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1. Il presente lavoro ha per oggetto lo studio degli aspetti finanziari correlati alla soppressione di monasteri e conventi nella Lombardia asburgica del secondo Settecento, con specifico riferimento all’antico Ducato di Milano (1762- 1796).

La delicata questione delle soppressioni settecentesche in territorio lombardo, non interamente affrontata dalla storiografia, rappresenta per la storia economica uno dei tasselli principali di tutta la politica riformistica intrapresa da Maria Teresa d’Austria e proseguita dal figlio Giuseppe II. Quest’ultimo è visto dai contemporanei come il tipico rappresentante del dispotismo illuminato, e come imperatore continuerà l’opera della madre secondo i principi del giurisdizionalismo. In virtù di ciò, durante il suo regno saranno soppressi in tutto lo Stato almeno 700 conventi e monasteri ed i religiosi passeranno da 65000 a 27000. Nel 1781 abolirà le discriminazioni religiose nei confronti sia dei protestanti che degli ortodossi ed avverrà anche l’emancipazione degli ebrei.

L’obiettivo delle sue riforme ecclesiastiche era dunque quello di ridurre la Chiesa sotto il completo controllo dell’autorità statale. Per questo bisognava rendere più difficili, se non impossibili, i rapporti dei vescovi con Roma attraverso i seguenti provvedimenti: estensione del placet governativo a tutti gli atti che provengono da Roma; limitazione o soppressione delle immunità della Chiesa, specie il foro ecclesiastico; permesso ai vescovi di dare le dispense matrimoniali senza ricorrere a Roma; interdizione dell’appello a Roma; divieto di relazioni dirette con la Curia romana; sottrazione dei religiosi dalla dipendenza coi superiori generali di stanza a Roma e proibizione ai seminaristi di studiare al Collegio Germanico di Roma. A questo si aggiungevano l’esclusiva giurisdizione statale sul matrimonio religioso ed il riordinamento dell’economia del clero. Tale situazione metteva evidentemente in difficoltà il vasto e complesso mondo della vita religiosa. Per questo l’imperatore provvedeva a confiscare i beni di istituzioni religiose sclerotizzate, quelli male o poco

utilizzati e quelli degli istituti contemplativi che venivano di fatto chiusi. Con il

ricavato si creava un Fondo per il Culto, che avrebbe dovuti distribuire i citati beni secondo le necessità. All’interno di tale quadro generale, la Lombardia asburgica si presenta come un importante laboratorio per le riforme. Basti solo riflettere che sulle circa 900 chiusure teresio-giuseppine, susseguitesi in tutto l’Impero, dal 1768 al 1790, 238 (un buon 26.44%) avvengono in quest’area. In questo modo sostanziale, ancorché non esclusivo, gli austriaci provvedendo a riformare lo Stato anche con riferimento ai territori della Lombardia posseduti, cercando in particolar modo di eliminare gli antichi privilegi aristocratici, rappresentati nel Senato milanese, ma anche ecclesiastici. Dal canto suo la politica delle soppressioni é frutto pure di un’ esigenza economica del riformismo austriaco tesa a colpire le rendite di enti che, per un motivo o per l’altro, sfuggivano alle rilevazioni, creando, con le relative esenzioni, l’accumulo di una ricchezza solo limitatamente sfruttata in maniera produttiva.

2. Nello sviluppo della ricerca, la scelta primaria di dare rilevanza al Ducato di Milano assume una particolarità sia geografica che storico-economica. Il vecchio Ducato di Milano, infatti, riformato dai provvedimenti teresiani del 1757 con la città, il suo contado e le pievi del Lecchese, del Varesotto e della Brianza, per entità di conventi e monasteri ivi insistenti, continuava a svolgere un ruolo preminente. Esso rappresentava il cuore ed il centro amministrativo della Lombardia austriaca. Era infatti dalla sua capitale, Milano, che partivano le riforme e quindi anche le progressive riduzioni del clero e dei regolari. Era in questa città che, soprattutto, avevano sede alcune delle più importanti Case religiose, sia maschili che femminili, con ragguardevoli possedimenti fondiari nel contado. Oltre Milano, poi, si avevano numerosi istituti presenti nelle principali città del territorio: da Lecco, a Varese, a Gallarate, a Monza, a Melzo e Melegnano, comprendendo la Terra Separata di Treviglio. Dal lato poi puramente quantitativo é interessante sottolineare il fatto che se le chiusure delle Case perpetratesi in tutto lo Stato equivalgono al 26.44% di quelle avvenute nell’Impero dal 1768 al 1790, le 93 soppressioni ducali incidono per il 39.07 % sul totale lombardo e per un significativo 10.33 % sul piano imperiale. La scelta di circoscrivere il campo d’indagine, poi, ha permesso di meglio studiare tutti quegli aspetti e problemi sia finanziari che diplomatici inerenti la strategia soppressiva degli ordini religiosi, adottati teoricamente a Vienna ed applicati concretamente a Milano. In questo senso, dando una lettura generale all’azione fiscale asburgica nel territorio considerato, si può dedurre che le chiusure non si affermavano improvvisamente con il regio decreto 3 agosto 1767, ma erano il frutto di una graduale e progressiva strategia. Il terreno veniva infatti preparato già con l’introduzione del Catasto, strumento molto efficace nel monitorare i possedimenti sia laici che ecclesiastici. Seguivano poi le riforme amministrative tese a riorganizzare più razionalmente lo Stato. Per contrastare le immunità ecclesiastiche il governo si serviva di due importanti istituti come il Regio Economato e la Giunta

