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Presentazione

La narrazione delle esperienze didattiche rappresenta una fonte rilevante per com- prendere come i giovani allievi della Formazione Professionale si avvicinano alla cultura così come proposta dai loro formatori. Si tratta del punto di vista vissuto sul campo che corrisponde a quella che Donald Schön ha definito come la seconda veste del profes- sionista, quella derivante dalla pratica reale, spesso divergente rispetto alla definizione canonica. Similmente, nel confronto con le sfide quotidiane, l’insegnante ricorre non solo alle fonti accademiche o ai libri di testo, ma tende a ricorrere all’intuizione ed al- l’improvvisazione che si apprende nel corso della pratica, elaborando una nuova episte- mologia della pratica professionale fondata sulla “riflessione nel corso dell’azione” (Schön 1993).

La formazione ricevuta in prevalenza dalla gran parte dei docenti nel proprio per- corso di studi delinea un processo di apprendimento di tipo didattico centrato sui conte- nuti forniti secondo una struttura progressiva definita dall’epistemologia delle discipli- ne così come si è consolidata nel rapporto tra università e scuola e si è codificata entro i libri di testo, il documento guida dell’insegnamento. La riflessione sulle pratiche reali ci permette invece di cogliere l’emersione di un’accezione della didattica più vicina al si- gnificato originario del termine che indicava una partecipazione viva dei discepoli alle attività di insegnamento.

A questo proposito, occorre precisare che, sebbene nel mondo ellenico il termine di- dàskein indicava vari tipi di insegnamento centrati sul mostrare fatti e proporre espe- rienze, sulla narrazione didascalica (come nel poema di Esiodo Le opere e i giorni), sul dialogo grazie al quale il maestro sollecita i suoi discepoli a far emergere le conoscenze che ha già dentro di sé (la maieutica di Socrate), sull’emulazione appassionata degli eroi epici al fine di acquisirne le virtù (come per l’Iliade e l’Odissea di Omero), con la mo- dernità e l’istituzione delle scuole organizzate in istituzioni specifiche secondo il princi- pio enciclopedico, il termine “didattica” subisce una decisa restrizione, divenendo l’ag- gettivo che qualifica il tipo di lavoro dell’insegnante disciplinare che ha il compito di for- nire un insieme ordinato e progressivo di contenuti ai suoi studenti i quali li acquisisco- no mediante l’ascolto attento e silenzioso, lo studio individuale e la ripetizione nelle at- tività di verifica.

Le pratiche educative che cercano di superare le aporie della didattica inerte, che si muove entro una relazione rigida insegnante-allievo, tendono a proporre un ap- proccio “gustoso” alla conoscenza. Volgere l’insegnamento sul piano del gusto signi- fica adottare indirettamente la chiave epistemologica nell’insegnamento in quanto strumento di chiarificazione ed organizzazione strutturata del sapere, ma iniziare da ciò che attrae, che colpisce l’interlocutore al fine di mobilitarne le risorse intrinseche.

Abbiamo voluto realizzare un duplice intervento, riferito al contesto del CNOS- FAP Piemonte: in primo luogo un focus group con alcuni formatori degli assi culturali e successivamente la richiesta fatta a loro di elaborare un testo riflessivo circa la loro pra- tica professionale.

L’approfondimento con i formatori del CNOS-FAP Piemonte

Il focus group

Il 15 gennaio del 2015 si è svolto presso la Sede Regionale del CNOS-FAP Piemonte un incontro con un gruppo di formatori degli assi culturali per comprendere come impostano nella realtà concreta delle classi il loro insegnamento.

