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Il capitale bancario: un'analisi approfondita alla luce della normativa di Basilea 3

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea Magistrale in Banca, Finanza aziendale

e Mercati Finanziari

TESI DI LAUREA

IL CAPITALE BANCARIO: UN’ANALISI

APPROFONDITA ALLA LUCE DELLA

NORMATIVA DI BASILEA 3

RELATORE

Prof.ssa Paola Ferretti

CANDIDATO

Domenico Giuseppe Marino

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INDICE

Pag.

INTRODUZIONE 3

1. LA NUOVA NORMATIVA SUI FONDI PROPRI E IL RAFFORZAMENTO DEI REQUISITI PATRIMONIALI 1.1. Premessa 9

1.2. La crisi del 2007-2009 e la necessita’ di un nuovo Framework regolamentare 12

1.2.1. Il nuovo regime regolamentare europeo: CRD IV Package 16

1.2.2. Le modifiche di Basilea 3 al sistema di adeguatezza patrimoniale: più capitale e di qualità più elevata 18

1.3. Le disposizioni nazionali e la Circolare 285 del 17 Dicembre 2013 23

1.4. La nuova definizione di Fondi Propri 26

1.4.1. Il Patrimonio di Base 29

1.4.2. Il Patrimonio Supplementare 35

1.4.3. Le Deduzioni 38

1.5. I Buffer Patrimoniali 42

1.5.1. La riserva di conservazione del capitale 43

1.5.2. La riserva di capitale anticiclica 45

1.5.3. Limiti alle distribuzioni 48

1.6. Gli standard tecnici dell’EBA 52

1.7. Considerazioni finali di capitolo 54

2. L’IMPATTO DI BASILEA 3 SUL CAPITALE DELLE BANCHE 2.1. Premessa 57

2.2. L’attività di monitoraggio e gli impatti della normativa di Basilea 69

2.3. I possibili impatti di Basilea 3 sul sistema bancario italiano 63

2.3.1. Focus sul sistema bancario italiano: i principali gruppi bancari italiani 67

2.3.2. L’evoluzione del capitale regolamentare nelle banche italiane 85

2.4. La vigilanza bancaria comunitaria e la valutazione dell’adeguatezza 92

patrimoniale delle banche europee: il Comprehensive Assessment 2.5. Un confronto internazionale tra i sistemi bancari dei diversi paesi 99

2.5.1. Trend e prospettive dei sistemi bancari a livello internazionale 100

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3. LA GESTIONE DEL CAPITALE E LA CREAZIONE DI VALORE

3.1. Premessa 111

3.2. L’allocazione del capitale 115

3.2.1. La misurazione del capitale economico 118

3.2.2. L’allocazione del Capitale nelle singole business unit 123

3.2.3. Il concetto di capitale diversificato e la relazione tra capitale allocato e capitale assorbito 128

3.3. La stima del costo del capitale 130

3.4. Le misure di performance e la creazione di valore in Basilea III 137

3.4.1. La stima della performance corretta per il rischio (RAPM) 139

3.4.2. Creazione di valore e metodo EVA 143

3.5. Il processo di Capital Optimization 145

3.6. L’Ottimizzazione del patrimonio regolamentare e la conciliazione con il capitale economico 147

3.7. I vincoli alla gestione della liquidità in Basilea 3 e le implicazioni sul capitale 154

CONSIDERAZIONI FINALI 158

BIBLIOGRAFIA 168

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INTRODUZIONE

Le banche ricoprono un ruolo di grande rilievo nel panorama del sistema economico mondiale: la maggiore integrazione finanziaria, la particolare attività svolta e l’influenza che tale attività ha sull’economia reale hanno reso di centrale importanza il concetto di adeguatezza patrimoniale. Tale concetto va inteso non soltanto con accezione di vigilanza, ma anche in termini gestionali ed operativi. La maggiore integrazione finanziaria, la convergenza tra i diversi modelli di intermediazione, gli effetti derivanti dall’ultima crisi hanno reso più significativo il ruolo del capitale bancario, tralasciando infatti l’aspetto regolamentare, si è sentita l’esigenza per le banche di implementare un’efficace sistema di gestione del capitale che assicuri il doppio scopo dell’adeguatezza patrimoniale ma anche della massimizzazione reddituale del capitale. Quindi la delicata natura dell’attività svolta dalle banche e l’influenza che essa genera sul contesto sociale di un paese ha portato a considerare e valutare attentamente il ruolo rivestito dal capitale all’interno di un intermediario bancario, intendendolo come l’insieme di risorse messe a disposizione dagli azionisti per garantire la solvibilità dell’istituto, però, oltre all’immediato ruolo di cuscinetto patrimoniale contro le crisi, il capitale assume una funzione di fondamentale valenza anche nel contesto operativo dell’istituto di credito in quanto, se adeguatamente allocato alle unità operative capaci di massimizzarne il rendimento, consente di garantire la creazione di valore ed assicurare una crescita futura. A causa della grande integrazione economica e finanziaria e della grande apertura del sistema finanziario le difficoltà di un singolo istituto non rimangono circoscritte in ambito locale ma si diffondono con una certa rapidità anche a livello internazionale come abbiamo visto in occasione della crisi del 2007, dove il fallimento di un comparto bancario negli Stati Uniti (quello dei mutui sub-prime) ha innescato una crisi a catena che si è prima diffusa nel sistema finanziario mondiale e andando successivamente a toccare anche l’economia reale. Considerata, quindi, la vastità degli effetti che la crisi di una banca può generare sulla stabilità dell’intero sistema, nel corso degli anni, Stati e Autorità di Vigilanza hanno provveduto a rafforzare sempre più la regolamentazione sul patrimonio delle banche. La complessità della materia e il contesto finanziario altamente volatile ed in continua evoluzione hanno condotto a frequenti rivisitazioni e variazioni nel contesto regolamentare vigente, sfociando a seguito della crisi nella messa in opera nel 2009 del nuovo quadro normativo che prende il nome di Basilea 3 che rappresenta in tale contesto la massima espressione di cooperazione raggiunta tra Autorità e tra paesi. Il

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nuovo accordo, come vedremo nel prosieguo, nel perseguire l’obiettivo di contrastare gli effetti della crisi, impostare una struttura normativa in grado di evitare il ripetersi in futuro di simili eventi e garantire perciò la solidità del settore bancario, pone principalmente l’attenzione sulla definizione di capitale e sul suo rafforzamento qualitativo e quantitativo intervenendo sia attraverso l’incremento dei requisiti patrimoniali minimi richiesti alle banche sia con provvedimenti anticiclici. In maniera generale ossia in riferimento a tutti i tipi di impresa il capitale proprio (anche detto patrimonio) viene definito come l’insieme dei beni, materiali o immateriali, a disposizione dell’azienda in un dato momento, in termini tecnici esso è costituito dal capitale sociale più le riserve, ossia dalle risorse conferite dai soci per lo svolgimento dell’attività di impresa. Le risorse patrimoniali possono essere conferite in maniera diretta o indiretta, direttamente se gli azionisti già esistenti o nuovi sottoscrivono quote del capitale sociale, indirettamente tramite autofinanziamento se parte dell’utile d’esercizio generato durante la gestione viene destinato all’accrescimento delle riserve patrimoniali Il capitale è una risorsa molto importante per l’impresa in quanto determina la sua capacità di operare in condizioni di solvibilità senza compromettere l’attività svolta e determina la capacità dell’impresa di assumere debito. Il capitale proprio si differenzia dal capitale di debito apportato da terzi in quanto è rappresentato da risorse che sono stabilmente a disposizione dell’impresa e non sono soggette a nessuno tipo di vincolo (a differenza del capitale di debito), possono quindi essere utilizzate incondizionatamente per la copertura di eventuali perdite. In maniera semplificata possiamo dire che il capitale è uguale alla differenza tra il valore delle attività e delle passività dell’impresa e rappresenta quindi la quota del valore delle attività della banca che eccede i finanziamenti a titolo di debito, ossia che non è vincolata al rimborso del debito1.

