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4.4 Modelli d’interazione di tipo dinamico

4.4.2 Modello di Dekimpe e Hanssens

Dekimpe e Hanssens (Dekimpe and Hanssens (1995b), Dekimpe and Hanssens (1995a)), hanno proposto un nuovo approccio che consente di stabilire se e come le risorse impie- gate nel marketing riescono ad ottenere risultati permanenti sulle vendite. Rispondere a tale questione è, secondo gli autori, essenziale per riuscire a creare strategie di marketing che conducono verso un vantaggio competitivo sostenibile. Nei due articoli pubblicati nel 1995, viene introdotto il modello di persistenza come un modello in grado di derivare gli effetti prodotti dagli strumenti di marketing-mix nel lungo periodo, attraverso l’anal- isi delle serie storiche relative a vendite e investimenti in azioni di marketing. I modelli di persistenza multivariata nascono con l’intento di combinare in una sola misura di “impatto netto di lungo termine” l’intera sequenza di reazioni a catena da parte del consumatore, da parte delle imprese concorrenti e da parte dell’impresa stessa che fan- no seguito all’iniziale azione di marketing-mix (Brasini (2004)). L’analisi svolta rileva come gli effetti di lungo periodo siano il frutto di complesse interazioni dinamiche tra

diversi effetti di breve, e come differenti strumenti di comunicazione possano condurre a effetti di lungo periodo diversi (Dekimpe and Hanssens (1995b)).

Il modello di persistenza si discosta dai modelli di risposta alle vendite per due im- portanti ragioni: piuttosto che focalizzarsi su un’unica azione di marketing, esso deriva l’impatto totale di lungo periodo per tutte le possibili azioni prese complessivamente; piuttosto che guardare al prezzo assoluto o al livello di investimento, si osserva l’impatto differenziale ottenuto nel tempo dall’azione di marketing sulla marca.

Gli autori discutono innanzitutto il concetto di persistenza: un’azione di market- ing produce un effetto persistente (o permanente), se parte dell’effetto osservato nel breve periodo riesce a modificare in modo permanente l’andamento dei rendimenti fu- turi, mentre produrrà un effetto temporaneo se, dopo un certo numero di periodi, la performance della marca torna al livello iniziale.

Per distinguere tra una serie stazionaria ed una evolutiva, gli autori propongo di utilizzare il criterio delle radici unitarie. Si consideri per semplicità il caso in cui le vendite di una marca al tempo corrente possano essere descritte attraverso un processo autoregressivo di primo ordine, del tipo:

(1 − φL)Vt= c + ut

dove φ è un parametro autoregressivo, L è l’operatore ritardo tale che LkV

t= Vt−k, ut

è una serie di shocks casuali incorrelati, a media nulla e a varianza costante.

Applicando sostituzioni successive è possibile scrivere nuovamente l’equazione sopra riportata nel modo seguente:

Vt = c + φVt−1+ ut = c + φ(c + φVt−2+ ut−1) + ut = c + φc + φ2(c + φV t−3+ ut−2) + ut−1+ ut .. . = c 1 − φ+ ut+ φut+ φ 2u t−2+ . . .

nella quale il valore presente Vtè spiegato tramite una somma pesata di shocks casuali.

In funzione del valore di φ è possibile distinguere tre scenari:

1. |φ| < 1, l’impatto di uno shock passato diminuisce all’aumentare del divario tem- porale tra tempo corrente e istante nel quale avviene lo shock, fino a divenire

4.4. MODELLI D’INTERAZIONE DI TIPO DINAMICO 71

eventualmente ininfluente. In questo caso ogni shock produce solo un impat- to temporaneo, le serie hanno media costante pari a c/(1 − φ), varianza finita

σ2

u/(1 − φ2), e possono essere definite serie stabili;

2. quando |φ| = 1 la funzione delle vendite correnti diventa:

Vt= (c + c + . . .) + ut+ ut−1+ . . .

indicando che ogni shock casuale ha un effetto permanente sulle vendite della marca analizzata. In questo caso non si osserva una media costante e la varianza aumenta all’aumentare del tempo, la serie non ritorna al suo livello iniziale poichè il suo andamento è crescente o decrescente nel tempo, ovvero si evolve;

3. si potrebbe considerare anche il caso in cui |φ| > 1, ma ciò significherebbe che gli shocks passati diventano sempre più importanti con il passare del tempo, e questa è un situazione irrealistica nel mondo del marketing. Per tale motivo è preferibile concentrare l’attenzione sui primi due casi.

