La soppressione delle case del clero regolare e dei monasteri femminili nel Lecchese e nell'area bosina (Varese).
2.2 I monasteri femminili e la mancanza di un piano distributivo: il caso del Lecchese.
A differenza dei conventi maschili, quelli femminili, inizialmente, non subiscono un’immediata riduzione. I motivi che costringono i funzionari della Giunta a non forzare la mano sono, principalmente due: uno di natura religiosa, l’altro, più prettamente, di carattere economico.
Dal primo punto di vista, entra in gioco e si fa sentire il sentimento religioso di Maria Teresa, particolarmente sensibile all’educazione impartita nei chiostri femminili; dal lato economico, invece, tali istituti, in parte, e soprattutto nella provincia milanese considerata (Lecco, area bosina e Brianze), vivono in condizioni disagiate.
Gli altri, grazie anche alle proprie attività, alle elemosine ed ai benefici derivanti
dalle famiglie protettrici, riescono a superare le situazioni d’indigenza.276
Vi é stato, poi, dal 1749 fino al 1766, l' assegno di tremila scudi a favore dei conventi più bisognosi di Milano e di mille scudi per i monasteri meno abbienti di Cremona e diocesi che aveva “alleggerito” il carico “gravante” dovuto alle Casse del Sussidio
Ecclesiastico anche dagli istituti femminili.277
Sulla vita e sul regolamento che vige all’interno di questi istituti, è importante quanto scritto alle converse di S. Tecla il 18 febbraio 1765, e cioè:
• “Che siano obbedienti e portino riverenza verso la madre superiora;
• Che non dicano tra di loro parole di strapazzo; nondimeno che non le dicano
contro le monache velate, alle quali devono portare maggior rispetto;
• Che siano simili e mansuete come dice il Signore;
• Che tengano conto della roba del monastero e non la consumino così
malamente;
• Che offrano, poi, tutte le loro fatiche al Signore per il suffragio delle anime del
Purgatorio”.278
Ogni convento ha un proprio protettore, di solito appartenente a qualche nobile casato locale.
In periferia alcuni istituti diventano utili non solo per l’edificazione spirituale di quelle genti; ma anche per il loro sviluppo economico e per i loro bisogni.
Il monastero di S. Antonio in Varese, per fare un esempio, da secoli, produce e vende pane. Nel 1767 ha luogo un ricorso, presentato alla Curia arcivescovile dal prestinaro di quel borgo, Giovanni Garrone, “pel danno che da tal vendita di pane gliene 276 Dall' attaco delle soppressioni femminili si salveranno solo le suore elisabettiane, orsoline e
salesiane, perché dedite all'educazione della gioventù (M. Taccolini, Per il pubblico bene, cit.p.55).
277 ASMi, Culto p. a.,bb. 1820- 1821, “Assegno fatto da Clemente XIV di scudi tremille a Monasteri
poveri della città di Milano sopra li frutti de Benefici vacanti concistoriali nel 1766. Reale
dispaccio per l’esecuzione del suddetto assegno con regio placito”, Roma, 1767,. Si veda anche
ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.131.
278 ASMi, Culto p. a, b. 1935 ed anche ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b. 128,
ridonda”.279 Le suore, pur facendo riferimento ad una grida precedente, che vietava
“ad ogni persona di qualsivoglia condizione e stato di vender pane, che sia di un medesimo peso ed in farina venale”, si giustificano affermando che quella é una “pratica immemorabile del monastero, mai proibita, né avversata dai prestinari
precedenti”. 280 Il pane non viene venduto per conto della comunità del monastero ma
dalle monache singolarmente le quali, spesso a causa dell’età o dell’infermità, non potendo servirsi di pane vecchio, col ricavo ottenuto da quella “puoca razione”
alienata, “si provvedono di pane fresco al medesimo prestino”.281
Delle settantadue cotte di pane che le religiose producono annualmente, trentaquattro servono per la loro razione quotidiana: le restanti si distribuiscono alla popolazione
che, in cambio, fornisce la farina necessaria.282
Una nuova limitazione, relativa all’attività svolta da tali plessi, riguarda il
regolamento delle spezierie che vi si ritrovano.283
Giuseppe Cicognini, incaricato per la questione dalla Regia Commissione della
Facoltà Medica, nel marzo 1769, prega il cardinale arcivescovo affinché permetta ed
autorizzi che “i vicari delle monache possano conferire ed agire congiuntamente alla suddetta Commissione per il disimpegno delle incombenze, in seguito al cesareo
reale dispaccio di tali spezierie”.284 Nel caso, poi, in cui sorgano delle nuove
interpellanze in seno alle comunità religiose, gli stessi padri vicari dovrebbero
comunicarle alle madri superiori locali, “sotto l’intelligenza” del Cicognini.285
Queste prime riduzioni rappresentano le avvisaglie di quello che sarebbe successo pochi anni dopo e che colpiranno anche gli istituti religiosi femminili del Varesotto e delle Brianze, causando le dure, ma inutili, rimostranze della chiesa ambrosiana.
