Dipartimento di Economia e Management
Corso di Laurea Magistrale in
Strategia, Management e Controllo
Corporate Social Responsibility:
aspetti e impatti organizzativi.
I casi CONI ed Hera.
Il candidato
Felice Fabrizio
Matricola 513728
La relatrice
Prof.ssa Maria Zifaro
INDICE
Introduzione ... 1
Capitolo 1 – La responsabilità sociale d’impresa 1.1 La Responsabilità Sociale d’Impresa: definizione ed evoluzione storica ... 5
1.2 L’etica nella Responsabilità Sociale d’Impresa ... 12
1.3 Lo sviluppo sostenibile e la creazione di valore condiviso ... 24
1.4 Aspetti organizzativi della CSR – Gestione etica dell’impresa ... 32
1.5 Modalità di organizzazione della funzione CSR in azienda: impatti sulla governance e sulle risorse umane ... 44
Capitolo 2 – La rendicontazione di sostenibilità 2.1 Il reporting di sostenibilità e gli standard di rendicontazione più applicati ... 53
2.2 La redazione del report di sostenibilità: i principi ... 58
2.3 La redazione del report di sostenibilità: l’informativa standard ... 72
2.4 L’evoluzione del fabbisogno di accountability e il Bilancio di sostenibilità ... 109
Capitolo 3 - Case study: il caso CONI e il Hera 3.1 Il caso CONI... 123
3.2 Analisi di materialità: la matrice dei temi rilevanti ... 134
3.3 La strategia di sostenibilità del CONI e l’analisi dei temi rilevanti ... 140
3.4 Il caso Hera... 169
3.5 L’approccio alla sostenibilità e il governo della RSI in Hera ... 173
3.6 I due casi a confronto ... 181
Considerazioni di sintesi ... 187
INDICE DELLE FIGURE ... 191
INDICE DELLE TABELLE... 193
INDICE DEI GRAFICI ... 195
NORMATIVA DI RIFERIMENTO ... 197
BIBLIOGRAFIA ... 201
[1]
INTRODUZIONE
L’obiettivo della tesi è quello di approfondire la comprensione del fenomeno Corporate
Social Responsibility (nelle sua dimensione economica, ambientale e sociale),
analizzando al contempo le relative modalità di gestione e gli impatti all’interno dell’organizzazione. Lo studio cercherà quindi di superare le visioni legate alla deontologia e alla beneficienza (superficialmente accostate alla CSR), enfatizzando invece la tesi prevalente secondo la quale il comportamento responsabile dell’impresa contribuisce in maniera positiva alla generazione di redditività all’interno dell’azienda e, in particolare, alla sua sopravvivenza nel lungo periodo.
Il primo capitolo analizzare la questione definitoria inerente il concetto di Responsabilità Sociale d’impresa riportando alcuni dei più importanti contributi a livello nazionale e internazionale. Successivamente, ci si focalizzerà inizialmente sulla relazione che intercorre tra l’etica e la gestione aziendale e successivamente sul processo di mappatura degli stakeholder. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante in un’ottica di sostenibilità. Si ritiene infatti che l’impresa sia inserita in una rete di interazioni e rapporti di scambio con molteplici interlocutori sociali in grado di condizionarne in senso positivo o negativo le sue sorti. Solo un’attenta gestione di questo sistema di relazioni consente all’impresa di ottenere il consenso di cui essa necessita e, di conseguenza, le risorse e i contributi essenziali per la continuazione nel tempo dell’attività e la realizzazione della sua missione. Un altro tema analizzato, strettamente correlato a quest’ultimo, è quello inerente la creazione di valore condiviso (che rappresenta uno dei capisaldi della CSR): il rispetto degli stakeholder si concretizza infatti nell’esigenza, per l’azienda, di evitare di anteporre il perseguimento dei propri obiettivi al benessere collettivo e al rispetto della comunità in cui essa agisce. In questo senso uno dei metodi che verranno esposti è quello definito Triple Bottom Line (o Triple P Approach) secondo il quale nella scelta di un investimento, si analizzano le “Tre P”, ovvero People, Planet, Profit (cioè Persona, Ambiente, Profitto, ovvero le tre dimensioni della sostenibilità). Completa il primo capitolo la sezione dedicata agli aspetti organizzativi della Responsabilità Sociale d’Impresa. L’adozione di tali principi all’interno dell’azienda genera infatti una serie di
[2]
impatti a livello di corporate governance e, in particolare, a livello di risorse umane, un aspetto, questo, che permette così di sviluppare una cultura etica. In questa parte si cercherà quindi di analizzare i trend a livello nazionale ed europeo, relativi alla gestione della CSR che può realizzarsi tramite l’implementazione di una specifica unità organizzativa ad essa dedicata, oppure attraverso la sua inclusione all’interno di unità organizzative di livello superiore. Verranno studiati i meccanismi mediante i quali il management cerca di garantire l’applicazione dei principi alla base delle proprie politiche di sostenibilità e le relative metodologie per il coinvolgimento del personale.
Nel secondo capitolo viene analizzato e sintetizzato il processo per la redazione di uno degli strumenti più importanti della Corporate Social Responsibilty, ovvero il Bilancio di sostenibilità, attraverso il quale l’azienda riesce a dimostrare all’esterno il proprio impegno a livello ambientale, sociale ed economico. I principi utilizzati per la redazione di tale bilancio sono quelli più diffusi a livello internazionale, ovvero quelli dettati dal GRI o Global Reporting Initiative, un ente non-profit il cui obiettivo è quello di creare un supporto utile alla rendicontazione della performance sostenibile di organizzazioni di qualunque dimensione, appartenenti a qualsiasi settore e Paese del mondo. Infatti, per comunicare in maniera chiara e trasparente la sostenibilità delle singole organizzazioni, è necessaria una visione globalmente condivisa di concetti, linguaggi e standard. Dopo una breve esposizione delle linee guide alternative a quelle proposte dal GRI, ci si focalizzerà prevalentemente, sugli indicatori economici, ambientali e sociali dettati dallo stesso ente, mediante i quali le aziende possono monitorare e misurare le proprie performance di sostenibilità. Successivamente verrà analizzata l’evoluzione del fabbisogno di accountability, cercando di ripercorrere le varie tappe e i vari strumenti che hanno portato alla realizzazione del bilancio di sostenibilità, e descrivendo le prospettive che si profilano nel futuro a riguardo (Bilancio integrato).
Il terzo ed ultimo capitolo è dedicato allo studio di due casi concreti che ci consentiranno di esemplificare, chiarire e verificare alcuni dei concetti teorici espressi precedentemente. Oggetto di studio saranno: il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) attraverso l’analisi del relativo bilancio di sostenibilità; il gruppo HERA, multiutility leader nei servizi ambientali, idrici ed energetici, il cui studio ci consentirà di comprendere al meglio le dinamiche organizzative e di governo inerenti la Responsabilità sociale d’impresa.
[3]
Prima di procedere, si ringrazia il CONI e, in particolare il CONI Molise, che hanno permesso all’autore di approfondire il tema trattato (e non solo) grazie alle tante opportunità offerte nel corso dell’anno appena concluso.
[5]
CAPITOLO 1 – La responsabilità sociale d’impresa
1.1 La responsabilità sociale d’impresa: definizioni ed evoluzione storica
Il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), anche detta Corporate Social
Responsibility (CSR) o Corporate Citizenship, cioè cittadinanza d’impresa, non trova una
definizione univoca ed esaustiva in letteratura, poiché il suo significato, spesso astratto e complesso ha coinvolto, nel corso degli anni, molti autori ed esperti sul tema operanti, peraltro, in settori talvolta differenti. Secondo la formulazione utilizzata dal Governo
italiano la CSR può essere definita come: “L’integrazione volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici, ma anche andare al di là, investendo nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”1.
