “qualcuno” sarà trovato, il romanzo terminerà; quindi, come ogni giallo, l’autore si prende del tempo per arrivare a questo punto. Come dice Mirella Peramos, Tabucchi in Notturno indiano

«rallenta sull’inutile e accelera sull’essenziale» e, come dice Eco, il rallentamento

prosastico assolve alla funzione di delectatio morosa.271 Tabucchi vuole restare entro i

confini della letteratura da viaggio e il voler indugiare in lunghe descrizioni dello spazio lo confermano. Mirella Peramos sostiene che, sia la cornice del libro sia i capitoli al loro interno, contengono tutte le caratteristiche della letteratura da viaggio, come, ad esempio, la delineazione puntuale di un itinerario con delle tappe e la descrizione minuziosa di luoghi. Questo è lo «scheletro della letteratura da viaggio»272, tutto il resto può essere eliminato, basta che ci siano questi soli elementi per poter ascrivere questo testo a questo genere letterario. Successivamente, Mirella Peramos, nel suo articolo, si sofferma

269 PERAMOS, Rapidità e indugio… p. 885.

270 ITALO CALVINO, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2015, p. 47. 271 ECO, Sei passeggiate… p. 84.

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sull’analisi del tempo della fabula. La studiosa rileva che, anche in questo caso, l’autore sembra seguire degli schemi precisi. I capitoli, infatti, incominciano con un’idea di vaghezza, ma dopo un po’, l’autore si decide a precisare che l’azione si situa all’imbrunire - per intendersi dalle cinque del pomeriggio in poi- e termina, invece, con l’alba. Mirella Peramos osserva infatti che:

i capitoli iniziano, anche su questo punto, con quell’idea di nebbia a cui abbiamo accennato altre volte, indeterminati, sospesi nel tempo, come dicevo. Non si sa mai quanto tempo sia trascorso dall’incontro o dalla scena precedenti. Ad un erto punto, giusto por segnare l‘inizio del momento importante del capitolo, 1’ autore dà un’indicazione temporale che ci situa all’imbrunire. Prima di questo momento non c’è stato normalmente niente, il protagonista di solito, ha dormito durante il giorno, o ha vagato, non viaggiato, perché anche i viaggi si fanno di notte. A partire da questo punto comincia tutto; le informazioni, le riflessioni, gli incontri, anche i viaggi, come dicevo, e tutto questo finisce con l’alba. 273

Tuttavia, Mirella Peramos precisa che questo schema non è totalmente rigido, infatti, il capitolo IV è molto breve e dura poco più di un’ora e mezza, si tratta di una piccola infrazione alla regola, dove, evidentemente, il tempo della fabula non riesce ad abbracciare un arco temporale così esteso (dalla sera all’alba). Il numero III «inizia all’alba»,274 come era terminato il capitolo precedente. Tuttavia, questo fatto non è strano,

in quanto il fatto che inizi all’alba lo si intuisce solamente, tanto più che la prima indicazione temporale fornita in maniera esplicita è relativa alle «sei di sera», come da schema. Pertanto, Mirella Peramos cerca di spiegare perché il capitolo III è costruito in maniera diversa:

questa volta [Roux] non riesce a dormire, ma sogna, pensa e ricorda insonne durante tutto quel

273 Ibidem. 274 Ibidem.

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giorno, disteso sul letto. Formalmente, lo indicazioni temporali funzionano come sempre: la prima di queste indicazioni ce l’abbiamo quando sono le sei di sera e il personaggio si alza por andare a cenare. Poi, il lettore viene di nuovo informato che ritorna a dormite a notte tarda, quasi all’alba, come al solito. La differenza sta dunque non nella cronologia ma in ciò che si fa durante questo tempo.In questo capitolo non ci sono incontri, al meno non con personaggi vivi e presenti nell’India in quel momento. Questa volta Roux, cosí viene chiamato il protagonista, incontra i personaggi del passato, fantasmi che vengono a visitarlo durante il sogno, durante la sua insonnia. Tutta l’azione, tutti gli incontri del libro avvengono, dunque, di notte e questo fatto trasforma il romanzo in un Notturno, come indica il titolo; tutti tranne questo, che, pur essendo un sogno, avviene durante il giorno. 275

Tabucchi nel capitolo III si comporta formalmente come per tutti gli altri, mantenendo le stesse regole che si era dato per gli altri capitoli; il lettore legge infatti esplicitamente, nella prima parte del capitolo, che sono le “sei di sera” e, alla fine del capitolo, che è l’alba. L’autore rispetta dunque questa dicotomia di scansione dei suoi capitoli anche in questo caso. La vera infrazione del capitolo risiede nel fatto che Roux sogna all’alba, invece che di notte, come solitamente accade (basti confrontare il titolo «Notturno

indiano»). Questa novità – sottolinea Mirella Peramos – è un dato significativo che ha

come scopo quello di distinguere il capitolo III da tutti gli altri.

Mirella Peramos si sofferma a questo punto sul significato della parola Notturno, tale