Innanzitutto è necessario, prima di presentare il lavoro, andare a vedere le diverse definizioni di capitale stavolta però riferite al contesto bancario. Nella prassi e nella letteratura economica esistono numerose definizioni differenti, tra queste le più importanti sono:

1. Capitale Regolamentare (regulatory capital, RC): Si tratta del complesso degli strumenti patrimoniali computabili ai fini della vigilanza e come sarà ampiamente approfondito nel primo capitolo esso si compone di due aggregati: il patrimonio

1 Nelle forme più complesse, il capitale può includere quote di valore che dovranno essere ripagate, ma solo in futuro.

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di base e quello supplementare. In tale contesto si inseriscono gli accordi di Basilea, che come abbiamo detto sono dei trattati internazionali che riguardano l’adeguatezza patrimoniale delle imprese bancarie e creditizie. I requisiti di capitale, infatti, sono indispensabili alle banche per affrontare le turbolenze dei mercati e sopportare le crisi economiche e quindi per evitare il fallimento e le sue conseguenze sistemiche. Tale definizione di capitale è quindi di natura esclusivamente regolamentare, è infatti demandato alle autorità di vigilanza il compito di definire l’ammontare e le caratteristiche degli strumenti ad esso computabili;

2. Capitale Contabile (book-value capital, BVC): E’ il capitale misurato sulla base

dei principi contabili validi per la redazione del bilancio e corrispondente alla differenza tra le attività e le passività di terzi, così come registrato in bilancio. Esso è in qualche misura simile al Tier1 valido ai fini regolamentari, infatti non include le poste come il debito subordinato, che rientrano nel tier 2;

3. Il capitale a valore corrente (fair value capital, FVC): Corrisponde alla

differenza tra il valore corrente delle attività della banca e il valore corrente delle sue passività verso terzi. Differisce dal capitale contabile perché attività e passività non vengono valutate al valore di iscrizione in bilancio (costo storico, un valore poco aggiornato e quindi non significativo) bensì in base alle condizioni di mercato correnti. Le due nozioni di capitale coinciderebbero se l’intera contabilità bancaria fosse valutata al fair value2. Il valore corrente delle attività e delle passività è pari al valore attuale dei flussi di cassa che esse generano in futuro, tra le attività compaiono anche le attività immateriali come i brevetti, i marchi e l’avviamento che pur non avendo una consistenza fisica sono comunque in grado di generare ricavi futuri.

4. La capitalizzazione di mercato (market capitalisation, MC): Si ottiene moltiplicando il valore di mercato di un’azione per il numero di azioni emesse dall’istituto. Può essere calcolata esclusivamente per le banche quotate. Corrisponde al valore attuale dei flussi di cassa che gli azionisti percepiranno in futuro, scontato con un tasso opportunamente corretto per il rischio. Tuttavia essa non coincide con il capitale a valore corrente ma semmai con il valore corrente

2 Secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS il FAIR VALUE viene definito come “Il corrispettivo al

quale un'attività può essere scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in una transazione tra terzi indipendenti”.

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percepito dagli investitori in un dato contesto di mercato. Le due nozioni, infatti, corrispondono solo se il mercato è efficiente e gli investitori (razionali) possiedono tutte le informazioni disponibili tale da percepire il valore delle attività e passività bancarie così com’è il loro valore corrente, tali condizioni tuttavia quasi mai sono pienamente rispettate.

5. Il capitale economico (economic capital, EC): è la quantità di capitale necessario per fronteggiare adeguatamente i rischi assunti dalla banca, esso coincide con il Capitale a rischio (CAR), il capitale economico infatti dipende dall’attività economica di trasformazione del rischio svolta dalle banche, e dunque riflette, l’ammontare di rischi in essere. L’EC può essere misurato, perciò, attraverso il concetto di valore a rischio (VAR), cioè come la massima perdita possibile, all’interno di un intervallo di confidenza sufficientemente elevato, entro un determinato arco temporale. Esso è quindi il capitale necessario a fronteggiare tutti i rischi che congiuntamente gravano sulla banca.

Il presente lavoro si focalizza sul tema del capitale delle banche esaminandolo sotto un duplice aspetto, quello gestionale e quello regolamentare. Vengono presentati i principali tasselli del framework di Basilea 3 ma con un taglio decisamente operativo, lo scopo è di analizzare, da una parte, la capitalizzazione ottima ricercata dalla banca dal punto di vista gestionale/operativo al fine di creare valore per l’azienda e perseguire logiche gestionali di efficienza e, dall’altra, la capitalizzazione minima imposta dai coefficienti patrimoniali stabiliti dalla normativa al fine di garantire la solvibilità dell’istituto e la solidità dell’intero sistema. I due ambiti, operativo e regolamentare, appaiono distinti ma in realtà sono strettamente connessi tra loro, rappresentano infatti le due facce di una stessa medaglia, E’ indubbio, infatti, che le disposizioni regolamentari rappresentino un elemento ineludibile affinché la banca possa determinare la propria dotazione ottima di capitale, la quale deve, perciò, essere adeguata non solo da un punto di vista economico ma anche da quello normativo. Alla descrizione dei contenuti di Basilea 3 segue inoltre la trattazione delle novità sui maggiori gruppi bancari italiani, senza però tralasciare l’impatto anche sui gruppi di minori dimensioni, l’intento è quello di condurre un’analisi critica della nuova normativa prudenziale approfondendone i diversi profili di osservazione, non soffermandosi quindi esclusivamente sull’aspetto regolamentare, ma portando anche l’attenzione sui futuri cambiamenti possibili conseguenti all’introduzione della normativa. Il presente lavoro si suddivide in tre capitoli, più una parte introduttiva

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in cui vengono spiegati dei concetti base che saranno propedeutici per la comprensione dei capitoli successivi.

Nel primo capitolo ci concentriamo totalmente sull’ambito regolamentare, verranno esposte tutte le novità della nuovo framework regolamentare, inizialmente verranno esposte le motivazioni che hanno portato fino a Basilea 3 facendo anche dei confronti con i framework precedenti e spiegando cosa non ha funzionato delle normative passate. Successivamente si descriverà il nuovo quadro regolamentare europeo rappresentato dal CRD IV Pakage (Capital Requirements Directives), che recepisce nell’UE le regole di Basilea 3. Il capitale bancario viene quindi inteso come il riflesso di una serie di vincoli esterni che assumono la forma di requisiti patrimoniali minimi che ciascun istituto di credito è tenuto a rispettare. La nuova disciplina prudenziale tocca tutti i principali tasselli della regolamentazione finanziaria ma l’intervento sulla definizione di capitale, ossia sulla scelta degli elementi da computare o meno nel patrimonio utile a fini di vigilanza, rappresenta forse quello più significativo, soprattutto alla luce delle conseguenze della crisi, ci si concentrerà quindi sulle novità riguardanti il capitale tralasciando tutto ciò che non sia ad esso attinente.

Come vedremo nel primo capitolo l’introduzione di requisiti più rigidi in tema di adeguatezza patrimoniale ha suscitato timori ed aspettative in relazione alle possibili implicazioni che essa potrebbe generare sul sistema bancario: E’ questo ciò che viene trattato nel secondo capitolo, infatti Basilea 3 è un importante passo in avanti verso l’introduzione di parametri e regole di vigilanza comuni per la costituzione di un Unione Bancaria Europea ma bisogna altresì evitare che provochi un impatto negativo sull’economia reale. Accenneremo l’argomento del Meccanismo di Vigilanza Unico entrato in vigore a Novembre 2014, e il relativo esercizio di vigilanza (Comprehensive Assessment) effettuato dall’EBA per valutare “le condizioni di salute” delle banche europee, ci soffermeremo sull’attività di monitoraggio relativa all’introduzione di Basilea 3, effettueremo una valutazione dei possibili effetti sul sistema bancario italiano e vedremo l’evoluzione patrimoniale avvenuta negli ultimi anni, per finire poi con un confronto internazionale tra i diversi sistemi finanziari.

Nel terzo ed ultimo capitolo viene approfondito l’ambito gestionale ed operativo, nel quale il capitale viene considerato come una risorsa scarsa che deve essere adeguatamente allocata e remunerata. In un contesto sempre più competitivo le banche devono gestire in maniera efficiente le proprie dotazioni patrimoniali in modo da indirizzarle alle unità operative che meglio riescono a remunerarle, vedremo quindi come una risorsa scarsa

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come il capitale viene impiegata cercando di massimizzare la combinazione rischio-rendimento, valutandone le performance nel tempo in un processo di ricalibrazione continua. Inoltre vedremo come i vincoli regolamentari hanno inciso sul processo gestionale e allocativo del capitale.

