• Non ci sono risultati.

Sei fatto per l’infinito 83

Nel documento ESERCIZI SPIRITUALI (pagine 80-84)

013. [Siamo fatti per la gioia]

(Giovani)84

Una delle tentazioni più forti dei giovani [è] pensare che il cristiane­

simo sia fatto di tristezza e quindi nemico della gioia e del godimento.

10 voglio godere la vita! Devi, se no saresti un pazzo. Goditi la vita nel senso pieno e profondo, senza pensare che la legge di Dio ti tolga ciò che la natura ti ha dato.85

11 peccato è sciupare la vita, sciupare l’amore, sciupare la gioia. Se vuoi goderti la vita, segui la legge di Dio, se no sarai miserabilmente con­

dannato alla tristezza e al dolore. Nessuno è più felice dei santi, inesora­

bilmente!

Solo Dio può riempire il tuo cuore! La gioia è un monopolio nostro.

Gli altri possono divertirsi, non essere contenti.

a) Il laghetto alpino e le sue sorgenti segrete. L’occhio limpido - tor­

bido.

b) Il giovane assetato e la sorgente infetta: il viso. I germi della tristez­

za. Il vizio è triste.

c) Il supplizio dei fiori. Il demonio promette gioia e non dà che ama­

rezza.

84 Meditazione pervenutaci soltanto in forma di frammento.

85 II pensiero può essere completato da un altro foglio giunto senza seguito, che riporta l ’inizio di un’omelia: «Nell’ultima conversazione abbiamo tentato di dimostra­

re come il cristianesimo sia essenzialmente la religione della speranza, della fiducia, della pace dell’anima [cf. per es. O 090]. Ora contro questo rimane aperta una gravis­

sima difficoltà. La morale cattolica, si dice, misconosce le più profonde esigenze del cuore umano, giacché condanna come peccato ogni soddisfazione e ogni gioia. Il cri­

stianesimo è la religione della rinuncia, dell’abnegazione, che dissemina la vita umana di proibizioni e di rinunce.

Ora, vedete, per rispondere adeguatamente a questa difficoltà e dimostrarne la in­

consistenza, ci vorrebbe un lungo discorso, ed io non dispongo che di dieci minuti.

Esporrò dunque un solo caposaldo della dottrina cattolica a questo riguardo.

1. La chiesa insegna che l ’esigenza più profonda del cuore umano è la felicità. La chiesa lo riconosce e lo attesta.

2. Ma dove consiste la vera gioia? In quale oggetto?

a) Nessun bene finito, nessuna gioia terrena può rendere completamente felice il cuore umano.

- Interpelliamo quelli che ebbero più dalla vita (O’ Neil; D’Annunzio, Lavallière, Salomone).

- Interpelliamo la nostra età ([la] letteratura, [il] teatro, la filosofia).

- Interpelliamo l ’uomo della strada» [cf. E 007].

Sconfitta: parola amara. Come brucia le labbra!

I prigionieri. La libertà, l ’indipendenza. Ha ceduto per viltà. Arrossi­

sce. Il vizio è una schiavitù.

L’anno ha perduto la sua primavera (Pericle).

LA TENTAZIONE

014. Tentazione

(Scheda per preparare una risposta)1

Matteo 6,13: [E non ci indurre in] tentazione, [ma liberaci dal male], Dio, Bontà somma, non può volere il peccato, non può tentarci al male. «Quando uno è tentato, non dica: E Dio che mi tenta. Perché Dio non può essere tentato di male ed egli stesso non tenta nessuno» (Gc 1,13), ma, nella [sua] infinita sapienza, permette la tentazione, dandoci la grazia per superarla [T entatio v os non apprehendat n isi humana: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentavi supra id q uod potestis, sed fa- ciet etiam cum ten ta tion e proventum , ut possitis sustinere] (1 Cor 10,13).1 2

Mt 6,13. La riflessione cristiana trova materia di scrupolo in questa domanda: Può Dio indurci in tentazione? E, conseguentemente, conviene domandargli che non lo faccia?...

