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3 La riflessione su scuola e città nella politiche formative

3.1 Nasce il tempo pieno: il territorio entra a scuola

Diversamente dalla prospettiva già affrontata precedentemente in questo lavoro di ricerca2, la sperimentazione del modello didattico del tempo

pieno all’inizio degli anni Settanta inaugura all’interno dell’ambito scolastico l’entrata del territorio, novità che è uno degli elementi cardine di questo processo di riforma.

Il territorio entra a scuola principalmente per garantire a tutti il diritto allo studio, cioè come impegno a far accedere tutti alle medesime opportunità educative, per abbattere le differenze tra chi può, chi ha a disposizione, grazie all’ambito familiare, un numero maggiore di occasioni formative e può usufruire di un supporto nell’attività di studio e chi, invece, arrivato a casa, trova un ambiente povero, spoglio di opportunità e stimoli.

Il tempo pieno però non nasce solo con finalità di riscatto sociale: il maggior tempo a disposizione e la volontà di modificare profondamente il modello scolastico tradizionale stimolano la ricerca di nuove strategie didattiche.

Il territorio sarà sfruttato anche per sperimentare l’acquisizione di contenuti e competenze con modalità diverse, originali, sfruttando soprattutto strategie di tipo laboratoriale.

Ai suoi esordi il tempo pieno è rappresentato da una generalizzazione del doposcuola3, esperienza innovativa nata durante gli anni Sessanta, e da

una routine scolastica in cui esiste ancora una gerarchia delle materie e dei ruoli degli insegnanti: inizialmente quindi il tempo pieno è un dato di fatto, ma solamente come estensione oraria e non come principi

2 Cfr paragrafo 1.1.

pedagogici nuovi messi in campo.

Il tempo pieno si rivela una necessità per una scuola che voglia assolvere a tutte le funzioni che le sono proprie e proporre le attività con i giusti tempi.

In realtà il fattore tempo è solo uno degli elementi da riformare alla luce delle carenze della situazione di fatto vissuta quotidianamente4: una vera

scuola a tempo pieno significa non solo modificare i processi di insegnamento apprendimento e valutazione, ma anche coinvolgere nella riflessione i mutamenti extrascolastici, della società e uscire quindi dall’ambito dei problemi puramente educativi. L’elemento innovativo che può segnare la svolta è considerare la scuola come centro d’istruzione programmata in un contesto urbanistico oggetto di progettazione, un’appartenenza cioè che lo apra a rapporti stabili con il territorio5.

Il dialogo con il territorio vede come protagonisti i Comuni che rappresentano il principale interlocutore per il loro contemporaneo ruolo di gestori dell’offerta formativa territoriale, di cogestori diretti (almeno inizialmente) del modello didattico del tempo pieno e come garanti della cultura e delle istanze locali.

La presenza continua dell’ente locale, prima per la gestione diretta del modello scolastico, poi per l’offerta formativa tramite le agenzie di territorio, rende la scuola a tempo pieno una istituzione educativa della città, in dialogo costante con la comunità. È una scuola che sa gestire meglio le diversità proprio per i tempi più distesi e per la differenziazione delle attività offerte6. È la scuola che fa spostare il baricentro

dell’intervento statale dall’ottica assistenzialista (dell’obbligo scolastico) al diritto allo studio inteso come diritto alla formazione completa dell’individuo secondo le sue personali peculiarità.

In una fase più avanzata della riflessione vengono approfondite le modalità attraverso cui si attua questo collegamento sistematico con l’esterno della scuola e quindi con il territorio, inteso come spazio educativo ricco di esperienze e opportunità che a scuola non è possibile

4 Ibidem, p.63. 5 Ibidem, p.109.

6 Cerini, Mitico (?!) tempo pieno, disponibile all’indirizzo

ricreare, sia dal punto di vista delle conoscenze che della socializzazione nella convinzione che la scuola non è un’istituzione autosufficiente7.

