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Le modalità di organizzazione della funzione CSR in azienda

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una unità specifica che si occupa di CSR (sebbene la percentuale diminuisca dall’82 al 66%), o comunque la presenza di un comitato etico che assolva a funzioni simili. Confermato è anche il dato secondo il quale solo una minoranza delle aziende oggigiorno non presenta, al suo interno, una funzione che ci occupi della CSR (c’è un calo di solo un punto percentuale: dal 18 al 17%). In conclusione, è pacifico affermare che, questi dati, siano una prova evidente del fatto che l’adozione di una politica di sostenibilità sia ormai una leva strategica fondamentale per l’ottenimento di un vantaggio competitivo e la sua gestione non può concretizzarsi nella semplice definizione di indirizzi o obiettivi più o meno plausibili, bensì deve essere demandata ad una specifica funzione che si preoccupi della sua attuazione e del suo monitoraggio tramite i prima citati meccanismi di governance e di controllo interno.

Se le modalità di organizzazione della funzione CSR in azienda hanno ormai assunto una certa rilevanza nel panorama imprenditoriale, altrettanta importanza va riconosciuta al nesso fra la responsabilità sociale d'impresa e la gestione delle risorse umane, che assume un valore fondamentale nell’ottica di una corretta gestione aziendale. L’adozione di una politica basata sui principi della Corporate Social Responsibility implica, infatti, una serie di impatti – a livello organizzativo e non – sulle risorse umane. A tal proposito, una recente ricerca – condotta sempre dall’Isfol - ha cercato di fare luce sul tema della

formazione delle risorse umane, quale pilastro della sostenibilità e della Responsabilità

Sociale d'Impresa. La conclusione cui si è giunti è che non c’è responsabilità sociale se le risorse umane non sono inserite al centro del processo di sostenibilità. Tale considerazione è stata confermata dal trend sull’investimento in formazione e sulle iniziative di corporate welfare a livello nazionale e dal dibattito63 tra rappresentanti delle istituzioni, delle imprese e delle parti sociali su tali tematiche, tenutosi proprio durante un workshop organizzato dall’Isfol. Le risorse umane, dunque rappresentano sempre più un asset strategico dell’impresa, al pari e forse più di credito ed export. È cresciuta la consapevolezza che non c’è responsabilità sociale se le persone non sono al centro di questo processo. Tale consapevolezza nasce da un assunto molto semplice ma, al tempo stesso di primaria importanza: l'individuo deve riflettere su cosa fa e sulle conseguenze di ciò che sta facendo e in tal senso non è sufficiente né rispettare le leggi né attenersi a

63Tale dibattito si è tenuto il 26 Giugno 2015 presso l'Isfol, durante il workshop “Policy e Pratiche di

sostenibilità nelle grandi imprese e nelle PMI”, nell’ambito del quale sono stati diffusi e analizzati i risultati del volume Isfol “Responsabilità Sociale d’Impresa. Policy e Pratiche”).

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determinate norme morali. Assume rilievo, quindi, la necessità di applicare il principio

di responsabilità64 ad ogni gesto dell'uomo che deve prendere in considerazione le

conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti.

Il dovere delle risorse umane di considerare razionalmente le conseguenze delle proprie azioni in relazione al loro scopo, permette di chiarire in pieno il concetto di "Responsabilità" che non può essere mai intesa come mero adempimento, bensì deve essere considerata, essenzialmente, come "Prevenzione", cioè come capacità di valutare e prevedere, appunto, le "conseguenze future," e porre in essere intenzionalmente le azioni atte, "oggi" o "da oggi" , a correggere le possibili conseguenze negative future di ciò che "oggi" decidiamo e compiamo. Ecco dunque che l’adozione di una politica basata sulla sostenibilità implica un profondo impatto sulle risorse umane: cioè un cambiamento

culturale che si traduce in un modus operandi più razionale, responsabile e prospettico,

che guardi al lungo periodo e non solo alle conseguenze immediate delle proprie azioni. L’azienda cercherà pertanto di trasferire i principi della RSI ai dipendenti e ai collaboratori, attraverso iniziative formative mirate e rafforzando la cooperazione tra imprese ed università. Al tempo stesso si rende indispensabile avvicinare e coinvolgere le persone con i loro stili di vita e con le loro esigenze alla sostenibilità, in modo che questa sia realmente calata nella dimensione quotidiana.