Ecco la presentazione di quanto emerso. Lingua italiana

È la prima volta che ho un corso triennale completo su tutti e tre gli anni, un cor- so di cucina, così potrò formarli “ad immagine e somiglianza”. A loro piace ascoltare, hanno anche imparato ad alzare la mano per chiedere chiarimenti sulle parole. Legge- re ad alta voce serve perché in questo modo arricchiscono il vocabolario. Inoltre pro- vano il piacere di ascoltare, proprio loro che hanno sempre pensato che sia noioso e che leggere è una punizione. La reazione positiva si ha quando ciò che leggi è vicino alla lo- ro realtà. Leggo brani di un romanzo ogni settimana. È importante far capire, e per que- sto occorre teatralizzare, rispettare le pause così che imparino il tono dell’ascolto, a stare in silenzio. Ci sono sempre più ragazzi in difficoltà per disturbi specifici, ma in ge- nerale vi è un calo della capacità di lettura, quindi non bisogna far leggere a loro per- ché stentano, fanno errori e gli altri ridono. Pur con questi presupposti critici, dopo un po’ che leggi si comincia a sentire quel silenzio attento, ma capita se leggi qualcosa che riguarda il loro mondo. Nelle prime leggo di Stefano Benni Pronto soccorso e beauty- case, attira perché ha le parolacce, che leggo mettendo il beep, ed una storia diverten- te. Inoltre è comico, così i ragazzi capiscono che leggere non è sempre una noia morta- le. Piano piano alzo il tiro. Ho fatto scaricare i Promessi sposi sul cellulare perché in ca- sa non ce l’ha nessuno. Abbiamo letto qualche episodio adatto a loro come la monaca di Monza, Don Abbondio e i bravi, naturalmente traducendo il testo in italiano. Uno ha detto: “prof, come i mafiosi adesso”. Naturalmente deve prima piacere a te: se leggi qualcosa che non ti piace si capisce. Funziona il surrealismo, Wonder di Palacio che parla di un ragazzo con una disabilità, un testo che cattura anche ragazzi che non ne vor- rebbero sapere. Leggo da mezz’ora ad un’ora la settimana, a volte è quasi un premio per- ché gli allievi lo chiedono: “andiamo avanti con il libro?”. Per passare a leggere auto- nomamente chiedo loro di scegliere un libro per l’estate comunicando prima il titolo scel- to, che poi presentano alla classe. Non chiedo il riassunto, ma di spiegare alcune parti, riprendendo le citazioni che li hanno colpiti. In terza fanno invece un video presentan-

do un libro come fosse una recensione, citando sempre le parti salienti. Nei corsi grafi- ci elaborano delle immagini che poi presentano alla classe spiegandole e indicando i brani cui si riferiscono. Indirettamente, la lettura dei libri aiuta non solo ad ampliare il lessico, ma anche ad apprendere la grammatica, visto che una didattica tradizionale con i ragazzi di lingua italiana non funziona, anche se un po’ va fatta per le prove INVALSI. Piuttosto interveniamo sugli strafalcioni che sono la conseguenza del non aver acquisito gli automatismi negli anni precedenti di scuola. Una cosa è certa: chi leg- ge di più fa meno errori, ma serve un impegno di lettura piuttosto consistente, ci vuole più esercizio, mentre loro non si esercitano, ed arrivano da un percorso dove non han- no mai letto. Solo Geronimo Stilton, che hanno letto ancora alla scuola primaria. Dopodiché più nulla fino alla Formazione Professionale.

Altri testi che vengono utilizzati con successo nelle classi: Anche Io e te di Amma- niti, Bianca come il latte, rossa come il sangue di D’Avenia, Per questo mi chiamo Gio- vanni di Garlando, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ma questo è più diffi- cile. Pure la saga degli Hunger Games che propone una storia fantastica che li solleci- ta. Ma piacciono anche Il piccolo principe, Orgoglio e pregiudizio, oltre a Ma le stelle quante sono di Giulia Carcasi, Colazione da Starbucks, Ti chiami lupo gentile, Ho so- gnato la cioccolata per anni.