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CAPITOLO PRIMO

LA NUOVA NORMATIVA SUI FONDI PROPRI E IL

RAFFORAZAMENTO DEI REQUISITI PATRIMONIALI

1.1 PREMESSA

Nel 1988 il Comitato di Basilea per la vigilanza Bancaria3 (Basel Committee on Banking Supervision – BCBS) introdusse un insieme di regole relative al rischio di credito e definì dei requisiti minimi di capitalizzazione per il limitare il rischio del sistema bancario data l’importanza che quest’ultimo ricopre e l’influenza negativa che può avere sull’economia reale in caso di malfunzionamento o crisi dello stesso. Tale insieme di regole è conosciuto come Basilea 1.

Dopo l’introduzione di tale normativa la Banca ha dovuto considerare il capitale non più in un’ottica esclusivamente gestionale, ossia come risorsa scarsa da allocare efficacemente alle unità operative capaci di massimizzare il rendimento e creare valore per la banca, ma il capitale viene adesso anche considerato in ottica regolamentare: intendendo il capitale bancario come riflesso di una serie di vincoli esterni che assumono la forma di requisiti patrimoniali minimi che ciascun istituto di credito è tenuto a rispettare al fine di garantire la propria solvibilità e quindi la solidità dell’intero sistema finanziario. Al fine di rafforzare la capacità del sistema bancario di resistere agli schock, questo insieme di regole è stato rivisto ed aggiornato nel 2004, con la pubblicazione del nuovo framework regolamentare: Basilea 2. Rispetto al framework precedente il nuovo ha

3 Il Comitato di Basilea è un organismo fondato alla fine del 1974 dai Governatori delle banche centrali dei paesi del G10 (Gruppo dei 10), con sede, appunto, a Basilea. Si riunisce quattro volte l’anno e gestisce circa trenta gruppi di lavoro. Le attività del Comitato si svolgono sotto l’egida della Banca per i Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements), Il Comitato non possiede nessuna autorità di vigilanza sovranazionale, e le sue conclusioni non hanno valore legale. Piuttosto formula standard e linee guida ad ampio spettro, e raccomanda best practices in una prospettiva che vede ogni autorità individuale farle proprie nella maniera più adatta al proprio sistema nazionale. Il Comitato riporta ai Governatori delle banche centrali dei paesi del G10 e chiede il sostegno dei Governatori stessi per le iniziative più importanti.

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previsto l’introduzione di requisiti di capitale che riflettono in modo più accurato la rischiosità degli attivi delle banche, un’esplicita considerazione del rischio operativo, il rafforzamento della vigilanza sui mercati regolamentari ed una maggiore trasparenza nella comunicazione al mercato.

Nel Giugno del 2006 la Commissione Europea ha pubblicato due direttive (2006/48/EC, 2006/49/EC) che traducono in legge i nuovi requisiti di capitale la cui applicazione è partita nel gennaio del 2007.

Il framework di Basilea 2 si basa su una struttura “a tre pilastri” (Tale struttura non è cambiata in Basilea 3):

 Pillar 1 - Requisiti minimi di capitale, al fine di riflettere un’allocazione di capitale più coerente con i rischi assunti dalla banca, si fa riferimento ai requisiti minimi di capitale (e quindi al calcolo delle attività ponderate per il rischio) relativi al rischio di credito, di mercato e operativo, allineando tali requisiti al rsichio effettivo di perdita da parte di ciascuna banca;

 Pillar 2 - Supervisory Review Process: Richiede che le banche si dotino di processi per valutare e assicurare un’adeguata capitalizzazione in relazione al loro profilo di rischio così come una strategia finalizzata alla conservazione del livello dei mezzi propri (ICAAP). L’ICAAP rappresenta il completamento dei requisiti regolamentari minimi previsti dal Primo Pilastro, poiché considera un insieme più ampio di rischi, insieme ai processi interni di Risk Management e Capital Mangement;

 Pillar 3 – Market Discipline: Dopo aver completato il Primo e Secondo Pilastro, il Terzo Pilastro ha l’obiettivo di aumentare la trasparenza di mercato mediante un’adeguata trasmissione di informazioni sul capitale regolamentare e sulle esposizioni e i processi di valutazione dei rischi.

Nell’Aprile del 2008 come risposta immediata alla crisi finanziaria iniziata nell’estate del 2007, il comitato di Basilea ha annunciato una serie di variazioni alla cornice regolamentare corrente conosciuta come Basilea 2. La regolamentazione di Basilea 2 è stata infatti criticata da molti osservatori che l’hanno anche iscritta tra i fattori alla base dell’ instabilità finanziaria, va tuttavia precisato che per quanto appaia semplice trovare in Basilea 2 un colpevole della nascita della crisi ciò non è corretto sul piano del merito in quanto il seme della crisi è nato in sistemi finanziari, come quello statunitense, che ancora adottavano Basilea 1, inoltre alcuni dei maggiori istituti finanziari che più di tutti

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hanno sofferto la crisi come Northern Rock, Bear Stearns e Lehman Brothers, non applicavano Basilea 24. Nonostante ciò si è ritenuto conveniente rafforzare il framework regolamentare in quanto Basilea 2 venne considerato obsoleto ed inadeguato a tal punto da richiederne una revisione.

Tali innovazioni al framework di Basilea 2 (poi meglio conosciute come Basilea 2.5) si sono indirizzate soprattutto verso una gestione più prudenziale dei rischi di mercato sul portafoglio di negoziazione e dei rischi derivanti da cartolarizzazioni5 che erano stati i principali fattori che avevano causato la crisi.

Tali modifiche sono state tradotte nella direttiva europea conosciuta come Capital

Requirement Directive III (CRD3), entrata in vigore il 31/12/2011, queste le innovazioni

principali:

 VaR Stressato (Stressed VaR): Si tratta di un requisito di VaR aggiuntivo rispetto al VaR tradizionale, basato su un anno di stress finanziario significativo;

 Requisito di Capitale per rischio incrementale (Incremental Risk Charge – IRC): utilizzato per coprire il rischio di credito insito nelle posizioni del portafoglio di negoziazione (trading book), sotto forma di rischi di default e di migrazione;  Comprehensive Risk Measure (CRME): introdotta per coprire i rischi specifici di

default e di migrazione sui portafogli di correlazione;

 Cartolarizzazioni: Tutte le tranche di cartolarizzazioni registrate nel portafoglio di negoziazione devono essere considerate nello stesso modo di quelle registrate nel Banking Book; inoltre il coefficiente di rischio (RW%) applicato alle ri-cartolarizzazioni è stato aumentato.

4 Le Autorità internazionali hanno sostenuto sin da subito che Basilea 2 non fosse da includere tra i fattori scatenanti le tensioni e non hanno smesso di credere in questo framework regolamentare. A conferma di ciò si tenga presente che la prima delle raccomandazioni contenute nel rapporto redatto dal Financial Stability Forum nell’Aprile del 2008 riguarda la necessità di accelerare il processo di implementazione di Basile 2.

5 La Cartolarizzazione è la cessione di attività e/o passività, beni e/o debiti di privati o di crediti di una società (solitamente una banca) definita tecnicamente originator, attraverso cui si costruiscono emissioni con la trasformazione del bene o del debito/credito (securitization) in titoli obbligazionari, che sono poi collocati presso il pubblico. La tecnica finanziaria è definita nel modello originate-to distribute, antitetico al concetto stesso di banca che invece si basa sul modello originate-to-hold. In sostanza con la cartolarizzazione il rischio di credito viene trasferito dalla banca agli obbligazionisti e la banca libera risorse di capitale.

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1.2 LA CRISI DEL 2007-2009 E LA NECESSITA’ DI UN NUOVO

FRAMEWORK REGOLAMENTARE

Nell’Estate del 2007 ha avuto inizio una crisi finanziaria che è stata la più intensa della storia recente. Tale crisi ha suscitato un ampio dibattito sull’effettiva stabilità del sistema finanziario e gli eventi che si sono succeduti negli anni successivi sono stati alla base delle attività condotte dagli organismi internazionali per individuare e promuovere interventi volti a prevenire il verificarsi di episodi analoghi in futuro.