Per sviluppare meglio la questione è possibile fare un parallelo fra la dimensione ambientale della sostenibilità e la relazione fra responsabilità sociale e gestione delle risorse umane (anche detta gestione HR). Il termine "sostenibilità" trae la sua origine dall'ecologia, dove indica la capacità di un ecosistema di mantenere processi ecologici, biodiversità e produttività nel futuro. Perché un processo sia sostenibile esso deve utilizzare le risorse naturali ad un ritmo tale che esse possano essere rigenerate naturalmente. Uno sforzo sociale collettivo per adattare il consumo umano di tali risorse entro un livello di sviluppo sostenibile, è una questione di capitale importanza per il presente ed il futuro dell'umanità65. Come si può intuire risulta abbastanza facile il passaggio da tali concetti a quelle che possono essere possibili applicazioni al campo della Gestione delle Risorse Umane: una gestione sostenibile (e come tale responsabile ) di tali Risorse è quella che garantisce la capacità di un sociosistema aziendale di

64 JONAS H. (1993) “Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica”, Einaudi, Torino. 65 CIGLIA A. (2012) “Linee di Responsabilità Sociale dell’Impresa per una gestione “ecologica” e

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mantenere/realizzare processi di sviluppo, biodiversità (o piuttosto sociodiversità, a livello di articolazione multiculturale) e produttività nel futuro, utilizzando (senza sprechi) le Risorse ad un ritmo (e con modalità) tale che possano essere rigenerate e cambiate attingendo dal più ampio macrosistema sociale (mercato del lavoro) laddove esse non siano più funzionali ai fini del sottosistema aziendale evitando in ogni caso di trasformarle in elementi inquinanti (cioè disfunzionali alla vita ed alla preservazione del macrosistema) .

Una gestione socialmente responsabile delle risorse umane si traduce nella capacità di mantenerne e rigenerarne la produttività e le indispensabili condizioni di consenso, motivazione e capacità professionale , prevenendo non solo le dinamiche interne all'azienda che possono accelerarne il consumo ed il degrado ( stress, conflittualità organizzativa, demotivazione, disaffezione, mobbing, obsolescenza professionale...) ma anche le circostanze di spreco di tali risorse o addirittura di immissione nel macrosistema circostante al sottosistema socio-organizzativo aziendale, di risorse non più utilizzabili, con modalità "inquinanti" , cioè tali da produrre turbative e disfunzioni nel tempo ben al di là dei confini di stretta pertinenza dell'azienda. Risulta chiaro, allora, che la centralità delle risorse umane (e la loro gestione) è sempre più uno dei pilastri fondamentali della RSI nelle prospettive della sostenibilità e si esplicita nell’impegno delle aziende verso i propri dipendenti e nell’investimento sul capitale umano. Tale impegno può concretizzarsi nei seguenti aspetti: anzitutto, coinvolgere i dipendenti nella cultura e nella

gestione della sostenibilità, attraverso, ad esempio le prima citate iniziative formative;

incrementare il welfare aziendale (garantire: sicurezza e salute sul posto di lavoro;

Condizioni di work-life balance66 e valorizzazione del diversity management) in quanto

è stato dimostrato che ciò va ad impattare positivamente sui dipendenti a livello motivazionale e tale aspetto li predispone a recepire ed attuare efficacemente i principi della RSI; offrire pari opportunità, infatti la non discriminazione è da sempre ritenuta, a livello internazionale, uno dei principi sui quali deve necessariamente fondarsi la strategia sostenibile delle imprese.

Un aspetto particolarmente interessante, da approfondire, è quello inerente il coinvolgimento delle risorse umane nella cultura e nella gestione della sostenibilità. A tal proposito la prima citata indagine ad opera dell’ISFOL ha inoltre analizzato le modalità

66 È un concetto ampio che indica la capacità di bilanciare in modo equilibrato il lavoro (inteso come carriera

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di coinvolgimento dei dipendenti nell’approccio e nel processo di sostenibilità e le differenti modalità di organizzazione della funzione CSR all’interno delle aziende intervistate. Si è cercato di comprendere, in particolare, se nel processo di business sostenibile siano coinvolti tutti i dipendenti o soltanto i vertici aziendali, il top management e, nel caso in cui tutto il personale sia coinvolto, attraverso quali modalità: se di sola informazione, o anche di sensibilizzazione o di pieno coinvolgimento nella scelta delle attività di CSR da realizzare. Le soluzioni adottate risultano abbastanza diversificate:

 In alcuni casi vengono coinvolti tutti i dipendenti, in altri soltanto i vertici aziendali, il top management

 Quando è coinvolto tutto il personale, le modalità sono sia di informazione, sia anche di sensibilizzazione che di pieno coinvolgimento nella scelta delle attività di CSR da realizzare.