A prendere la tentazione nel senso che noi le diamo oggi, di sol­

1 Cf. la risposta alla domanda «Cosa vuol dire: Non c’indurre in tentazione?» (R 051). In un’altra scheda di argomento parallelo leggiamo: «Mt 6,13 è probabilmente una petizione posta negativamente e positivamente (la seconda è omessa in Le [11,3- 4]). Essa chiede che il nostro Padre non ci induca in tentazione. Siccome Dio non tenta nessuno (Gc 1,13), la frase “non ci indurre” può essere intesa [come] “non permettere che noi siamo indotti”, secondo lo stile semitico. Né la parola “tentazio­

ne” implica necessariamente un diretto invito a peccare; essa può significare delle cir­

costanze che, per noi, tendono a essere occasione di peccato (cf. Catholic Commentary on Holy Scripture, London 1957, 686b; Zerwick, Analysis [philologica], in hoc loco:

eis-phéro = ìn-duco etiam permissive: sine intrare: “fac ne intremus”)» (Arch. 020).

«Giacché Dio non c’induce per sé in tentazione, ma permette che vi sia indotto quegli che ha privato del suo aiuto per una ragione misteriosa e perché egli se l ’è meritato.

Spesso anche per ragioni manifeste Dio giudica uno meritevole di essere abbandonato e di essere lasciato indurre in tentazione. San Tommaso, Surnma theologica II, II, q.

83, a. 9: "Et ne nos inducas in tentationem : p e r quod non petim u s ut non tentem ur, sed ut a tentatione non vincamur, quod est in tentationem in du ci”» (Arch. 020).

2 Segue l ’abbreviazione E. C., probabilmente E nciclopedia cattolica.

lecitazione diretta al male e al peccato, è ben vero che Dio non ci può tentare. San Giacomo lo dice espressamente: «Dio non tenta alcuno»

(1,13).

Ma la tentazione aveva un tempo questo senso peggiorativo? Sembra di no. La tentazione nell’A[ntico] Testamento] era piuttosto un’occasio­

ne esteriore di praticare la virtù, in cui la vittoria sarebbe [stata] tanto più gloriosa quanto era più difficile.

E in questo senso che Dio «tentò» Abramo...3 Tutto porta a credere che Gesù si sia tenuto al concetto com[un]e al linguaggio popolare. Egli ci fa chiedere a Dio di risparmiarci queste occasioni troppo difficili, nelle quali4 la n[o]s[tra] virtù correrebbe il rischio di essere inferiore alle cir­

costanze e dove essa diventerebbe preda del Maligno, sempre pronto a profittare contro di noi delle nostre difficoltà (Pirot).

Ci si comanda di pregare che Dio allontani da noi ciò che ci spinge al peccato, che nella sua provvidenza rimuova da noi quelle condizioni, occasioni, uffici, modalità che prevede costituiscano un pericolo di pec­

cato.

Dio sembra che faccia ciò che permette di fare, giacché senza il suo permesso nulla avviene (san Bern[ardo]). Egli dunque ci induce in tenta­

zione nel senso che il nostro nemico non avrebbe il potere di tentarci, se non gli fosse stato dato dall’alto.

San Cipr[iano], Tertull[iano], [sant]’Agost[ino, De serm on e D om ini in m on te 9,30, intendono]: «E non permettere che noi siamo indotti in tentazione].5

Alcuni [autori traducono]:

-«N o n permettere che soccombiamo nella tentazione» ([ma tale sen­

so indebolisce il verbo «indurre»).

- [Tradurre]: «Non indurci in una tentazione troppo forte» (aggiunge [invece qualcosa in più] a «tentazione»).

[Padre Lagrange spiega]: «Si possono evitare questi due inconvenien­

ti, intendendo “tentazione” non come una prova, ma come un’occasione di peccato. Bisogna sempre desiderale] e chiedere a Dio [di] non essere posti in una tale occasione».

La quarta domanda del Pater [noster]..., non può essere intesa come

3 2 Gen 22,1: la prova del sacrificio del figlio Isacco.

4 Nell’originale: in cui.

5 Cf. A. Chan Kai-Yng, Il Padre nostro n ei principali com m en ti patristici e il suo uso nella Liturgia latina, Pontificium Institutum Liturgicum, Romae 1993 (pubblica­

zione del lavoro di tesi).

La tentazione

87

Nel documento ESERCIZI SPIRITUALI (pagine 80-84)