La situazione pre-crisi era rappresentata da una fase di crescita globale, caratterizzata da tassi di interesse reali contenuti, condizioni creditizie favorevoli, ridotta volatilità dei mercati, politiche monetarie espansive, bassi tassi di insolvenza e quindi una limitata percezione del rischio di default. Il basso livello dei tassi di interesse reali ha contribuito ad accrescere il valore attualizzato dei flussi di reddito generati dalle attività fruttifere, innalzando le quotazioni e contribuendo al boom dei prezzi degli immobili e nei mercati azionari. In particolare la bassa percezione del rischio di default ed il costo contenuto del rischio di indebitamento hanno favorito l’espansione del credito, inoltre tale situazione economica positiva ha accresciuto i livelli di tolleranza al rischio degli investitori istituzionali, quali fondi pensione, compagnie di assicurazione e società di gestione del risparmio che hanno adottato strategie sempre più rischiose. Inoltre un contributo fondamentale alla nascita della crisi è stato dato dalla distorsione degli incentivi nei modelli di selezione dei prenditori legati all’affermarsi di un modello di intermediazione creditizia originate-to-distribute (OTD)6. Tale modello nonostante possa generare benefici attraverso una migliore gestione del rischio e l’espansione dei finanziamenti è stato utilizzato in maniera troppo aggressiva come nel caso della cessione di attivi preesistenti (mutui subprime) o del relativo rischio mediante operazioni di securitization o credit derivatives e liberando così parte del capitale impegnato. Il corretto utilizzo della

securitization presuppone di includere prestiti di ottima qualità e non prestiti concessi a

soggetti con scarsa capacità di rimborso, come invece accadde negli USA negli anni precedenti la crisi. Nel modello OTD un ruolo chiave è giocato dalle agenzie di rating, alle quali è demandata la valutazione della qualità degli asset cartolarizzati per orientare

6 Nel modello OTD gli intermediari, anziché mantenere la titolarità dei prestiti erogati fino a scadenza, li cartolarizzano e li collocano sul mercato, tale modello di operatività si contrappone al modello originate-and-hold.

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il comportamento degli investitori. Tuttavia post-crisi si ci accorse come il comportamento di tali agenzie scontasse conflitti di interesse connessi con commissioni elevate percepite per la certificazione della qualità delle operazioni di cartolarizzazione, inoltre a causa della complessità del processo di pricing di tali prodotti strutturati, il mercato non aveva colto la sottovalutazione dei rischi né sanzionato comportamenti collusivi tra agenzie ed intermediari.

Anche grazie alla diffusione del modello OTD si era rafforzata la convinzione che i mercati finanziari fossero talmente liquidi da poter sostenere qualsiasi trasformazione delle scadenze: per gli intermediari la possibilità di smobilizzare nel continuo le attività aveva reso irrilevante la questione liquidità, favorendo la diffusione di strategie di leva e di finanziamento fuori bilancio7. Tuttavia il sistema crollò quando quando il contesto positivo venne meno, ovvero, con la ripresa dei tassi di interesse, dell’inflazione e con la flessione dei prezzi degli immobili che rese molti debitori insolventi ed incapaci di pagare le rate dei mutui, determinando il conseguente crollo della domanda di titoli cartolarizzati, rendendo di colpo illiquido il mercato e facendo crollare il prezzo di tali strumenti finanziari8.

A farne le spese furono come si può ben intuire gli intermediari che avevano portafogli pieni di quote di mutui immobiliari, inoltre l’integrazione tra intermediari mercati e strumenti finanziari a livello globale ha propagato la crisi a livello mondiale.

Il fallimento di diversi intermediari finanziari tra cui Lehman Brothers e i difficoltosi salvataggi di colossi finanziari, quali Bank of America, America International Group (AIG), Citigroup, Fannie Mae, Freddie Mac e Norther Rock hanno messo a dura prova la stabilità del sistema bancario internazionale.

Ai fattori sopra menzionati che hanno contribuito a creare le condizione della crisi va inoltre aggiunto il ruolo della regolamentazione finanziaria, sin da subito posta sul banco degli imputati per non essere stata capace di attutire il propagarsi della crisi. Si è così avviato un ampio processo di riforme, del quale Basilea 3 ne è una tappa fondamentale, anche se non esclusiva in un sistema di vigilanza destinato a cambiare ancora in base alle esigenze future.

7 Nonostante la situazione favorevole riguardo alla liquidità, i rischi connessi ad una sottovalutazione della liquidità erano noti alle Autorità competenti già prima che la crisi avesse il suo corso. A tal riguardo si veda l’intervento del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi all’assemblea ordinaria dell’ABI del 12 luglio 2006.

8 Di fronte all’incremento dei tassi di insolvenza sui prestiti, gli investitori hanno abbandonato il mercato privandolo della liquidità alla quale erano da anni abituati, in questo modo, in assenza di acquirenti i prezzi sono inevitabilmente crollati.

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I punti di debolezza di Basilea 2

A suo tempo Basilea 2 fu pensato per ovviare ad alcune lacune presenti in Basilea 1. Tale accordo fu il primo ad introdurre requisiti patrimoniali bancari, a fronte del crescere d’importanza del sistema finanziario e delle implicazioni dirette che esso aveva sull’economia reale, ma nonostante tutto aveva lasciato aperte alcune questioni su cui Basilea 2 cercò di intervenire, in particolare a Basilea 1 si devono delle distorsioni che rivestiranno durante la crisi un ruolo cruciale come la diffusione di arbitraggi regolamentari e la diffusione delle cartolarizzazioni favorite da un regime regolamentare troppo blando. Inoltre Basilea 1 non considerava gli effetti della diversificazione di portafoglio e non considerava importanti tipologie di rischio (di mercato, operativo, di liquidità).

Nonostante ciò anche Basilea 2 che era stato pensato per risolvere tali problemi non si dimostrò efficace al fine di prevenire la diffusione della crisi. Se da un lato è scorretto attribuire a Basilea 2 la responsabilità della crisi, va tuttavia detto che tale framework regolamentare presentava alcuni punti deboli. A partire dagli anni 80’il ruolo dello stato nella regolamentazione dell’economia era stato progressivamente ridotto traendo insegnamento dall’esperienza anglosassone, nel settore finanziario il pensiero prevalente era quello secondo cui la regolamentazione potesse essere più efficiente quanto più si valorizzasse la prassi degli intermediari, a tal proposito una svolta si ebbe col passaggio a Basilea 2 dove la disciplina prudenziale affidò agli intermediari il compito di predisporre modelli interni di controllo capaci di pervenire ad un’ autonoma valutazione del capitale interno, alle autorità di vigilanza era demandato il compito di valutare la congruità di tali modelli, intervenendo qualora lo avessero ritenuto necessario. Tuttavia le capacità di autovalutazione del capitale interno sono risultate sopravvalutate, mostrando vistosi limiti come il basarsi su dati storici, o l’incapacità di tali modelli nel cogliere l’impatto di eventi catastrofali e infrequenti di ampia portata, ciò ha portato ad una sottovalutazione del capitale operativo necessario ad assicurare una gestione sicura ed efficiente della banca.

Il framework di Basilea 2 mostra quindi alcuni punti di debolezza, per ovvi motivi tuttavia noi ci soffermeremo soltanto su quelli relativi al capitale:

1 Qualità del capitale: Una delle pecche di Basilea 2, è stata quella di avere dato poco

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i grandi gruppi bancari infatti erano tutti sopra il minimo regolamentare, senza tuttavia eccedenze paurose (non ha senso detenere un’eccedenza di capitale paurosa a causa del costo opportunità che ciò comporta per la banca), è chiaro quindi che il problema stava più nella qualità del capitale che nella quantità. Basilea 2 non è intervenuta sulla definizione di Patrimonio di vigilanza, e gran parte del patrimonio di vigilanza era dato da strumenti ibridi o innovativi, cioè strumenti che nella sostanza sono debito, il ricorso preponderante a strumenti del tipo “quasi-equity” a scapito del rafforzamento del capitale di maggiore qualità, ne aveva così compromesso la solidità finanziaria. Tali strumenti davano indubbi vantaggi dal punto di vista tributario di deducibilità fiscale, dal punto di vista del controllo in quanto comportavano una mancata diluizione del controllo degli assetti proprietari ad essi collegati e inoltre davano un mix rischio-rendimento particolarmente allettante per gli investitori istituzionali, tali strumenti hanno quindi annacquato la capacità patrimoniale del capitale di vigilanza, che quando è stato chiamato a dare copertura alle perdite non ce l’ha fatta.

