• Non ci sono risultati.

Natura umana e naturalismo morale

Capitolo 2. Le critiche al naturalismo neo-aristotelico

2.3. Natura umana e naturalismo morale

La critica di Williams ha dato seguito ad un ampio dibattito sul modo in cui Aristotele e il naturalismo neo-aristotelico possono parlare di natura umana in etica.

2.3.1. Una nozione valutativa di natura umana

In Aristotle on human nature and the foundation of ethics, Martha Nussbaum argomenta che la concezione di natura umana presente nella filosofia morale aristotelica non è eticamente neutrale88. Lo stesso argomento dell’ergon non va inteso come una deduzione di ciò che è virtuoso a partire dall’attività specifica dell’uomo89. Anche per Chappell, Aristotele non utilizza una nozione scientifica di telos in etica e, in generale, “la nozione di telos umano di cui abbiamo bisogno in etica non è scientifica, ma ha a che fare con ciò che Wittgenstein chiama "il comune comportamento consuetudinario dell'umanità [die

88 Nussbaum, M. C., “Aristotle on Human Nature and the Foundations of Ethics”, in World, Mind, and Ethics:

Essays on the ethical philosophy of Bernard Williams, J.E.J. Altham and R. Harrison (eds.), Cambridge

University Press, Cambridge 1995, pp. 102ss.

gemeinsame m enschlich e Handlungsweise]" (Philosophical Investigations r, §_2o6) quello che lo stesso Aristotele avrebbe chiamato ta ethe. Guardando in quella direzione, si potrebbe abbandonare la pretesa di Foot di fondare un'etica naturalistica, almeno in parte, nella scienza piuttosto che nella "vita ordinaria"”90.

Abbiamo visto, in questo senso, che Rosalind Hursthouse sostiene che il riferimento alla natura umana del naturalismo neo-aristotelico avviene già all’interno di una cornice etica. Non vi è perciò la deduzione dei tratti virtuosi da una concezione descrittiva e scientifica di natura umana, piuttosto la giustificazione di un tratto virtuoso della natura umana avviene attraverso l’utilizzo di un metodo neurathiano che esclude l’assunzione di un punto di Archimede, un punto neutrale in grado di fornirci evidenza circa la virtuosità o meno di un tratto del carattere91. A partire dal saggio di Nussbaum, perciò, la maggior parte degli autori della Virtue ethics ha negato di servirsi di una nozione avalutativa di natura umana. Tale mossa avrebbe il merito di disinnescare la critica di Williams.

Tuttavia, è possibile fin da subito rilevare che questa strategia presenta alcune difficoltà e, in generale, che vi è un grande dibattito sul modo di intendere l’antropologia valutativa92. Una delle difficoltà maggiori evidenzia che mentre il riferimento a criteri fattuali per giudicare azioni e tratti virtuosi potrebbe spiegare l’oggettività della morale e fornire una giustificazione, l’abbandono di una prospettiva avalutativa ripropone la domanda sul perché i tratti virtuosi individuati dal naturalismo neo-aristotelico siano tali e come questi siano connessi in un qualche modo alla natura umana. Dire che le virtù sono disposizioni eccellenti della natura umana, se si ammette di riferirsi ad un’antropologia valutativa, sembra essere una risposta circolare che, piuttosto che giustificare, semplicemente riafferma la tesi proposta.

Infatti, il problema della circolarità emerge nella misura in cui il naturalismo neo-aristotelico non sembra più avere una base fattuale con cui giustificare l’agire virtuoso. Per evitare la circolarità l’adozione di una prospettiva valutativa sulla natura umana sembra far dipendere la questione giustificativa non più da come è fatta la natura umana ma dai criteri

90 “the notion of the human telos that we need for ethics is not a notion drawn from science, but from what Wittgenstein calls "the shared customary behaviour of mankind [die gemeinsame m enschlich e Handlungsweise]" (Philosophical Investigations r, §_2o6) indeed from what Aristotle himself would have called ta ethe. By looking in that direction we may lose our grip on the later Foot's ambition to root a naturalistic ethics at least partly in science rather than in "ordinary life”. Russell, The Cambridge Companion to Ethics, p. 167.

91 Cfr. anche Hamilton, R., “Naturalistic Virtue ethics and the new biology” in S. Van Hooft (ed.), The

Handbook of Virtue ethics, Acumen, Durham 2014, pp. 42-51.

con cui la si valuta. Se, per esempio, si afferma che la generosità è una virtù perché una natura umana realizzata esibisce la virtù della generosità e la nozione di natura umana adottata è già valutativa, non solo non si sta rispondendo al perché la generosità sia un tratto virtuoso della natura umana, ma non si capisce secondo quale criterio si sia valutata la natura umana. Vediamo perché.

