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Modalità di formulazione dei contenuti informativi: la previsione

2.4 La Nuova Tutela dei consumatori: il d.lgs 21/2014

3.1.3 Modalità di formulazione dei contenuti informativi: la previsione

Il Codice del consumo dedica particolare attenzione al tema dell’informazione ai consumatori nel Titolo II della Parte II164.

Gli obblighi generali di informazione sono disciplinati dall’art. 5 del Titolo II, al Capo I. La norma prevede: «1. Fatto salvo quanto disposto dall’art. 3, c. 1º, lett. a), ai fini del presente titolo, si intende per consumatore o utente anche la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali. 2. Sicurezza, composizione e qualità dei prodotti

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L’art. 52, comma 1, Cod. cons. in materia di contratti «a distanza» prevede, tra le informazioni da trasmettere al consumatore, anche quelle relative al «prezzo del bene o del servizio, comprese tutte le tasse o le imposte» [lett.c)]; le «spese di consegna» [lett.d)]; l’art. 7, comma 1, d. lgs n. 70 del 2003, in materia di «commercio elettronico» prevede l’obbligo di indicare « in modo chiaro ed inequivocabile» i prezzi e le tariffe dei diversi servizi, «evidenziando se comprendono le imposte, i costi di consegna ed altri elementi aggiuntivi da specificare»; in materia di «commercializzazione a distanza di servizi finanziari», si prevede che il consumatore riceva, «in tempo utile» prima di essere «vincolato da un contratto a distanza», informazioni relative al «prezzo totale» che dovrà sostenere, compresi tutti i relativi «oneri, commissioni e spese e tutte le imposte versate tramite il fornitore». Se impossibilitato ad indicare il prezzo esatto, il professionista deve comunicare «la base di calcolo del prezzo, che consenta al consumatore di verificare quest’ultimo» [art. 5, comma 1, lett. b), d. lgs n. 190 del 2005].

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Cfr. P. STANZIONE,A.MUSIO (a cura di), Tutela del consumatore, Trattato Bessone, Torino, 2009.

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e dei servizi costituiscono contenuto essenziale degli obblighi informativi. 3. Le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore».

Nella previsione del c. 1º il legislatore fornisce – ai fini della materia disciplinata – una ulteriore definizione di consumatore, che si affianca a quella cui rimanda, contenuta nel precedente art. 3, c. 1º, lett. a)165, e, ampliando altresì le implicazioni connesse, discorre della «persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali».

La previsione dell’art. 5, c. 2º, Cod. cons. specifica che il contenuto essenziale degli obblighi informativi è costituito dalle notizie concernenti, nell’ordine, la sicurezza, la composizione e la qualità dei prodotti.

Innanzitutto il bene acquistato dal consumatore deve consentire l’uso nella garanzia di adeguate condizioni di sicurezza, e che quindi non deve da esso derivare alcun pregiudizio alle cose o alle persone: tanto più che, tra i diritti fondamentali riconosciuti all’utente fin dalla legge n. 281/1999, il diritto alla salute ed all’integrità fisica è l’unico già tutelato dalla nostra Carta costituzionale, anche all’art. 41, che – in ambito specificamente commerciale – al c. 2º sancisce che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Quindi la tutela del consumatore deve concretizzarsi in una disciplina normativa atta ad impedire che dalla commercializzazione di prodotti o servizi possano derivare conseguenze negative per la salute, l’integrità fisica e/o il patrimonio dell’individuo: per tale ragione ogni fase, dalla produzione alla immissione sul mercato del bene di consumo, deve essere idoneamente regolamentata.

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Art. 3, c. 1º, lett. a) Cod. cons.: Ai fini del presente codice si intende per: a) consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

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Inoltre, va considerata oltre alla sicurezza di un prodotto, la sua idoneità allo scopo per il quale è stato acquistato. Ciò è ben chiaro anche nella norma – e nella fonte comunitaria- del d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224, che, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183, rubricata: Prodotti difettosi, ha attuato nell’ordinamento italiano la direttiva n. 85/374/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi166.