Economale. Come si avrà modo di vedere sarà soprattutto quest’ultima, con la sua

opera, a dominare tutta la fase delle soppressioni, provvedendo alla redazione dei

Piani di Consistenza ed all’esecuzione dei decreti di chiusura. La descrizione

accurata delle vicende relative a questi due uffici conferma ed avvalora ulteriormente il giudizio di inefficienza nella gestione dei beni ecclesiastici lombardi maturato ed espresso in numerosi modi dalla Corte di Vienna, valutazione ben evidente nell’importante lettera inviata il 13 settembre 1762 dall’abate Luigi Giusti, presidente del Dipartimento d’Italia, al marchese Corrado di Olivares, presidente del Senato milanese. La missiva si occupava del caso particolare di Ambrogio Mantegazza di Monza che, per sopperire alla propria rilevante situazione debitoria, aveva richiesto un deroga per la vendita di alcuni appezzamenti di terra ai padri del convento monzese di S. Francesco. Accondiscendendo alla richiesta, Giusti non si esimeva però dal condannare il Senato milanese, reo in passato di aver concesso simili deroghe, da cui ne era conseguita “la perniciosissima mostruosità che una terza parte

circa del territorio milanese si trova ora in manimorte”.3

Questo documento riveste una certa importanza per più di un motivo. In primo luogo perché risulta essere la prima fonte archivistica attestante, in ordine cronologico, l’intenzione del governo di Vienna di iniziare a provvedere alla razionalizzazione della presenza del clero regolare in Lombardia. In secondo luogo, sempre dalla sua lettura emerge chiaramente come l’altro obbiettivo del potere centrale dell’Impero fosse quello di colpire anche la connivenza del Senato milanese al quale spesso le comunità religiose si rivolgevano per ottenere deroghe od esenzioni. In terzo luogo, infine, dal punto di vista generale vi si poteva individuare il ruolo centrale svolto per oltre un ventennio dal cancelliere Wentel Anton von Kaunitz- Rietberg (1711- 1794), il vero regista delle soppressioni asburgiche in Lombardia. Era lui, infatti, il suggeritore della missiva di Giusti al marchese di Olivares, ma allo stesso modo era soprattutto lui l’ascoltato consigliere di Maria Teresa e Giuseppe II nella delicata attuazione della strategia di riduzione delle presenze conventuali e monastiche.

3. Diversi si presentano i protagonisti politici ed istituzionali coinvolti in questa vicenda complessiva. Le esigenze di provvedere ad un uso più razionale ed economico dei beni ecclesiastici inizieranno a farsi ben presto presenti anche in seno all’interlocutore principale del governo asburgico in campo giurisdizionalistico, ossia la Chiesa ambrosiana la quale, proprio in quegli anni, sotto la guida del cardinale Giuseppe Pozzobonelli (1696- 1783) e grazie anche all’azione di uno dei suoi più stretti collaboratori, mons. Paolo Manzoni, conoscerà un periodo di profonda

riorganizzazione interna. Analogamente, se a Vienna emergeva nitidamente il ruolo

decisivo assunto in merito alla politica soppressiva dal cancelliere Kaunitz, non minore era quello svolto a Milano da figure come Carlo Giuseppe di Firmian, Michele Daverio, Giovanni Bovara e Francesco Fogliazzi. A questo riguardo uno degli scopi del presente studio è stato quello di contribuire a delineare meglio l’operato di tali eminenti personalità. Se Firmian, ministro plenipotenziario in Lombardia dal 1756 al 1782 (anno in cui gli succederà il conte Wilzeck) era da considerarsi come l’intermediario privilegiato di Trono e Cancelleria nelle loro delicate relazioni con la Chiesa milanese, non meno centrali erano le figure dell’economo generale mons. Michele Daverio, del segretario mons. Giovanni Bovara e del regio delegato Francesco Fogliazzi, stretti collaboratori sia di Firmian che di Wilzeck. A questa serie di personaggi di prim’ordine, alcuni dei quali svolgeranno importanti uffici anche in periodo francese (basti pensare a Giovanni Bovara, futuro ministro napoleonico per il Culto), si aggiungevano funzionari di governo come il conte Giacomo Durini, amministratore del Fondo della Pubblica