A tal proposito si segnala il progetto del governo italiano, seguito dal ministero del Welfare, denominato CSR SC (Corporate
Social Responsibility - Social Commitment di
cui vediamo il logo in figura 1). È stato presentato durante la terza Conferenza europea sulla CSR che si è tenuta a Venezia il
14 novembre 2003 con l'obiettivo di promuovere un framework europeo per la CSR, dove la Commissione europea ha mostrato molto interesse. Il progetto consiste nello sviluppo di linee guida e criteri condivisi per le pratiche di CSR, basato sulla volontarietà, la trasparenza, il linguaggio comune e così via. A tal proposito si fonda su un set di indicatori che si articola sulle categorie di stakeholder2 individuate nel Libro Verde:
Risorse umane;
Soci, azionisti, comunità finanziaria, corporate governance;
1 Commissione Europea (2001), Libro Verde.
2 Per ulteriori approfondimenti si rimanda al paragrafo appositamente dedicato ai portatori di interesse. FIGURA 1: Logo Progetto CSR SC
[6]
Clienti;
Fornitori;
Partner finanziari;
Stato, enti locali e pubblica amministrazione;
Comunità;
Ambiente3.
Diversi autori si sono cimentati per tentare di fare chiarezza su questo tema e descrivere tale concetto. Di seguito si riportano alcune delle principali definizioni di RSI:
“L’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle istanze sociali ed
ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”4.
“La responsabilità sociale d’impresa è l’impegno delle imprese a comportarsi in modo corretto, andando oltre il semplice rispetto degli obblighi previsti dalle leggi e dalle norme etiche individuali”5.
“La risposta legittimante che l’impresa dà (o non dà) alla società civile, ove quest’ultima è costituita da tutte le persone che interagiscono con l’attività dell’impresa, sia all’interno che all’esterno di essa”6.
“Un modello di “governance” allargata dell’impresa, in base al quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder”7.
Il tema della Responsabilità Sociale d’Impresa tuttavia, non è una peculiarità della realtà nostrana ma, al contrario, negli anni ha suscitato interesse ed è stato oggetto di studio a livello internazionale. Anche in tale contesto possiamo evidenziare, in ordine cronologico, alcuni dei più importanti contributi per la definizione della RSI8:
3 www.welfare.gov.it.
4 MOLTENI M. (2004), “Responsabilità sociale e performance d'impresa. Per una sintesi
socio-competitiva”, Vita e Pensiero, Milano.
5 PERRINI F. (2003), “CSR e performance d’impresa. Un modello d’analisi della creazione di valore per
la gestione delle imprese”, Finanza, Marketing e Produzione – Volume 21, Egea, Milano.
6 RUSCONI G. (2004), “La responsabilità sociale d’impresa”, Franco Angeli, Milano. 7 SACCONI L. (1991), “Etica degli affari”, Il Saggiatore, Milano.
8 ESPOSITO G. (2012), “La genesi del concetto di responsabilità sociale” in La responsabilità sociale delle
[7]
“La RSI è il dovere di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni, di seguire quelle linee d’azione che sono desiderabili in funzione degli obiettivi e dei valori riconosciuti dalla società”9.
“Le decisioni e le azioni poste in essere dagli imprenditori basate, almeno in parte, su motivazioni ulteriori al diretto interesse economico e tecnico dell’impresa”10.
“L’idea della responsabilità sociale suppone che le società di capitali non abbiano solo obbligazioni economiche e legali, ma anche indubbie responsabilità verso le società che vanno oltre queste obbligazioni”11.
“Il nuovo concetto di responsabilità sociale riconosce che la familiarità delle relazioni deve essere tenuta a ente dai top manager così come dalle società e dai gruppi collegati nel perseguire i loro rispettivi obiettivi”12.
“La responsabilità sociale d’impresa racchiude le aspettative economiche, legali, etiche e filantropiche che la società ha nei confronti delle organizzazioni in un dato momento”13.
“La responsabilità sociale d’impresa serve per <<addomesticare il drago>>, ossia trasforma un problema sociale in un’opportunità e in un beneficio economico, nella capacità produttiva, nella competenza umana, in lavori ben retribuiti, in ricchezza”14.
“L’essenza della CSR consiste nel riconoscimento di obblighi sociali – a carico delle imprese – che trascendono le classiche funzioni economiche […] La CSR si rivolge allo sviluppo di processi per mezzo dei quali gestire le molteplici ramificazioni delle politiche e delle azioni intraprese dall’impresa. L’impresa deve configurare i suoi processi, ovvero la struttura delle sue operazioni ordinarie, in modo che essi siano capaci di includere una serie di fattori non solo di natura economica ma anche sociale, politica, ambientale e culturale”15.
9 BOWEN, H.R. (1953), “Social Responsibilities of the businessman”, Harper, New York.
10 MORRI L. (2009), “Storia e Teorie della Responsabilità sociale d’impresa”, Franco Angeli, Milano. 11 MC GUIRE in ESPOSITO G. (2012), “La genesi del concetto di responsabilità sociale” in La
responsabilità sociale delle organizzazioni sportive, Coni Servizi S.p.A. – Scuola dello Sport, Roma.
12 WALTON C.C (1967), “Corporate Social Responsibility”, Belmont Wadsworth.
13 CARROL A.B. (1979), “A three dimensional model of Corporate Social Performance”, Academy of
Management Review, n.4.
14 DRUKER P. (1984), “The new meaning of Corporate Social Responsibility”, California Management
Review, n.26.
15 EPSTEIN E. (1987), “The Corporate Social Policy Process: beyond Business Etichs, Corporate Social
[8]
Quest’ultimo contributo, in particolare, ci permette di anticipare un tema che sarà affrontato nel corso della tesi, ovvero quello inerente gli impatti che la RSI produce sull’azienda a livello organizzativo. Perseguire le finalità alla base della RSI, infatti, significa predisporre l’impresa e la sua struttura organizzativa nella maniera più idonea per affrontare queste nuove sfide.
Per concludere, si citano, infine, le principali esplicazioni istituzionali sul tema a livello internazionale:
“Adottare la strada della RSI vuol dire gestire un’impresa in maniera tale da soddisfare o superare costantemente le aspettative etiche, legali, commerciali e pubbliche che la società hai nei confronti delle aziende”16.
“RSI è il continuo impegno dell’azienda a comportarsi in maniera etica e a contribuire allo sviluppo economico, migliorando la qualità della vita dei dipendenti e delle loro famiglie, della comunità locale e, più in generale, della società”17.
“Il concetto di RSI significa che essenzialmente le imprese decidono volontariamente di contribuire ad una società migliore e a un ambiente più pulito […] L’RSI è l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”18.
Dalla loro analisi, appare chiaro che la Responsabilità Sociale d’Impresa si estrinsechi, essenzialmente, verso tre dimensioni: quella sociale, quella ambientale e quella etica, con un particolare attenzione verso le relazioni con gli stakeholder. In particolare, poi, la CSR contribuisce a raggiungere due fondamentali obiettivi:
Riduzione del rischio d’impresa;
Creazione di valore condiviso: Valore per gli stakeholder, soddisfacendo al tempo stesso le esigenze di chi gestisce e governa l’impresa.
Questi argomenti sono alla base della CSR, e su di essi si svilupperà la nostra analisi. Per fare ciò, è necessario analizzare le origini della Responsabilità sociale d’impresa, che ci permettono di comprendere perché le politiche di sostenibilità siano oggigiorno fondamentali per una corretta gestione dell’azienda.
16 Business for Social Responsibility in www.bsr.org.
17 World Business Council for Sustainable Development, 1995. 18 Commissione Europea (2001), Libro Verde.
[9]
È noto che l’impresa, per sua natura, interagisce con l’ambiente circostante anche nelle questioni sociali e culturali che in esso si sviluppano. Già nel 1932, Berle e Means affrontano il tema dei fini dell’impresa in un’epoca in cui l’impresa stava vivendo profondi cambiamenti relativi agli assetti istituzionali e alla separazione tra proprietà e management. A parere dei 2 autori, le pretese delle due parti non dovevano comunque prevalere sugli interessi della collettività. Con questa separazione, gli azionisti (proprietari) ripartiscono il controllo e rinunciano così al diritto che la società sia amministrata nel loro esclusivo interesse, a vantaggio del management (gruppo di controllo).