2 La Prociclicità: Nell’apparato regolamentare di Basilea 2 vi era una forte tendenza

alla prociclicità, ossia la tendenza ad accentuare le fluttuazioni caratterizzanti il ciclo economico. Nel passaggio da metodologie standardizzate a metodologie evolute, si ha un passaggio a metodologie RISK SENSITIVE, e ho un capitale assolutamente in linea o quantomeno più correlato all’effettivo grado di rischio. In un impianto regolamentare di questo tipo, che fondamentalmente fa variare il capitale in funzione dei rating interni (e quindi della rischiosità del debitore) la prociclicità è assicurata, ossia in periodi di congiuntura positiva la rischiosità effettiva percepita è bassa, quindi il capitale che devo accantonare a fronte di quel tipo di rischio è contenuto, quindi la banca è propensa a concedere prestiti, purtroppo però in caso di congiuntura economica negativa la percezione del rischio fa sì che aumenti il capitale da accantonare, poiché è più difficile raccogliere nuovo patrimonio durante una recessione, per mantenere le proporzioni tra capitale e attività a rischio, le banche finiscono per concedere meno credito all’economia (credit crunch). Sebbene in un’ottica microprudenziale (ossia riferita al singolo intermediario) il fatto che un intermediario reagisca con la propria offerta in funzione della rischiosità che assume possa rivelarsi ottimale, il problema sorge in ottica macroprudenziale, se, infatti, tutte le banche riducessero l’erogazione dei finanziamenti all’economia reale, questo

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comporterebbe certamente un acuirsi dello stato di crisi in atto, con conseguente incremento del rischio di default dei debitori ed un inasprimento delle criticità a livello sistemico. Basilea 2 sapeva di essere prociclico, ma il contesto non richiedeva nessuna correzione, il problema allora è stato nell’adattamento della regolamentazione allo scenario, ossia nello scollamento tra l’operatività di un framework e l’operatività che il mercato ha9.

Basilea 2 nonostante avesse ambiziosi obiettivi risultò carente in alcuni aspetti come quelli che abbiamo appena menzionato10, anche se come già detto prima, la sua entrata in vigore in forte ritardo e nel bel mezzo della crisi ne attenuano il giudizio negativo. Tuttavia le autorità regolamentari nel varare il framework di Basilea 3 hanno confermato le carenze e le insufficienze del precedente impianto regolamentare.

1.2.1 IL NUOVO REGIME REGOLAMENTARE EUROPEO: CRD IV PACKAGE

Nel dicembre 2010, il Comitato di Basilea ha pubblicato un’ulteriore serie di cambiamenti significativi degli standard globali richiesti dalle banche su capitale e liquidità. Le regole di tale nuova cornice regolamentare denominata Basilea 3 verranno attuate gradualmente (2013-2019) per consentire al sistema bancario di soddisfare i nuovi requisiti e ridurre l’impatto regolamentare sull’economia reale. E’ importante precisare che l’accordo di Basilea 3 non può essere pienamente incorporato alla legislazione dell’Unione Europea (UE), questo accordo infatti non rappresenta di per sé un diritto, ma un insieme di linee guida e standard concordati a livello internazionale, inoltre gli standard di Basilea 3 sono stati sviluppati per le grandi banche attive a livello internazionale mentre la legge europea deve essere applicabile non solo alle istituzioni internazionali interconnesse ma a ciascuna delle 8.300 banche dell'UE, molte delle quali sono nazionali, regionali o di vendita al dettaglio. Per questi motivi è perciò, necessario che il nuovo accordo venga

9 Per una discussione approfondita relativa all’impatto della prociclicità di Basilea 2 vedasi lo studio di impatto condotto da PWC per la Commissione europea, MARKT/2003/02/F Study on the financial and

macroeconomic consequences of the draft proposed new capital re-quirements for banks and investment

firms in the EU, 8 Aprile 2004, par. 8.4.

10 Tra le quali necessita menzionare in particolare il ruolo svolto, nel corso della crisi, dalla manifestazione concreta del rischio di liquidità, e dall’eccessivo sfruttamento della leva finanziaria da parte delle banche. Da ciò l’introduzione da parte di Basilea 3 di un leverage ratio e di due requisiti in materia di liquidità (Liquidity coverage ratio e Net Stable funding Ratio) con l’obiettivo di governare i due summenzionati fattori di rischio non adeguatamente considerati in Basilea 2.

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adattato al contesto europeo. Gli accordi di Basilea 3 sono stati tradotti in legge in Europa tramite una nuova direttiva Europea (Capital Requirements Directive IV- CRD4), che comprenderà un regolamento ed una direttiva, e che andrà a sostituire quella già esistente (CRD3). Il percorso internazionale di Basilea 3 passa ad un livello Europeo attraverso momenti abbastanza ravvicinati:

 Luglio 2011: La Commissione Europea avvia l’attuazione del progetto definito nel Consiglio Europeo del Giugno 2009 relativo all’istituzione di un Single

Rulebook applicabile alle istituzioni finanziarie del mercato unico, ossia di una

disciplina unica e di armonizzazione delle normative prudenziali degli stati membri.

 Aprile 2013: Via libera del Parlamento Europeo alle disposizioni sui requisiti prudenziali.

 27 Giugno 2013: Pubblicazione della CRD IV e del Regolamento sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

La tappa fondamentale di questo percorso è il 27 Giugno 2013, data nella quale vengono pubblicate la Capital Requirement Directive 4 e il Capital Requirement Regulation 411. Basilea 2 arriva in Italia attraverso l’emanazione di una direttiva, che poi doveva essere fatta propria in termini legislativi dal governo, il quale dava delega alla Banca d’Italia per quanto riguardava la definizione degli standard tecnici, con Basilea 3 avviene un cambiamento rilevante, infatti a livello Europeo viene trasposta in due documenti: la CRD4 e il Regolamento. La CRD4, in quanto direttiva deve essere recepita dal singolo stato, invece il Regolamento ha diretta efficacia nei paesi membri. Prevedere un provvedimento legislativo valido per tutti i paesi dell’Unione Europea risponde all’obiettivo dell’armonizzazione. Il Regolamento a differenza della Direttiva conferisce un certo grado di discrezionalità, che è stabilita nel Regolamento stesso.

Il Pacchetto legislativo comprende quindi due distinti Atti Legislativi:

1. Capital Requirement Regulation – CRR- Regolamento (UE) n. 575/2013: che disciplina i requisiti prudenziali che saranno direttamente

applicabili alle banche e alle imprese di investimento che operano nel Mercato Unico. Il CRR ha quindi lo scopo di creare regole armonizzate che

11 Banca d’Italia, Documento per la consultazione, Applicazione in Italia del Regolamento (UE) n.575/2013

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uniformino l’operatività degli intermediari a livello Europeo e diano certezza di diritto per tutti gli operatori del mercato. Esso disciplina gli istituti di vigilanza prudenziale del Primo Pilastro e le regole sull’informativa al pubblico (Terzo Pilastro), include inoltre i principali provvedimenti sul capitale, sulla liquidità, sulla leva finanziaria e sul rischio di controparte. 2. Capital Requirements Directive – CRD IV – Direttiva 2013/36/UE: Tale

direttiva necessita del consueto processo di recepimento negli ordinamenti nazionali, essa contiene disposizioni in materia di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, cooperazione tra le Autorità di vigilanza, requisiti addizionali di capitale, gli aspetti di governance e le eventuali sanzioni.

Le nuove regole, che sono state oggetto di un’ampia consultazione con l’industria bancaria, sono entrate in vigore all’inizio del 2014, tuttavia è stato previsto un periodo transitorio fino al 2019 in modo da consentire un graduale adeguamento dell’operatività delle banche ed evitare un’ulteriore ricaduta a livello economico. Il nuovo accordo di Basilea 3 è stato tuttavia una continuazione ed un rafforzamento del precedente accordo regolamentare (Basilea 2) che aveva evidenziato alcune criticità. Il comitato di Basilea ha infatti mantenuto l’originario impianto regolamentare di Basilea 2 basato su 3 pilastri come descritto precedentemente, tuttavia integrandolo per accrescere quantità e qualità della dotazione patrimoniale, ritenute una delle principali cause del malfunzionamento dell’assetto regolamentare precedente, norme sulla gestione della liquidità e sul contenimento della leva finanziaria che avevano svolto un ruolo primario nello svilupparsi della crisi12.

