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La situazione economica e finanziaria dei conventi maschili nel Lecchese e nell'area bosina.

La soppressione delle case del clero regolare e dei monasteri femminili nel Lecchese e nell'area bosina (Varese).

2.1 La situazione economica e finanziaria dei conventi maschili nel Lecchese e nell'area bosina.

Con i provvedimenti del biennio 1768- 1769, prende avvio e si consolida un autentico programma governativo, mirante all’applicazione delle soppressioni desiderate in un sostanziale accordo tra il potere laico e quello ecclesiastico (accordo più di procedure che di vedute). I punti essenziali di tale convergenza saranno : “Primo: far precedere un generale richiamo ai conventi, di osservanza de’ religiosi sparsi nelle grancie ed ospizi; Secondo: di calcolare per questa risoluzione i soli conventi che mancassero di numero costituzionale; Terzo: di sentire previamente in ogni caso i vescovi nelle diocesi de’ quali si trovassero i conventi sopprimendi; Quarto: di lasciare ai medesimi vescovi dopo le soppressioni gli atti dipendenti dal loro ministero nelle parti riguardanti gli oggetti e fini spirituali, la profanazione delle

chiese ed il culto divino”.3

Una di queste prime intese procedurali tra Chiesa e Stato si rinviene nel Piano presentato dall’arcivescovo Pozzobonelli, mediante il quale viene prevista la soppressione di 5 conventi, cui seguirà un secondo riguardante, invece, l’estinzione di ben sette cenobi, sempre “in vista del poco o niuno vantaggio spirituale che da essi

ricevono i popoli”.4

Nel primo caso si tratta dei conventi di S. Caterina del Sasso dei carmelitani, di S. Maria in Pasquerio di Rho degli agostiniani, di Binago dei minori conventuali, di Sommadeo degli agostiniani, di Tradate dei padri serviti. Tutti questi vengono chiusi

con regio dispaccio 9 ottobre 1769. 5

3 ASMi, Culto p. a., b.33“Compendio delle attività svolte dalla Giunta Economale”, 1784, cap.II,

“Soppressioni de’conventi ed istituti religiosi”.

4 ASMi, Culto p. a., b.1556 bis, Lettera di Pozzobonelli a Firmian, 9 dicembre 1769.

5 Cfr. ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.135, “Dispaccio imperiale d’approvazione del

Piano arcivescovile per la soppressione dei conventi di Leggiuno, Rho, Binago, Somadeo,

Tradate e Mariano”, 9-21 ottobre 1769; ASMi, Culto p. a., b. 1578, Dispaccio imperiale, 9 ottobre 1769. Da questo elenco, primariamente, risulta escluso il convento di Mariano dei minori conventuali, intitolato a S. Pietro martire a causa delle resistenze dell’arcivescovo che non condivide la soppressione “non verificandosi più rispetto al medesimo li caratteri espressi tanto nella bolla Instaurandae, quanto nel dispaccio 20 marzo 1769” (ASMi, Culto p. a., b.1556 bis, Lettera di Pozzobonelli a Firmian, 26 giugno 1770,). Per questi conventi, la data della definitiva soppressione é il 9 dicembre 1769 (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.135, Dispaccio

imperiale di soppressione dei piccoli conventi di campagna di Leggiuno, Rho, Binago, Somadeo, Tradate e Mariano, 9 dicembre 1769). L’imperiale dispaccio viene comunicato dal Firmian al

Pozzobonelli, in via del tutto personale, già il 21 ottobre 1769 (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b. 135, Lettera di Firmian a Pozzobonelli, 21 ottobre 1769). Nel documento si sottolinea l’utile e zelante lavoro svolto dal cardinale e dai suoi collaboratori (fra di essi mons. Manzoni, ancora delegato per il Sussidio), invitandoli a continuare sull’esempio di quanto é avvenuto l’anno precedente nella soppressione del monastero femminile di S. Maria in Josaphat a Pavia (il primo convento ad essere soppresso nella Lombardia Austriaca). Come i deputati di Tradate, così anche quelli di tutta la Valtrevaglia (Germignaga, Dumenza, Roggiano, Taccagno, Domo Valtrevaglia) si opporranno alla soppressione del convento di Santa Maria del Carmine di Luino, avvenuta il 7 febbraio 1779. Su queste vicende si vedano le pagine seguenti ed i