La separazione tra proprietà e management ha aperto la strada all’idea che l’impresa moderna sia al servizio, non solo degli azionisti o dei dirigenti, ma di tutta una gamma di interlocutori aziendali che, in maniera generale, i due autori identificano nella comunità19. All’interno del dibattito sulla responsabilità sociale d’impresa esistono due concezioni contrapposte: quella che segue l’approccio di Friedman20 e l’altra che chiameremo
socio-economica.
Secondo Friedman, l’unico scopo dell’impresa è la generazione di profitto. Se perseguisse obiettivi differenti, si comporterebbe in maniera irresponsabile, soprattutto nei confronti degli azionisti, unico soggetto a cui è necessario rispondere.
Secondo l’approccio socio-economico, invece, l’impresa ha una più ampia responsabilità nei confronti di una vasta gamma di interlocutori. Il termine sociale può riferirsi:
Agli azionisti e ai collaboratori;
Ad interventi volti a soddisfare la società civili, prevalentemente nell’ottica della pura gratuità;
Ad altri portatori di interessi, ossia i soggetti posti a monte e a valle dell’impresa, ossia clienti e fornitori; oppure a problemi ambientali connessi ai processi e ai prodotti.
19 MICHELON F., FAVOTTO F. (2003), “Responsabilità Sociale d’impresa come efficace e lungimirante
strategia”, Torrossa, Fiesole.
20 Milton Friedman (Brooklyn, 31 luglio 1912 – San Francisco, 16 novembre 2006) è stato un economista
statunitense, esponente principale della scuola di Chicago. Il suo pensiero ed i suoi studi hanno influenzato molte teorie economiche, soprattutto in campo monetario. Fondatore del pensiero monetarista, è stato insignito del Premio Nobel per l'economia nel 1976. (Fonte http://www.it.wikipedia.org).
[10]
Anche la letteratura economico aziendale italiana ha cercato di stabilire i fini dell’impresa. Oggetto di studio era la definizione di regole e istituzioni capaci di indirizzare la produzione verso i bisogni e le aspettative dei cittadini e, in generale, di far partecipare attivamente le imprese allo sviluppo economico e sociale della società (comprese le tematiche del diritto alla sanità, dell’istruzione gratuita, dell’indennità di disoccupazione e del giusto trattamento sul posto di lavoro, elementi che cominciavano ad essere visti alla pari dei diritti politici).
Il dibattito accademico degli anni Ottanta vede nascere la “teoria della Legittimacy” secondo la quale le imprese, in quanto organizzazioni-istituzioni della società, hanno dei contratti impliciti con la stessa, e questo implica che il “fondamento morale” dell’impresa, intesa come organizzazione produttiva, risiede nella sua capacità di promuovere “il benessere della società attraverso la soddisfazione degli interessi del consumatore e del lavoratore”. Secondo questa prospettiva, le imprese dovrebbero considerare più profondamente l’impatto delle attività che intraprendono nell’ambiente di riferimento, ed essendo l’ambiente in costante cambiamento, in costante cambiamento saranno anche i vincoli ed i confini stabiliti dal contratto sociale tra impresa e società. Vanno così diffondendosi alcuni concetti importanti, divenuti oramai difficili, se non impossibili da trascurare, come21:
La generazione di valore “non a scapito” ma “grazie” alla società civile.
La ri-distribuzione da parte dell’impresa di parte del valore accumulato alla società civile, attraverso interventi in vari settori quali l’arte, la cultura, la solidarietà, assistenza, quindi università, ospedali, musei, laboratori di ricerca ecc.
L’assunzione di un atteggiamento responsabile come investimento per avere dei profitti sia in termine di fatturato, che immagine che di consenso. L’etica “paga” e “difende” delegittimando agli occhi dell’opinione pubblica le imprese concorrenti eticamente scorrette22.
L’etica come requisito per mantenere una posizione stabile sul mercato.
L’attenzione per le politiche ambientali dimostra come questo cambiamento sia avvenuto nel corso degli anni. Infatti, dagli interventi di tutela dell’ambiente realizzati nel corso degli anni Settanta e Ottanta in azioni di disinquinamento e risanamento industriale, si è
21 HINNA L. (2002), “Il bilancio sociale”, Il Sole 24 Ore, Milano. 22 Il tema dell’etica verrà approfondito nelle prossime pagine.
[11]
passati negli anni ad azioni più orientate verso interventi di tipo preventivo. Questo grazie alla diffusione della coscienza ambientale nell’opinione pubblica e ad un atteggiamento più consapevole del sistema produttivo, ripagato dei vantaggi competitivi e di immagine del “produrre pulito”. Il numero di imprese interessate a questa logica va aumentando anche se larghe parti del sistema produttivo non sono ancora coinvolte.
Concludendo, è possibile riassumere schematicamente alcune delle forze principali che hanno favorito la nascita della RSI:
a) Macro-fenomeni sociali ed economici. Forze che spingono l’impresa a farsi carico di
problemi e attese un tempo considerate di esclusiva competenza dello stato o della società civile, dove l’orientamento a rispondere diviene funzionale alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’impresa. Possiamo identificare queste forze nella:
Globalizzazione: opportunità per creare nuova ricchezza e timore di allargare il divario esistente tra are ricche e povere del mondo; necessità di un attento governo del fenomeno, nel quale le imprese sono chiamate a un ruolo primario in virtù del potere via via assunto;
Effetto serra: conseguenze di alcuni disastri ambientali connessi ai settori petroliferi e nucleari, con il timore di mutazioni climatiche. A riguardo citiamo la recente Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi (COP 21 o CMP 11) che si è tenuta a Parigi, dal 30 novembre al 12 dicembre del 2015. È stata la 21ª sessione annuale della conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992 e la 11ª sessione della riunione delle parti del protocollo di Kyoto del 1997.
Diritti umani e dei lavoratori: in base alla dichiarazione dell’ONU e dell’ILO diventano punti di riferimento (e sempre più sollecitati) per l’operare di un’impresa: salute, sicurezza sul lavoro, pari opportunità, tutela e valorizzazione di soggetti svantaggiati, il divieto del lavoro minorile. Al fine di diffondere la pratica della Responsabilità Sociale, il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, in occasione del suo intervento al World Economic Forum di Davos il 31 gennaio 1999, lancia l’iniziativa Global Compact (Patto Globale). Il Global Compact (basato sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sulla
dichiarazione dell’ILO (Interational Labour Organization), sui fondamentali
[12]
Rio sull’ambiente e lo sviluppo) si configurava come una iniziativa volontaria,
aperta alla partecipazione delle imprese e al coinvolgimento dei sindacati e delle organizzazioni della società civile in rappresentanza delle diverse categorie di portatori di interessi;
Processo di integrazione dei mercati finanziari: ha determinato la diffusione delle attese di trasparenze, dei modelli di governance, delle politiche di comunicazione per i contesti più influenti;
Studi di management: vari filoni di pensiero che alimentano l’attenzione alla RSI;
Consumatore responsabile: l’attenzione all’impegno ambientale e sociale delle imprese interviene a orientare i processi di acquisto;
Esigenza di correttezza/trasparenza: amplificata da eventi che hanno caratterizzato l’economia mondiale, quali scandali e fallimenti di grandi imprese (come Parmalat, Cirio, Finmatica in Italia), quali l’enorme ampiamento del divario tra remunerazione dei CEO e quella media degli addetti e così via. Queste crisi riguardano la concezione dell’uomo e l’educazione, prima che l’insufficiente diffusione dei valori imprenditoriali e professionali.
b) certificazioni (ambientali, di sicurezza, sociali, ecc) per raggiungere degli standard,
sia a livello locale che internazionale; da qui la forma volontaria di autoregolamentazione è importante per le imprese per evitare un’eccessiva proliferazione dei vincoli legislativi, che data la diversità delle imprese, ne soffocherebbe la creatività e l’innovazione;
c) l’attenzione delle associazioni consumatori ai processi produttivi, così come i
gruppi ambientalistici e le organizzazioni sindacali.
d) Previsione di budget da dedicare alla RSI, nonché organi e impegno all’elaborazione
di bilanci sociali e ambientali. Questo per lo più nelle grandi imprese, mentre nelle PMI è spesso argomento ignoto.