Istruzione (1773- 1778) e Francesco Alciati, direttore del Fondo di Religione fino al

1796. Questi ultimi due personaggi gestivano, in particolare, il forziere delle soppressioni lombarde, ossia le 51169445.1.7 lire di patrimonio complessivo di tutto il cosiddetto Vacante. Di questa cifra ben 20686212.13.1 lire (il 40.7 % del totale prima citato) erano i ricavati delle operazioni soppressive realizzate sui conventi e sui monasteri chiusi nell’area del Ducato milanese.

Vienna, inviata per ordine del cancelliere Kaunitz al marchese Corrado di Olivares, presidente del Senato di Milano, Vienna, 13 settembre 1762.

In questa prospettiva uno dei punti centrali della ricerca di seguito esposta è anche quello di analizzare e studiare, una volta circoscritto il campo, tutte le vicende economiche e finanziarie dei Vacanti delle Case religiose considerate, almeno fino all’arrivo dei francesi nel 1796. Si prende quindi in considerazione l’istituzione teresiana del Fondo per la Pubblica Istruzione, alimentato con le 8013365 lire risultanti per lo più dalle soppressioni gesuitiche del 1773, per giungere alla creazione, fra alterne vicende, del vero e proprio Fondo di Religione, fortemente voluto da Giuseppe II, d’intesa con Kaunitz e Firmian.

È da rilevare subito però che non tutte le 51169445.1.7 lire più appena sopra citate serviranno per il cosiddetto Pubblico Bene, rappresentato da sanità, istruzione e assistenza, cosiccome statuito da Vienna. Una parte di esse, per esempio, andrà ad alimentare l’altro istituto chiave creato nel periodo considerato, il Monte Pubblico di

S. Teresa, voluto dall’imperatrice per farvi convergere tutti i creditori dello Stato e

dare avvio al risanamento della dissestata finanza pubblica locale. In questo senso un rilievo del tutto particolare assumono alcune importanti consulte della Camera dei

Conti, come quella del 19 ottobre 1792, riepilogativa di tutti i risultati economici

ottenuti con le chiusure teresio- giuseppine.

In questa stessa prospettiva studiare il Fondo di Religione austriaco relativo al Ducato di Milano rimarca un importante dato per la storia economica ed ecclesiastica dell’Italia moderna e contemporanea. La Lombardia, essendo stata in ordine di tempo il primo laboratorio delle riforme religiose sia in rapporto al resto dell’Impero asburgico che agli altri Stati preunitari della penisola, è stata anche la prima ad avere un proprio ed autonomo Fondo degli ex Vacanti derivante dalle soppressioni. Tale

Fondo poi, data la consistenza e la ricchezza dei capitali ivi depositati, avrebbe

rappresentato la prima pietra ed il punto di partenza di quello che, a partire dal 1861, sarebbe diventato il Fondo di Religione dell’appena costituito Regno d’Italia.

4. Altri aspetti centrali del lavoro, che emergono maggiormente con l’analisi dei Vacanti, e sui quali ci si é soffermati, riguardano la territorializzazione delle soppressioni ripartite fra le varie aree del Ducato (Milano, Brianze e Bosino), cui sono strettamente connessi i rapporti incrociati economico- patrimoniali fra conventi maschili e monasteri femminili chiusi. Questo approccio di studio ha garantito un duplice vantaggio: da un lato ben inserisce il convento o monastero nel contesto territoriale in cui si trova, dall’altro ne evidenzia sia l’incidenza religiosa che patrimoniale. E’ grazie a ciò, infatti, che la presente ricerca ha potuto sottolineare l’importanza di istituti come S. Caterina del Sasso nel Varesotto, il manzoniano monastero di S. Margherita e quello di S. Martino con la sua vasta Possessione di Arcore in Brianza, od i collegi gesuitici di Milano. Conclusioni interessanti si possono evincere anche dal rapporto continuo fra patrimonio ed entità della vendita di istituti maschili e femminili, con la rilevante prevalenza economica di questi ultimi. Ad essi si aggiungono i due temi importanti della destinazione dei fabbricati e dei circondari delle ex Case religiose e degli acquirenti dei vari beni. Sono proprio gli esami di questi due aspetti ad incidere su gran parte del bilancio conclusivo delle soppressioni nel Ducato di Milano.