Stabilire se la serie Vtè stabile o evolutiva, si riduce all’analisi del polinomio (1 − φL),

al fine di accertare se possieda o meno una o più radici in un intorno sufficientemente piccolo di 1. Numerosi test sono stati sviluppati al fine di accettare o rifiutare l’ipotesi nulla di presenza di radici unitarie. Dekimpe and Hanssens (1995a), fanno riferimento in particolare al test Dickey-Fuller aumentato (Augmented Dickey-Fuller, ADF), il quale si basa sulla stima della seguente equazione:

(1 − L)Vt= 4Vt= a0+ bVt−1+ a14Vt−1+ . . . + am4Vt−m+ ut

La statistica t del coefficiente b viene confrontata con i valori critici proposti da Fuller (1976)2 o, successivamente, da MacKinnon (1991, 1996)3. L’ipotesi nulla di presenza di

radici unitarie, e quindi di serie evolutive, è rifiutata se il valore ottenuto è più piccolo del valore critico. Infine gli m termini 4Vt−j riflettono le temporanee fluttuazioni delle

vendite e ut un errore di tipo White Noise.

2Dickey e Fuller (1979) dimostrano che sotto l’ipotesi nulla di presenza di radici unitarie, questa

statistica t non segue la convenzionale distribuzione t di Student. Al fine di risolvere tale problema, derivano dei risultati asintotici e simulano dei valori critici per vari test e ampiezze campionarie.

3MacKinnon implementa un maggior numero di simulazioni rispetto a quelle tabulate da Dickey e

La presenza di radici unitarie implica che una parte dell’effetto prodotto da uno shock sulle vendite persisterà nel tempo e influenzerà il comportamento della marca nel lungo periodo. In assenza di radici unitarie, le vendite ritorneranno sempre al loro livello medio iniziale e la performance di lungo periodo non sarà influenzata da alcuna azione di marketing. Affinchè le azioni di marketing producano degli effetti persistenti sulla performance aziendale è necessario quindi che le vendite siano evolutive e che la non stazionarietà dipenda dalle azioni di marketing poste in essere (Dekimpe and Hanssens (1995a)). La non stazionarietà è però una condizione necessaria ma non sufficiente per l’applicazione dei modelli di persistenza multivariata (Dekimpe and Hanssens (1995b)): tale metodologia può essere applicata anche a serie stazionarie, ma è bene ricordarlo, in questo caso le stime dei parametri forniranno una valutazione di effetti esclusivamente transitori sulle vendite.

Il 60% delle vendite osservate per una marca/azienda e il 90% di quelle osservate a livello di categoria/industra non sono stabili ma evolvono nel tempo (Dekimpe and Hanssens (1995a)). Ciò significa che le strategie sui prodotti hanno più probabilità di produrre degli effetti di lungo periodo rispetto alle strategie di espansione di una marca. Lavori successivi (Dekimpe et al. (1999), Nijs et al. (2001)), svolti su dati scanner, hanno però evidenziato che la performance e il comportamento di spesa di molte categorie e marche di largo consumo sono prevalentemente stazionarie attorno ad una media costante o ad un trend deterministico.

Il modello utilizzato dagli autori per derivare stime della persistenza multivariata è il Vector-AutoRegressive (VAR), perchè in grado di catturare l’influenza di più shocks e non richiede l’imposizione di restrizioni strutturali a priori. Il modello VAR nasce nell’analisi macroeconomica, ma grazie alla maggiore disponibilità di dati di lungo pe- riodo e ai lavori condotti da Dekimpe e Hanssens, tale metodologia è oggi ampiamente utilizzata nell’analisi microeconomica, in particolare nelle analisi di marketing.