1.2 L’etica nella Responsabilità Sociale d’Impresa
L’introduzione dell’etica nella gestione d’impresa e il riconoscimento della responsabilità sociale delle organizzazioni economiche sono tematiche che si stanno rapidamente affermando nel mondo imprenditoriale, anche a seguito dei recenti sconvolgimenti dei
[13]
mercati finanziari provocati dai casi Enron e Worldcom23. Sempre più spesso, le imprese
saranno spinte da forze esterne e interne a raggiungere finalità quali l’eco – compatibilità delle scelte economiche e strategiche e, più i generale, ad assicurare la qualità e l’etica di uno sviluppo sostenibile24.
Inizialmente le imprese sono state mosse verso l’etica dal libero arbitrio degli attori economici che vi operavano (management, lavoratori). L’orientamento morale degli attori economici era lasciato al libero arbitrio degli stessi, il quale però, regolamentava solo alcuni aspetti della vita dell’impresa. Si trattava di una impostazione tradizionale secondo la quale la sfera dell’etica è esterna a quella dell’economia e interagisce con essa solo per il tramite degli individui che prendono le decisioni. La base di molti vecchi manuali di business ethics, soprattutto nordamericani, poggiava sulla "teoria
dell'amoralità del business", in base alla quale, quest'ultimo esulerebbe, molto spesso,
dalle leggi morali per perseguire i propri fini. Oggi giorno questa teoria può dirsi certamente superata e, in realtà, molto prima della sua formulazione, diversi economisti si sono espressi a riguardo formulando pareri totalmente discordanti25.
L' economista Adam Smith, nel suo celebre libro sulla "ricchezza delle nazioni” del 1776, auspicava il libero mercato e l'interesse personale come fonte di ricchezza per tutti, tuttavia in veste di professore di filosofia morale dell'Università di Glasgow, esponeva le sue idee sull'economia nell'ottica di una teoria morale26.
Anche il premio Nobel Milton Friedman affermò che lo scopo di una impresa è quello di produrre il massimo profitto possibile, ma aggiunse che ciò deve essere fatto nel rispetto della legge e della morale corrente.
In realtà però, un vero cambio di rotta si è avuto solo con la recente evoluzione degli studi
Business Ethics. Secondo tale nuova prospettiva l’etica può giocare positivamente a
favore della performance economica dell’impresa. L’etica può essere conveniente come una qualsiasi risorsa a disposizione dell’impresa. Sulla scia di tali considerazioni, dagli anni Ottanta negli Stati Uniti, e successivamente in Europa, comincia a diffondersi l'idea
23 VALSANIA M. (2013), “La madre di tutte le truffe contabili: lo scandalo Enron 12 anni dopo”,
http://www.ilsole24ore.com/.
24 TENCATI A. (2002), “Sostenibilità, impresa e performance: Un nuovo modello di evaluation and
reporting”, Egea, Milano.
25 RUSCONI G. (2007), “Etica, Responsabilità Sociale d’Impresa e coinvolgimento degli stakeholder”,
Impresa Progetto, DITEA, n.1.
[14]
che l'etica, con la connessa responsabilità sociale, non è necessariamente un onere accessorio legato ad alcuni vincoli morali da rispettare ma, anzi, può essere un'opportunità anche per il perseguimento degli interessi degli azionisti. In sostanza, dunque, si asserisce che un comportamento etico risulta essere conveniente per l'azienda, configurandosi come elemento fondamentale per il raggiungimento di un vantaggio competitivo. Gli studi sugli investitori etici indicano che essere etici non dovrebbe, in generale, essere poco conveniente, anzi spesso un comportamento socialmente responsabile è utile in termine di successo nei mercati di Borsa, nonostante essi siano influenzati dalle trimestrali e semestrali, che tendono a riferirsi al breve periodo. Addirittura, alcuni autori come Sciarelli (2002) sostengono che, se si partisse dalla convinzione che l’etica paga, che cioè comporta sicuramente vantaggi positivi in termini economici, non sussisterebbe alcuna distinzione tra principi etici e principi economici.
Inoltre, è necessario considerare che un’impresa, soprattutto quando si trova in difficoltà, potrebbe essere tentata da forme di “miopia imprenditoriale”, cercando di rischiare il tutto per tutto. La presenza di una rilevante funzione etica potrebbe dissuaderla dal prendere scelte irresponsabili27.
Un altro modo di vedere e di applicare l’etica aziendale, parte invece dal riconoscimento dell’ampliamento delle finalità dell’impresa e dall’obbligo per quest’ultima di produrre un valore allargato, cioè un valore da distribuire tra tutti gli stakeholder. Bisogna infatti considerare che il conformarsi alle leggi è un bene in sé, fondamento della stabilità, coesione e prosperità della società civile e dello Stato. Si può quindi desumere come, accrescere il valore dell’azienda per gli azionisti usando come mezzo anche un comportamento eticamente valido è moralmente positivo, in quanto in quanto il rispetto del vincolo etico è funzionale al conseguimento degli equilibri aziendali, che, a loro volta, permettono la disponibilità di maggiori risorse per tutti coloro che in qualche modo convergono nell’azienda (stakeholders). In questo secondo caso, il conseguimento del risultato economico deve essere necessariamente considerato come uno dei fini da raggiungere, anche se sovraordinato nei confronti degli altri.
27 RUSCONI G. (2007), “Etica, Responsabilità Sociale d’Impresa e coinvolgimento degli stakeholder”,
[15]
Tutte queste posizioni relative alla giustificazione dell’introduzione dell’etica nell’impresa sembrano convergere vero la “Teoria dello scambio impresa – ambiente di
riferimento”. Secondo il modello del contratto sociale di Donaldson (1982) infatti, è
l’etica a legittimare l’esistenza dell’impresa, perché promuove uno scambio “corretto” tra i benefici che essa riceve dal contesto ambientale e quelli che procura alla società. Ad ogni modo, quanto detto finora, ci conduce a un’importante premessa: per quanto possa essere credibile che l’etica giovi nel lungo periodo a chi la pratica, affermare in modo aprioristico che l’etica sempre e comunque conviene, appare alquanto incauto, ad esempio perché i valori etici potrebbero scontrarsi con la strategia di business, rivelandosi con essa incompatibili. Pensiamo al caso della sperimentazione sull’embrione umano: è indubbio che questa possa rappresentare un business redditizio, al quale però, si rinuncerebbe nel caso in cui la propria etica impedisse di continuare con tale progetto. Da questa riflessione è possibile enunciare la distinzione tra strategie etiche ed etica assoluta. Le Strategie etiche sono strettamente collegate al mantenimento e al miglioramento delle condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale del sistema aziendale nel lungo periodo. In quest’ottica l’etica viene percepita come un mezzo per raggiungere un fine. Adottare una simile strategia vuol dire, considerare al suo interno, e nella definizione delle scelte di gestione d’impresa, valori etici, sociali e ambientali28.
L’etica assoluta riguarda invece i principi etici che il decisore deve (e intende) rispettare a prescindere dal loro legame con il successo competitivo29.