Il legislatore ha rivolto una particolare sensibilità al tema della sicurezza alimentare: si tratta di una normativa in costante evoluzione, data la molteplicità degli interventi comunitari e dei relativi provvedimenti in attuazione167.

La previsione dell’art. 5, c. 3º, Cod. cons. specifica le modalità di formulazione delle informazioni168. Esse devono essere fornite in modo «chiaro» e «comprensibile». L’espressione richiama l’art. 35, comma 2 del Codice del consumo in materia di clausole abusive, e, precedentemente, l’art. 1469 - quater c.c.

Chiarezza del dettato significa che le clausole non debbono essere oscure – come le qualifica l’art. 1371 c.c. – o ambigue - come le qualifica sempre il codice civile all’art. 168, commi 1 e 2. Il testo deve dunque essere formulato in modo da non creare problemi interpretativi. Se l’informazione

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Tra l’altro, il d.p.r. citato all’art. 5 specifica che un prodotto è da considerarsi difettoso quando non offre la sicurezza che legittimamente si può pretendere, tenuto conto delle varie circostanze, tra le quali: a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

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Un ruolo essenziale nella politica europea della sicurezza alimentare è quello svolto – rispettivamente – dal Libro Verde sui principi generali della legislazione in materia alimentare nell’Unione Europea, presentato dalla Commissione il 30 aprile 1997, pochi mesi dopo l’adozione del regolamento n. 258/1997, e dal Libro bianco sulla sicurezza alimentare, presentato dalla Commissione il 12 gennaio 2000.

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In tal senso, cfr. L. DI DONNA, Obblighi informativi precontrattuali, Vol. I. La tutela del consumatore, Milano, 2008, pg. 40.

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è contenuta in una clausola e risulta ambigua, tuttavia, ove non sia possibile interpretarla contra proferentem, e quindi darle un significato utile, la conseguenza è la nullità della clausola, da cui deriva la lacuna nell’informazione dovuta dal professionista al consumatore.

L’informazione deve essere adeguata, e quindi anche se non si può far carico al professionista di ragguagliare il consumatore in tutti i possibili aspetti relativi al prodotto o al servizio – perché già si devono comunicare solo i dati essenziali – l’informazione non può essere carente. La formula, prospettata a guisa di clausola generale, è ampia e discrezionalmente valutabile ma il testo provvede l’interprete di alcuni riferimenti concreti a circostanze , esemplificative, che si riferiscono a: 1) modalità di conclusione del contratto, 2) caratteristiche del settore, 3) consapevolezza del consumatore.

La consapevolezza deve essere intesa in senso oggettivo; tuttavia, il Codice del consumo in varie sue regole si preoccupa dei consumatori più deboli (come gli anziani, i minori, i portatori di handicap), e pertanto l’informazione, quando abbia come destinatari, per la natura del prodotto o del servizio, soggetti appartenenti a queste categorie, sarà valutata alla stregua del modello medio che esse rappresentano.

L’«adeguatezza alla tecnica», di cui all’art. 5, comma 3, lascia intendere che se il professionista fa uso di tecnologie informatiche riguardanti anche le informazioni preliminari debbono essere nella medesima forma; ma non si richiede la forma scritta, salvo che questa non sia oggetto di specifico obbligo, nell’ambito delle discipline sociali.

Il Codice del consumo non reca particolari disposizioni in merito alla forma con cui devono essere trasmesse le informazioni al consumatore tuttavia, l’art. 6 «Contenuto minimo delle informazioni» lascia intendere che «per i prodotti o le confezioni dei prodotti di cui si debbono dare informazioni riguardanti a) la denominazione legale o merceologica del prodotto, b) il nome o la ragione sociale o il marchio, la sede legale del produttore o dell’importatore, c) il Paese d’origine se situato fuori dall’Unione Europea, d) la presenza di materiali che possano arrecare danno all’uomo, alle cose o all’ambiente, e) i materiali impiegati ed i metodi di lavorazione, se rilevanti per la qualità o le caratteristiche

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merceologiche del prodotto, f) le istruzioni e le precauzioni d’uso ai fini della fruizione e della sicurezza dei prodotti, la forma deve essere necessariamente scritta. Tutta la disciplina delle etichette è ispirata a questo principio169.