Una ricerca del 2010 ad opera del CSR Manager Network Italia, realizzata con il supporto di ALTIS e ISVI67, ha approfondito la collaborazione esistente tra Direttori delle Risorse Umane (HR manager) e il responsabile della Corporate Social Responsibility (CSR manager) per l’introduzione della sostenibilità tra gli obiettivi, i processi e le iniziative indirizzate alle risorse umane.

Un primo risultato emerso dall’analisi è l’affermarsi di meccanismi di collaborazione tra CSR manager e HR manager che privilegiano le relazioni di natura informale. La collaborazione tra i due avviene, quindi, in prevalenza su iniziativa dei singoli manager piuttosto che sulla base di processi/organismi che prevedono tale attività in modo formale. Un secondo elemento emergente dalla ricerca è l’osservazione di come il CSR manager assuma in prevalenza un ruolo attivo nel facilitare l’introduzione di principi di sostenibilità nella gestione delle risorse umane. Tali manager in sostanza, mediante meccanismi di collaborazione prevalentemente informale, favoriscono quindi lo sviluppo di una coscienza della rilevanza delle sostenibilità nei HR manager, confermato dai dati

67 Il CSR Manager Network Italia è l’associazione nazionale che raduna i professionisti che presso ogni

tipo di organizzazione (imprese, fondazioni d’impresa, società professionali, P.A., enti non profit) si dedicano, full-time o part-time, alla gestione delle problematiche socio-ambientali e di sostenibilità connesse alle attività aziendali; ALTIS è un laboratorio italiano volto a favorire lo sviluppo dell’imprenditorialità e del management per lo sviluppo sostenibile; l’ISVI è l’Istituto per i valori di impresa con l’obiettivo di “evidenziare e promuovere” nel mondo imprenditoriale e manageriale italiano comportamenti imprenditoriali improntati a competitività e profittabilità e, nel contempo, sostenibili e responsabili dal punto di vista sociale e ambientale).

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rilevati rispetto alla formalizzazione di politiche di sostenibilità verso le risorse umane. In tale direzione è significativo evidenziare come nella maggior parte delle aziende osservate (56,7%) sia presente una politica di sostenibilità verso le risorse umane e, tra quelle che hanno tali politiche, nella maggior parte dei casi queste siano state sviluppate dal CSR manager. Il dato conferma l’impulso che il CSR manager può dare allo sviluppo di politiche di sostenibilità, favorendo l’adozione di tali politiche. Un risultato che emerge dalla ricerca è la conferma del ruolo svolto dal CSR Manager per l’introduzione della sostenibilità nell’ambito delle differenti funzioni aziendali. Un’altra funzione svolta dal CSR manager si sostanzia nel valorizzare gli sforzi fatti nell’ambito della sostenibilità verso le risorse umane impegnandosi nella raccolta e diffusione d’informazioni connesse ai risultati raggiunti. Per concludere si vuole ribadire che la "Buona Gestione delle Risorse Umane" socialmente responsabile è quella che opera costantemente in ottica di Compatibilità, Sostenibilità, Prevenzione, cioè che si propone di perseguire insieme , di coniugare, il massimo successo dell'impresa, la sua competitività e l'eccellenza delle sue performances, con l'interesse delle persone che in essa operano (le Risorse Umane), il loro sviluppo e soddisfazione professionale attraverso il giusto mix di consenso, motivazione e preparazione professionale. Tale obiettivo può apparire particolarmente ambizioso, o magari addirittura irrealistico, solo se non si condivide " a priori" la definizione della Risorsa Umana come Risorse strategica, cioè leva da utilizzare per ottenere il vantaggio competitivo alla base del successo aziendale. Le difficoltà che il mondo delle aziende incontra oggi, anche a fronte della crisi epocale che la globalizzazione dei mercati e gli sconvolgimenti del settore finanziario hanno provocato, spesso sono addotte come alibi o giustificazione per l'applicazione, in contrasto con l'assunto di cui sopra, di politiche in ambito HR assai poco responsabili ed attente a tali aspetti di compatibilità, sostenibilità e prevenzione. Questo aspetto enfatizza, ancor di più, la necessità di introdurre, in tutte le fasi del processo di gestione HR - dal mercato del lavoro in entrata sino al mercato del lavoro in uscita - tale ottica di Compatibilità, Sostenibilità, Prevenzione con riferimento al positivo inserimento delle Risorse nelle attività aziendali, alla piena valorizzazione delle loro potenzialità ed al mantenimento nel tempo del loro valore di mercato e della loro occupabilità, alla possibilità di operare in condizioni adeguate di sicurezza e igiene del lavoro ma anche di benessere organizzativo, e di presenza nell'organizzazione aziendale di meccanismi trasparenti per la gestione e conciliazione dei conflitti, di accesso alle opportunità, di prevenzione dei fattori che

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possono incidere negativamente sullo sviluppo armonioso delle capacità professionali e sul conseguimento dei relativi riconoscimenti.

