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La morte 139 Verrà il momento della separazione completa dalle persone. Allora

Nel documento ESERCIZI SPIRITUALI (pagine 136-142)

rettifichiamo fin d’ora e purifichiamo i nostri affetti, affinché essi non ec­

cedano i limiti della legge che dice: «Onora tuo padre e tua madre», o di quell’altra: «D iliges proxim um tuum...».1

Separazione dalle cose create. Noi, che abbiamo ascoltato l’invito del Signore ed abbiamo abbandonato tutto per amor suo, cerchiamo proprio di essere pauperes spiritu per meritare il regno dei cieli.7 8

3. Separazione del tempo.

In terra viviamo nel tempo e quindi nel moto perché, secondo la nota definizione di Aristotele, il tempo è la misura del moto secondo la succes­

sione.

Con la morte finisce il tempo: tem pus non erit am plius (Ap 10,16), e quindi non ci sarà più moto; comincerà l’[e]ternità e quindi l ’immobilità.

In quella9 medesima disposizione d’animo in cui ci troveremo al punto di morte, in quella ci perpetueremo: se in punto di morte avremo l’amore di Dio, eternamente ameremo Dio; se in punto di morte avremo l’odio a Dio, eternamente odieremo Dio, e non c’è da sperare di poter passare dall’odio all’amore o dall’amore all’odio, perché con la morte cessa la mutabilità della volontà umana.

Rinunziamo fin da questa vita al pericoloso privilegio della mutabilità della volontà umana; stabiliamoci da noi una volta per sempre nell’im­

mobilità e sia questa l ’immobilità dell’amore. Lo possiamo fare se orien­

tiamo tutta la nostra vita al servizio di Dio.

Stabiliamoci quanto prima nella carità e nel santo amore di Dio, rinunziando alle penose alternative d’amicizia e di riconciliazione. Che la morte ci trovi in queste condizioni o disposizioni d’animo. Ci porterà al­

lora in cielo, dove con lo stesso amore purificato continueremo ad amare Dio per l’eternità.

Nel camposanto di Genova si può ammirare un singolare monumento sepolcrale: rappresenta un padre di famiglia steso in una bara aperta, ac­

canto alla quale è inginocchiata una giovinetta, figlia del defunto, con le mani giunte. Sopra le due figure si innalza il busto di Cristo benedicente e in alto, sul frontone di marmo, come un raggio di sole brillano scritte le parole di nostro Signore: «Ego sum resurrectio» .10 Alla luce di [questa]

7 Lv 20,12; Dt 5,16; Mt 19,19.23.39; Ef 6,2; Rm 13,9; Gal 5,14; Gc 2,8.

8 Mt 5,3.

9 Nell’originale: questa.

10 Gv 11,25.

divina affermazione, la certezza glaciale della morte e le sue inesorabili conseguenze non ci devono11 più deprimere. Noi sappiamo che l’umana esistenza, qualunque sia la sua durata, non si perderà nelle tenebre del nulla, ma nell’oceano dell’amore infinito di colui che chiamiamo Dio.

Viviamo come quelli che sanno di dover morire, ma confortiamoci al pensiero che, dopo la morte terrena, vivremo eternamente in cielo. 11

11 Nell’originale: deve.

La morte

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027. Morte

(1954, Colle Don Bosco, giovani confratelli)12

«Et p er peccatum m ors».13

a) Leonida Andreiev rappresentò «La vita umana» in un’azione dram­

matica di quattro quadri, commentati da un vecchio sapiente.14

1. Primo quadro: [si apre la scena: buio, un vagito di bimbo, si accen­

de una fiammella su una torcia fra le tenebre. Cantata: È nato l’uomo.

2. Secondo quadro: la fiammella rinvigorisce, cresce, si espande, fino a mandare il massimo chiarore. Attorno è tutta una ridda di danze e di can­

ti. Un’orchestra invisibile, diretta dal vecchio, propaga una musica india­

volata. E il frastuono travolgente della giovinezza e della virilità.

3. Terzo quadro: la fiamma crepita e guizza prossima a spegnersi, scendono le ombre sulla scena: la danza si fa sempre più lenta, grave, tri­

ste, funerea. E il torpore della vecchiaia.

4. Quarto quadro: un guizzo. La fiamma si è spenta. Sulla scena sono tornate le tenebre fitte e un silenzio di tomba. E nel silenzio una voce: E morto l ’uomo!].15

b) Io so che questo è un argomento di cui l ’uomo moderno non vuol sentire parlare. La mente moderna si sente a disagio di fronte alla morte.

Eppure il fatto della morte è camuffato pietosamente: non vi è libro giallo (e sono i più letti anche oggi) o film che [non] abbia la sua brava dozzina di morti. Tutti sono ansiosi: «Chi l’ha ucciso?». Nessuno si chiede: «Salvo o dannato»?