Quando si chiede loro di scrivere qualcosa sul libro che hanno letto, all’inizio so- no in difficoltà e provano con il taglia-incolla, ma quando ingranano non smettono più. Capiscono che i loro sentimenti sono condivisi da altri, trovano le parole e le immagini per dirli, scoprono un mondo affascinante in un ambito, la letteratura, sul quale hanno sempre trovato difficoltà e noia. Si rendono conto che la cultura è qualcosa di interes- sante ed imparano ad esprimere quello che la lettura sollecita in loro. Si giunge poi a dei momenti magici in cui è come se tutti quanti entrassero in sintonia, quando ciò che viene detto tocca un tasto speciale che tutti sentono: in quel momento non c’è più la ri- sata, ma un’attenzione seria e concentrata.

In una classe di acconciatori, ho scelto di leggere un libro sul filone sentimentale, do- po di che due terzi delle allieve hanno preso il libro ed hanno poi chiesto di continuare sul- lo stesso filone. Invece in cucina non vanno bene i testi troppo sentimentali. È meglio una classe mista, rispetto a solo maschi o solo femmine. Ma quelli dell’altro sesso non devo- no essere pochi, altrimenti si isolano e si proteggono tra di loro. Quindi, rispetto ai gene- ri letterari, conta molto il sesso che prevale in classe. Le alchimie delle classi però non si ripetono mai. Vai a tentativi, è un percorso che inizi e scopri poco per volta, poi devi mo- dificare, recuperare gli esclusi, ma è un continuo conoscersi reciprocamente. Poi accadono cose che non ti aspetti, sei tu che devi stare dietro a loro, fino a che capisci che non basti più quando ti chiedono: “ha letto quel libro, prof?”, e tu non l’hai letto. Il punto crucia- le sta nel far scoprire loro che hanno le capacità per poter affrontare la letteratura. Quan- do riescono, non c’è solo la soddisfazione del sentirsi “alla pari” con gli altri, ma provano il gusto del libro, lo scoprono come un’esperienza nuova, contrastante con l’atteggia- mento precedente. Diversi poi desiderano continuare a studiare con il quarto anno per poi passare al diploma. Nelle quinte degli istituti professionali, spesso i nostri sono tenuti in

classi ghetto, considerati come gli ultimi della scuola. Ma hanno molto più spirito di adat- tamento. All’inizio sono considerati gli ultimi perché possiedono meno nozioni degli al- tri, ma spesso recuperano in fretta perché hanno una marcia in più, sanno cavarsela, tan- to che un preside ha detto che quella composta dai nostri ex allievi è una delle classi mi- gliori che hanno: gli insegnanti dicono che è un piacere andare ad insegnare, sono allie- vi tutti motivati e recuperano in fretta le nozioni che non possedevano. Soprattutto hanno un metodo migliore nell’affrontare i compiti scolastici.

Un discorso a parte va fatto per i biennali: sono un equivoco perché non ci sono i prerequisiti dell’obbligo di istruzione mentre si fa finta che li possiedano.

Inglese

L’inglese anche sul piano didattico è molto migliorato. Serve molto l’uso pratico della lingua come strumento di comunicazione, mentre l’approccio centrato sulla gram- matica e la parte formale della lingua richiede un lavoro più ampio e diverso che non si può fare nella Formazione Professionale: qui gli allievi arrivano convinti di non es- sere capaci di apprendere. Facciamo una didattica per conferenze, con un legame con la parte professionale. Ad esempio gli elettrici affrontano le nuove normative, facendo un lavoro di squadra con i colleghi, al massimo quattro o cinque, altrimenti c’è confu- sione di stili. Se c’è questa struttura si ha più successo, altrimenti si viaggia da soli. Facciamo una conferenza anche con altri allievi della scuola, sulla base di un tema con- creto ed utile, un lavoro che mira ad un prodotto da fornire anche a ragazzi più grandi di loro, ai quali esporre ciò che si è elaborato, sapendo poi rispondere alle loro do- mande. In questo modo riscoprono l’uso della lingua, provando a creare qualcosa, per poi confrontarsi prima nella propria classe per vedere se funziona oppure se il gruppo ride, segno inequivocabile della necessità di cambiare. Questo metodo collaborativo funziona, è come un allenamento, anche se accade nel minor numero dei casi, e quindi nella maggioranza ti trovi da solo. Se avvicini la classe con il taglio della scuola, ti guardano come se tu non avessi capito, ti spiegano cosa è importante nella vita. Quan- do si fidano, allora si mette in moto una storia positiva. Alla base di tutto c’è la relazio- ne, nel momento in cui scoprono che tu in loro credi, non per convincerli, ma perché ci credi davvero, non solo a parole ma anche nei fatti. Quando ottengono un successo, non è raro che si stupiscano di loro stessi, come in una verifica di inglese, un ragazzo che ha preso sette mi ha detto: “prof, si è sbagliata!”. Loro si credono i più stupidi degli altri, questa è la loro sicurezza. Per fargli cambiare convinzione, è decisivo avere dei colle- ghi con cui collaborare, che puntano sullo stesso stile e che condividono il cammino per gradi di maturazione.