Ad ogni modo, la presenza dell’etica all’interno dell’azienda, non deve essere immaginata come un concetto astratto ma, al contrario, essa deve trovare dei risvolti concreti a livello di comportamenti e a livello organizzativo. Il management, dunque, dovrà essere in grado di introdurre l’agire etico nel modus operandi dell’azienda e nella cultura alla sua base. Per fare questo, talvolta l’etica può e deve essere concretamente esplicitata all’interno di uno apposito codice o manuale.
Il codice etico aziendale, ad esempio, è un tipo di documento stilato ed adottato su base volontaria in un ambiente aziendale. Esso definisce un complesso di norme etiche e sociali al quale gli esponenti aziendali si devono attenere. Si rivela inoltre come una motivazione forte per il rispetto di regole di qualità, stimola azioni correttive al fine di
28 DORIGATTI M., RUSCONI G. (2005), “Etica d’impresa”, Franco Angeli, Milano. 29 DI TORO P. (1993), “L’etica nella gestione dell’impresa”, CEDAM, Padova.
[16]
migliorare i rapporti tra le aziende30. La strutturazione del codice etico aziendale segue
solitamente tre livelli:
Norme e principi etici e sociali;
Osservanza del codice etico;
Promozione delle norme e dei principi.
Nella prima sezione vengono elencate le norme al quale gli esponenti aziendali si devono attenere.
Il secondo livello riguarda invece l’indicazione dei provvedimenti interni attuabili in caso di violazione di una norma del codice etico e delle modalità di controllo per la garanzia dell'osservanza di tale codice.
Nell’ultima sezione, Promozione delle norme e dei principi, troviamo invece informazioni sulle modalità di comunicazione con chiunque sia coinvolto in una segnalazione delle modalità di applicazione del codice etico o di una violazione ad esso; informazioni sulla divulgazione e sulla promozione del codice etico.
La stesura di un codice etico aziendale prevede:
Analisi della struttura aziendale
Discussione interna per individuare i principi etici generali
Consultazione degli stakeholders per la condivisione dei principi
Una volta approvato il codice, si procede all'adeguamento della metodologia organizzativa aziendale e alle indicazioni finali. Queste ultime indicano solitamente il dialogo e la partecipazione come mezzi di promozione, approvazione e rispetto del codice etico aziendale.
A livello italiano, uno dei più importanti è il Codice Etico del Made in Italy (di cui possiamo osservare il logo nella figura 2), attraverso il quale le imprese possono dimostrare la conformità ad esso delle loro pratiche commerciali, ottenendo in questo modo il beneficio di un riconoscimento
30 RIOLO F. (1995), “Etica degli affari e codici etici aziendali”, Edibank, IGEB, Milano.
FIGURA 2: Logo Codice etico Made in Italy
[17]
super-partes nei confronti di un sistema di certificazione unico nel genere a livello nazionale per rafforzare in questo modo l'immagine, l'affidabilità e la reputazione del proprio marchio. In particolare, con la Certificazione 100% Made in Italy e con il Codice Etico si tende a rafforzare le Imprese che hanno rapporti con la pubblica amministrazione e con i brands internazionali.
Si è dunque compreso come l’assunzione di un atteggiamento etico da parte dell’azienda si concretizzi soprattutto nel rispetto dei molteplici soggetti con i quali, ogni giorno, essa è tenuta ad interagire. L’impresa è inserita in una rete di interazioni e rapporti di scambio con molteplici interlocutori sociali in grado di condizionarne in senso positivo o negativo le sue sorti31. Solo un’attenta gestione di questo sistema di relazioni consente all’impresa di ottenere le risorse e i contributi essenziali per la continuazione nel tempo dell’attività e la realizzazione della sua missione32.
I portatori di interesse (stakeholder) rappresentano tutti quei soggetti che: influenzano, secondo modalità e gradi di intensità differenti, le attività dell’organizzazione, e sono influenzati attraverso i servizi e le attività che l’organizzazione pone in essere.
Come detto, le sorti dell’impresa sono legate in un rapporto di interdipendenza dinamica agli stakeholder. Se l’impresa non riesce a coinvolgere i portatori di interesse (azionisti, dipendenti, clienti, Stato e pubblica amministrazione, banche, assicurazioni, movimenti d’opinione, gruppi di pressione etc…) nella sua gestione e nella propria offerta complessiva attraverso un progetto strategico motivante, non sarà in grado di ottenere le risorse necessarie per la sua sopravvivenza. Di fondamentale importanza sarà allora per l’impresa rispondere alle esigenze degli stakeholder in modo tale da assicurare legittimazione e consenso sociale necessari a garantire la funzionalità economica duratura dell’impresa.
La responsabilità dell’impresa nei confronti dell’ambiente e della società e il consenso da parte degli stakeholder diventano condizioni fondamentali per la sopravvivenza e il successo dell’impresa stessa. Secondo tale visione, si riconosce il contributo dell’etica alla creazione di valore per tutti gli stakeholder e per il quale, l’etica stessa perde quel carattere strumentale rispetto al solo risultato economico. Recenti impostazione teoriche:
31 FREEMAN E. (1984), “Strategic Management: A stakeholder approach”, Pittman, Boston.
32 DRUKER P. (1984), “The new meaning of Corporate Social Responsibility”, California Management
[18]
la teoria de “l’impresa cognitiva” e “l’impresa vivente”33, “la qualità totale” e “la teoria
degli stakeholder”34 hanno contribuito ad enfatizzare i comportamenti etici d’impresa e
l’importanza della CSR alla base dell’impostazione di una nuova teoria di creazione del
valore pluridemesionale35 e, quindi, allargato a tutti gli stakeholder (di cui parleremo più avanti).
Una volta compresa l’importanza degli stakeholder per il raggiungimento dei propri obiettivi, l’azienda dovrà provvedere ad una loro mappatura, ad un processo di individuazione e analisi delle loro aspettative al fine di redigere, in seguito, il piano di
CSR. A tal fine è necessario focalizzarsi sul processo di analisi degli stakeholder.
La Stakeholder Analysis36 (Analisi degli Stakeholders) è definita come una serie di attività volte ad individuare gli insiemi-gruppi di portatori di interesse più rilevanti per una organizzazione in un determinato momento e rispetto ad uno o più temi di interesse specifico. Lo strumento della Stakeholder Analysis, che si concretizza, in termini di output, proprio nella realizzazione della Mappatura degli Stakeholders (Stakeholder
Map), ha l’obiettivo di rilevare in modo strutturato ed efficace, con metodologie condivise
a livello internazionale, quali sono gli interlocutori che una organizzazione deve considerare prioritariamente nello svolgimento delle sue attività. Nella figura 3 possiamo vedere la funzione concretamente svolta dalla stakeholder analysis: inizialmente l’azienda è posta al centro di una rete di relazioni molto complessa in cui interagisce con numerosi ed eterogenei stakeholder; durante questa fase il management non riesce a definire la propria strategia in maniera ottimale, poiché ancora non è chiara la tipologia di relazioni che l’azienda intrattiene con ciascuno stakeholder (da cui poi scaturiscono azioni e responsabilità differenti) e la rilevanza delle stesse relazioni. Grazie alla stakeholder analisys invece, è possibile distinguere le diverse relazioni che vengono sviluppate e, soprattutto, le diverse tipologie di portatori di interesse - in ordine di rilevanza – che influenzano, e al tempo stesso, sono influenzati da parte dell’azienda.
33 VICARI S. (1991), “L’impresa vivente”, Etas, Milano.
34 FREEMAN R.E. (1994), “The Politics of Stakeholder Theory: Some future directions”, in Business
Etichs Quartely, n.4, Cambridge.
35 PIVATO S., GILARDONI A. (1996), “Elementi di economia e gestione delle imprese”, Egea, Milano. 36 http://www.focus-lab.it.