1.2.2 LE MODIFICHE DI BASILEA 3 AL SISTEMA DI ADEGUATEZZA PATRIMONIALE: PIU’ CAPITALE DI QUALITA’ PIU’ ELEVATA

L’articolato sistema di provvedimenti che compongono Basilea 3 è volto a rafforzare i presidi a tutela della stabilità del settore bancario e più in generale finanziario, incidendo sia su una dimensione microprudenziale, quindi sul singolo operatore, sia su una dimensione macroprudenziale, in quanto si è capito che non è possibile prescindere da

12 A.Resti, A.Sironi, La crisi finanziaria e Basilea 3: origini, finalità e struttura del nuovo quadro

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tale connessione se si vuole aumentare la resilienza del sistema finanziario nel suo complesso e garantire una certa stabilità.

Tra tutte le novità e modificazioni del nuovo impianto regolamentare sono da ricordare:

1. Un rafforzamento Patrimoniale consistente tramite:

i. L’innalzamento della qualità del capitale regolamentare; ii. L’ampliamento della copertura dei rischi;

iii. L’aumento dei requisiti patrimoniali minimi;

iv. La Promozione dell’accantonamento di risorse patrimoniali aggiuntive nelle fasi di congiuntura economica positiva;

2. Il contenimento della leva finanziaria, con l’introduzione di un Leverage Ratio, essa è una misura del patrimonio (Il numeratore è il Tier 1) divisa per una misura dell’esposizione (Total Assets), ed è espressa in termini percentuali;

3. La definizione e l’introduzione di nuovi standard di Liquidità, con l’introduzione di due requisiti in materia di liquidità:

i. Liquidity coverage ratio: indicatore di breve termine; ii. Net Stable funding ratio: indicatore strutturale;

Volendo in questa sede concentrarci sulle tematiche relative al capitale, va ricordato che il miglioramento della quantità del capitale regolamentare è volto ad aumentare la capacità delle banche di assorbire le perdite sia in caso di continuità aziendale (going

concern), sia nell’eventualità di una liquidazione dell’intermediario (gone concern)13.

Tale obiettivo viene perseguito sia attraverso la ricomposizione del capitale delle banche a favore di azioni ordinarie e riserve di utili (common equity) al netto di una lista ampliata e armonizzata di elementi da dedurre, sia tramite l’adozione di criteri più stringenti per la computabilità degli altri strumenti di capitale. E’ stata inoltre effettuata l’eliminazione del Tier 3, componente supplementare che era costituita dai prestiti subordinati a breve scadenza, e vi è stato anche un irrigidimento dei criteri per l’imputazione degli elementi a Tier 1 e Tier 2.

Basilea 3 inoltre amplia anche la disciplina della copertura dei rischi con riferimento ad attività di trading, cartolarizzazioni, esposizioni verso veicoli fuori bilancio e rischi di controparte su derivati, a causa del ruolo determinante svolto da quest’ultimi nello

13 Comitato di Basilea per la Vigilanza bancaria, Basilea 3, Schema di regolamentazione internazionale

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sviluppo ed espansione della crisi dei mutui sub-prime. Infatti al fine di prevenire che in futuro le banche si trovino a detenere ingenti quantità di prodotti creditizi complessi e illiquidi di difficile valutazione in bilancio senza però di contro disporre di quantità di capitale proporzionale al rischio assunto, sono state introdotte modifiche volte ad inasprire i requisiti patrimoniali per le cartolarizzazioni complesse, innalzare le ponderazioni di rischio sulle esposizioni connesse a operazioni di ricartolarizzazione, e imporre alle banche di effettuare analisi più rigorose delle posizioni in cartolarizzazioni con rating esterni.

Rispetto alla normativa precedente, per quanto riguarda la suddivisione dei mezzi propri viene introdotto ufficialmente il concetto di Core Tier 1 Capital (o Common Equity) che, sommato all’Additional Tier 1 Capital e Tier 2 Capital (Patrimonio Supplementare), fornisce il Total Capital. Inoltre, mentre Basilea 2 si focalizzava soprattutto sul Total Capital, in Basilea 3 assume un ruolo centrale il Common Equity Tier 1, che rappresenta il capitale di qualità più elevata. Per quanto riguarda la maggiore quantità di capitale, i requisiti sono riassunti come segue (importi a regime, non tenendo conto della gradualità dell’attuazione, per le tempistiche di attuazione guardare la tabella 1.1):

 Il requisito minimo per il Common Equity Tier 1 (CET1) è stato aumentato dal 2% (nonostante non sia stato definito formalmente esso è desumibile dalla massima quantità di Additional Tier 1 nel Tier 1) al 4,5% dei RWAs14;  L’introduzione di un ulteriore requisito di “Conservazione del Capitale”

(Capital Conservation Buffer), costituito esclusivamente da CET1, del 2,5% per assicurare che le banche accumulino capitale durante periodi favorevoli, che saranno disponibili nei momenti di mercato avversi;

14 Le attività ponderate per il rischio, o Risk-Weighted Assets (RWA), rappresentano la sintesi dei principali fattori di rischio riconducibili a una data attività finanziaria. Tali fattori vengono contemplati allo scopo di “correggere” il valore nominale dell’attività in modo da poter esprimere una più appropriata misurazione del suo valore. La logica di inclusione del rischio all’interno del valore degli assets è quella di attribuire un coefficiente di ponderazione via via crescente all’aumentare della rischiosità stessa, in modo che il calcolo produca un incremento degli RWA all’aumentare del rischio delle attività, e via via decrescente al diminuire di essa. L’ammontare degli RWA influenza quindi l’entità del patrimonio che le banche dovranno detenere per soddisfare i requisiti di adeguatezza patrimoniale richiesti dal Comitato di Basilea. Essi fanno sì che una parte del patrimonio - quella che deve essere accantonata a fronte degli impieghi rischiosi - diventi di natura indisponibile (non può cioè essere impiegata in attività rischiose). La banca dovrà quindi coprire con del patrimonio di base una determinata percentuale dei propri RWA, la quale aumenterà al crescere dei rischi assunti.

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 Considerando il requisito minimo di CET1 e Capital Conservation Buffer, la regolamentazione introduce quindi direttamente nel Primo Pilastro un requisito del 7%, anziché lasciarlo nel Secondo Pilastro;

 I requisiti minimi per il Tier 1 Capital e per il Total Capital sono stati innalzati rispettivamente dal 4% all’8,5%, e dall’8% al 10,5%;

 Gli strumenti di Capitale emessi negli anni precedenti, che erano qualificati come non-core Tier 1 e come Tier 2, che però non presentano le caratteristiche per la computabilità in Basilea 3), saranno ammortizzati gradualmente in un arco di 10 anni a partire dal 2013, mentre gli strumenti del Tier 3 verranno progressivamente eliminati;

Tabella 1.1 La Timeline di introduzione dei livelli minimi di capitale in Basilea 3

Gen-14’ Gen-15’ Gen-16’ Gen-17’ Gen-18’ Gen-19’

Minimum Common Equity Ratio (a) 4,000% 4,500% 4,500% 4,500% 4,500% 4,500%

Capital Conservation Buffer (b) 0,625% 1,250% 1,875% 2,500%

Minimum Common Equity + Capital

Conservation Buffer (a)+(b) 4,000% 4,500% 5,125% 5,750% 6,375% 7,000% Minimum Tier 1 Capital Ratio (c) 5,500% 6,000% 6,000% 6,000% 6,000% 6,000%

Minimum Total Capital Ratio (d) 8,000% 8,000% 8,000% 8,000% 8,000% 8,000% Minimum Tier 1 Capital Ratio +

Minimum Total Capital Ratio (c)+(d) 8,000% 8,000% 8,625% 9,250% 9,875% 10,500%

In termini di migliore qualità del capitale, al fine di garantire parità di condizioni concorrenziali (“Level playing field”) tra le banche europee, le deduzioni dal capitale e i filtri prudenziali sono stati armonizzati intenzionalmente e sono stati applicati a livello del Common Equity Tier 1 Capital, tali deduzioni saranno analizzate nello specifico più avanti in un paragrafo dedicato.