Storia

La storia la trasformo in un racconto, anche utilizzando il bieco pettegolezzo. La sto- ria si presta al racconto, mi aiuta il passato di archeologa perché parlo di scavi, gli por- to un vaso, gliela rendo un po’ più presente. A volte puoi fare riferimento a qualche film

storico, ma è molto utile realizzare un tuo book come quello che ho elaborato, centrato sul viaggio nella storia, partendo dall’antichità per poi affrontare il Medioevo e così via. Poi occorre proporre lavori di gruppo su alcuni avvenimenti rilevanti, infine una veri- fica sulle tappe fondamentali del percorso storico, utilizzando anche gli aspetti specifi- ci come nel caso del cibo che si presta bene a presentare i costumi di vita nelle diverse epoche.

Sono utili quindi temi specifici, collegati ai settori professionali, come chiave di ac- cesso al senso storico. Per questo possono contribuire anche le altre discipline, come la matematica e le scienze che forniscono un quadro storico del loro sapere, aiutando i ra- gazzi a cogliere il legame che insiste, ad esempio, tra le scoperte matematiche e la di- mensione economica. È importante contestualizzare per poi far cogliere loro i legami con i processi storici di fondo. Ma anche qui serve un lavoro comune tra formatori. Matematica

Insegnare la matematica a questi ragazzi è come lanciare un sasso che crea cerchi concentrici che poco a poco riescono a coinvolgere tutti. Alcuni acquisiscono compe- tenze di base pregevoli, con classi con alunni con otto e nove in matematica. Occorre tro- vare un riferimento reale, e puntare sulla loro capacità di sapersela cavare.

All’inizio della mia carriera ho insegnato nelle scuole. Un tempo esisteva il pro- gramma, e l’ho seguito per tanti anni non chiedendomi mai né il perché né il come. Nes- suno mi ha insegnato come fare. Poi sono passato alla FP, ed inizialmente era struttu- rata anche quella per programmi. Da una parte il laboratorio e dall’altra l’aula, ci si incontrava solo nel tempo del caffè. Poi ho cominciato a chiedermi a cosa serve ciò che insegnavo agli allievi ed ho lasciato fuori alcune parti perché non sarebbero mai state usate dai ragazzi, come le frazioni algebriche, oppure quelle espressioni di tre righe con la doppia linea di frazioni sopra e sotto, puri esercizi di complicazione, non di logica. Diversamente, le strutture matematiche sono estremamente importanti, ma non c’è bi- sogno di fargliele imparare ripetendole continuamente, serve invece stimolarli a com- prenderle nella loro struttura logica. Questo è molto importante perché aiuta i ragazzi a capire le problematiche che incontrano, ad ideare il processo logico di interpretazio- ne e di impostazione della soluzione, che va tenuto distinto dal processo meccanico. Con le tecnologie informatiche ed i sistemi esperti la parte meccanica non è più richie- sta, tranne che per il controllo.

