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Le pratiche commerciali aggressive

3.3 Le pratiche commerciali scorrette

3.3.3 Le pratiche commerciali aggressive

La sezione II del Capo II del Titolo III della Parte II del d. lgs. 206/2005 è incentrata sulle pratiche commerciali aggressive203.

L’art. 24 dispone che una pratica commerciale è considerata aggressiva se «Nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso». Si differenziano, dunque, queste dalle pratiche commerciali ingannevoli che producono lo stesso effetto sul consumatore attraverso però informazioni false.

Le pratiche aggressive minano la libertà di scelta del consumatore tramite l’adozione di condotte, anche fisiche, volte ad estorcere il suo consenso e, inoltre, implicherebbero sempre un contatto diretto e personale, ravvicinato o a distanza, tra consumatore e professionista.

Le pratiche commerciali ingannevoli, al contrario, prescinderebbero dal contatto con il consumatore, influenzando il processo di formazione della volontà dello stesso mediante tecniche di convincimento basate sulla falsa informazione o sull’omissione204.

Il successivo art. 25 (attuativo dell’art. 9 della direttiva), dedicato – così la rubrica – al “Ricorso a molestie coercizione o indebito condizionamento”, specifica che nel determinare se una pratica commerciale comporta molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi205:

203

Cfr. anche se con riferimento al testo della direttiva, A. PALLOTTA, Le pratiche commerciali aggressive, in E. MINERVINI,L.ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Milano, 2007, 167 ss.

204

V. CUFFARO (a cura di), Codice del Consumo, cit., p. 142.

205

Cfr. E. GUERINONI, Le pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, Milano, 2010.

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« a) i tempi, i luoghi, la natura o la persistenza; b) il ricorso alla minaccia fisica o verbale;

c) lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto;

d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista;

e) qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione sia manifestamente temeraria o infondata».

Si tratta di un ampio ventaglio di fattispecie di differente gravità, che variano dalla semplice insistenza eccessiva del professionista fino alle ipotesi della violenza morale (minaccia) e fisica. Nonostante l’evidente ampiezza due sarebbero gli elementi comuni che caratterizzano tutte le pratiche commerciali aggressive: uno di carattere strutturale, consistente negli atti di molestia e coercizione, un altro di carattere funzionale, rappresentato dall’idoneità della pratica di far assumere al consumatore una decisione di natura commerciale che diversamente egli non avrebbe altrimenti preso206.

Per dettagliare questo tipo di pratica commerciale sono rinvenibili tre diverse tipologie a seconda che l’elemento strutturale sia riferibile alla “molestia”, alla “coercizione” e all’“indebito condizionamento”.

In merito alle “molestie”, si ritiene che queste debbano essere individuate con riguardo allo spirito e alle funzioni di cui alla normativa in esame, senza, quindi, alcun riferimento, a nozioni analoghe proprie di altri settori dell’ordinamento207. Nell’ambito della nuova disciplina si è così

206

L. LA ROCCA, sub. Art. 24, in V. CUFFARO, Codice del consumo, cit. 141, la quale riprende L. DI NELLA,Le pratiche commerciali sleali “aggressive”, in G. DE CRISTOFARO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, Torino, 2007, 230.

207

Quali ad esempio, quella di cui all’art. 1170 c.c., in tema di azioni di manutenzione, o di quelle previste dagli art. 659 e 660 c.p., in tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone e della molestia o disturbo delle persone.

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ritenuto che «le pratiche aggressive moleste consistono in quei comportamenti che, per modalità, tempo, luogo e durata devono essere potenzialmente o attualmente idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio, in relazione al prodotto, ed avere la capacità di indurre, in potenza o in atto, ad assumere decisioni commerciali non volute208».

Facendo riferimento alla “coercizione”, questa viene identificata in dottrina in una pressione molto penetrante accompagnata da quanto meno velate minacce ovvero in minacce verbali o costrizioni fisiche; in particolare si è sostenuto che «le minacce verbali possono avere ad oggetto, ad esempio, la prospettazione di mali ingiusti inflitti dal professionista o derivanti dal non avere acquistato anche altri prodotti rivolti a ridurre o a scongiurare determinati rischi definiti come gravi, oppure umiliazioni agli altri consumatori in contesti pubblici di vendita o di presentazione dei prodotti. Le conseguenze minacciate possono riguardare la sfera personale del consumatore o eventualmente gli altri soggetti a lui legati da vincoli parentali o comunque affettivamente vicini, come pure animali da compagnia, se costui non fa quanto richiesto nel punto in ogni