Traendo insegnamento dalla passata crisi che è stata preceduta da un periodo di crescita eccessiva del credito che ha poi dato il via allo svilupparsi della crisi stessa, il comitato ha inoltre introdotto il Countercyclical Buffer (Buffer Anticiclico), da introdursi gradualmente, dal 2016 al 2019, in modo da assicurarsi che i requisiti di capitale tengano conto del contesto economico e finanziario nel quale operano. Tale buffer viene introdotto dalle autorità di vigilanza a seguito di un periodo di crescita eccessiva del credito che

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possa indurre all’insorgenza di un rischio sistemico. All’interno di ogni stato verrà identificata un’autorità con il compito di prendere decisioni per quanto riguarda l’entità di tale buffer anticiclico, quest’ultimo potrà variare tra lo 0 e il 2,5% dei RWAs, a seconda del giudizio delle autorità in merito alla situazione economica, e al ricorrere di particolari situazioni che analizzeremo in seguito in un paragrafo dedicato a tale Buffer.

Le regole di Basilea 3 sul capitale prevedono inoltre un regime transitorio per l’applicazione delle disposizioni in materia di patrimonio di vigilanza e di riserve di capitale (buffer) a partire dal 2013 con un periodo di transizione che si concluderà nel 2018, in modo tale da dare alle autorità nazionali il tempo sufficiente per recepire i nuovi principi e alle banche la possibilità di abituarsi al nuovo assetto normativo senza intralciare la ripresa economica. Il regime transitorio relativo al capitale riguarda:

 Il patrimonio di vigilanza dove si prevede un phasing in nella maggioranza dei casi articolato in 4 anni, a partire da Gennaio 2014, (in alcuni casi sono però previsti periodi transitori più lunghi);

 GRANDFATHERING: Per quanto riguarda gli strumenti di capitale non più ammessi al patrimonio Tier 1 diverso dal Common Equity o al patrimonio Tier 2 verranno gradualmente esclusi dalla nuova definizione di Fondi Propri utile a fini della vigilanza entro il 31 Dicembre 2021;

 La disciplina riguardante le due riserve di capitale (capital conservation buffer e

counter-cyclical capital buffer) si applicherà in maniera graduale a partire dal

2016, ed entrerà in vigore definitivamente nel 201915.

La normativa comunitaria consente inoltre alle autorità nazionali di imporre requisiti più restrittivi ove ritenuto appropriato in funzione delle circostanze locali e delle condizioni economiche correnti e, analogamente, di accelerare, in tutto o in parte l’entrata in vigore della nuova disciplina se ciò venga ritenuto opportuno. In particolare, il CRR indica, per ciascun anno del periodo transitorio, valori percentuali minimi e massimi da applicare alle singole voci da escludere/includere nel patrimonio di vigilanza.

15 La direttiva tuttavia consente alle autorità competenti di anticipare l’entrata in vigore delle due riserve di capitale. Con particolare riferimento al capital conservation buffer (CCB), gli Stati membri possono decidere di applicare sin dal 1° gennaio 2014 l’intera riserva di capitale (pari al 2,5% degli RWA) ovvero di seguire il phasing-in ordinario, che avverrebbe gradualmente a partire dal 2016.

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1.3 LE DISPOSIZIONI NAZIONALI E LA CIRCOLARE 285 DEL 17

DICEMBRE 2013

Il pacchetto comunitario relativo a Basilea 3 si colloca al 27 Giugno 2013, Banca d’Italia si ritrova quindi come tutti gli altri organi di vigilanza a non avere molto tempo per gestire la situazione dato che entro il 31 dicembre 2013 le competenti autorità dei singoli stati membri avrebbero dovuto recepire nei singoli ordinamenti la Direttiva CRD IV, d’altro canto a differenza del passato le discrezionalità nazionali sono fortemente contenute in quanto condizionate da una logica di armonizzazione e di convergenza a livello Europeo. Andiamo adesso ad analizzare le tappe principali prima di arrivare alla Circolare 285 che diventa in relazione alla normativa Europea, il riferimento nazionale del contenuto dell’adeguatezza patrimoniale delle banche.

Banca d’Italia agisce tramite la predisposizione di documenti di consultazione: il primo è del 6 Agosto 2013, che illustra l’insieme degli interventi che la stessa Autorità intende compiere per dare applicazione alla nuova legislazione europea in materia di vigilanza prudenziale delle banche e delle SIM16 introdotta con il Regolamento e la Direttiva. Da qui seguono altri provvedimenti: uno, quello che più ci interessa, del 5 Novembre 2013, che riguarda le scelte relative al regime transitorio in materia di fondi propri e buffer di capitale17, accompagnato da una Relazione d’impatto, in questo modo viene abbinata alla previsione prudenziale uno studio che vada a quantificare l’effetto che tale previsione produrrà, l’altro documento relativo ad altri ambiti disciplinari (governo societario, remunerazioni/incentivi e sanzioni. L’ultimo passo prima del documento definitivo è rappresentato dalla Consultazione del 27 Novembre 2013, in questo contesto non viene però operata alcuna analisi d’impatto a causa dell’imminente scadenza del recepimento. Si arriva quindi alla Circolare 285 del 17 Dicembre 2013 “Disposizioni di vigilanza per

le Banche”, che entra in vigore il 1° Gennaio 2014 al pari dell’operatività del CRR, essa

contiene la disciplina prudenziale delle banche e dei gruppi bancari per la trasposizione nell’ordinamento italiano della Direttiva 2013/36/UE nonché le note di orientamento e chiarimento tendenti a facilitare l'applicazione del Regolamento (UE) n. 575/2013. Tale

16 Le Società di Intermediazione Mobiliare (in acronimo SIM), in Italia, sono società per azioni che svolgono l'attività di intermediazione mobiliare (non svolgono però, a differenza delle banche, intermediazione creditizia).

17 Banca d’Italia, Documento di consultazione, Scelte normative relative al regime transitorio, 5 Novembre 2013.

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Circolare a differenza di quella che recepiva Basilea 2 si presenta con molti rinvii, inoltre c’è da sottolineare il fatto che tutto l’output regolamentare è il frutto di una concertazione di operato da parte di più autorità: ad esempio, la Direttiva investe l’EBA18 (European

Banking Authority) del compito di definire quelle che sono le technical standards

(“Standard Tecnici”) che la Commissione Europea emana attraverso dei regolamenti applicabili negli stati membri il tutto sotto una logica di armonizzazione volta a realizzare un single rulebook (sistema omogeneo di regole) in tutti i paesi dell’UE.

E’ bene precisare che questa Circolare non si limita a un’opera di mero adattamento alle disposizioni sovraordinate, bensì si cerca di riordinare le vigenti disposizioni di vigilanza per le banche nelle aree rimesse alla potestà regolamentare secondo Banca d’Italia, raccogliendo in un solo fascicolo le disposizioni contenute in vari testi normativi. Al fine di assicurare un quadro normativo il più possibile chiaro, completo e aggiornato la nuova Circolare è articolata in più parti (tralasceremo la parte 4 in quanto riguardante intermediari particolari, riferita al prodotto Bancoposta che non rientra negli argomenti trattati in questa sede), caratterizzate da impostazioni differenti in funzione della fonte normativa a cui si fa riferimento, che riflettono la diversa ampiezza e natura dei poteri regolamentari esercitabili dalla Banca d'Italia19 e nella quale confluirebbero:

1. Parte Prima - Recepimento della CRD IV:

Nella prima parte si trova tutto quello riguardante l’accesso al mercato, la struttura, l’autorizzazione all’attività. Molto rilevante è la disciplina delle riserve di capitale (da non confondere con i fondi propri) che hanno la mission di contrastare la prociclicità, segue poi il processo di controllo prudenziale (ICAAP e SREP) e infine il Governo societario;

2. Parte Seconda - Disciplina attuativa del CRR:

18L’European Banking Authority (Autorità bancaria europea) è un'autorità indipendente dell'Unione europea (UE), che opera per assicurare un livello di regolamentazione e di vigilanza prudenziale efficace e uniforme nel settore bancario europeo. Gli obiettivi generali dell'Autorità sono assicurare la stabilità finanziaria nell'UE e garantire l'integrità, l'efficienza e il regolare funzionamento del settore bancario il compito principale dell'EBA è contribuire, attraverso l'adozione di norme tecniche vincolanti e orientamenti, alla creazione del corpus unico di norme del settore bancario. Il corpus è inteso a fornire un'unica serie di norme prudenziali armonizzate per gli istituti finanziari in tutta l'UE, che consentano di assicurare condizioni di parità e una tutela elevata dei depositanti, degli investitori e dei consumatori. L'Autorità svolge un ruolo fondamentale anche nel promuovere la convergenza delle pratiche di vigilanza per garantire un'applicazione armonizzata delle norme prudenziali. L'EBA ha altresì l'incarico di valutare il rischio e le vulnerabilità presenti nel settore bancario dell'UE, in particolare attraverso relazioni periodiche di valutazione dei rischi e prove di stress su scala paneuropea.