[19]
FIGURA 3: Mappatura Grafica degli Stakeholders
Fonte: www.focus-lab.it/analisi-e-mappatura-degli-stakeholder/
È essenziale, dunque, rilevare con precisione quali sono gli stakeholder che possono condizionare in modo significativo l’attività d’impresa nel breve e nel lungo periodo. Come vediamo nella figura 4, sostanzialmente si suddividono due macro gruppi di portatori di interessi:
Stakeholder Interni
Stakeholder Esterni
FIGURA 4: Stakeholders interni ed esterni
Fonte: www.focus-lab.it/analisi-e-mappatura-degli-stakeholder/
Nel primo macro gruppo (stakeholders interni) rientrano tipicamente il personale, gli organi di governo e controllo e gli azionisti. In tutti e tre i casi parliamo di soggetti che influenzano e sono influenzati in maniera significativa dall’azienda. In particolare, con specifico riferimento alla Corporate Social Responsibility, vedremo come gli organi di governo e controllo partecipano in maniera attiva allo sviluppo e all’attuazione della
[20]
strategia di sostenibilità, mentre invece il personale è piuttosto influenzato dalla stessa a causa di una serie di impatti soprattutto a livello organizzativo.
Nel secondo gruppo, quello degli stakeholder esterni, rientrano invece i fornitori, la società (in particolare la comunità locale), le istituzioni governative, i creditori, i media e i clienti. Tra questi, particolare rilevanza assumono i fornitori e i clienti che rientrano all’interno della catena del valore dell’azienda. In particolare, le relazioni con i fornitori, sono oggi ritenuti all’unanimità fondamentali da un punto di vista strategico e dovrebbero incentrarsi in una logica di partnership. Infatti, a differenza del passato, quando il fornitore era considerato un mero attore della catena dal quale acquisire beni e servizi, oggigiorno prevale una linea di pensiero che vuole lo stesso come partner strategico dell’azienda col quale devono essere condivisi strategia, obiettivi e anche interessi, in modo tale da dissuaderlo dall’attuare comportamenti opportunistici. Un’altra menzione, infine, va senz’altro fatta alle istituzioni governative, i c.d. stakeholder istituzionali, la cui attività normativa può influenzare profondamente l’agire dell’impresa.
Un ulteriore classificazione degli stakeholder può essere invece quella che vediamo nella figura 5, che ci permette di raggruppare i portatori di interesse in 3 differenti livelli.
FIGURA 5: I 3 livelli di Stakeholders aziendali
Fonte: www.focus-lab.it/analisi-e-mappatura-degli-stakeholder/
Nel primo livello rientrano tutte le categorie di attori che intrattengono rapporti
economici diretti con l’organizzazione, come i clienti, i fornitori, gli azionisti delle società
per azioni, ecc. Parliamo quindi di attori che influenzano o sono influenzati dalla redditività dell’azienda.
[21]
Nel secondo livello rientrano invece tutti gli stakeholders che possono influenzare o essere influenzati dall’azienda in modo diretto, ovvero non mediato, per esempio gli enti istituzionali a cui si è accennato in precedenza.
L’ultimo livello, il terzo, è composto da tutti i soggetti che interagiscono con l’organizzazione in modo indiretto, come i media, la comunità locale e altre organizzazioni del territorio. Tornando alla Responsabilità Sociale d’impresa, questi ultimi possono giocare un ruolo fondamentale a riguardo. L’impegno sociale dell’azienda, infatti, dipende anche e soprattutto dalla sua capacità di comprendere le esigenze che provengono dalla comunità all’interno della quale opera. I media invece, rappresentano uno strumento essenziale per promuovere e veicolare il proprio impegno sostenibile verso l’esterno.
A questo punto, a prescindere dalle possibili classificazioni, il risultato finale di una Stakeholder Analysis sarà una matrice di valori (Matrice di Rilevanza che vediamo nella tabella 1) contenente informazioni quantitative e qualitative, derivanti da un’analisi del valore ponderale attribuito a ciascun gruppo di portatori di interesse da parte di soggetti
TABELLA 1: La matrice di rilevanza
[22]
interni ed esterni all’azienda. La matrice viene costruita considerando, sui due assi, due dimensioni differenti, ovvero, l’influenza che tale categoria di stakeholder esercita sull’azienda, e il livello di interesse che l’azienda mostra nei suoi confronti37. Si desume
come, grazie alla matrice è possibile individuare quattro differenti tipologie di stakeholder in relazione alla loro rilevanza.
La prima tipologia di stakeholder è quello Marginale il quale né influenza, né tantomeno, è influenzato da parte dell’azienda, per cui non risulta strategicamente conveniente coinvolgerlo.
Vi è poi lo Stakeholder Debole o Operativo: si tratta di un soggetto che è doveroso coinvolgere in quanto presenta un livello di interesse elevato per l’azienda ma, tuttavia, non ha i mezzi per esprimere con forza le proprie posizioni.
Terza tipologia è quella dello Stakeholder Appetibile. Sarebbe opportuno coinvolgere tale soggetto perché trattasi di un elemento di forte pressione, di un opinion leader che può influenzare l’opinione pubblica, e quindi, indirettamente, anche gli interessi e la reputazione dell’azienda stessa.
Infine, vi lo Stakeholder chiave o essenziale che è obbligatorio coinvolgere in quanto ha forti capacità di intervento nell’ambito del processo decisionale.
In un’ottica di CSR, i portatori di interesse rilevanti non saranno semplicemente i classici
Stakeholder forti ( come gli azionisti, senza i quali l'impresa sociale non verrebbe ad
esistenza) ma anche, e soprattutto, gli Stakeholder sociali38 (attori che pur non
partecipando direttamente alla combinazione economica dell’impresa - ciclo di acquisto, produzione e vendita - sono interessati alle conseguenze che le attività dell’impresa hanno sul loro ambiente di appartenenza39) che possiamo collocare nel terzo livello dello schema precedentemente esposto.
Conoscere con esattezza i soggetti con i quali l’azienda dovrà relazionarsi rappresenta il punto di partenza per la definizione di una politica improntata al concetto di Responsabilità sociale, per cui molta attenzione dovrà essere prestata a tale fase.
37SARLO M.P. (2012) “La progettazione partecipata: mappatura e analisi degli stakeholders” in
http://www.diazilla.com
38 CODA V. (1988), “Valutazioni economiche e morali nella conduzione dell’impresa” in Etica ed
economia: riflessioni dal versante dell’impresa, Il Sole 24 Ore, Milano.
[23]
La mappatura degli stakeholder assume allora un significato strategico se riferita alla Corporate Social Responsibility. Nella tabella 2 possiamo osservare le tre fasi di cui si compone la gestione degli stakeholder con specifico riferimento alla CSR, necessarie ad anticipare le loro istanze in termini di sostenibilità e definire la propria strategia.
Anzitutto, per definire la propria strategia di sostenibilità è necessario, individuare (ed ascoltare) gli stakeholder determinanti o chiave per l’azienda. È ovvio infatti che per l’azienda è materialmente impossibile definire un piano di sostenibilità per ogni singolo stakeholder, quindi se ne desume l’esigenza di individuare quelli rilevanti sui quali puntare. Questo aspetto si traduce nell’attuazione dei concetti appena esposti ovvero mappatura degli stakeholder e infine analisi di rilevanza degli stessi (tramite la matrice di rilevanza). Ma se la mappatura degli stakeholder, cioè la loro identificazione è piuttosto agevole, non altrettanto può dirsi per la determinazione dei soggetti ritenuti chiave tra quelli individuati. Si tratta, infatti, di un aspetto che varia soprattutto in funzione degli obiettivi che l’azienda si è posta. Contestualmente a questa prima attività bisogna identificare i rischi, ma anche le opportunità, connesse a ciascuno stakeholder. I rischi e le opportunità si riferiscono soprattutto agli impatti che il piano di sostenibilità (e le conseguenti relazioni con gli stakeholder) ha sulla reputazione dell’azienda e la loro
TABELLA 2: Le 3 fasi della gestione degli stakeholder nella CSR
[24]
conoscenza è indispensabile, in particolare, per gli sponsor che possono finanziare tale piano.
