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La misurazione del capitale economico

2. L’IMPATTO DI BASILEA 3 SUL CAPITALE DELLE BANCHE

3.2. L’allocazione del capitale

3.2.1. La misurazione del capitale economico

Prima di vedere come il capitale economico viene allocato tra le diverse business unit, è necessario stimare l’ammontare di capitale necessario per la conduzione dell’attività, tale procedura ricopre un ruolo estremamente importante nel processo di allocazione del capitale in quanto una stima errata del capitale necessario potrebbe portare a problemi di non poco conto: sia il caso di sotto-capitalizzazione che quello di sovracapitalizzazione risultano essere situazioni poco favorevoli per gli azionisti della banca, Nel caso in cui la banca detenga troppo poco capitale, può risultare considerevole il rischio di fallimento dell'istituto in quanto la banca non dovrebbe operare con un patrimonio inferiore all’ammontare di rischio a cui essa è esposta perché se si dovessero realizzare le perdite generate dai rischi assunti, il capitale degli azionisti non sarebbe sufficiente e non risulterebbe, quindi, possibile rimborsare depositi, obbligazioni e altre passività ciò andrebbe quindi ad intaccare l’equilibrio economico e la solvibilità della banca. Mentre nel caso detenga troppo capitale ciò può portare a sostenere eccesivi costi che deprimono la redditività del capitale ciò costringerebbe gli azionisti a mantenere immobilizzato nella banca risorse che potrebbero essere impiegate in maniera più profittevole altrove ci sarebbe quindi una perdita in termini di costo-opportunità del capitale. Naturalmente la

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banca determinerà l'ammontare di patrimonio che intende detenere anche in base al grado di prudenza a cui ispira la propria gestione, il quale varia da istituto a istituto, ma in ogni caso cercherà di evitare la detenzione di risorse patrimoniali eccedenti che non troverebbero proficuo investimento.

Un primo step per la stima della dotazione di capitale è rappresentato alle regole fissate dal Comitato di Basilea per determinare i requisiti patrimoniali minimi, il patrimonio regolamentare rappresenta infatti la dotazione minima necessaria per proseguire l’attività bancaria, pena il sostenimento di costi elevati sia sul piano della reputazione (perdita di credibilità, aumento del costo dei fondi) sia su quello legale (sanzioni, nomina di amministratori straordinari e in casi estremi la revoca della licenza bancaria), bisogna dunque considerare il capitale regolamentare come un floor minimo al di sotto del quale, in condizioni normali, non è possibile scendere. Tali regole tuttavia sono uguali per tutte le banche e, per quanto siano state fissate con cura, è inevitabile che non siano appropriate per ciascun istituto di credito soprattutto dal momento che molte banche utilizzano dei modelli interni per la stima del capitale necessario. Ai fini proprio dell'individuazione, da parte delle banche, della dotazione ottimale di mezzi propri, le metodologie VaR (Valore

a Rischio) sono spesso considerate con grande interesse in quanto si propongono come

uno strumento per misurare la perdita massima potenziale a cui la banca, nel suo complesso, è esposta entro un certo intervallo di confidenza e un certo arco temporale. Lo strumento del VAR si avvale di una procedura statistica per la sua determinazione: immaginando di aver stimato la distribuzione delle possibili perdite future legate ai diversi tipi di rischio e di averle integrate in un'unica distribuzione relativa, appunto, alla perdita totale a cui la banca ritiene sarà esposta in un certo lasso di tempo futuro (per esempio 12 mesi), la media della distribuzione rappresenta l’ammontare di perdite a cui la banca è normalmente destinata in futuro, cioè la perdita attesa (EL-Expected Loss) che rappresenta un costo di produzione che è necessario coprire con riserve alimentate dal conto economico, tuttavia, le perdite effettive potrebbero collocarsi su livelli superiori alle attese, in tal caso, è necessario che la banca disponga di un adeguato ammontare di capitale che, perciò, dovrebbe coprire la distanza tra la perdita attesa e la massima perdita

potenziale. Inoltre il Var utilizza un intervallo di confidenza ossia esso tralascia una

percentuale minima (per es: 0,1%) riferita ai casi estremi in cui la banca non è in grado di coprire le perdite è quindi necessario che la banca detenga un ammontare di capitale che tenga conto anche di tali situazioni estreme. Viene scelto quindi un percentile, in questo caso il 99,9% cioè il valore che lascia sotto di sé il 99,9% delle perdite future

