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2.4 Rinascita e trascendenza

2.4.1 Mythic Rebirth: “Out of the ash/ I rise”

“Lady Lazarus” è la poesia che meglio esprime il concetto plathiano di mythic rebirth. Nella poesia viene ripetuta più volte la frase “Dying is an art”73: una lettura superficiale potrebbe portare il lettore a pensare che essa sia quindi l’espressione delle tendenze suicide della poetessa. Al contrario, in “Lady Lazarus”, l’eroina si libera dall’oppressione, celebrando la sua vendetta nei confronti degli uomini. Per tutto il corso della poesia, la simbologia cristiana viene ridicolizzata ed associata ad altre tre azioni: lo striptease della protagonista, le sofferenze inflitte dai Nazisti agli Ebrei e l’atto di distruzione personale, ripetuto compulsivamente ogni dieci anni. L’eroina sottolinea la dimensione pubblica del suo dolore, proprio come avvenne durante la Crocifissione, quando le sofferenze di Cristo erano esposte agli occhi degli spettatori. Inoltre, la rinascita di quest’ultima può essere considerata un vero e proprio miracolo, al pari di quello della resurrezione di Lazzaro. Apparentemente, lo scopo di tali prodigi è

71 P.MITCHELL,Sylvia Plath: The Poetry of Negativity, València, Publicacions de la Universitat de

València, 2011, pp. 27-28.

72 S.PLATH, “Wintering.”, in Tutte le Poesie, cit., pp. 636-637, v. 40. 73 Ibidem, p. 714, vv. 43-44.

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il medesimo: entrambi danno prova della potenza divina, agli occhi di un’audience scettica ed incredula. Alla fine del rozzo striptease, i vestiti di Lady Lazarus giacciono sparsi a terra (allusioni al sudario di Gesù, abbandonato nel sepolcro dopo la Resurrezione) e vengono venduti come fossero reliquie religiose: “And there is a charge, a very large charge/ For a word or a touch/ Or a bit of blood/ Or a piece of my hair or my clothes” (61-64). Diversi critici hanno contestato alla poetessa l’utilizzo, secondo loro offensivo, di termini derivanti dalla Passone di Cristo e dalla tragedia dell’Olocausto per esprimere la propria sofferenza personale. L’interesse primario di Plath però non era quello di mostrare le afflizioni individuali bensì esprimere, anzitutto, una condizione femminile generale.74 In “Daddy” ella afferma, infatti che “Every woman adores a Fascist”75: Lady Lazarus intrattiene, come la figlia della poesia citata, un rapporto masochistico con l’essere maschile. In questo caso, l’oppressore “divino” è un Nazista, designato con gli appellativi di “Herr Doktor”, “Herr God”, “Herr Lucifer” e “My Enemy”. Inizialmente, egli appare nelle sembianze di “Herr Doktor”, medico all’interno di un campo di concentramento e Lady Lazarus viene presentata come fosse un esperimento, un crogiolo di oggetti inanimati, una monster-woman: “A sort of walking miracle, my skin/ Bright as a Nazi lampshade, My right foot a paperweight,/ My face a featureless, fine Jew linen”76. Ella sembra essere il destinatario passivo del brutale ingegno del suo oppressore: “I am your opus, I am your valuable” (65-66). L’atteggiamento di Lady Lazarus nei confronti della sua audience è incerto e contraddittorio. Inizialmente, ella pare annoiata dal suo stesso spettacolo (“What a trash/ To annihilate each decade”) (24) e dal poco entusiasmo del pubblico; pochi versi dopo, ella diventa supplichevole: “Gentlemen, ladies,/ These are my hands,/ My knees” (30- 32). Il rapporto conflittuale e contradditorio tra la protagonista, il suo creatore e il

74 H.SHLIPPHACKE,Nostalgia after Nazism, Lewisburg, Bucknell University Press, 2010, pp. 109-113. 75 S.PLATH, “Daddy”, in Tutte le Poesie, cit., p. 648, v. 39.

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pubblico viene risolto nelle ultime quattro strofe della poesia. All’uscita dal forno crematorio, Lady Lazarus appare diversa:

Ash, ash

You poke and stir.

Flesh, bone, there is nothing there A cake of soap,

A wedding ring, A gold filling.

Herr God, Herr Lucifer Beware

Beware. Out of the ash

I rise with my red hair

And I eat men like air. (71-82)

Nell’invocazione finale a “Herr God”/ “Herr Lucifer”, ella assume le sembianze di una bestia indomabile e pericolosa, fuggita dalla sua gabbia; non a caso, nel pubblico viene lanciato un grido: “Beware/ Beware” (78-79). Per la prima volta, la “lioness” mostra la sua forza e i suoi artigli, non più le sue ferite. Dal forno del “Nazi”, ella risorge con il corpo incandescente: Lady Lazarus diventa la donna-fenice, la mangiatrice di uomini. I capelli rossi della protagonista non sono un elemento casuale: dal punto di vista letterale, essi alludono al piumaggio fiammante della fenice. D’altro canto, Plath era sicuramente a conoscenza del fatto che le persone dai capelli rossi erano spesso le vittime preferite durante i sacrifici poiché, data la somiglianza di pigmentazione, venivano offerte allo spirito del dio del grano rosso. In questa ottica, la chioma rossa della protagonista sottolinea ulteriormente la sua doppia natura di vittima e di creatura risorta.