Nel secondo caso sono compresi i conventi di Angera dei padri serviti, di S. Francesco d’Oreno dei minori conventuali, degli agostiniani della Congregazione di

Lombardia, di Pozzolo dei minori conventuali, di Melegnano dei padri carmelitani

con ospedale, di Melzo dei padri carmelitani, di Inzago e di S. Genesio degli agostiniani. Anche questi ultimi conventi si trovano in diocesi di Milano e le loro

soppressioni vengono decretate il 31 maggio 1770.6

Tranne Rho, Melegnano, Inzago e Melzo, gli altri istituti religiosi summenzionati, primi ad essere “colpiti” non solo nel Ducato di Milano, ma nella Lombardia austriaca e nei territori dell'Impero, ricadono nelle Brianze e nel Varesotto.

documenti dell’archivio diocesano intitolati: ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.150, “Soppressione del convento di S. Maria del Carmine di Luino”, 7 febbraio 1779. Meno problemi, rispetto ai padri di Tradate, erano stati causati, invece, dagli agostiniani di Sommadeo. Il preposto di Carnago, capo-pieve dal quale dipende la cura d’anime di Sommadeo, già il primo marzo 1770 informava Milano che “il canonico coadiutore della collegiata di Castiglione aveva provveduto alla messa all’asta dei beni del convento, così come si rileva dall’inventario redatto” (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.136,“Soppressione del convento dei padri agostiniani di Somadeo”. Lettera del preposto di Carnago, 1 marzo 1770).

6 ASMi, Culto p. a., b.1556 bis, Lettera di Firmian a Pozzobonelli, 23 giugno 1770,in M.

Taccolini, Per il pubblico bene, cit., p.29. Cfr. anche ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.137, “Imperial decreto di soppressione dei conventi d’ Angera, Melegnano, S. Genesio, Melzo, Pozzolo ed Inzago”, 31 maggio 1770. Si veda pure ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.137, “Approvazione dei piani di soppressione dei conventi d’ Angera, Melegnano, S. Genesio, Melzo, Pozzolo ed Inzago”, 18 novembre 1770. Su questi monasteri sono importanti le missive che alcuni preposti scrivono a mons. Manzoni. Da Angera, per esempio, il canonico Giuseppe Viscardi rileva come l’ordine impartito dalla Giunta Economale il 27 aprile 1769 “per porre fine a certi disordini de conventi di campagna, avallato dai successivi piani di soppressione proposti dagli Ordinari diocesani”, non tenga conto che in quel borgo vi sia soltanto l’istituto dei serviti, i quali si sono sempre resi molto utili coadiuvando il parroco nell’esercizio delle proprie funzioni ( ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.133, Lettera del canonico Giuseppe Viscardi a mons. Manzoni, 3 maggio 1769). Il preposto di Melzo, don Camillo Lodigiani, ha incaricato il proprio

coadiutore a procedere “alla secolarizzazione e sconsacrazione della chiesa del piccolo convento

di S. Maria delle Stelle del Carmine” e, successivamente, provveduto alla vendita all’asta dei “beni mobili profani” (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.137, Lettera di don Camillo Lodigiani, preposto di Melzo, a mons. Manzoni, 10 novembre 1770). Sulla stessa linea si pone la comunicazione di don Filippo Viganò, parroco d’Inzago, pieve di Gorgonzola. In questo luogo viene soppresso il convento agostiniano di S. Maria delle Stelle, i cui beni, però, in gran parte “sono ritenuti per favorire l’erezione del nuovo ospitale” (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.137, Lettera di don Filippo Viganò, parroco d’Inzago, a mons. Paolo Manzoni, 12 novembre 1770). Un documento inviato dalla Curia al padre vicario generale dell’ordine agostiniano della Lombardia, posteriore al dispaccio imperiale del 31 maggio 1770, stabilisce le modalità d’esecuzione: é necessario trasferire tutti i religiosi ivi stanziati e ripartirli fra gli altri conventi della famiglia, eccetto il padre priore, il quale dovrà rimanere per consegnare i mobili dell’istituto ed assistere agli inventari (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.137, “Promemoria notificato al padre vicario degli agostiniani della Congregazione di Lombardia, riguardante la soppressione del monastero d’Inzago, novembre 1770). Come nel caso di Melzo, anche a Melegnano, importante borgo che, in quel periodo, conta circa duemila abitanti, si deve affrontare il problema delle soppressioni. Secondo le preziose notizie fornite dal Piano arcivescovile redatto nel 1769, in città, oltre a due conventi importanti, “si contano altri due