208

E’ questa la definizione data di L. DI NELLA, Le pratiche commerciali sleali “aggressive”, cit., 237; in senso contrario si veda, tuttavia, L.LA ROCCA, sub. Art. 24, in V. CUFFARO, Codice del consumo, cit. 144, la quale osserva che «l’autore spiega la nozione di “molestia” invocando l’effetto che la pratica commerciale deve poter produrre per essere considerata aggressiva e omette di esplicitare che la valutazione di ciò che può definirsi moleste deve precedere l’indagine sul possibile effetto che la condotta del professionista può avere sul consumatore medio. Merita di essere rilevato, inoltre, che il potenziale o attuale pregiudizio alla libertà di scelta o di comportamento del consumatore caratterizza tutte le pratiche commerciali aggressive siano esse realizzate mediante atti molesti di coercizione o di indebito condizionamento». Considerando le ipotesi di cui alle lettere b), c) e g) dell’art. 26 Cod. cons., relative alle pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive si possono evidenziare alcuni tratti concreti della più generale nozione di molestia: si tratta, infatti, delle ipotesi in cui le pratiche commerciali si traducono in atti fastidiosi e invasivi della sfera privata del consumatore tali da ingenerare in quest’ultimo uno sforzo una interferenza o suggestione come nel caso di continue visite da parte del professionista presso la abitazione del consumatore o come quello di ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali per telefono o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza.

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caso, le minacce devono essere tali da indurre il consumatore medio a determinare scelte per evitare il verificarsi degli eventi prospettati»; in quest’ottica le pratiche coercitive «richiamano almeno a prima vista un classico vizio del consenso: la violenza209». Anche nella definizione delle pratiche coercitive, così come si è detto per quelle moleste, l’aspetto qualitativo dell’aggressività, fondendosi con l’ambito oggettivo d’applicazione strutturato sul consumatore medio, appare decisivo per l’individuazione del comportamento scorretto210. Il discorso sulla coercizione invade più di ogni altro la tematica dei rimedi civilistici in materia di vizio della volontà.

Ulteriore tipologia di pratiche aggressive è quella delle condotte indebitamente condizionanti. La nozione di indebito condizionamento è stata definita dal legislatore nazionale, riprendendo la definizione fornita da quello comunitario, come «lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare considerevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole211».

209

Si consideri L. DI NELLA, Prime considerazioni sulla disciplina delle pratiche commerciali aggressive, in Contratto e impresa – Europa, 2007.

210

Proprio con riferimento a tali possibili interferenze, è stato sottolineato che «nell’ipotesi in cui la creazione a carico del consumatore di una situazione di costrizione della volontà sia soltanto idonea ad influenzarlo nelle sue decisioni di natura commerciale e non si traduca nella realizzazione concreta di un’operazione giuridica potrà trovare applicazione soltanto la disciplina delle pratiche commerciali aggressive; nell’ipotesi in cui invece la medesima situazione di costrizione conduca anche al compimento di un negozio giuridico da parte del consumatore si avrà uno sdoppiamento di tutela ed opererà da un lato la disciplina delle pratiche commerciali e dall’altro il regime della nullità o annullabilità del negozio giuridico, a seconda che il consumatore sia stato vittima di violenza fisica o psichica». Cfr.V.CUFFARO, Codice del consumo, cit., sub art. 24.

211

In quest’ottica, cfr. la Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive nn. 84/450/CEE , 97/7/CE e 98/27/CE, COM (2003) 356 def. del 18.06.03, in cui l’indebito condizionamento è definito come «lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare considerevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione informata».

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CAPITOLO 4

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4.1 Introduzione

Definito il quadro delle distorsioni informative che caratterizzano il rapporto consumatore-professionista, è possibile entrare nel vivo della nuova classificazione proposta in questo lavoro. Possiamo così distinguere tra distorsioni formali che alterano le dinamiche riguardanti il profilo formale del messaggio e distorsioni sostanziali che incidono sul contenuto dello stesso, alterando oppure ostacolando il decision-making del consumatore.

Concentrando la ricerca sui dati che maggiormente orientano le scelte dei consumatori, l’attenzione si focalizza sulla seconda fattispecie e in particolare sulle diverse modalità distorsive attraverso cui si può manifestare l’informazione ingannevole.