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Negli ultimi versi il rapporto creatore-creatura si ribalta: l’ebrea si ribella al nazista, la

stripteaser soggiogata dagli uomini si trasforma in maneater.77 L’ “opus”, distruggendo il suo artefice, annienta anche il false self che egli alimentava, liberando così il suo vero sé. Secondo Gilbert e Gubar, la figura di Lady Lazarus non sarebbe altro che un’allegoria dell’artista donna che lotta per l’autonomia: la creatura dell’artista, del Dio- Uomo, afferma, nel finale della poesia, la sua indipendenza creativa.78 Con la sua risurrezione, ella sfida “Herr God” a fare altrettanto, sapendo che non potrebbe riuscirci. La protagonista supera l’anxiety of authorship, rivendicando il proprio talento creativo e, inoltre, decostruisce le immagini di “madwoman in the attic” e di “angel in the house”. In “Lady Lazarus”, l’angelo del focolare viene raffigurato come un’ebrea di inclinazioni masochistiche, nemica di se stessa e sabotatrice inconsapevole dell’indipendenza femminile. La “madwoman” non appare più mostruosa: ella è una fenice, energia di membra incandescenti, una donna rinata. Plath, durante una lettura della poesia per la BBC, descrive così Lady Lazarus: “a woman who has the great and terrible gift of being reborn. The only trouble is, she has to die first. She is the Phoenix, the libertarian spirit, what you will. She is also just a good, plain, very resourceful woman.”79

Anche la poesia “Purdah” (1962) tratta il tema della rinascita della protagonista, la distruzione dell’oppressore maschile e la conseguente liberazione del true self. L’eroina, inizialmente sottomessa e passiva, somiglia a Lady Lazarus poiché è paragonabile ad un oggetto di proprietà maschile:

77 L.K.BUNDTZEN,Plath’s Incarnations, Michigan, The University of Michigan Press, 1983, p. 33. 78 S.M.GILBERT-S.GUBAR,Shakespeare’s Sisters: feminist essays on women poets, Bloomington,

Indiana University Press, 1979, pp. 259-260.

45 Jade

Stone of the side, The antagonized Side of green Adam, I Smile, cross-legged, Enigmatical,

Shifting my clarities. So valuable!

How the sun polishes this shoulder!80

Nonostante l’assenza del “padrone”, ella esiste solo in relazione ad esso: “Even in his/ Absence, I/ Revolve in my/ Sheath of impossibles” (30-33). Ella è consapevole di essere schiavizzata. Quando, alla fine della poesia, riesce a liberarsi del false self, diventando una “lioness”, appare chiaro come il suo sé autentico è sempre stato latente, sepolto sotto la mansuetudine e la passività. Il suo sposo è definito “Lord of the mirrors” (20). La protagonista, infatti, agisce come uno specchio, riflettendo, inizialmente, l’immagine del suo “padrone” e non il suo vero sé, che è celato dall’offuscante velo del false self. Il termine “purdah”, da cui la poesia prende il titolo, significa, appunto, “velo” in lingua persiana e descrive la pratica femminile di coprire il proprio corpo dinnanzi agli uomini. In “Purdah”, come in “A Birthday Present”, il velo simboleggia il false self e la condizione alienante di morte-in-vita; esso impedisce all’eroina di esprimere la sua vera natura ed al marito di percepirla:

At this facet the bridegroom arrives Lord of the mirrors!

It is himself he guides In among these silk

Screens, these rustling appurtenances. I breathe, and the mouth

Veil stirs its curtain My eye

46 Veil is

A concatenation of rainbows. (19-28)

Nei versi iniziali della poesia, la protagonista descrive se stessa come una statuina di giada: essendo nata dalla costola dell’uomo (“agonized/ Side of a green Adam”) (3-4), ella si paragona ad Eva. (Anche in “Getting There” è presente la medesima immagine: “There is mud on my feet,/ Thick, red and slipping. It is Adam’s side,/ This earth I rise from, and I in agony”).81 Tra l’uomo e la protagonista intercorre il meccanismo della “sympathetic magic”, in quanto fatti della stessa sostanza: ciò che accade a lei, accadrà conseguentemente anche a lui. Liberando la “lioness” (il true self), ella distruggerà la “jeweled doll” (il false self) e allo stesso tempo, annienterà anche la sua controparte maschile. Gli ultimi versi di “Purdah” alludono all’omicidio di Agamennone da parte di Clitennestra, la quale compie una progressiva trasformazione da vittima di violenza a carnefice e giustiziere dei torti subiti:

And at his next step I shall unloose I shall unloose

From the small jeweled Doll he guards like a heart The lioness,

The shriek in the bath, The cloak of holes.82

Lo “shriek in the bath” rappresenta il grido di dolore di Agamennone ed il “clock of holes” allude alla rete che ella gli gettò sul capo prima di pugnalarlo a morte. Inoltre, Clitennestra, viene definita “two-footed lioness” dalla profetessa Cassandra: con questo appellativo, la protagonista suole descrivere se stessa. Dopo l’annientamento del false

81 S.PLATH, “Getting There”, in Tutte le Poesie, cit., pp. 724-728, vv. 35-37. 82 Ibidem, pp. 708-713, vv. 55-57.

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self, incarnato dalla figura maschile del master, l’eroina si libera dall’oppressione e può

finalmente rinascere.