Con due lettere del 17 e 28 dicembre 1771 Firmian richiede, “in base al reale
dispaccio emanato da Sua Maestà per il buon regolamento economico delli corpi
ecclesiastici ed altre pie fondazioni”, la redazione degli stati attivi e passivi di tutti i
monasteri di monache della città e diocesi di Milano.286 I documenti devono essere
presentati dai protettori o dai commessi dei monasteri all’ufficio del Regio
Economato, cosiccome si era già proceduto per gli istituti religiosi femminili di
Cremona.287
279 ASMi, Culto p. a., b. 1974 ed ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.131, Lettera delle
monache di S. Antonio in Varese al Card. Pozzobonelli, 1767.
280 Ibidem. La trasgressione di questa grida comporta il pagamento di uno scudo “per ciascun pane
di un soldo”.
281 Ibidem. 282 Ibidem.
283 Cfr. ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.134, Spezierie nei monasteri, Milano, 1768;
ASMi, Culto p. a., b. 1563, Lettera di Giuseppe Cicognini, membro della Regia Commissione
della Facoltà Medica, al Card. Pozzobonelli, 6 marzo 1769.
284 Ibidem. 285 Ibidem.
286 Cfr. ASMi, Culto p. a, b. 1546 ed ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b. 140, Lettera di
Firmian a Pozzobonelli, Milano, 17 dicembre 1771.
287 Cfr. ASMi, Culto p. a., b. 1546, Sulla quantità di grano che le comunità religiose possono
Un’altra missiva di governo, accompagnante un editto dell'anno precedente, risalente al giugno 1773, sollecita i monasteri delle monache a fornire dati precisi sulla
quantità di frumento esistente nei loro granai.288
A differenza dei meccanismi utilizzati per la riduzione dei religiosi, in questo caso, si procede a ricorrere all’unico metodo proficuo: limitare la vestizione di nuove vocazioni, senza cessare di esortare i vescovi a considerare eventuali possibili
chiusure e concentramenti di monasteri.289
Il primo provvedimento ufficiale intrapreso dal governo sarà, sulla scorta della lettera del Firmian del 6 aprile 1773 (che impone il divieto di depositi fiduciari al momento della vestizione delle monacande), la proibizione di nuove vestizioni senza
permesso governativo (decreto 8 marzo 1774).290
Lo stesso cardinale Pozzobonelli parteggia per moderare la rigidità dell’intervento della Giunta Economale. In una copia di lettera scritta dal Firmian il 20 dicembre 1777 si legge a riguardo: “L’arcivescovo è sempre parte direttamente in causa, anche se spesso non con la dovuta autorità, perché ciò non è prudente o non è possibile in
tutta la vasta serie delle riforme teresiane”.291
Se Maria Teresa ha a cuore la tutela dei monasteri femminili che, per loro tradizione, si mostrano particolarmente utili alla società ed alle comunità del luogo (elisabettiane, orsoline e salesiane soprattutto), questo non avviene con il figlio il quale, desideroso di porre rimedio alle disastrate condizioni finanziarie dello Stato e mosso dalla sua politica di affermazione dei principi laici su quelli ecclesiastici, ordina la sistematica chiusura di tutti gli istituti di monache, considerati inutili e superflui.292
Lettera di Firmian a Pozzobonelli, 28 dicembre 1771.