E camuffato fino al punto che gli impresari di pompe funebri, se po­

tessero, con la loro pubblicità, vorrebbero farci credere che vi è la felicità in ogni cassa.

c) Meditiamo sulla morte nel commosso ricordo di confratelli e giova­

12 Don Quadrio desidera dedicare la meditazione alla memoria di don Giovanni Zolìn, morto a Bollengo (TO) il 5 novembre 1953, a 81 anni di età. L’accenno potreb­

be costituire un elemento di datazione. Dall’analisi delle bozze usate per la minuta, si deduce che la meditazione entra nella serie degli esercizi predicati al Colle Don Bosco per giovani confratelli (cf. E 003-004, E 006, E 009). Porta sull’angolo destro in alto la segnatura V.

13 Rm 5,12.

14 La numerazione dei paragrafi è ritoccata per renderla coerente. Lo schema del dramma di Andreiev è trascritto anche sul quaderno di appunti per la predicazione (Q L-O, p. 27).

15 Questa sezione e altre parti che seguono sono state integrate con una medita­

zione di argomento affine intitolata «La morte» (Arch. 039).

ni recentemente scomparsi nel modo più tragico. Guardiamola oggi negli occhi «sora nostra morte corporale».16 E l’unico modo per non temerla!

Una morte felice, attesa, desiderata, santa, è un capolavoro, ed un ca­

polavoro non si compie in un giorno, ma provando e riprovando ogni giorno. Dubois impiegò sette anni a fare il modello di cera della sua fa­

mosa statua in bronzo di Giovanna d’Arco. Alla fine ne uscì una meravi­

glia dell’arte scultorea. La nostra morte alla fine dell’esistenza terrena do­

vrà appar[ir]e come una stupenda perfezione di molti anni di lavoro, che abbiamo speso attorno alla sua preparazione:17 «morendo ogni giorno»

(q uotidie m orior).18

Non si teme una persona di casa, che ci è familiare ed intima!

La ragione fondamentale per cui temiamo la morte sta nel fatto che non l’abbiamo preparata, non l’abbiamo mai guardata in faccia, un po’ a lungo. Chi ha familiarità e consuetudine, la ama, la invoca, l’attende sere­

no. Esercitarci. Far la prova. Non si improvvisa. Colonia. Sepolcro di Duns Scoto: «S em el sepultus, bis m ortuus».

Don Bosco è in questo un maestro insuperabile.

- Uno dei capisaldi del suo sistema educativo è certamente il binomio inscindibile: esercizio di buona morte — allegria. Lo ha detto e dimostrato anche un illustre pedagogista in una conferenza all’Augusteo di Roma:

Naz[areno] Padellaro.

-U n vecchietto [di novant’anni], che era stato alunno nei primi anni dell’oratorio, quando veniva interrogato se si ricordava di d[on] Bosco, rispondeva: «Ah, sì! Don Bosc, bona mort, confessión, com unión, pan e sa- làm». Lì c’era tutto d[on] Bosco.

Se mi fosse consentito, vorrei che questa meditazione] fosse dedicata alla memoria del rev. don [Giovanni] Zolìn.

d) Sia nostra giuda in questa meditazione il maestro di don Bosco, don [Giuseppe] Cafasso, al quale probabilmente si deve almeno in parte l’es[ercizio] di buona morte come don Bosco l’ha introdotto nella prassi salesiana.19

Prevedendo e meditando ciò che dovrà accadere di noi e intorno a noi nel tempo della n[o]s[tra] morte. La medit[azione] sulla morte non è una predica, ma una prova, un esercizio che ciascuno deve fare.

Su questa traccia ciascuno faccia la prova di una buona morte, medi­

16 San Fran cesco D’Assisi, Cantico di fra te sole.

17 Nell’originale: al suo lavoro.

18 Cf. 1 Cor 15,31.

19 Nell’originale si aggiunge il rimando: «Vedi foglio». Non ci è pervenuto.

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tando i sentimenti di un moribondo. Probabilmente moriremo con i sen­

timenti che avremo questa sera. Ciascuno faccia a suo modo, ciascuno ha i suoi gusti e desideri. A me tocca ora far la prova in pubblico e a voce al­

ta: «A chi la tocca, la tocca»!

1. Morirò. M orte morieris. M orieris tu et non vives. Quia pu lvis es e t in pu lverem reverteris.20 Tragica, funerea legge, a cui non sfuggirai. Lo atte­

sta ogni pagina della Scrittura, dal [la] Genesi all’Apocalisse.