Il secondo step consiste nella comprensione delle aspettative degli stakeholder chiave che, lo sottolineiamo, sono molto diverse a seconda della tipologia di portatore di interesse. È ovvio che le esigenze dello stakeholder “personale” sono ben distanti da quelle, ad esempio, degli sponsor. L’insieme di queste esigenze permetterà di definire le aree (in termini di tematiche) sulle quali intervenire.
Infine, sulla base delle esigenze individuate, viene definito un action plan per attenuare i rischi o cogliere le opportunità a cui si faceva riferimento in precedenza, coinvolgendo così gli stakeholder. Il programma di azione deve poi essere comunicato a tutti gli stakeholder, non solo a quelli chiave, in modo tale da divenire una best practice a cui ispirarsi e testimoniare il proprio impegno di sostenibilità.
1.3 Lo Sviluppo Sostenibile e la creazione di valore condiviso
Antonio Fazio, ex Governatore della Banca d’Italia, durante un convegno tenutosi l’11 settembre 2001 sostenne che: “Se l’unico criterio di riferimento rimane il profitto senza
etica, questo può distruggere la società”. Obiettivo della responsabilità sociale d’impresa
è quello di evitare che ciò accada, cioè evitare che l’azienda anteponga il perseguimento dei propri obiettivi al benessere collettivo e al rispetto della comunità in cui essa agisce. In quest’ottica uno dei metodi che sembra sposare la filosofia della CSR è il metodo Triple
Bottom Line40 (o Triple P Approach) che indica l’applicazione di considerazioni in base alle quali, nella scelta di un investimento, si analizzano le “Tre P”, ovvero People, Planet, Profit (Persona, Ambiente, Profitto).
Il fine ultimo della CSR dunque, è quello di uno sviluppo sostenibile che si articola nei 4 seguenti livelli che vediamo riportati in figura 6:
Sostenibilità economica;
Sostenibilità sociale;
Sostenibilità ambientale;
40 Espressione coniata da John Elkington nel libro: “Cannibals with Forks: The Triple Bottom Line of 21st
Century Business” in base alla quale, le imprese sviluppano investimenti sostenibili e decisioni societarie partendo dalla base (bottom) perseguendo simultaneamente i tre obiettivi (triple – line) che sono: la prosperità economica, la qualità ambientale e l’equità sociale.
[25]
Sostenibilità istituzionale.
FIGURA 6: Quattro livelli di Sostenibilità
Fonte: MOLTENI M., INVERNIZZI G. (2012) “Corporate Level Strategy: generare valore condiviso nelle imprese multibusiness”, McGraw Hill
La Sostenibilità economica è intesa come la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento degli stakeholder aziendali.
La Sostenibilità sociale è invece la capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, formazione) equamente distribuite per classi di lavoro e per genere. La Sostenibilità ambientale è la capacità di mantenere la qualità e riproducibilità delle risorse naturali circostanti; quindi ci riferiamo alla dimensione ecologica dell’azienda.
Infine la Sostenibilità istituzionale può essere infine definita come la capacità di assicurare condizioni di stabilità, democrazia, partecipazione e giustizia agli stakeholder interni e di dare trasparenza e rappresentatività agli stakeholder esterni.
Le organizzazioni che decidono di confrontarsi con la responsabilità sociale possono scegliere di farlo adottando differenti strategie di sostenibilità41:
41 MOLTENI M., LUCCHINI L. (2004) “I modelli di responsabilità sociale nelle imprese italiane” in
[26]
Ammettendo l’esistenza di un conflitto esterno/interno e cercando di opporsi ad esso (strategie di difesa);
In misura minore rispetto a quanto richiesto dagli stakeholder (strategie di
reazione);
Adattandosi alle istanze degli stakeholder (strategie di adattamento) ad esempio attraverso un processo strutturato di comunicazione con essi;
Anticipandone le richieste (strategie di pro-attività)
Dunque, è pacificamente riconosciuto, oggigiorno, che il contributo della CSR è destinato alla creazione di valore per tutti gli stakeholder, andando al di là del mero raggiungimento del solo risultato economico.
In particolare, secondo le più recenti teorie, il valore di impresa è un concetto
pluridimensionale che comprende e raggruppa alcune delle dimensioni prima citate in
relazione allo sviluppo sostenibile42: Una dimensione economica;
Una dimensione competitiva;
Una dimensione sociale.
La dimensione economica (reddituale, patrimoniale e finanziaria) riguarda, da un lato, la capacità dell’impresa di mantenere un grado di redditività in linea con le sue prospettive di crescita, all’interno di ben definiti parametri di solidità patrimoniale e di liquidità; dall’altro, la capacità di remunerare in maniera adeguata i mezzi finanziari propri e di terzi.
La dimensione competitiva riguarda il conseguimento, il mantenimento e il consolidamento del successo competitivo sui mercati in cui l’impresa opera o intende operare. A questo scopo, tutte le risorse aziendali sono mobilitate in uno sforzo comune di creazione di duraturi vantaggi concorrenziali, mediante scelte strategiche circa le politiche di mercato, la posizione tecnologica, l’attività di produzione e l’orientamento alla qualità43.
42 PERRINI F. (2003) “Corporate Social Responsibility e performance d’impresa. Un modello d’analisi
della creazione di valore per la gestione delle imprese” in Finanza, Marketing e Produzione, vol.21, Egea, Milano.
[27]
Infine con riferimento alla dimensione sociale, l’impresa ricerca un consenso duraturo da parte degli stakeholder coinvolti o interessati alla gestione aziendale.
Negli anni si è andata allora affermando una crescente convergenza di vedute riguardo all’obiettivo finale cui dovrebbero essere mirate le decisioni dell’impresa e che ha trovato espressione nella Teoria della Creazione e Diffusione del Valore: secondo tale teoria infatti l’obiettivo viene individuato proprio nella massimizzazione del valore
dell’impresa44. L’obiettivo del valore infatti, garantisce lo sviluppo e la sopravvivenza
duratura dell’azienda, rendendo possibile soddisfare, di conseguenza, le esigenze degli stakeholder che a vario titolo apportano risorse funzionali e necessarie alla gestione aziendale. La massimizzazione del valore dell’impresa rappresenta un obiettivo tecnicamente assai più evoluto di quello della massimizzazione del profitto. Il fine dell’impresa sarebbe quindi quello di massimizzare il suo valore espresso in termini di capitalizzazione di borsa o di valore di mercato. Si tratta dunque di una visione orientata al futuro perché ciò che conta non è più tanto il differenziale dei ricavi e dei costi ma la potenzialità di produrre risultati sempre migliori.
La creazione e distribuzione del valore creato dall’impresa impatta sulla vita degli Stakeholder in maniera notevole. Si può infatti osservare, nella tabella 3, come una gestione etica dell’impresa possa generare benefici per:
I fornitori: migliorando la comunicazione nei loro confronti e aumentando l’efficienza del processo di approvvigionamento;
I Clienti: attraverso una migliore qualità del prodotto e una maggiore comprensione dei relativi bisogni da soddisfare;
La società: attraverso un miglioramento generale della qualità della vita (ad esempio grazie ad un modus operandi dell’azienda che possa preservare le risorse naturali);
I lavoratori: attraverso forme di incentivazione (e di motivazione) consistenti in un miglioramento della qualità del lavoro o in una maggiore soddisfazione dal punto di vista economica;
[28]
Gli azionisti: grazie ad una equa distribuzione dei dividendi e ad una maggiore remunerazione ottenuta tramite il capital gain45.