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Capitolo 2 – La rendicontazione di sostenibilità

2.1 Il reporting di sostenibilità e gli standard di rendicontazione più applicati.

Il reporting è tipicamente definito come un processo di rappresentazione e comunicazione di informazioni utili all’adozione di decisioni da parte di soggetti interni (il management essenzialmente) ed esterni all’azienda (l’insieme degli stakeholder). L’utilità del reporting ai fini del processo decisionale è sicuramente un elemento inconfutabile, tuttavia, quando si parla di sostenibilità, questa affermazione è valida più per il management interno che per gli stakeholder esterni. Con riferimento a questi ultimi infatti, l’attività di reporting viene posta in essere, perlopiù, per dimostrare e provare con dati certi l’impegno dell’azienda verso determinati temi e il rispetto verso certe categorie di interlocutori. In altre parole, in questo caso, il reporting rappresenta lo strumento necessario per l’attività di rendicontazione dell’azienda intesa come processo di rappresentazione a consuntivo di dati e informazioni, effettuato periodicamente, per comunicare i risultati della gestione di un'azienda in un determinato periodo di tempo. È ovvio invece che, per il management interno, il reporting rappresenti uno strumento indispensabile per verificare la validità delle proprie politiche di sostenibilità, in termini di scostamenti tra obiettivi prefissati e risultati raggiunti, in base ai quali è possibile comprendere se, a tali politiche, hanno fatto seguito una serie di azioni compatibili e coerenti con esse o se, invece, ciò non sia accaduto a causa, ad esempio dell’incapacità da parte dei vertici direzionali di veicolare i principi e le direttive alla base della propria strategia di responsabilità sociale.

Essendo la responsabilità sociale d’impresa l’argomento centrale di questa trattazione è ovvio che il tema della rendicontazione (e di conseguenza quello del reporting) saranno affrontati con riferimento ad una specifica dimensione che è, appunto, quella inerente la politica di sostenibilità e dell’agire etico all’interno dell’azienda. I prossimi paragrafi sono, pertanto, dedicati alla rendicontazione e al reporting di sostenibilità.

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“Sustainability reporting is the practice of measuring, disclosing, and being accountable

to internal and external stakeholders for organizational performance towards the goal of sustainable development. A sustainability report should provide a balanced and reasonable representation of the sustainability performance of a reporting organization – including both positive and negative contributions68”.

“Il Reporting di sostenibilità è la pratica di misurare, divulgare e rendere conto agli stakeholder (interni ed esterni) della performance organizzativa inerente l'obiettivo di uno sviluppo sostenibile. Il report di sostenibilità dovrà fornire una rappresentazione equilibrata e ragionevole della performance di sostenibilità di un’organizzazione, compresi gli impatti sia positivi sia negativi generati dal suo operare.".

Queste definizioni sono state divulgate nel 2006 dal GRI o Global Reporting

Initiative (di cui vediamo il logo nella

figura 10), il quale è un ente non-profit nato con il fine di creare un supporto utile alla rendicontazione della

performance sostenibile di

organizzazioni di qualunque dimensione, appartenenti a qualsiasi settore e Paese del mondo. Infatti, per comunicare in maniera chiara e trasparente la sostenibilità delle singole organizzazioni, è necessaria una visione globalmente condivisa di concetti, linguaggi e standard. La missione del Global Reporting Initiative (GRI) è proprio quella di soddisfare questo bisogno, provvedendo alla creazione di un sistema credibile e attendibile per il reporting di sostenibilità, utilizzabile da organizzazioni di qualsiasi dimensione, settore o paese. Il GRI Reporting Framework, in particolare, vuole essere un modello universalmente accettato per il reporting della performance economica, ambientale e sociale di un’organizzazione.

In realtà, le linee guida e i principi di riferimento cui ispirarsi nella redazione e nella verifica della correttezza del report non sono dettate esclusivamente dal GRI. Come si

68 GRI (2006), “Sustainability Reporting Guidelines”, Global Reporting Initiative, Amsterdam. FIGURA 10: Logo GRI

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può vedere dalla tabella 4, diverse sono le organizzazioni che hanno contribuito in questo senso.