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probabili. La differenza tra percentile e EL è detta Valore a Rischio (VAR). In altre parole, il Var indica la massima perdita a cui la banca può andare in contro nel 99,9% dei casi76. Poiché tale distanza deve essere coperta con il capitale, il VaR può essere anche interpretato come Capitale a Rischio (Car) ovvero come dotazione di capitale ottimale che gli azionisti devono versare per limitare, ad una percentuale sufficientemente piccola, il rischio di dissesto di una banca. Per questo, il “Valore a Rischio” o massima perdita potenziale può anche essere definita “Capitale a Rischio” o Capitale Economico della banca nel suo complesso. Dopo aver individuato il corretto dimensionamento della

dotazione complessiva di capitale (al fine di evitare che esso risulti inadeguato a

fronteggiare tutti i rischi assunti), si procede alla determinazione dell’allocazione interna

ottima del capitale proprio fra le diverse business unit che consenta di assegnare limiti operativi omogenei a ciascuna unità organizzative e mantenere i rischi assunti entro livelli

ritenuti accettabili. Concedere ad una data business unit un dato limite di VaR, equivale ad assegnare a tale unità una certa dotazione ideale di capitale. La redditività di ciascuna business unit viene misurata in relazione al capitale economico che è stato loro attribuito, le metodologie basate sul concetto del VaR hanno consentito di misurare il capitale effettivamente assorbito e hanno quindi permesso di valutare il risultato conseguito non solo in termini di puro rendimento, ma di rendimento corretto per il rischio. L’allocazione del capitale a cui ci si riferisce è un’allocazione puramente figurativa, Il capitale, infatti, non viene fisicamente consegnato alle diverse unità che assumono rischio, ma piuttosto “idealmente allocato” in funzione dei rischi assunti. Ogni unità non acquisisce la disponibilità fisica del capitale, ma solo la possibilità di utilizzare tale capitale a copertura delle perdite potenziali77. Di cruciale importanza nel Var sono l’intervallo di confidenza e l'arco temporale prescelto, che devono essere coerenti con la probabilità d'insolvenza che il management e gli azionisti della banca sono disposti ad accettare, un’errata stima potrebbe infatti comportare delle distorsioni della stima finale del capitale. Le banche normalmente dispongono di varie misure di rischio parziale utilizzate per le diverse tipologie di rischio presenti nei loro attivi (in particolar modo rischio di credito, di mercato e operativo). Una volta stimato il capitale economico a fronte di specifiche categorie di rischio per le varie aree di attività, le banche procedono ad aggregare le

76 P.Mottura, S.Paci, Banca. Economia e gestione, Egea, Milano 2009.

77 Per esempio, se all’unità che gestisce il trading in derivati viene allocato capitale per 20 milioni di euro, ciò significa che i rischi assunti non possono superare i 20 milioni, non che l’ufficio in questione riceve fisicamente 10 milioni di capitale da gestire.

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diverse misure in modo da produrre un'unica stima per il capitale economico dell'intero istituto, tuttavia uniformare l’orizzonte di rischio e il livello di confidenza dei diversi modelli rappresenta un compito non facile, si pensi ad esempio al caso del Var sui rischi di mercato, calcolato di solito con un orizzonte temporale di 10 giorni lavorativi ed un livello di confidenza del 99%, si immagini di volerlo allineare al Var sui rischi di credito con un orizzonte annuale e con un livello di confidenza del 99,9%, è in questo caso necessario un allineamento a livello matematico-statistico che tuttavia tralasceremo per semplicità di esposizione78. Una volta che i Var parziali siano stati uniformati e resi omogenei, essi vengono aggregati, tenendo conto dei possibili benefici da diversificazione legati all'imperfetta correlazione tra rischi diversi. Se le correlazioni tra i rischi sono elevate, allora la banca deve possedere un capitale adeguato a fronteggiare le perdite generate congiuntamente dal manifestarsi di più rischi, questo significa che il capitale economico totale, ipotizzando implicitamente una correlazione perfetta tra i rischi, è dato semplicemente dalla somma dei singoli capitali economici ECi legati agli N singoli rischi:

E' tuttavia ammissibile che la correlazione tra tipologie di perdite non sia perfetta, esiste pertanto un effetto di diversificazione che può essere quantificato, anche se quantificarlo risulta comunque molto difficile. A tal proposito molte banche per ovviare a tale problema ipotizzano che i capitali economici a fronte dei diversi rischi siano proporzionali alle rispettive deviazioni standard e adattando al capitale economico la formula per il calcolo delle deviazioni standard della somma di più variabili casuali79:

dove ECi è il capitale economico relativo ad una certa tipologia di rischio, N è il numero complessivo dei rischi assunti e ρij indica la correlazione tra i-esimo e j-esimo rischio. I risultati di tale procedura, detta Standard statistical approach, dipendono in maniera cruciale dalla stima dei ρ, essa si può basare su dati storici relativi alle diverse tipologie

78 Per l’approfondimento riguardante la procedura matematica di uniformazione dei rispettivi Var si guardi A.Resti, A.Sironi Rischio e valore nelle banche, paragrafo 23.2.3, op. cit.