In Dekimpe and Hanssens (1995b) viene presentato un modello bivariato che pone in relazione vendite Vte pubblicità At. Se le serie sono entrambi stazionarie il modello

VAR si può scrivere: " Vt At # = " π111 π121 π1 21 π221 # " Vt−1 At−1 # + . . . + " πp11 π12p πp21 π22p # " Vt−p At−p # + " εV,t εA,t #

dove p è la dimensione del modello, che può essere individuata tramite un criterio di informazione, e ~εt= [εV,t, εA,t]0 è un vettore White Noise.

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In generale la specificazione di un VAR(p) è la seguente:

A(L)Xt= εt

dove:

A(L) = Is− A1L − A2L2− . . . − A

pLp è la matrice polinomiale sull’operatore ritardo

L;

Aj, con j = 1, . . . , p sono matrici di parametri s×s;

Xt è un vettore di dimensione s×1 delle variabili dipendenti;

εt è un vettore White Noise (εt= V W N (0, Σ)).

Questo modello è molto utile per descrivere la struttura dei ritardi esistente nei dati, in quanto tutti gli elementi del vettore Xt sono posti in relazione con tutti gli

elementi del vettore Xt−1. In tali modelli non sono però inclusi direttamente gli effetti istantanei. La matrice di varianza e covarianza dei residui (Σ) può stabilire la presenza di un eventuale effetto istantaneo ma non la sua direzione. Per analizzare l’impatto di uno shock nel tempo, è utile riscrivere il modello autoregressivo nell’equivalente forma a media mobile (Vector Moving Average, VMA):

" Vt At # = " 1 0 0 1 # " εV,t εA,t # + " a1 11 a112 a1 21 a122 # " εV,t−1 εA,t−1 # + " a2 11 a212 a2 21 a222 # " εV,t−2 εA,t−2 # + . . . dove ak

12misura l’impatto di uno shock unitario provocato dalla pubblicità sulle vendite Vt avvenuto k periodi precedenti, tenendo tutte le altre variabili costanti. Quando si

osservano serie stazionarie, tali effetti si riducono nel tempo fino a divenire insignificanti, e la performance della marca ritorna ai livelli precedenti allo shock. Il percorso in base al quale una variabile di questo tipo ritorna al suo livello di equilibrio, è chiamato, in questa tipologia di modelli, risposta all’impulso. Una sequenza di aij successivi viene

definita funzione impulso-risposta, e può essere derivata direttamente attraverso le stime del modello VMA o simulando l’impatto di uno shock nel modello VAR. Le funzioni di risposta all’impulso riflettono la complessità delle interazioni esistenti fra tutti gli shocks casuali analizzati e consente di ottenere una descrizione completa della struttura dinamica del sistema. Tale funzione consente di ricavare numerose informazioni di sintesi sulle dinamiche di breve e di lungo periodo del sistema, tra le quali enunciamo le seguenti (Nijs et al. (2001), Dekimpe and Hanssens (2003) Srinivasan et al. (2004)):

• impatto istantaneo: descrive gli effetti di uno shock istantaneo dell’impulso j-

esimo sulla variabile i-esima;

• impatto di lungo periodo: corrisponde al valore al quale converge la funzione di

Impulso-Risposta;

• impatto cumulato: è l’effetto totale di breve periodo che descrive gli effetti di

uno shock permanente. Tale informazione viene ricavata cumulando i coefficienti successivi della funzione di risposta fino al tempo in cui la serie converge.

Dekimpe and Hanssens (1995b) suggeriscono di utilizzare un VAR nelle differenze quan- do si osservano delle serie evolutive, in modo da rendere tali serie stazionarie ed applicare quindi la metodologia sopra descritta. Quando il vettore delle variabili originarie viene sostituito dal vettore delle variabili nelle differenze, ak

12 misura l’impatto sulle vendite

cresciuto negli ultimi k periodi, mentre l’effetto dello shock totale al k -esimo ritardo è ottenuto cumulando il più basso ordine della funzione di impulso-risposta. Nijs et al. (2001), identificano la durata dello shock con l’ultimo periodo in cui il valore della fun- zione di impulso-risposta ha ottenuto una t statistica in valore assoluto maggiore di 1.