288 Cfr. ASMi, Culto p. a., b. 1546, Massime che si seguono dalla Giunta nelle soppressioni e
riduzioni dè conventi e comunità ecclesiastiche e il sistema di coscrizione del clero secolare, regolare e delle monache della Lombardia austriaca, Milano, 5 marzo, 1773; ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.147, “Lettere di governo e reali dispacci dal 1771 al 1775”,
1775.
289 Ibidem. L’intervento generale sui monasteri femminili si protrarrà a lungo nel tempo tra progetti
della Curia diocesana e consulte della Giunta Economale (ASMi, Culto p. a., b.1824, Consulta 9
agosto 1777 della Regia Giunta economale a S.A.R. per la sistemazione de’ monasteri di monache e conservatori).
290 ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, b. 2533, “Decreto della Giunta Economale di
divieto di nuove vestizioni”, Milano, 8 marzo 1774. Si tratta di di sposizioni già eseguite nei Paesi ereditari di Germania “per garantire la stabile sussistenza dei monasteri femminili”. In cocreto non sarà più lecito dare corso ad alcuna licenza, da parte delle Case religiose, per le nuove tonsure, previa loro presentazione alla Giunta Economale con regio exequatur da spedirsi
gratis da parte dell'ufficio del Regio Economato. La Giunta Economale vigilerà, poi, “sul rispetto
delle disposizioni ed esortazioni dei sacri concilii camerali e particolari e dei vescovi, relative all'esterna polizia dei monasteri”. Si dispone, infine, che il numero delle religiose non debba superare “le forze degli istituti per il loro decente mantenimento”.
291 ASMi, Uffici regi, b.225, Lettera di Firmian a Pozzobonelli, 20 dicembre 1777.
292 M. Taccolini, Per il pubblico bene, cit., p.55. L’obiettivo principale di Maria Teresa, la
permanenza degli istituti femminili, trova un certo riscontro nel fatto che, nel 1780, anno della sua morte, rimangono ancora 5918 monache nel territorio lombardo (una diminuzione di sole
Il disegno risulta definitivamente chiaro nel biennio 1783- 1785, quando l'imperatore Giuseppe II, prima di avviare la sua drastica politica di riduzione, pensa, seriamente ad una risistemazione generale dei monasteri: lo testimoniano il dispaccio imperiale
del 5 dicembre 1782 ed una lettera di Kaunitz della fine del 1785.293La strategia di
Vienna, avvallata a Milano dall'arciduca Ferdinando e dal plenipotenziario WilzecK é di colpire, principalmente, le giovani coriste delle Case, prospettando la sussistenza dei loro istituti solo se esse optino per uno dei tre partiti proposti loro: 1) la scelta di un sistema di vita utile al pubblico; 2) l'educazione delle nobili educande; 3) l'insegnamento nelle scuole gratuite per le fanciulle del popolo, “impartendo alcuni speciali lavori domestici, necessari per il progresso dell'industria nazionale, con una maggiore attenzione alle manifatture”.294Nel caso contrario in cui le monache
scegliessero di rimanere nei chiostri, protestando, si sarebbe dovuto procedere, immediatamente e senza indugio, alla soppressione, “che sarà ordinata per mezzo dei
delegati, su indicazione del governo”.295
Gli ordini femminili che vengono chiusi sono, per lo più, le francescane, le carmelitane, le agostiniane, le clarisse, le servite, le cistercensi, le domenicane, le
benedettine (umiliate e cistercensi) e le orsoline.296
1233 unità rispetto ai primi dati del 1771, in cui si chiudono i primi 5 istituti dei 176 totali).
293 Cfr. ASMi, Culto p. a., b. 1846 Dispaccio imperiale, Vienna, 5 dicembre 1782; ASMi, Culto p.
a., b. 1846, Lettera di Kaunitz, Vienna, 1 dicembre 1785.