«Tutta la carne è come l’erba, e tutta la sua grazia come il fiore dei campi. L’erba si secca, il fiore avvizzisce» (Isaia [40,6-8]). L’uomo è come il fieno che viene falciato, il fiore che avvizzisce. Ripassi dov’era ieri, lo cerchi. Dov’è?».21 «Transibit vita nostra tamquam vestigiu m nubis» (Sap 2,5). Sei come un’ombra, come il fumo, come un vapore, come un alito, come l’acqua che scorre: «O m nes m orim ur e t quasi aquae dilabimur in terram, quae non revertuntur» (2 Sam 14,14). Sai 38: «Ut habitus t[an]- t[um ] stai om nis hom o, ut umbra t[an]t[um ] pertransit h om o» .22 Ieri era­

vamo fanciulli, oggi siamo uomini, domani saremo morti. Siamo tutti «ae- ternitatis candidati», condannati a morte, in attesa solo che ci venga an­

nunziata l’ora precisa.

2. Dove morirò? Sul pulpito, all’altare come sant’Andrea Avellino?

[In] confessionale [come mons.] Méderlet? Sul pulpito come don Albino Carmagnola? Per la strada, in campagna, come don Albertini a Penango?

In un corridoio, come d[on] Conelli a Roma? Presso un lavandino, come don Orselli nel gabinetto della sacrestia del S[acro] Cuore? Giù per le scale, come Benedetto Nocentini? A passeggio come il coadiutore] Ot­

tone a Mirabello? Nelle acque di un fiume come tanti confratelli? Su un ghiacciaio, in fondo ad un crepaccio? In montagna sotto una valanga, come qualche tempo [fa] don Morra nel Cile, don De Nier in Germania?

Bocconi sul pavimento della mia camera [come] Scarzanella? Scendendo imprudentemente dal treno in moto ([come un chierico] in Spagna)? O per strada, sotto una macchina come il sudd[iacono] Alfonso de Roga- tis?23 Oh, sì, le macchine hanno cambiato il n[o]s[tro] modo di vivere, ma anche il n[o]s[tro] modo di morire.24

20 Gen 2,17; 2 Re 20,1 G I s 38,1); G n 3,19.

21 Sai 102,15-16.

22 Nella versione piana leggiamo: ut halitus stat om nis hom o. Ut umbra tantum pertransit hom o (w. 6-7).

23 Cf. E 059, nota.

24 Sua ecc. mons. Eugène Méderlet, per 6 anni arcivescovo di Madras, morto a

3. Quando morirai? Valgono anche per la mia morte le parole di Ge­

sù.

«Non sapete il giorno e Torà». «Nell’ora in cui meno ve l’aspettate».

«Come un ladro di notte».25

Ogni an[n]o, [ogni] mese, ogni ora, ogni momento può essere il tuo.

[Nel mondo muoiono] 90 [persone] al minuto, 3.300 all’ora, 132.000 al giorno.26

Sei sicuro di fare un’altra volta gli esercizi? di finire l’anno? il mese, il giorno? Sei sicuro di poter uscir di chiesa questa sera o di metterti in gi­

nocchio alla fine della predica?

4. Come morirai?

Invocando e sospirando la morte come don Casazza (morto nel di­

cembre 1933) [mentre andava ripetendo la giaculatoria]: «Gesù, Giusep­

pe e Maria, perché non mi portate via?».27

O forse gridando: «Non voglio morire!», come un sacerdote a

Piossa-Pallikonda (India) il 12 dicembre 1934 a 67 anni (era definito «il martello del demo­

nio», cf. E 060); don Albino Carmagnola, Roma 8 marzo 1927 (a. 66); don Fiorello Vito Albertini, Penango 7 dicembre 1945 (a. 53); don Arturo Conelli, Roma 7 ottobre 1924 (a. 60); don Gustavo Orselli, Roma 25 febbraio 1932 (a. 50); coadiutore Bene­

Nell’altra meditazione si aggiunge: «In montagna come tanti, tanti giovani confratelli (otto cadaveri sul Cervino) o in un fiume, in un lago annegato come parecchi altri?

Travolti dalla corrente? Sotto una valanga? I salesiani hanno la privativa di morire improvvisamente: hanno fatto l ’abbonamento alla morte improvvisa».

25 Mt 25,13; 24,44; 1 Ts5,2.

26 Tra i fogli che don Quadrio teneva nel proprio breviario, se ne trovava uno che portava annotate queste statistiche (testimonianza orale di don Luigi Melesi). Egli pregava quotidianamente per i moribondi.

27 Don Giuseppe Casazza, Torino 22 dicembre 1953 (a. 79). Fu assistito nelle ulti­

me ore da don Quadrio. Nella meditazione affine testimonia, aggiungendo altri esem­

pi: «Assistendo un vecchio confratello morente, ho imparato una giaculatoria: “Gesù, Giuseppe, Maria, perché non mi portate via?” (d[on] Casazza). Don [Emanuele]

tra parte”». Don Mezzacasa è morto alla Crocetta l’8 febbraio 1955 (a. 84).

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