L’uscire dalla scuola deve rappresentare un’esperienza non occasionale, improvvisata, bensì programmata in modo preciso nell’attività scolastica e deve essere occasione per fare ricerca nella scuola e sviluppare contenuti interdisciplinari. De Bartolomeis8 collega questa necessità di ampliamento

degli spazi utilizzati dalla scuola al fatto che il fabbisogno individuale non coincide con il fabbisogno scolastico e che esistono quindi dimensioni educative che la scuola non soddisfa e non può soddisfare. La scuola deve conoscere tale scarto tra il fabbisogno educativo della persona e la scuola, spazio lasciato all’individuo e alla famiglie. Questo scarto educativo non scolastico è soddisfatto da altre agenzie formative, con cui la scuola si deve mettere in contatto.

Relativizzare il proprio ruolo rispetto all’educazione e formazione dell’individuo è per la scuola un vantaggio solamente se si mette in contatto con le altre realtà formative. Sapere di non essere sufficienti ad educare un individuo è un segnale positivo dell’istituzione e serve per tessere le relazioni.

Durante la sperimentazione si delinea quale sia l’altro elemento di rinnovamento, oltre al collegamento con il territorio, per l’attuazione del modello didattico del tempo pieno: un utilizzo ampio e diffuso della metodologia dei laboratori, cioè una cultura produttiva del fare: il soggetto non è solo passivo ma partecipa attivamente all’attività scolastica, interagendo anche con i suoi interessi e caratteristiche personali. La metodologia dei laboratori è strettamente correlata all’integrazione tra scuola e territorio perché costituisce uno spazio di condivisione metodologica tra la scuola e l’extrascuola.

Il maggiore richiamo posto dal modello del tempo pieno alla formazione globale dell’individuo, in opposizione ad un modello assistenzialista di obbligo scolastico, amplia la riflessione sulla differenza esistente tra educare e fare scuola9. Come già sottolineato la scuola non assolve a tutte

7 De Bartolomeis, Fare scuola fuori della scuola, Stampatori editore, Torino, 1980,

p. 7-10.

8 Ivi, p.16 e segg. 9 Ivi, p.36 e segg.

le funzioni formative e, perciò, alcune della attività fondamentali non possono avvenire all’interno della scuola. È il fuori della scuola, è il territorio locale, il quartiere in prima istanza, i servizi della città, i beni culturali, che assolve questa funzione e con cui bisogna aprire un dialogo formativo. La natura e l’entità di questo dialogo vanno valutate relativamente ad ogni singola realtà, ad ogni singola scuola in quanto è l’unica a conoscere la realtà locale, il territorio e le opportunità formative che esso promuove.

Il territorio si connota di conseguenza non solo come uno spazio di vita, più precisamente come un’area fisica-economica, ma anche come il luogo del coordinamento di tutte le realtà significative (istituzioni, risorse, servizi e attività produttive) e quindi anche con una caratterizzazione sociale e culturale.

La scuola a tempo pieno si caratterizza dunque per due linee principali di cambiamento: tendere verso una scuola aperta e sperimentale, cioè una scuola che si configuri come comunità sociale e come casa della cultura10.

La scuola sarà vera comunità sociale solo quando il territorio sarà inteso come polo di interazione sociale, perché ambiente di vita di chi vive la scuola e perché la scuola deve essere oggetto di controllo sociale, nonché quando la scuola si impegnerà a introdurre uno stile di lavoro tra allievi e adulti in cui siano predominanti le dimensioni della collaborazione e della cooperazione.

La scuola sarà vera e propria casa della conoscenza quando sarà un luogo dove la conoscenza si fa e non solo si trasmette, dove sia consueto lo stile sperimentale, in modo da garantire pari opportunità educative.

Il fine ultimo del raccordo tra istituzioni è la formazione completa e migliore possibile dell’individuo come singolo e come gruppo, che prende consapevolezza di fare parte di una realtà ampia, composta però da più componenti. Ognuna di queste, ogni agenzia educativa deve contribuire per gli aspetti che le competono.

Per quanto riguarda la scuola, grazie al modello del tempo pieno ampiamente sperimentato ed estremamente attuale, possiamo concludere

che il raccordo con il territorio si realizza entrando all’interno in una logica di rete territoriale e ampliando i propri contenuti ad una dimensione locale, caratterizzata rispetto all’ambiente di appartenenza, e i propri orizzonti ad una visione della formazione che non si conclude a scuola e nel tempo della scuola.