294 Ibidem. Il dispaccio, comunque, sembrerebbe “influenzato”, in un primo tempo, dal cancelliere
Kaunitz, se é vero che questi, si trova a constatare, in un documento del 6 maggio 1782, quanto segue: “L’educazione della gioventù ed il mantenimento di qualche attività manifatturiera erano state le garanzie per la sussistenza di gran parte degli istituti femminili nel periodo teresiano” (ASMi, Culto p. a., b.1825, Post scriptum del principe di Kaunitz”, Vienna, 6 maggio 1782). Successivamente, però, non saranno sufficienti né l’educazione impartita alle giovani nei chiostri, né la conservazione o l’introduzione di qualche importante manifattura a bloccare la linea giuseppinistica contro i monasteri femminili.
295 Ibidem. I governi di Vienna e Milano, in questo modo, intendono, incidere sulle coriste per
colpire alla radice le monacazioni.
296 Cfr. ASMi, Culto p. a., b.2016, Elenco delle soppressioni dei monasteri e conventi dei regolari e
delle monache, eseguite durante il regno di Giuseppe II (1781-1789), Milano, 1789; ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.153, Nota de’ monasteri di monache soppressi nella città e diocesi di Milano per ordine del governo dal 1781 in avanti, Milano, 1781; Ibidem, Nota di vari ordini religiosi che sono stati soppressi nella città e diocesi di Milano per ordine di governo dal 1781 in avanti, Milano, 1781; ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.170, Monasteri soppressi nella città di Milano nel periodo 1782-1787, Milano, 1790; Ibidem, Monasteri soppressi nella diocesi di Milano nel periodo 1782-1786, Milano, 1790; Ibidem, Nota de’monasteri di monache, conservatori e conventi di religiosi uniti e soppressi d’intelligenza col fù Cardinale arcivescovo Pozzobonelli, Milano, 1790. Nella città e diocesi pavese, fra i cinque
istituti soppressi, si segnala S. Chiara la Reale delle francescane (8 agosto 1782). A Lodi, città e diocesi, gli istituti chiusi ammontano a 10, tra cui vi sono quelli dei SS. Cosma e Damiano (21 luglio 1785), di S. Chiara Nuova (21 marzo 1782) e di S. Orsola in Codogno (22 marzo 1782). Nel Cremonese si sopprimono ben 17 Case di monache, comprendenti le suore cittadine di SS. Giuseppe e Teresa (27 giugno 1782), S. Benedetto (13 marzo 1784), S. Giovanni Nuovo (9 aprile 1785), cui si aggiungono S. Giuliano di Pizzighettone (21 marzo 1782), S. Caterina di Soncino (11 aprile 1785) e S. Chiara in Casalmaggiore (15 dicembre 1785). A Como e diocesi si contano
Con alcuni importanti memoriali la Curia arcivescovile milanese cerca di evidenziare le enormi difficoltà ed i problemi socio-economici cui le religiose dei plessi soppressi sarebbero dovute andare incontro: dalla dote, al trasporto, alla riduzione allo stato laicale, alle pensioni.
Pozzobonelli, da pastore d’ anime, si preoccupa del loro futuro fornendo, nell’ultimo biennio della sua vita (1782-1783), un esauriente esame della situazione.
In primo luogo, un memoriale, risalente al 1782, si sofferma ad affrontare la
questione del trasporto delle monache da un monastero all’altro.297
Il prelato scrive come molte abbiano accettato di trasferirsi nei monasteri di clausura,
“ed alcune anche in qualche Conservatorio”.298
Le uniche religiose che hanno dimostrato una certa ritrosia sono state le cappuccine,
“le quali, principalmente, intendono vivere nella loro osservanza”.299
Il 9 febbraio 1782 viene promulgato un regio dispaccio, relativo al Ducato di Milano, seguito dalla Lettera di Corte 11 febbraio 1782 con cui Sua Maestà l’imperatore comanda la soppressione di alcuni monasteri di monache addette alla
vita mendicante e contemplativa.300
Commentando quest’ordinanza imperiale, il prelato ambrosiano, in primo luogo, si
sofferma ad analizzare la condizione dei monasteri mendicanti.301
Prima di essere accolte presso le proprie famiglie religiose, o presso qualsiasi altra persona o, persino, vivere da sole (come stabilisce l’editto), bisogna corrispondere alle monache dei conventi da sopprimersi, a titolo di vestiario, una prestazione di 200 lire.302
16 plessi di religiose chiuse, tra cui S. Agata (12 novembre 1781), S. Abbondio (16 ottobre 1784) e S. Ambrogio (1 dicembre 1785). Si aggiungono, successivamente, i rendiconti provenienti dalla città e diocesi di Mantova con otto monasteri femminili soppressi, per lo più da destinarsi ad essere venduti (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.153 ed ASMi, Culto p. a., b. 1465,
Numero de' conventi soppressi nella città e ducato di Mantova con la loro rispettiva destinazione, 1781).Non tutti i plessi femminili di questa diocesi saranno venduti: un’eccezione è
il monastero di S. Paola, che si sarebbe dovuto destinare “per l’uso dell’artiglieria” .