“Manca all'appello”, nonostante le procedure di chiusura ad esso inerenti siano state avviate quasi contemporaneamente, il convento di S. Maria La Vite di Olginate, pieve

di Garlate, unico convento maschile ad essere soppresso nell'area lecchese.7 Occorre

rilevare come, per tale plesso, il dato economico- finanziario più importante sia contenuto nell'atto redatto dal notaro Antonio Bonanome, al cospetto del padre Carlo

Ignazio Redaelli, priore.8 In osservanza del rescritto governativo 21 novembre 1762

ed in esecuzione dell'art. 3 della prammatica reale 5 settembre dello stesso anno emanata dalla Giunta Economale, il 30 dicembre 1762 vengono notificati, a guisa di Stato patrimoniale, gli acquisti effettuati dal convento e circoscritti al periodo 1701-

piccioli conventi: uno spettante ai padri carmelitani, l’altro ai serviti”. Il Piano di soppressione, comunque, riguarda, esclusivamente, il primo istituto, definito, categoricamente, inutile. Il convento, che risaliva al XIV° secolo, fino al 1768, aveva dichiarato delle entrate pari a 3.426,10 lire, a fronte di una passività di 3.776.21 lire. I maggiori capitoli di spesa sono rappresentati dalla corresponsione a favore di ognuno dei sette religiosi presenti di una pensione vitalizia pari a 300 lire. Il cardinale Pozzobonelli propone, analizzando la distribuzione dei beni, di erigere (com’era stato fatto anche per Melzo con un ospedale) un luogo pio di carità, che funga, per lo più, da assistenza sanitaria, dato che a Melegnano si respira “un’aria malarica e molto frequenti sono i casi di febbre”. A detta della Curia il luogo pio dovrà essere costruito con la dote dei beni spettanti al convento. L’amministrazione sarebbe spettata al preposto di Melegnano. Il nuovo istituto avrebbe dovuto accollarsi vari obblighi, tra cui quello di soddisfare la celebrazione delle messe e degli offici trasferiti alla chiesa colleggiata. Dal capitale attivo del sopprimendo convento dovranno, poi, sottrarsi 600 lire da corrispondere ad un chirurgo “che eserciti la chirurgia maggiore e 300 lire “ad un chirurgo di chirurgia minore”. Altre 1200 lire dovranno servire per l’acquisto dei medicinali e le rimanenti 754.18 lire per la somministrazione agli infermi del “pan bianco” e della carne nella quantità conveniente. La casa dell’ospedale dei pellegrini sarebbe potuta servire per abitazione dell’agente o fattore del luogo pio da costituirsi. “Infine”- attesta il Piano-“delle sacre suppellettili della chiesa e della sagrestia se ne farà parte alla chiesa colleggiata del borgo, e parte alla chiese parrocchiali povere delle vicine pievi” (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.134,“Piano proposto dalla Curia arcivescovile per la soppressione del convento chiamato di S. Maria dei padri carmelitani di Lombardia in Melegnano”, 1769). Il 24 febbraio 1770 Firmian scrive al Pozzobonelli, congratulandosi dell’efficace azione fino ad allora svolta. Tuttavia, solleva alcune obiezioni su Melegnano. In questo borgo, secondo le notificazioni pervenutegli, vi sono 20 sacerdoti secolari, tra i quali tre esercitano l’ufficio parrocchiale. Il plenipotenziario annota questi dati: “Vi è un convento degli

osservanti di 24 religiosi, ed un altro dei Cappuccini di 16. Ciò posto, sembra che non solo il picciolo convento dei carmelitani, ma ancora quello dei serviti, siano totalmente superflui”.