Deliberatari di numerose delle aste erano infatti o uomini di governo (dall’arciduca Ferdinando, al conte Emmanuele di Kervenhuller, presidente della Camera dei Conti, a Giuseppe Hoffer, segretario della Conferenza Governativa) o aristocratici del calibro dei Visconti, dei Verri o dei Casati. Altrettanto interessante è stato, inoltre, constatare come fra questi compratori figurassero emergenti imprenditori, banchieri e finanzieri del calibro di Giovanni Adamo Kramer, Luigi Cernuschi, ceraro di Monza e nonno del più famoso patriota ed uomo d’affari Enrico, Giuseppe Manara, anch’esso antenato del patriota risorgimentale Luciano e fornitore ufficiale degli eserciti austriaco e francese, ed ancora Francesco Luigi Blondel, banchiere, finanziere ed imprenditore, nonché suocero di Alessandro Manzoni.

In sostanza si è cercato di dimostrare, dati e fonti alla mano, come una parte non trascurabile del consistente patrimonio ecclesiastico del Ducato, rappresentata dagli edifici e dai fondi delle comunità soppresse, sia stata riutilizzata e reimpiegata, grazie all’intraprendenza della borghesia emergente, per lo sviluppo dell’economia locale, tenendo conto della vocazione dei territori considerati. Infatti, se nella Brianza, nel Lecchese e nel Varesotto le proprietà degli ex ordini religiosi avrebbero ospiterato, per lo più, cotonifici o serifici, contribuendo all’implementazione della gelsibachicoltura, la vera ricchezza di quelle aree, diverso sarebbe stato il caso di Milano e del suo contado, compresa la Terra Separata di Treviglio.

Nella capitale, gran parte dei fabbricati veniva effettivamente riutilizzata per il

Pubblico Bene, intendendo per come tale le citate voci teresiane di sanità, istruzione

ed assistenza, cui si aggiungevano, in epoca giuseppina, grazie anche ai progetti dell’architetto Giuseppe Piermarini, quelle di palazzi, uffici pubblici o quartieri militari. Alcuni esempi su tutti erano rappresentati dall’ex monastero di S. Margherita in Porta Nuova, che diventerà sede della Prefettura austriaca; dal convento di S. Barbara, destinato ad ospitare l’Amministrazione del Fondo di Religione; dall’ex collegio gesuitico di Brera, già individuato come sede dell’Accademia o dal monastero del Bocchetto, che sarà il centro di un nuovo quartiere militare. Una piccola, ma significativa parte di questi circondari cittadini ospiterà altri nuovi insediamenti industriali: si va dalla Fabbrica della birra che sorgerà presso l’ex istituto di S. Anna in Porta Comasina, per giungere alla fabbrica delle cere ospitata nei locali dell’ex convento trinitario di Borgo Monforte. Il caso del contado milanese, fino alla Gera d’Adda ed alla Terra Separata di Treviglio, dal canto suo, presenta altre nuove peculiarità. L’area, senza dubbio meno ricca, delle Brianze e del Bosino era omogenea per vocazione economica. L’analisi delle destinazioni degli ex fabbricati fa prevalere, sostanzialmente, uno scopo assistenziale (sarà questo infatti il caso degli ex conventini di campagna di Melegnano, Melzo, Pozzuolo ed Inzago, i cui proventi delle soppressioni verranno reimpiegati per l’edificazione dell’ospedale di Melzo). Vocazioni più tese all’implementazione dell’intrapresa privata si avranno solo nella Gera d’Adda, al confine con il Bergamasco e, quindi, con la Repubblica di Venezia. E’ in quest’area compresa tra Caravaggio, Vailate e Treviglio che si verificheranno i primi acquisti di ex beni ecclesiastici fatti dall’uomo d’affari svizzero Francesco Luigi Blondel.