Innanzitutto si nota nei ragazzi del primo anno molta apprensione nei confronti della matematica, quindi devi puntare da subito a scoprire il piacere di riuscire a fare qualcosa con le tue forze. Poi occorre puntare ad una sempre maggiore capacità di astrazione logica, per questo non bisogna mai accontentarsi di dire “questo si fa così perché occorre farlo”, ma va spiegato loro il percorso logico che gli propongo. È poi de- cisivo contestualizzare la matematica nella parte professionale con cui si lavora in co- mune, ma anche proporre la cultura matematica in chiave storica. Anche qui, come per la letteratura, si riesce a raggiungere quel silenzio magico che rivela l’estrema attenzione di tutti perché non vogliono perdere nessuna delle parole che stai dicendo.

Quando affronto un argomento che non hanno mai trattato, anche se abbastanza semplice come la statistica o la probabilità, sono molto più disposti ad apprendere an- che la regoletta, mentre le cose che hanno già studiato in precedenza come la formula delle equazioni di secondo grado non se la ricordano mai. Forse perché è una novità e quindi ci si impegnano maggiormente. La statistica è per loro una cosa completamente nuova, quindi c’è più attenzione. La formula dello scarto quadratico medio se la ricor- dano. La chiave è la novità, un argomento non conosciuto per tutti azzera la paura di non riuscire che viene dagli insuccessi precedenti. Fatta naturalmente salva la diffe- renza tra persone che ho davanti, la chiave di volta per il successo della matematica con- siste nel rendere piacevole ed utile ciò che proponi. Ad esempio la trigonometria per la meccanica industriale, un tema veramente sfidante. Un allievo molto brillante era sta- to incaricato di svolgere un compito elevato. Gli altri se sono risentiti, allora ho dato il compito a tutta la classe. Ho spiegato a tutti alla lavagna il procedimento logico, gli ho proposto un esercizio con le coordinate per il programma. La persona dotata l’ha saputo svolgere autonomamente. I cinque-sei che si erano alterati hanno seguito il percorso spiegato e sono riusciti ad arrivare in fondo, del rimanente cinquanta per cento della classe, un gruppo ha appreso qualcosa mentre gli altri hanno vissuto la cosa come un fastidio, qualcosa di estraneo. Ciò significa che una parte dei ragazzi che vengono alla FP possiede un potenziale matematico che non viene sfruttato e che anzi è stato soffo- cato dalle esperienze scolastiche precedenti. Così, quando ho chiesto ad un allievo di ve- nire alla lavagna, questo si è stupito perché non gli era mai capitato, essendo conside- rato poco intelligente. Sono ragazzi che dicono “ma perché ce lo spiega, tanto noi sia- mo quelli stupidi”. No, assolutamente. Lo vedremo insieme, avete solo bisogno di stimoli giusti. E poi i risultati vengono, purché li accompagni passo passo, gli fai capire e loro capiscono davvero. Basta scegliere un argomento interessante e rilevante come ad esem- pio il passaggio di calore, su cui puoi costruire moltissimi esercizi.

L’obiezione di tutte le classi è quella dell’utilità. “Vado su internet e trovo l’ale- saggio e la corsa: perché devo calcolarli?”. Così, oltre al discorso applicativo, punto molto sul fattore previsionale.

Nella lezione occorre trovare esempi che siano percorribili dai ragazzi, e questo ti aiuta a far apprendere l’equazione. Argomenti tratti sia dalla parte professionale sia dalla vita quotidiana, come i quiz. La trigonometria non deve partire dall’astratto, dal- la circonferenza trigonometrica, ma dal rapporto tra due lati, la tangente. Scoprono meglio la trigonometria quando sono sulle macchine utensili.

Ma è un metodo che non si può seguire a sprazzi, richiede un impegno costante che una parte di ragazzi di adesso non riesce a tenere. Quando poni un quesito, un gruppo di allievi lo affronta per orgoglio e per sfida, magari andando a cercare su internet la soluzione. Ma una grossa fetta di ragazzi di fronte alla sfida sono abituati ad arrender- si. La gioia della conquista si è abbassata molto, e questo significa che chi insegna la matematica deve anche proporre un’educazione morale, una formazione del carattere.

I libri di testo più utilizzati sono L’ora della matematica ed Elementi di matematica per istituti professionali di Mario Lepora.

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