Firmian, nella medesima corrispondenza, propone, per l’utile erezione del “luogo pio di carità per i poveri”, l’unione al patrimonio del sopprimendo convento carmelitano dei beni del piccolo istituto servita, “giacché il fondo suddetto non sarà forse adeguato al bisogno dei poveri infermi, soprattutto in tempo d’estate, secondo il numero degli ammalati notificati dal vicario foraneo, ancorché si passi alla soppressione dell’ospitale dei pellegrini” (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.136, Lettera di Firmian a Pozzobonelli, 24 febbraio 1770). Rispondendo all’ufficiale austriaco, il 26 marzo successivo, l’arcivescovo di Milano evidenzia che “la provincia milanese dei padri serviti ha già subito la soppressione dei piccioli conventi di Tradate e d’ Angera”. Come conseguenza di tali soppressioni, il convento di Melegnano conta 11 religiosi, mentre altri 47 sono rimasti senza alcuna provvigione (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.136, “Lettera di Pozzobonelli a Firmian, 26 marzo 1770). Le obiezioni del cardinale vengono, infine, accolte dal ministro, secondo il quale si sarebbe potuto procedere alla

1724.

Il documento é accompagnato, per ogni atto di acquisto fatto dal convento nell' arco di tempo sopra considerato, da 7 instromenti notarili dai quali si possono evincere, oltre le vicende ben documentate degli acquisti, utilissime notizie circa i procedimenti giuridici d'adozione. In via generale, l'instromento dopo il sigillo notarile, passa all'esame del Senato, ottiene, poi, la patente di sigurtà dal notaio

cancelliere e dal deputato della locale comunità. Per quanto concerne la vera e

propria stipula dell'atto, in calce, si rendono noti il luogo, le persone presenti (ossia il

soppressione di detto convento “sin’atantoché sia diminuito il numero dei religiosi, in maniera che possano, senza molto aggravio dei rispettivi conventi superstiti, ripartirsi, e mantenersi tutti i nazionali ricaduti ancora dagli stati esteri” (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.137, Lettera di Firmian a Pozzobonelli, 27 marzo 1770). Il convento degli agostiniani di Monte Brianza, pieve di Missaglia, intitolato a S.Genesio, viene definitivamente chiuso nel maggio 1771. Il curato del luogo, don Giovanni Battista Bellusco, scrive a mons. Manzoni “di avere, il giorno ventidue maggio, letto ai padri il decreto di soppressione, fornito e resi noti gli strumenti necessari per la redazione dell’inventario, provvedendo, successivamente, alla profanazione della chiesa” (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.139, Lettera di don Giovanni Battista Bellusco, curato di Nova Brianza, a mons. Manzoni, 24 maggio 1771). Nell’inventario dei beni, curato dallo stesso don Bellusco, suddelegato da mons. Manzoni, e controfirmato da frà Giuseppe Parravicini, procuratore delegato, si fa un succinto rendiconto “delle suppellettili

profane, dei sacri beni stabili, del danaro, del bestiame, dei debiti e delle scritture spettanti al

soppresso piccolo istituto”. Fra le suppellettili profane, distribuite nel pianterreno, in cucina, nel refettorio ed in foresteria, sono da rimarcare tre tavoli di noce, sette quadri ordinari, un trepiedi di legno, dieci bicchieri in maiolica, una tina con cerchi di legno, due letti con materassi di lana e lenzuola, due genuflettoi e due scranni di legno. Le suppellettili sacre, che si trovano nella sagrestia e nella chiesa, contano: un armadio di noce per i paramenti, un calice con patena di ottone, un turibolo e navicella di rame, due messali (uno ambrosiano ed uno romano). In chiesa, invece, vi sono tre altari: uno, quello centrale, dedicato alla Beata Vergine e gli altri due, dedicati rispettivamente a S. Nicola ed a S. Genesio. In quello centrale si possono notare un tabernacolo di legno a vernice ed una balaustra, sempre in legno. Nell’altare dedicato al protettore vi é la statua lignea del santo, racchiusa in una nicchia a vetri, due reliquari di legno ed un tabernacolo con quattro candelieri. Ad essi si aggiunge un ostensorio di rame inargentato. Per quanto riguarda i beni stabili, il soppresso convento consiste in cinque stanze al piano inferiore e dieci al

piano superiore, una cantina, una segheria ed una chiesa annessa con giardino. I fondi si

