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3.3

La teoria del potere di mercato

I fondatori della teoria di mercato attribuiscono alla pubblicità esclusivamente un ruolo persuasivo, ritenendo tale strumento un vero e proprio ostacolo alla concorrenza. Uno dei primi e più importanti economisti che aderirono a tale corrente di pensiero fu Kaldor (1950).

L’autore definisce la pubblicità un bene complementare, venduto congiuntamente al bene o servizio pubblicizzato, e, in quanto tale, non in possesso di un mercato proprio. A causa di questa mancanza e della presenza di divergenze note tra prezzi e costi marginali, Kaldor sosteneva che era impossibile valutare quando, e se, l’ammontare pubblicitario prodotto risultasse essere efficiente.

Nel suo articolo del 1950, egli fornisce un’affascinante analisi di come i produttori inglesi del XIX secolo utilizzavano la pubblicità. In primo luogo l’autore evidenzia l’importante cambiamento strutturale avvenuto nei mercati osservati: inizialmente essi erano formati da un vasto numero di piccole imprese a dimensione locale che nel tempo si aggregarono, creando grandi compagnie nazionali che portarono ad un forte aumento del grado di concentrazione dei mercati. Cercando una spiegazione al fenomeno, Kaldor notò che i produttori utilizzavano la pubblicità per rendere stabili le loro marche sul mercato e creare un rapporto diretto, e di fiducia, con i consumatori. La causa del cambiamento osservato, secondo l’autore, è quindi la pubblicità, che oltre a creare e raf- forzare la differenziazione tra prodotti, altera il sistema delle preferenze degli individui, generando comportamenti di fedeltà nei confronti di specifiche marche: l’acquirente è spinto verso i prodotti più pubblicizzati e le marche più note.

Così facendo la pubblicità ostacola e scoraggia la venuta di nuove imprese nel mer- cato, costituendo fonte di barriera all’entrata soprattutto in quei mercati caratterizzati da un’elevata pubblicità in cui le preferenze sono già ovviamente orientate verso un marchio specifico. Per far parte di questi mercati, il nuovo arrivato dovrebbe inve- stire ingenti risorse di capitali nelle campagne di lancio del suo prodotto, ma, spesso, un’azienda nuova non può permettersi di fare degli investimenti così importanti in at- tività promozionali che, in caso di fallimento, non sarebbero più recuperabili. Lo sforzo finanziario richiesto è quindi molto elevato e spesso superiore alle forze della nuova impresa, che spesso rinuncia quindi ad entrare nel mercato.

Secondo Kaldor la pubblicità comporta quindi sia degli effetti diretti che indiretti. La conseguenza diretta di una campagna pubblicitaria, a cui tutti pensano, è che, probabilmente, informando i consumatori su qualità e prezzi dei prodotti il livello di vendite aumenterà. In secondo luogo egli osserva che se nel mercato esistono delle forti

economie di scala, l’attività pubblicitaria porta ad una maggiore concentrazione e ad un abbassamento dei prezzi di produzione, se però la pubblicità comporta una crescente fedeltà alle marche, essa produce un incremento dei prezzi.

Bain (1956) condusse un’analisi tra 20 grandi industrie manufatturiere americane, allo scopo di individuare gli effetti e la relativa importanza delle barriere all’entrata. Nel suo articolo egli evidenzia l’esistenza di quattro possibili forme strutturali che una barriere all’entrata può produrre: vantaggi assoluti nei costi e nella differenziazione dei prodotti per i venditori, economie di scala e una riduzione del capitale necessario all’im- presa. In base all’analisi condotta, Bain conclude che la differenziazione dei prodotti è probabilmente la conseguenza più importante delle barriere all’entrata, e che con- centrazione e barriere sono le principali determinanti del profitto aziendale. Anche se Bain non asserisce che la pubblicità è la fonte primaria di differenziazione del prodotto, dichiara che le imprese già operanti nel mercato utilizzano la pubblicità per manipolare le preferenze dei consumatori e dirigere gli acquisti verso i propri prodotti. Tale politi- ca di mercato viene, per Bain, maggiormente utilizzata dalle industrie che producono beni di consumo e in questi mercati la pubblicità rappresenta, apparentemente, la fonte più importante di differenziazione. In conclusione, quest’analisi pioneristica conduce a ritenere che la pubblicità crea differenziazione, costituisce barriera all’entrata e permet- te alle imprese, già inserite nel mercato, di godere di importanti vantaggi sui prezzi guadagnando considerevoli profitti. L’autore definisce inoltre il concetto di sunk costs (costi irrecuperabili), ovvero l’insieme delle spese promozionali che rendono il rischio dell’investimento troppo elevato, scoraggiando la gran parte delle imprese che tentano di entrare nel mercato. Lo studio condotto non è però conclusivo, e soffre di un’impor- tante limitazione: Bain non spiega il processo attraverso il quale la pubblicità crea una barriera all’entrata e porta ad una preferenza dei prodotti.

Comanor and Wilson (1974), in accordo con quanto già evidenziato da precedenti autori, ritengono che la pubblicità conduca verso la creazione di nuove barriere all’en- trata. A differenza di Bain, essi però tentano di spiegare come la differenziazione dei prodotti, indotta dalle attività pubblicitarie, possa originare barriere all’entrata. Per le imprese già operanti nel mercato, aumentare l’investimento pubblicitario significa aumentare le vendite più che proporzionalmente, e ciò avviene per due ordini di motivi: maggiore è la pubblicità ripetuta e più alto è il desiderio creato nel consumatore, com- pensando adeguatamente il capitale così investito; a livelli maggiori di spesa corrisponde un costo medio unitario per il messaggio, inferiore. Le piccole imprese si trovano così ad affrontare difficoltà maggiori rispetto alle rivali di più grandi dimensioni in quanto, oltre a dover investire di più in attività pubblicitarie al fine di crearsi una clientela, si