Utilizzando le serie differenziate la funzione di impulso-risposta convergerà a zero, tranne nel caso in cui la pubblicità produce un effetto istantaneo sulle vendite (tale effetto si riscontra quando εV,t e εA,t sono correlati). Per evitare tale inconveniente gli autori propongono di lavorare con una trasformazione del VAR nella quale il termine d’errore possiede una matrice di varianza e covarianza diagonale. Per svolgere tale trasformazione gli autori propongo di utilizzare la decomposizione di Cholesky della matrice di varianza e covarianza dei residui. Utilizzando tale metodologia si impone un ordine tra le variabili, inserendo per prima quella che meno influenza le altre e per ultima quella spiegata da tutte le variabili inserite precedentemente, e riscrivendo σ come σ = T−1D(T−1)0, dove D è una matrice diagonale e T è una matrice triangolare

con diagonale unitaria. Applicando tale trasformazione cov(εV,t, εA,t) = 0. La funzione

di risposta agli impulsi sarà, ovviamente, diversa in funzione dell’ordine con cui le variabili vengono inserite o del criterio di decomposizione scelto.

Nell’articolo pubblicato successivamente da Dekimpe e Hanssens (Dekimpe and Hanssens (1999)) si propone di calcolare gli shock istantanei attraverso un modello non trasformato, di non imporre a priori un ordine temporale tra le variabili e di cal- colare le funzioni di impulso-risposta in corrispondenza del vettore di shocks attesi (lo shock indotto dal fattore i sul fattore j, con i 6= j è pari a cov(ij)var(i)). Per assicurare che

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l’ordine delle variabili non influenzi i risultati gli autori propongono di utilizzare gli im- pulsi generalizzati (Generalized Impulses) come descritto da Pesaran and Shin (1998). Nello stesso articolo si osserva che l’uso di un VAR nelle differenze può produrre una perdita di informazioni di lungo periodo rilevanti quando esiste cointegrazione, o co- evoluzione di lungo periodo, ovvero esiste una relazione lineare tra le variabili di inter- esse che produce residui stazionari. A tal fine viene introdotto il modello a correzione d’errore (Error Correction Models, VEC) in grado di aggiustare la deviazione della serie rispetto all’equilibrio di lungo periodo, derivando così una funzione di impulso- risposta corretta. Il modello VEC si ottiene aggiungendo un termine di correzione dell’errore pari al vettore dei residui ritardati. L’aggiunta di tale termine implica che in ogni periodo avviene un aggiustamento parziale che consente di risanare l’equilibrio temporaneamente disturbato.

Il sistema parzialmente corretto per le deviazioni osservate precedentemente e i co- efficienti degli errori, consentono di calcolare la velocità con cui avviene l’aggiustamento (Joshi and Hanssens (2004)).

Il modello di persistenza può essere quindi rappresentato come un processo a più stadi (Dekimpe and Hanssens (2003)):

1. Verifica della stazionarietà delle serie attraverso il test a radici unitarie. Una serie stazionaria possiede osservazioni che fluttuano nel tempo attorno ad una media fissa, mentre una serie evolutiva non possiede una media costante e può spostarsi in modo permanente rispetto al suo livello iniziale

• se le serie sono stazionarie si utilizza il modello VAR o SVAR (Structural Vector-AutoRegressive);

• se le serie non sono stazionarie si effettua un test di cointegrazione al fine di

verificare la presenza di trend comuni:

– se esistono trend comuni si utilizza il modello VEC;

– se le serie non sono cointegrate si utilizza un modello VAR nelle differen- ze;

2. Derivazione di funzioni di Impulso-Risposta ( Impulse-Response Functions, IRF) e valutazione delle dinamiche di breve e lungo periodo.

In fine, secondo Joshi and Hanssens (2004), è bene calcolare la decomposizione della varianza della funzione di impulso-risposta, allo scopo di individuare la percentuale di varianza dell’errore stimata per l’impresa attribuibile ad uno shock pubblicitario.

Questa analisi consente di separare l’impatto pubblicitario diretto sul valore dell’impresa dal suo impatto indiretto sulle vendite e sui profitti.