estendono, per lo più, nel comune di Nova e sono dati in affitto. Uno di essi, dall’estensione di 130 pertiche, viene lavorato dai religiosi ed ha una casa da massaro ed una stalla. Da questo appezzamento, senza dubbio il più consistente, si ricavano, vino, fieno per il valore di 150 lire, e castagne. Il capitale in danaro ammonta a 4500 lire. Il convento, inoltre, possiede due mucche. Per quanto concerne i debiti ed i pesi, il Bellusco deve registrare una passività di 791.18.3 lire, cui si aggiungono il pagamento di 40 lire annue allo stesso curato di Nova e di 38.7.6 lire per

carichi regi. La pensione vitalizia da corrispondersi ai cinque religiosi é stata calcolata, secondo

il Piano di soppressione, in 300 lire annue per ciascuno. Vi é, poi, da annotare il ritrovamento di alcune scritture private risalenti al periodo 1499-1683, la cui esistenza, però, non é stata, a detta del sacerdote, verificata (ACVMi, Carteggio ufficiale, sezione IX, b.139, “Inventario delle suppellettili profane, sacri beni stabili, danaro, bestiami, debiti, pesi, scritture spettanti al soppresso piccolo convento di S. Genesio dei padri agostiniani della Congregazione di

pronotario) ed i relativi testimoni. 9

La centralità del convento di S. Maria La Vite, comunque, é da riscontrarsi negli atti

di acquisto fatti dal 1701 al 1724 in cui, soprattutto, emerge la pratica, piuttosto consolidata, da parte dei carmelitani, di far uso, con molta dimestichezza, di particolari istituti contrattualistici, grazie anche alla dinamica figura dell'allora priore padre Spreafico: dal fedecommesso, alla permuta, alla vendita “clandestina”, al

contratto in favore di persona da nominarsi.10

L'ultimo atto d'acquisto del convento, datato 5 aprile 1724, riguarda 8 pertiche di un appezzamento di terra boschiva, una porzione di selva e bosco di una pertica, un'altra

Giovenzana, Rovagnate e Biglio, hanno cercato di evitarne la soppressione, sottoscrivendo una lettera comune il 15 aprile 1769 ed invitando anche i rispettivi deputati dell’Estimo delle comunità indicate a fare lo stesso. In entrambi i documenti, pervenuti alla Curia, si può notare il fondamentale ruolo d’evangelizzazzione svolto dai padri agostiniani fra quelle genti. Soprattutto, i deputati rimarcano la felice posizione del convento, “molto vicino ai centri abitati, per i quali suppliva anche da parrocchiale (essendo quest’ultima distante)” (Cfr. ACVMi, Carteggio

ufficiale, sezione IX, b.134, “Dichiarazione sottoscritta dai deputati dell’Estimo delle comunità

della pieve di Missaglia al fine di evitare la soppressione del convento di S. Genesio”, 8 maggio 1769; Ibidem, “Attestazione dei curati di Romagnate, Nova Brianza e Giovenzana”, 15 aprile 1769.

7 Appartenente ai carmelitani della Congregazione di Mantova, infatti, verrà chiuso il 7 maggio

1782.Cfr. ASMi, Culto p. a., b. 1630, Lettera del padre provinciale dei serviti Tomini a Firmian, Casale Monferrato, 14 aprile 1769; Elenco cronologico delle soppressioni di enti, monasteri e

conventi dei regolari e delle monache, eseguite durante il regno di Giuseppe II (1781- 1789), in

Taccolini M., Per il pubblico bene, Bulzoni, 2000, pp. 87- 90.

8 ASMi, Culto p. a., b. 1630, “Acquisti del Convento di S. Maria della Vite presso Olginate, Pieve

di Garlate dei padri carmelitani della Congregazione di Mantova dal primo Gennaio 1700”, Olginate- S. Maria La Vite, 30 dicembre 1762.