TABELLA 4: Linee guida e principi di riferimento più applicati

Fonte: KPMG (2015) “Gli standard di rendicontazione di sostenibilità”

Per quanto riguarda i principi per la redazione del bilancio di sostenibilità a livello internazionale, la principale alternativa è lo standard AA1000 (AccountAbility 1000), cioè uno standard di adesione volontaria elaborato a partire dal 1999 dall’International

Council of the Institute of Social and Ethical AccountAbility (ISEA), formato da imprese,

ONG, università e società di consulenza. Anche esso si pone come obiettivo il “miglioramento della responsabilità e della performance delle organizzazioni” e focalizza l’attenzione sulla qualità dell’impegno etico e sociale verso i vari interlocutori aziendali. A livello italiano troviamo il GBS69 - Gruppo di studio per la statuizione dei principi di redazione del bilancio sociale, il quale fornisce un modello di rendicontazione che indica

i contenuti minimi del Bilancio Sociale, di cui parleremo più avanti. A contribuire alla diffusione di tali principi e linee guida sono stati prevalentemente l’ISEA e IFAC (International Federation of Accountants), i quali hanno emesso, a partire dal 2004, standard specifici per l’asseverazione del report di sostenibilità di cui, i più importanti, sono quelli che vediamo nella tabella 4 e cioè l’International Standard on Assurance

69 Nasce da un’iniziativa lanciata nel 1998, alla quale hanno aderito società di consulenza, società di

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Engagement 3000 (ISAE 3000) e l’Accountability 1000 Assurance Standard

(AA1000AS)70.

Ad ogni modo, le linee guida a cui faremo riferimento nella presente trattazione sono quelle internazionali dettate dal GRI. La raccolta di

Linee guida del GRI per la redazione dei Bilanci di sostenibilità sono, infatti, largamente usate su scala globale poiché aiutano le aziende e le organizzazioni a valutare le proprie performance economiche, ambientali, sociali e governative. Il GRI ha lanciato, nel 2013, G4 (di cui vediamo il frontespizio in figura 11), l’ultima versione delle linee guida per la stesura e redazione dei Bilanci extra-finanziari (di sostenibilità). La linea guida è stata rivisitata e migliorata rispetto all’ultima versione. Le linee guida G4, secondo il GRI, pongono ancor più l'accento sul concetto di

“materiality”, che approfondiremo nei paragrafi seguenti, ma che, lo anticipiamo, spingerà le organizzazioni a fornire solo informazioni e indicazioni che sono oggetto del loro business (e quindi rilevanti), sulla base del dialogo con i loro stakeholders. Questo permetterà alle organizzazioni, e ai destinatari di questi Bilanci, di concentrarsi sugli impatti economici, ambientali e sociali realmente riscontrati e rendicontati, dando origine a Bilanci di sostenibilità più strategici, mirati e credibili, oltre che più facilmente utilizzabili e comprensibili dagli stakeholders.

Come ha sottolineato Antonio Astone, DNV Business Assurance Global Sustainability Manager: “La Linea guida G4 è il risultato di un lungo e meticoloso processo, in cui GRI

ha fatto un impressionante lavoro di revisione, coinvolgendo moltissimi stakeholder. Pensiamo che le aziende, seguendo le linee guida del GRI, saranno in grado di migliorare la reportistica extra-finanziaria, focalizzandosi sui temi più rilevanti relativi alla propria performance di sostenibilità. È importante comprendere i cambiamenti ed integrarli nelle

70 GUIDO G., MASSARI S. (2013) “Lo sviluppo sostenibile. Ambiente, risorse, innovazione, qualità”

Franco Angeli, Milano.

FIGURA 11: Frontespizio G4

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pratiche di reportistica della sostenibilità, e noi siamo a disposizione dei nostri clienti per supportarli71”.

G4 presenta, dunque, diverse novità e miglioramenti. Tra gli aspetti più importanti, occorre sottolineare che il documento:

 Raccoglie le più recenti informazioni in materia di governance, etica, integrità, supply chain, anticorruzione e le emissioni effetto serra;

 Presenta contenuti rivisti da un punto di vista tecnico ed esplicita maggiormente i requisiti;

 Fornisce indicazioni dettagliate su come selezionare i temi rilevanti e spiegazioni sulle “aree confinanti” su cui questi aspetti impattano;

 Permette flessibilità nella scelta del focus su cui concentrare il Report;

 Permette flessibilità per mettere in relazione report locali e regionali basati su