19 Banca d’Italia, Documento di consultazione, Applicazione in Italia della Direttiva 2013/36/UE, 27 Novembre 2013.

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La parte più significativa di Basilea 3 è sicuramente la seconda. Qui vi è contenuta la disciplina attuativa del CRR, la disciplina dei Fondi Propri, i Requisiti Patrimoniali, Grandi Esposizioni (>10% patrimonio), Liquidità, Leva finanziaria Informativa al pubblico e le Disposizioni transitorie sui fondi propri. In questa parte, inoltre sono presenti i rinvii al CRR come anche le discrezionalità nazionali e infine vengono individuate le unità organizzative responsabili e i termini dei procedimenti amministrativi che fanno fonte normativa diretta nel CRR;

3. Parte Terza - Altre disposizioni di vigilanza non armonizzate:

Tali disposizioni vertono su materie e tipologie di rischi non disciplinate né dalla direttiva né dal regolamento. Sono riconducibili, in alcuni casi, a standard internazionali di vigilanza bancaria che non formano oggetto di armonizzazione in ambito europeo ma che, al tempo stesso, non contrastano con norme comunitarie. Esse sono, perciò, necessarie per rendere il sistema regolamentare italiano allineato alle migliori prassi e ai requisiti stabiliti dagli organismi internazionali.

Banca d’Italia ha seguito un percorso di rafforzamento del patrimonio delle banche dando un messaggio positivo al mercato cercando di cogliere quegli elementi di flessibilità che il processo di adeguamento agli standard di Basilea 3 permetteva. A tal fine ha fissato il livello minimo di common equity T1 al 7%, a tale risultato si è arrivati grazie alla scelta di Banca d’Italia di posizionare il common equity al 4,5% (banda di oscillazione 4-4,5%), inoltre viene stabilito il livello della riserva di conservazione del capitale, atta a contrastare la prociclicità, pari al 2,5% (Quindi 4,5+2,5= 7%). Stabilendo ciò Banca d’Italia fa una scelta forte e decisa per dare un segnale al mercato circa la stabilità e l’adeguatezza patrimoniale degli intermediari bancari nazionali. Inoltre per non mettere troppo in difficoltà gli intermediari nazionali, l’autorità di vigilanza per quanto rigurda la non computabilità degli strumenti finanziari degli strumenti ibridi e innovativi di capitale non vieta immediatamente la computabilità degli stessi, ma adotta un processo di

Grandfathering, ossia gli strumenti di capitale a regime non più compatibili nel

patrimonio vengono esclusi gradualmente. Le disposizioni della Circolare sono dettate tenendo conto degli standard internazionali del Comitato di Basilea, degli orientamenti e raccomandazioni dell’EBA (European Banking Authority), dei risultati delle analisi d’impatto e delle consultazioni condotte, con l’obiettivo di dotare il sistema finanziario italiano di una regolamentazione di elevata qualità sotto il profilo dell’efficacia rispetto

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alle finalità di vigilanza, della chiarezza per gli operatori e di rendere le banche italiane competitive in ottica internazionale con una normativa all’avanguardia.

1.4 LA NUOVA DEFINIZIONE DI FONDI PROPRI

Quando si parla di Fondi Propri si deve necessariamente partire dall’esercizio della discrezionalità nazionale, che vede le banche italiane a partire dal 1° Gennaio 2014 al 31 Dicembre 2014 rispettare:

 Un Coefficiente di capitale primario di classe 1 (dato dal rapporto tra il capitale primario di classe 1 e le attività ponderate per il rischio) del 4,5%;

 Un Coefficiente di capitale di classe 1 (dato dal rapporto tra il capitale primario di classe 1 e le attività ponderate per il rischio) pari almeno al 5,5%, si noti in questo caso che non si è andati sul livello più alto del 6% consentito dalla disposizione comunitaria;

 Un Coefficiente di capitale totale (dato dal rapporto tra patrimonio di vigilanza e le attività ponderate per il rischio) dell'8 %;

Tabella 1.2 Calibrazione dello Schema Patrimoniale

REQUISITI PATRIMONIALI E

BUFFER

(In percentuale degli RWA)

COMMON EQUITY

(al netto delle deduzioni) PATRIMONIO DI BASE (TIER 1) PATRIMONIO TOTALE REQUISITO MINIMO 4,5 6 8 CAPITAL CONSERVATION BUFFER 2,5 MINIMO + CAPITAL CONSERVATION BUFFER 7 8,5 10,5 COUNTERCICLYCAL BUFFER 0 – 2,5 G-SIFIs BUFFER 0 – 3,5

Nella Tabella sono riassunti i requisiti patrimoniali di qualità elevata, oltre alle due componenti già menzionate (CET1 e TIER 1) vediamo che un ruolo importante è svolto dalle due riserve di capitale, una obbligatoria (Capital Conservation Buffer) e un’altra

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soltanto eventuale la cui introduzione e l’ammontare (che varia tra 0 e 2,5%) sono lasciate alla discrezionalità della Banca d’Italia e dipendono dalla situazione economica del momento. Merita inoltre menzione il Buffer ulteriore imposto alle SIFIs20, ossia le grandi Banche che a fronte del loro rischio sistemico sono gravate da un ulteriore requisito patrimoniale compreso tra lo 0 – 3,5%, infatti dato il ruolo giocato da tali istituzioni e l’influenza negativa che potrebbero avere in caso di fallimento sull’economia reale, si è deciso, anche a fronte degli esiti catastrofici derivati dai fallimenti di grosse istituzioni come Lheeman Brothers nella scorsa crisi, di tutelarsi prevedendo requisiti addizionali di capitale di qualità elevata (CET1), il cui ammontare sarà determinato dal grado di rischio sistemico che ciascuna banca è in grado di generare21.

Banca d’Italia ha spiegato tale scelta, partendo dalla relazione d’Impatto che ha accompagnato il documento di consultazione del 5 Novembre 2013. L’Autorità di vigilanza cerca di simulare le conseguenze delle scelte che avrebbe potuto compiere, confrontandosi direttamente con gli intermediari, essa si è dimostrata in tale frangente molto disponibile a confrontarsi con il sistema bancario, il quale presenta diverse eterogeneità, soprattutto a livello dimensionale, dove coesistono banche di dimensioni importanti vocate all’internazionalizzazione, e banche più modeste vocate al localismo. Banca d’Italia ha quindi cercato di giungere ad una conclusione il più condivisa possibile anche alla luce dell’eterogeneità del sistema bancario italiano, per far ciò ha sottoposto a consultazione inizialmente tre opzioni regolamentari, successivamente ridotte a due, in quanto la terza è stata scartata in quanto ritenuta troppo blanda e flessibile e avrebbe causato un minor sforzo per gli intermediari.

La prima opzione prevedeva a partire dal Gennaio 2014, una piena applicazione della disciplina sul capitale a regime, quindi in sostanza si prevedeva una mancanza di flessibilità nella disciplina delle deduzione e degli aggiustamenti. Nel momento in cui si vanno a toccare le deduzioni si introduce una novità, infatti, se prima le deduzioni

20 Acronimo di Systemically Important Financial Institutions con cui si indicano le banche o le istituzioni finanziarie “too big to fail” (troppo grandi per fallire), quelle cioè di “interesse sistemico”. Il fallimento di realtà di questo tipo avrebbe effetti incontrollabili e certamente molto negativi sul sistema economico-finanziario globale. Il Financial Stability Board ha identificato trenta aziende di credito sistemiche a livello globale (nel novembre del 2015), la lista però verrà continuamente monitorata e aggiornata, quindi la sua composizione potrà cambiare nel corso degli anni.

21 Per un approfondimento riguardante la regolamentazione sulle SIFIs ulteriore rispetto ai requisiti addizionali di capitale, si veda il documento del Financial Stability Board, Policy Measures to Address

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