9 Ibidem. Si sa, con esattezza, che i notai cancellieri milanesi sottoscriventi sono Geronimo Porro

(1703- 1705), Giuseppe Rusca e che il deputato della comunità di Olginate é Sebastiano Resura (1703- 1705). Il luogo della stipula di tutti gli atti é il refettorio del convento di S. Maria La Vite. Il notaio che li redige tutti (dal 1701 al 1724) é Giovanni Stefano Tavola, figlio del fu Giovanni Battista, residente a Val Greghentino, sempre nella Pieve di Garlate. La concordanza degli atti notarili viene eseguita da Stefano Maggiore del foro di Milano. La famiglia notarile dei Tavola (spesso, al fianco del padre Giovanni Stefano compare, soprattutto a partire dal 1719, il figlio Giuseppe come protonotaro che gli succederà alla morte), agli inizi del XVIII° secolo esercita un ruolo importante nella comunità locale, assieme ai Lavello, di tradizione protonotari con Andrea ed il figlio Alessandro. Sembra, addirittura, che fra le due famiglie vi sia un profondo legame, dettato anche da interessi professionali comuni. Infatti nell'atto del 9 febbraio 1719, inerenti gli acquisti fatti dal convento di S. Maria da tali Andrea ed Ambrogio Gilardi, compaiono come

protonari Giuseppe Tavola ed Alessandro Lavello, essendo notaro ancora Giovanni Stefano

Tavola. Il 5 aprile 1724, invece, troviamo notaio Giuseppe Tavola, succeduto al padre defunto, con Alessandro Lavello sempre al fianco in qualità di protonotaro. Nell'arco di tempo considerato (1701- 1724) esercitano quest'ultima professione ad Olginate Andrea Lavello di Barzanelle,Vittorio Apellano di Val Greghentino, Pietro Taegio di Olginate, Carlo Antonio Tavola di Molinello, Giuseppe Tavola di Val Greghentino (figlio del notaio summenzionato), Alessandro Lavello (figlio di Andrea) di Olginate e Carlo Antonio da San Cassiano di Olginate. Per quanto riguarda i testimoni compaiono, rispettivamente, tali Giuseppe Perego, Antonio Lavello, Francesco Crotto di Olginate (1701), Giovanni Battista Rocco (1703), il deputato già

di selva di una pertica, 4 pertiche di bosco e 4 di ronco: in tutto, circa un ettaro di terra (117.81 ari) ricadenti completamente nel comune di Consonno, rilevati dal reverendo preposto d'Olginate Innocenzo Tartari e pagate dal priore Francesco Maria

Robecco (succeduto allo Spreafico) al prezzo di 924.20 lire imperiali.11 “Di questa

cifra”- attestano Redaelli e Bonanome- “il notaio Giuseppe Tavola notifica che circa il 56.71 %, pari a 524.20 lire milanesi, sono state ricavate dalla Cassa del convento, mentre le altre 400 lire si sono ottenute dall'estinzione di due livelli annui del valore di 200 lire ognuno dovuti, rispettivamente, dal marchese Angelo Maria Mantegazza e

citato Sebastiano Resura (1703, 1705) di Olginate, Giovanni Pietro Gilardi di Val Greghentino, località Ospedale (1703, 1705,), Carlo Francesco Tavola di Olginate (1705), Carlo Rocco (1719, 1724), Pietro Mandello di S. Maria La Vite in Olginate (1719), Giacomo Milano di Villa di Val Greghentino (1719), Giuseppe Pedrinali di Cassina Albegni (1719), Giuseppe Pietro Lavello di Olginate (1720), Francesco Blanco di Val Greghentino (1720), Antonio Mandello (figlio di Pietro) di S. Maria La Vite (1720, 1724), Giuseppe Mandello (figlio di Antonio, 1724).

10 Ibidem. I contratti d'acquisto, in tutto sette, sono datati, rispettivamente, 28 giugno 1701, 23

aprile 1703, 20 maggio 1705, 19 febbraio 1719, 23 marzo 1719, 21 marzo 1720 e 5 aprile 1724. Sono di particolare interesse fiscale e finanziario il secondo ed il terzo. Nel primo caso, risulta essere stato fatto un acquisto “clandestino” a favore del convento. L' instromento notarile, recita, nella sua parte iniziale, in questo modo: “(...) Cum sit, quod infrascritus iurisconsultus et

causidicus dominus Carulus Joseph Francia acquisiverit petiam terre a Multo Reverendo Domino Canonico Bartholomeo Lavello pretio librarum mille ducentum imperiales, quas