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L’informazione, da strumento di tutela della capacità di discernimento del consumatore, diviene un elemento di distorsione dell’agire negoziale212.

Nello specifico, due sono le forme attraverso cui si può manifestare l’informazione ingannevole: l’informazione falsa e l’informazione reticente. Partendo da questo presupposto, la nozione di “azione ingannevole” si identifica in due differenti tipologie a seconda che questo si accompagni alla trasmissione al consumatore di informazioni obiettivamente non veritiere o, invece, alla divulgazione di informazioni vere, ma presentate al consumatore in maniera decettiva. Nella prima fattispecie, dunque, si tratta di una pratica commerciale scorretta sostanziatesi in una azione ingannevole caratterizzata dalla comunicazione al consumatore di informazioni sostanzialmente false, che siano idonee ad alterarne la capacità di decisione in relazione a quella specifica relazione commerciale; nella seconda ipotesi, invece, la pratica commerciale scorretta, pur qualificabile sempre come azione ingannevole, consisterà in una distorta rappresentazione di informazioni al consumatore, tale da farlo (almeno potenzialmente) cadere in errore circa rilevanti profili della operazione commerciale e, dunque, indurlo (sempre solo potenzialmente) a compiere scelte commerciali altrimenti non volute. Emerge chiaramente come la fattispecie più interessante sia la seconda, più insidiosa per il consumatore in quanto difficile da disvelare ed, al contempo, perché sarà proprio quest’ultima quella di più comune realizzazione concreta.

Anche la casistica, di seguito presentata, in materia di pubblicità ingannevole dimostra come questa tipologia sia più diffusa della prima, in quanto le imprese più che fare ricorso ad informazioni false per avvantaggiarsi nei rapporti con il consumatore, preferiscono ricorrere ad artificiose rappresentazioni della verità dei fatti tali da indurre il

212

In tal senso, cfr. T. FEBBRAJO, L'informazione ingannevole nei contratti del consumatore, Volume 105 di Pubblicazioni della Scuola di specializzazione in Diritto civile dell'Università di Camerino, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006.

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destinatario a rappresentarsi una realtà dell’operazione commerciale concretamente inesistente.213

Alcuni casi esaminati dall’Agcm rappresentativi di questa fattispecie vengono presentati in questa sezione, come il caso Enel e il caso Eni. Questo tipo di pratica commerciale ingannevole risulta essere più pericolosa per il consumatore, in quanto rappresenta la realtà in maniera tale da indurne una falsa percezione; questa ipotesi risulta caratterizzata dalla contemporanea verifica di un doppio stato psicologico del consumatore: l’uno legato al profilo della potenziale induzione in errore, l’altro a quello della potenziale alterazione della capacità di autonoma decisione commerciale. Per la classificazione della fattispecie, il legislatore ha inserito nella definizione una serie di parametri obiettivi tesi ad oggettivare il più possibile l’analisi dei profili psicologici del consumatore.

In questa classificazione di “azioni ingannevoli” può essere inserita anche la pubblicità comparativa illecita come pratica commerciale che, sebbene non contenga informazioni false o ingannevoli, tuttavia, induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, attraverso un’attività di commercializzazione del prodotto che ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente (vedi infra caso Dash-Pubblicità comparativa).

Per quanto riguarda, invece, la seconda ipotesi, ovvero trasmissione di informazione reticente, dobbiamo prendere in considerazione anche le cosiddette “omissioni ingannevoli” come quelle pratiche commerciali carenti di informazioni rilevanti per il consumatore medio necessarie affinché possa assumere decisioni consapevoli e libere da condizionamenti (vedi infra caso Groupon).

Il messaggio pubblicitario, ancora, è da qualificarsi ingannevole quando non risulti immediatamente riconoscibile come tale dal consumatore. Al riguardo si devono considerare rilevanti alcuni ambiti in cui risulta

213

Cfr. V. D’ANTONIO, G. SCIANCALEPORE, Le pratiche commerciali, cit.; L.C. UBERTAZZI, Concorrenza sleale e pubblicità, Milano, 2008, p. 330.

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importante l’individuazione della riconoscibilità del carattere promozionale di determinati messaggi. Un importante riferimento, sotto questo punto vista, è quello della pubblicità redazionale, consistente in una pubblicità commerciale rivolta al pubblico con le ingannevoli sembianze di un normale servizio giornalistico (vedi infra caso CHI- Pubblicità occulta).