Si tenga conto infine che la scelta di delimitare periodicamente il campo dello studio in oggetto dal 1762 al 1796 se, da un lato, risponde adeguatamente alla ricerca del termine a partire dal quale si concretizzeranno le soppressioni austriache nel Ducato di Milano (iniziate, poi, concretamente nel 1768), dall’altro lato, diventa più importante con l’individuazione della data ad quem. I risultati del lavoro compiuto compulsando soprattutto i documenti della sezione Amministrazione del Fondo di

Religione dell’Archivio di Stato di Milano inerenti i Vacanti, dimostrano

inequivocabilmente che - sebbene affievoliti - gli effetti di tale politica continueranno almeno fino all’invasione dei francesi, coinvolgendo per certi versi anche il triennio della Repubblica Cisalpina. Infatti, dopo un primo periodo di riorganizzazione conseguente al cambio di governo, i nuovi dominatori, coadiuvati dalla collaborazione di alcuni importanti ex funzionari del periodo austriaco, in campo religioso non faranno altro che riprendere e portare a compimento alcuni ex progetti di soppressioni giuseppine. Un caso emblematico in merito é fornito dal convento agostiniano di S. Marco a Milano per il quale già gli austriaci ne avevano previsto la chiusura destinandolo a caserma. Realizzazione che, invece, avverrà soltanto nel 1798, in piena Repubblica Cisalpina.

5. Sotto il profilo logico ed espositivo pare opportuno segnalare che la ricerca confluita in queste pagine si presenta articolata in quattro capitoli. Nel primo si cerca di fornire un quadro complessivo generale della nodale questione delle soppressioni nel Settecento lombardo fra storiografia, problematiche fiscali ed aspetti inter- istituzionali. Il secondo ed il terzo capitolo studiano le soppressioni delle Case del clero regolare nelle zone del Lecchese, della Brianza e del Varesotto, attingendo, sistematicamente, alle fonti archivistiche. L’ultima parte del lavoro affronta la redazione di un quarto capitolo, centrale, sugli istituti di Milano e del suo contado, seguita da un paragrafo conclusivo, di natura riepilogativa, in cui si sono incrociati e commentati tutti i dati ottenuti. Tale paragrafo produce un bilancio storico ma soprattutto socio-economico delle soppressioni analizzate. Esso é redatto partendo dai

piccioli conventi soppressi in età teresiana per giungere alla vera e propria ondata

giuseppina che sanciva la progressiva chiusura di una buona parte delle case religiose maschili e femminili nel territorio considerato. Da un punto di vista strettamente tecnico giova osservare che, dopo il primo capitolo di storia della storiografia, la ricerca si svolge seguendo una specifica metodologia, ossia tenendo conto della cosiddetta “territorializzazione delle soppressioni”, aspetto che contribuisce a favorire maggiormente l’indagine di carattere storico- economico. Più analiticamente i capitoli secondo e terzo, dedicati alle soppressioni perpetratesi nelle periferie del Ducato (Varesotto, Lecchese e Brianze), sebbene di per sé importanti visti nel loro contesto localistico, svolgono anche un determinante lavoro preparatorio a quella che é effettivamente la parte centrale dello studio, ossia il capitolo quarto, interamente dedicato a Milano ed al suo territorio.

Partendo dal ruolo economico e sociale degli istituti religiosi all’interno della riedificazione urbanistica della città dal 1771 al 1791, si passa ad analizzare le procedure di chiusura dei conventi maschili nella capitale e nel contado, i cui primi proventi (in particolare quelli degli ex collegi gesuitici), serviranno per l’istituzione del Fondo per la Pubblica Istruzione. Successivamente, l’indagine si concentra sui più ricchi monasteri femminili, in grandissima parte cittadini, annoveranti alcuni fra gli istituti religiosi più ricchi dello Stato, sia per patrimonio che per fondi.

I risultati finali sono raccolti in un apposito ed opportuno paragrafo conclusivo i cui esiti, non solo prettamente economici e numerici, confermano - con alcuni tratti e spunti originali - sia il ruolo centrale rappresentato dal Ducato, sia l’impianto dell’intera strategia teresio-giuseppina. Si consideri che su 238 soppressioni avvenute nell’intera Lombardia austriaca ben 93 (il 39.07 %) riguardavano il Ducato di Milano, come pure del patrimonio complessivo stimato dalle chiusure avvicendatesi in tutto lo Stato, calcolato dalla Camera dei Conti in 51169445.1.7 lire milanesi, 20686212.13.1 lire (il 40.7 %), concernevano il territorio ducale.

Sotto il profilo archivistico è risultato sistematico il ricorso ai fondi dell’Archivio di Stato di Milano, Culto p. a. ed Amministrazione del Fondo di Religione, aventi ad oggetto i 93 conventi e monasteri esaminati. Dopo tale analisi si é reso necessario, proprio perché originale, raffrontare le due fonti: la prima, relativa alla storia ed all’amministrazione dei conventi e monasteri fino alla loro soppressione; la seconda, concernente le vicende successive inerenti l’amministrazione del Vacante almeno fino all’avvento della Repubblica Cisalpina. Ne è scaturito un quadro il più possibile