297 Cfr. ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.155, Soppressione e trasporto delle monache ad
altri conventi. Riflessioni del Card. Pozzobonelli, 1782; ASMi, Culto p. a., b. 1548, Traslochi di religiosi da un convento all'altro, 1795. Tale trasporto sarà la conseguenza diretta
dell’applicazione del Piano d’esecuzione del 12 gennaio 1782, relativo agli ordini contemplativi femminili.
298 Ibidem. 299 Ibidem.
300 Cfr. ASMi, Culto p. a., b.1825, Regio dispaccio 9 febbraio 1782; Ibidem, Regio dispaccio 20
febbraio 1782. Nella Lettera dell'11 febbraio il principe di Kaunitz osserva: “Io avrei desiderato poter in una volta portare alla cognizione di S.M., con ciò che riguarda la soppressione delle monache del Milanese, anche l’operazione per quelle del Mantovano tanto più che noi abbiamo l’esatto bilancio di quei monasteri ed il numero delle monache di recente data (Lettera del principe di Kaunitz, 11 febbraio 1782, ASMi, Culto p. a., b. 1825)”.
301 Cfr. ASMi, Culto p. a., b.1825, Regio dispaccio 9 febbraio 1782, cit.; ACVMi, Carteggio
ufficiale, sezione IX, b.155, Analisi delle istruzioni imperiali per i monasteri femminili mendicanti. Riflessioni del Card. Pozzobonelli, 1782.
L’obiezione iniziale, avanzata in proposito dalla Curia arcivescovile, é che, “per quelle monache che non hanno una propria famiglia, come di fatto ve ne sono moltissime, non si potrà scegliere questo partito; così pure per quelle che la hanno,
ma o non vogliono, o non sono in grado d’accettarle”.303
A riguardo, poi, di quelle persone laiche, “sia esse maschio, sia femmina, sia maritata, vedova o nubile, purché di buona reputazione”, che si sarebbero dovute accollare il gravoso compito di ospitare seco queste povere religiose, il Pozzobonelli si dimostra abbastanza chiaro nel constatare che “di queste persone caritatevoli o non
se ne troveranno in questa stagione, o saranno, per lo meno, ben poche”.304
Se poi si prospetta la soluzione di vivere da sole, i dubbi e l’opposizione del cardinale aumentano: “Come mai potranno donne senza alcun esterno sussidio, e non avezze ai lavori di mano, vivere da sole, che è quanto dire, pagare fitto di casa, provvedere ai propri alimenti, mantenere abiti, mobili? Non sarà difficile che, passato non molto tempo, se ne vedano alcune o sugli angoli delle strade, o sulle porte delle chiese ad accettare le limosine. Donne poi sole, non use a regolamento di casa, a
quanti pericoli non saranno esposte?”.305
Pertanto sono insufficienti le 200 lire da corrispondersi a titolo di vestiario. 306
L’editto stabilisce anche la possibilità, per le mendicanti, di passare in altri monasteri, “coll’espressa condizione, però, d’abbracciare l’istituto dè medesimi, ed
esclusa la facoltà d’essere ivi ricevute come semplici pensionanti”.307
In questo caso non vi é alcun assegno di dote, né di pensione, e neppure delle 200 lire di vestiario.308
Pozzobonelli continua a rilevare:“Nessun monastero vorrà certamente riceverle con niente. Il numero anche dei monasteri suscettibili di vestizioni secondo la tassa
economale è così scarso che sarà impossibile, quando si trovino molte, come
dovrebbero, che eleggono di passare in altri istituti di tutte collocarle anche con
pagamento di dote, o pensione”.309
Esaminando la situazione della dote e delle pensioni che non si sarebbero dovute contribuire a queste religiose, il memoriale prosegue prospettando, a vantaggio di queste ultime, un risarcimento per i danni causati loro dal trasporto, ipotizzando,
