E’ interessante sottolineare come nel corso della 13.a Conferenza regionale dei Musei del Veneto l’attenzione espositiva al di fuori del museo si soffermasse anche sul ruolo svolto dalla città, nuovo oggetto di attenzione che porta a riflettere sulla relazione tra opera e contesto.
Ma evidentemente prima bisogna circoscrivere cosa si intenda per contesto. “E’ quello fisico determinato dalla presenza di manufatti (edifici, slarghi, aree pedonalizzate, preesistenze monumentali), elementi naturali (parchi, corsi d’acqua, giardini), gli aspetti eminentemente storici (fatti, eventi accaduti in un luogo), oppure si tratta di una relazione con le persone piuttosto che con le cose? […] E come si genera un progetto che consideri il contesto relazionale prima ancora che quello fisico, architettonico, naturale, cioè un progetto che consideri l’ambiente nella sua declinazione eminentemente sociale?43”.
Questa nuova consapevolezza porta a modificare la scala dei progetti culturali, che da una dimensione urbana passa ad una dimensione civica, con implicazioni non più solo architettonico – urbanistiche, o amministrative, di governo, ma soprattutto interessate ai luoghi relazionali comuni, agli spazi collettivi, alla ricerca delle forme e dei modi di un nuovo rappresentarsi/riconoscersi.
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Cfr. G. Rallo “Il tempo dell’arte nel parco di Stra”, “Il museo fuori di sé : i diversi mo(n)di dell'arte
contemporanea tra città e territorio”, Op. Cit, pp 100 -103
43 R. Caldura, “L’anello mancante. Progettualità contemporanee per la non- città”, Il museo fuori di sé : i
Capitolo 1: Venezia e Terraferma - Riflessioni sul territorio, trasformazioni urbane e il contemporaneo nei musei
55 Un approccio simile ha riguardato in parte, come abbiamo visto, anche alcuni progetti portati avanti dalla Galleria Contemporaneo di Mestre, la quale, unica realtà all’interno del panorama urbano mestrino, ha saputo cogliere e promuovere la possibilità di essere un centro culturale polivalente, non solo per il suo essere spazio espositivo, ma soprattutto per essere spazio laboratorio, in grado di favorire l’incrocio di più discipline, di più professionalità. Il suo obiettivo era anche la crescita di un pubblico fatto di non soli addetti ai lavori, attraverso la tutela e valorizzazione del sentire contemporaneo dei luoghi, dando loro dignità attraverso nuovi punti di vista e interessanti riflessioni sulla città e sul vivere comune.
La possibilità di cogliere e collegare nasceva in primis dalla sua particolare collocazione situata in uno spazio che già di per sé era caratterizzato da grandi trasformazioni, all’interno cioè di un tessuto urbano dalla marcata componente multietnica insediatasi nel corso degli anni, ovvero via Piave, strada che inoltre collega la stazione ferroviaria con il cuore della città di terraferma (Piazza Ferretto e dintorni), evidenziando così il suo duplice ruolo di legante urbano.
Nella stessa area inoltre sono tutt’ora presenti edifici militari di buona fattura, risalenti alla prima guerra mondiale (complesso della ex Lavanderia Meccanica Militare) che hanno visto sorgere nel 2009 un comitato di cittadini che mirava ad aprirne le mura e a restituire l’area ad uso pubblico, con raccolta firme, interventi sulla stampa locale e una pubblicazione per promuovere iniziative.
Si evidenzia dunque la possibilità di intersecarsi di quel che viene definito
‘community and art’ , reso possibile dall’attivarsi ‘dal basso’ del desiderio di un luogo
comune, dove sono gli stessi abitanti di un determinato luogo, in modo condiviso e spontaneo, a diventare fautori e promotori di progetti di riqualificazione, (appunto
community based), per favorire la dimensione partecipativa alla civitas44 nella quale si
riconoscono.
Questi esempi servono ad attestare come la funzione del museo oltre le sue mura, ‘fuori di sé’, sia il punto di partenza per poter unire la sperimentazione artistica più aggiornata ad una visione relazionale aperta alla comunità in luoghi segnati dal tempo, diventando così un polo di aggregazione allargato alla città intera.
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56 Molti possono essere i casi citabili su cui si posa questo nuovo interesse sociale, ad esempio quello relativo all’esperimento avvenuto con successo condotto dalla prima metà degli anni ’90 dal collettivo Park Fiction, che ha visto il recupero ad uso pubblico di un’area verde lungo la Hafenstraße ad Amburgo, testimoniata da una documentazione fotografica relativa alla trasformazione dello spazio e dello sviluppo urbani dalle origini fino alle sperimentazioni fra artisti e residenti nel quartiere di St. Pauli e legata alle problematiche sul “diritto alla città”.
Si è trattato di una sorta di pianificazione urbanistica dal basso, animata da obiettivi limitati e molto specifici, direttamente partecipati dagli abitanti e resi concreti grazie alle capacità, da parte degli artisti coinvolti, di elaborare i desideri collettivi dandone forma adeguata.
Gli esiti del lungo lavoro di cooperazione fra artisti e residenti non avevano come scopo l’eventuale appeal internazionale del progetto e nemmeno la riqualificazione turistica della città, (pur avendo avuto comunque ricadute positive evidenti) privilegiando invece la quotidiana frequentazione di quel luogo da parte di chi risiedeva nelle sue vicinanze. Il successo del progetto è stato decretato dunque dall’aver privilegiato il rapporto fra arte e ambiente sociale, sottraendo l’area verde a quello che era previsto come intervento di ‘valorizzazione’ immobiliare.
Un altro caso, dall’esito però non ugualmente positivo, ha riguardato invece il progetto di Isola Art Center (fig. 32) nella zona milanese Garibaldi – Repubblica. Anche qui si è trattato di un’ampia area verde mantenutasi intorno al corpo di una vecchia fabbrica – la “Stecca degli artigiani”. L’area era stata a lungo difesa dagli abitanti del quartiere grazie alla collaborazione di un collettivo artistico la cui figura artistica di riferimento era Bert Theis, che come per il caso amburghese, attraverso pratiche di progettazione dal basso, aveva tentato la salvaguardia dell’area verde e del suo mantenimento con anche specifiche proposte di riutilizzo dell’edificio della “Stecca”.
Il progetto comportava, oltre al mantenimento dell’area verde e alla salvaguardia di attività artigianali e associative insediatesi al piano terra dell’edificio, anche la strutturazione di un vero e proprio centro per l’arte contemporanea, di 1.500 mq con esposizioni con cadenza regolare e donazioni di opere per costituire una collezione permanente.
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57 Questi esempi assolutamente non esaustivi servono in realtà a far comprendere come questo nuovo sentire faccia parte di una tendenza in atto più condivisa nel spostare l’accento del contesto dalla città alla comunità.
Sempre più spesso infatti non solo le amministrazioni locali si rendono promotrici di attività di recupero, ma anche, e soprattutto le comunità stesse percependo un certo disagio urbano, si trovano ad essere attrici dirette del cambiamento con la collaborazione di artisti ‘socialmente’ impegnati.