TABELLA 3: La distribuzione del valore creato tra gli stakeholders
Fonte: PERRINI F. (2003) “Corporate Social Responsibility e performance d’impresa. Un modello d’analisi della creazione di valore per la gestione delle imprese” in Finanza, Marketing e Produzione, vol.21
Il ruolo sociale dell’impresa e la crescente consapevolezza degli effetti sociali di comportamenti non etici e non responsabili, da parte delle imprese, rendono auspicabile il ricorso a meccanismi di CSR, ormai riconosciuti a pieno titolo come variabili creatrici di valore. Cresce sempre di più, dunque, la necessità di uno sviluppo economico che faccia leva anche su attività e funzioni di ordine etico e culturale e sul rispetto delle risorse ambientali e sociali. La stretta relazione dell’etica con la gestione e il valore dell’impresa attrae gli investitori e gli operatori grazie alle possibilità connesse di incremento del valore in tutte le dimensioni precedentemente esposte.
45 Il capital gain, chiamato anche guadagno in conto capitale o utile di capitale, è un termine finanziario
utilizzato per indicare la differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario, come ad esempio azioni.
[29]
Trent’anni fa, con la pubblicazione dell’articolo “Strategic Management: A Stakeholder
Approach”46, Freeman ha inaugurato un percorso di riflessione sulla capacità delle
aziende d’instaurare un dialogo con tutti i soggetti che costituiscono il contesto sociale di cui fanno parte e che, direttamente o indirettamente, subiscono le conseguenze del loro operare. Comprendere come le aziende possano ottenere profitto rivolgendosi a una gamma di interlocutori che non si riduce ai soli investitori ha portato a cambiamenti incontrovertibili nel modo di «fare impresa». Il mondo delle aziende ha subito una scossa nel proprio modo di relazionarsi con una realtà sociale sempre più influente nei processi interni e nel sistema di gestione della catena del valore.
Grazie all’affermarsi dell’approccio orientato all’interesse degli stakeholder, si è assistito nel tempo all’attivazione di processi d’ascolto, di rendicontazione e di dialogo, dapprima incapaci di avere effetti concreti sull’operato dell’azienda, e poi sempre più sofisticati e integrati nei meccanismi d’impresa. La trasparenza della comunicazione aziendale, al di là degli strumenti istituzionali, è diventata elemento imprescindibile del patto di fiducia con i consumatori, tanto che la ricerca dei canali più adatti per raggiungere i diversi portatori d’interesse e instaurare un dialogo con loro è ormai un compito essenziale tra le modalità di conduzione delle attività.
Tuttavia, il processo di responsabilizzazione delle imprese sembra esser giunto a una fase ancor più matura, che si articola attorno all’obiettivo d’individuare forme di
coinvolgimento più diretto degli stakeholder. Quella che oggi sembra profilarsi è una
spinta verso un impegno più concreto per l’ideazione e la realizzazione di soluzioni che permettano l’instaurarsi di vere collaborazioni e partnership con le persone e i territori. Nel mondo della sostenibilità, un simile approccio ha assunto il nome di shared value. Il primo contributo circa la creazione di valore condiviso è stato offerto da Porter e Kramer che, nel 2011, si sono espressi a riguardo in tal maniera: “Creating Shared Value significa
creare valore economico in un modo che crea valore anche per la società, affrontando i suoi bisogni e le sfide. Le aziende devono collegare il loro successo al progresso sociale. Il valore condiviso non è la responsabilità sociale, la filantropia, o anche la sostenibilità, ma un nuovo modo per raggiungere il successo economico. Non è al margine di ciò che le aziende fanno ma al centro. Crediamo che possa dar luogo alla prossima grande
46 FREEMAN R.E. (2010) “Strategic Management: A Stakeholder Approach” Cambridge University
[30]
trasformazione del pensiero aziendale”47. Tale concetto ha poi trovato diverse forme di
declinazione, che si traducono in attività di sostegno alle comunità per la loro prosperità, istruzione e salute, supporto alla catena di fornitura per mantenerla profittevole e competitiva, in attività volte a rendere le persone che lavorano in azienda competenti e soddisfatte e nella messa in atto di tecniche e strumenti per salvaguardare le risorse naturali e l’ambiente. In sintesi, ciò che viene proposto – e da alcuni anche attuato – è un modello d’interazione con gli stakeholder che sia in grado di generare valore positivo per entrambe le parti. Sappiamo quanto le aziende che propongono modelli di sharing
economy siano in forte crescita e molte di esse stiano raggiungendo un discreto
successo48.
È evidente che non è facile riuscire a quantificare l’apporto fornito dalla CSR. Con tale affermazione si intende dire che cogliere all’interno di un indicatore quanto del suo valore sia riconducibile a un comportamento socialmente responsabile è cosa difficile, e nemmeno utile, quello che risulta importante è individuare attraverso quali leve e quali meccanismi il comportamento socialmente responsabile dell’impresa impatta sul suo valore. Nella figura 7 tali leve sono rappresentate graficamente.
47 PORTER M., KRAMER M. (2011) “Creare valore condiviso” in Harvard Business Review. 48 SALVIONI M.D. (2003) “Corporate Governance e responsabilità d’impresa” in Emerging Issues in
Management, n. 1, SYMPHONYA, ISTEI, Milano.
FIGURA 7: Il circolo virtuoso CSR e la creazione di valore
Fonte: PERRINI F. (2003) “Corporate Social Responsibility e performance d’impresa. Un modello d’analisi della creazione di valore per la gestione delle imprese” in Finanza, Marketing e Produzione, vol.21
[31]
Il circuito che alimenta tale potenzialità di creazione di valore si basa, anzitutto, sul concetto di fiducia49. La fiducia e la reputazione sono da considerarsi mezzi e non fini. In
particolare, la fiducia nella relazione impresa - stakeholder assume un significato fondamentale se si pensa a come buona parte delle scelte economiche si basa sulla reputazione del soggetto con il quale si conclude una transazione. Tali considerazioni hanno un impatto ancora maggiore se si pensa a come l'avvento dei nuovi rapporti economici portati dalla net-economy ha introdotto delle regole del tutto nuove, basate soprattutto su un livello di cooperazione tra clienti, fornitori e concorrenti che non ha precedenti. Alla luce di quanto appena accennato e tenendo presente la smaterializzazione dei rapporti che ne conseguirà si può capire come un contesto che evolve in tal senso si caratterizzi sempre di più per una crescente esigenza di informazione, ma soprattutto di affidabilità dell'informazione (trasparenza).
Un comportamento socialmente responsabile dell'impresa, dunque, può concretizzare con gli stakeholder una relazione duratura che minimizza i costi di transazione derivanti dal passaggio e dalla ricerca di altre imprese per il soddisfacimento di questo bisogno. Tale relazione duratura dipende dalla misura in cui l'impresa riesce a soddisfare le aspettative dei propri stakeholder e quindi in ultima analisi a creare valore. Come detto la fiducia è quell'elemento necessario affinché possa essere rinforzata la credibilità di un soggetto economico.
Come implicito nella teoria del valore50, la credibilità è, a sua volta, una caratteristica
fondamentale, che deve permeare l'attività di comunicazione di un'impresa che, altrimenti, vedrebbe vanificati (o quantomeno molto indeboliti) i propri sforzi di creazione di valore.
La comunicazione è il veicolo per mezzo del quale l'impresa si costruisce un'immagine nei confronti dei propri interlocutori e gode sul mercato di una certa reputazione. Grazie all'immagine e alla comunicazione l'impresa diffonde il valore creato, che è il fenomeno necessario affinché possa essere trasformato l'aumento di valore da potenziale a effettivo. In figura possiamo vedere una rappresentazione grafica del percorso logico seguito, che porta ad affermare i benefici di un comportamento responsabile di un'impresa. La CSR dunque, ha un impatto sia sulla creazione che sulla diffusione del valore.
49 CASTALDO S. (2002) “Le relazioni di fiducia”, Il Mulino, Bologna.