79 La formula per il calcolo della deviazione standard è: 𝜎= √∑ 𝑛 𝜎𝑖𝜎𝑗 𝑗=1 𝑛 𝑖=1

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di perdita o in alternativa è possibile associare ogni tipologia di rischio ad una variabile proxy80 e determinare le correlazioni tra fattori di rischio sulla base delle correlazioni tra variabili proxy. Inoltre in alcuni casi le correlazioni vengono fissate in modo arbitrario, sulla base dell’esperienza del top management e del servizio di risk management. Nonostante ciò la stima del capitale economico prodotta dalla banca potrebbe essere errata, infatti il metodo del VaR è affetto da molte insidie (come per esempio il fatto che si basi su ipotesi irrealistiche come la distribuzione normale dei rendimenti o la stabilità della matrice varianze-covarianze, difficoltà di stimare i parametri come le asset e default correlation, mancanza di dati sulle perdite operative a bassa frequenza e ad alto impatto), inoltre ipotesi di lavoro diverse possono condurre a misure di VaR diverse tra loro. Tali problemi diventano particolarmente significativi, come spiegato prima allorchè, si provi ad aggregare tra loro rischi differenti e a produrre una misura di rischio che anziché limitarsi a specifici portafogli, abbracci l’intero ventaglio di attività in essere presso un gruppo finanziario (soprattutto se attivo in settori diversi e in mercati geograficamente diversi)81. Altro problema è la scelta dell’intervallo di confidenza da utilizzare nel VaR in quanto tale elemento presenta evidenti caratteri di arbitrarietà Una classica soluzione in proposito consiste nel legare tale parametro alla classe di rating obiettivo a cui il management della banca aspira, ma rimane il fatto che anche la scelta della classe di rating obiettivo è in parte arbitraria82. Tuttavia, in termini generali, se idealmente si potesse tentare di legare l’intervallo di confidenza prescelto alla propensione al rischio degli azionisti della banca, tale propensione non sarebbe quantificabile con chiarezza neanche a livello aggregato, in quanto le valutazioni da parte del management circa la vera propensione al rischio degli azionisti possono essere penalizzate dal mercato e gli eventuali errori di valutazione possono essere riflessi, quindi, nel ribasso del titolo azionario della banca. Non stupisce, dunque, il fatto che il processo di individuazione del corretto livello di confidenza può risultare almeno in parte influenzato da errori di

80 Per esempio un indice di borsa, nel caso di rischio di mercato, o la serie storica dei tassi di fallimento delle imprese, nel caso di rischio di credito.

81 I modelli di Var per la stima del capitale economico inoltre vengono calibrati in condizioni di normale operatività dei mercati, ma in presenza di condizioni anomale, ossia di shock particolarmente accentuati, le ipotesi alla base del modello e le stime dei parametri utilizzati per alimentarli potrebbero diventare irrealistiche.

82 Ad esempio, se il management si prefigge di raggiungere la classe di rating AA che è associata una probabilità di insolvenza su un orizzonte annuo pari allo 0,03%, si potrebbe fissare l’intervallo di confidenza nella misurazione del VaR in misura pari al 99,97%, così da accettare solo una probabilità pari allo 0,03% che il capitale predisposto a protezione delle perdite potenziali sia ecceduto dalle perdite stesse.

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valutazione. Oltre alle difficoltà nello scegliere l'opportuno intervallo di confidenza, un altro problema è legato alla mancanza di metodologie consolidate per tutte le tipologie di rischio assunte dalla banca. Difatti, molti intermediari finanziari dispongono di sistemi di risk measurement solo per alcune tipologie di rischio e solo per una porzione limitata dei loro portafogli, in particolare, vi è stata notevolissima attenzione per quanto riguarda i rischi di mercato (sia sul portafoglio di negoziazione sia, in misura minore, sul banking book) e i rischi di credito che sono ormai, da tempo, oggetto di rilevanti investimenti che hanno generato modelli ampiamente sofisticati e affidabili. Molto meno sviluppate, invece, sono le metodologie connesse ad altri tipi di rischio, come il rischio operativo83, il rischio di tasso sul banking book e il rischio di liquidità che sono stati a lungo trascurati, per questo molto spesso si ricorre a misure di rischio semplificate scarsamente oggettive e poco sofisticate. Inoltre per quanto riguarda gli istituti che hanno partecipato a fusioni o hanno effettuato acquisizioni (processi che come abbiamo mostrato nel secondo capitolo hanno coinvolto di fatto quasi tutte le banche mondiali di maggiori dimensioni) è possibile che parte delle società del gruppo non dispongano di modelli di misura e gestione del rischio sufficientemente formalizzati, è quindi necessario in questi casi estendere ed adattare i sistemi di risk management della casa madre facendo però attenzione al particolare contesto di mercato in cui tali aziende operano84.