303 Ibidem. 304 Ibidem.
305 Ibidem. Il riferimento é rivolto anche alle vecchie ed alle ammalate “che non avrebbero trovato
così facilmente ricovero presso alcuna privata persona, e molto meno avrebbero potuto vivere da sole”.
306 Ibidem. Il cardinale aggiunge: “Le cappuccine, per esempio, debbono provvedere letto, camice,
calze scarpe, ed ogni altro necessario ad un decente ed onesto vestito. Si aggiunga l’importo dei mobili necessari per fornire almeno una stanza e poi si decida se bastano, per una volta tanto, lire duecento”.
307 Ibidem.
308 Ibidem. A proposito dell’esclusione, per le religiose, della facoltà di essere ricevute come
semplici pensionanti, il cardinale aggiunge che: “E' inutile una tale condizione quando si vogliono escluse da ogni diritto di pensione”. Si suppone che qualche parente o pio benefattore siano disposti a mantenere le monache; tuttavia, si tratta di una situazione alquanto incerta.
persino, “la restituzione di quel danaro che hanno speso per monacarsi”.310
Il trasporto delle mendicanti, con la secolarizzazione delle loro Case e la riduzione allo stato laicale, sempre secondo l’opinione del prelato milanese, “toglie loro il
migliore mezzo che hanno per invitare i fedeli a contribuire larghe limosine”.311
Per quanto, infine, riguarda le monache che devono trasferirsi all’Estero, per esse
viene fissata un’apposita somma di danaro “a titolo di viatico”.312
In questo caso l’analisi é ancor più succinta: trasportare le religiose significa un costo (vale a dire, per lo più, il pagamento del vettore, quando non scelgono di partire a piedi), cosiccome occorre provvedere al trasloco dei mobili. E', infine, diritto anche di queste suore emigranti avere accesso alla corresponsione, in loro favore, o di una
dote o di una pensione. 313
Nelle successive osservazioni, in difesa degli ordini femminili contemplativi, Pozzobonelli, ormai afflitto dalla malattia, non disdegna dal rendere nota la sua
posizione di vescovo e di pastore.314
Secondo la sua visione conclusiva la giustificazione avanzata dal governo, in base alla quale la soppressione delle Case delle monache si sia resa necessaria per la loro
310 Ibidem. 311 Ibidem.
312 Ibidem. Il cardinale si chiede quali azioni si dovrebbero intraprendere, non solo verso le famiglie
religiose, le cui Case principali risiedono all’Estero; ma anche verso i cistercensi lombardi, i
gerolamini e le vergini di Milano che si trovano, per esempio, a Roma, e che hanno accolto presso di sé i frati e le monache dei conventi soppressi: si dovrebbe applicare, anche in questo caso, il diritto di territorialità proprio del principe lombardo?
313 Ibidem.
314 ASMi, Culto p. a, b. 1824, Riflessioni del Card. Pozzobonelli sull’imperiale dispaccio
riguardante la soppressione delle monache contemplative, 1782. Si veda anche ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b 155. Dopo aver sottolineato il valore che quest’esperienza di vita monastica aveva ricoperto nella vita ecclesiale fin dalle origini, il prelato passa ad esaltarne il senso della povertà, strettamente legato ai dettami evangelici.Quasi in una polemica a distanza non solo con Giuseppe II, ma anche con gran parte degli intellettuali illuministi del tempo (come Pietro Verri nel suo carteggio, per esempio), si giustifica storicamente la presenza dell’ordine