2.3.2. La strategia giustificativa

Se la natura umana è una nozione già valutata eticamente, affermare che un’azione è buona o un tratto del carattere è virtuoso perché realizza la natura umana, sembra richiedere al naturalismo neo-aristotelico il compito di spiegare perché l’antropologia valutativa proposta sia valida. Perché, si chiede Donatelli, dovremmo accettare la spiegazione fornita del naturalismo neo-aristotelico su quali sono i tratti virtuosi della natura umana?93. La domanda, in questo caso, non è posta dal vizioso incontinente. In fondo, il vizioso incontinente potrebbe riconoscere i suoi vizi e concedere al naturalista neo-aristotelico di essere un cattivo essere umano.

La figura dell’immoralista, invece è più problematica. Infatti, per il naturalista neo-aristotelico l’immoralista agisce in maniera sbagliata sulla base di un’antropologia erronea che valuta virtuosi tratti del carattere che in realtà non lo sono. Mentre per l’immoralista l’antropologia valutativa proposta è corretta e l’agire si conforma ad un’idea di vita umana che è considerata buona. E questo può avvenire proprio in virtù della selezione di criteri di valutazione diversi circa il modo in cui si realizza la natura umana. La trattazione offerta da Foot sull’immoralismo di Nietzsche e Callicle, in tal senso, non è particolarmente convincente perché definendo le loro posizioni come immoraliste sembra aver già valutato come erronee le antropologie sottese a queste posizioni senza approfondire che cosa le renda tali.

Anche la presentazione offerta da Hursthouse del cosiddetto mafioso drug baron dà l’impressione di fornire una caricatura di tipi di vita che in maniera evidente possono essere già considerati malvagi. Tuttavia, l’appiattimento del problema su antropologie che promuovono l’acquisizione di tratti del carattere che sono evidentemente sbagliati è, in realtà, problematica e sembra evadere il nucleo della domanda posta da Donatelli. In fondo, c’è bisogno di essere persone profondamente cattive e viziose per offrire valutazioni della

93 Donatelli, P. – Ricciardi M. – Thompson, M., «”Natural Goodness” di Philippa Foot. Discussione», in Iride, 1(2003), p. 183.

natura umana che considerano certi tratti e non altri come ciò che realizzano la natura umana? Inoltre, a quale evidenza si appellano gli esempi portati da Foot e Hursthouse quando valutano certe antropologie come erronee?94 Perché dovremmo accettare che proprio i tratti del carattere individuati dal naturalismo neo-aristotelico siano quelli virtuosi? Per il cosiddetto immoralista, infatti, è il naturalista neo-aristotelico che si sbaglia nell’individuazione dei tratti virtuosi della natura umana finendo col frustrarsi. Inoltre, per il naturalista neo-aristotelico non vale più la mossa di appellarsi alla natura umana come criterio oggettivo per l’individuazione dei tratti virtuosi. Infatti, per evitare la critica di Williams, ha già accettato di spostare la questione da come è la natura umana a come la si valuta.

Per questo, l’immoralista, l’egoista, l’edonista e qualsiasi altra posizione che valuta diversamente certi tratti della natura umana, sembrano poter proporre un’antropologia valutativa che è, in linea di principio, sullo stesso piano di quella del naturalista neo-aristotelico. Semplicemente, si dirà, la natura umana è valutata diversamente. Per esempio: cosa succede se considero il piacere sensibile come il fine della natura umana? Chi potrebbe sostenere che non ci sia una relazione tra natura umana e piacere? Allo stesso tempo, va detto che la possibilità di formulare antropologie valutative differenti non è, di per sé, un argomento sufficiente per escludere che l’antropologia neo-aristotelica sia la migliore. Infatti, il naturalista neo-aristotelico potrebbe aver buon gioco nel sostenere come una posizione che ritiene il piacere il fine della natura umana sia erronea. Il naturalista neo-aristotelico potrebbe provare a fornire un error theory per le posizioni concorrenti95.

La critica di Annas, tuttavia, mette in luce un problema più radicale della strategia neurathiana di Hursthouse e dell’adozione di un’antropologia valutativa. Secondo Annas, infatti, se questa soluzione fosse coerente, dovrebbe, in realtà, concludere che la natura umana non può fornire la base giustificativa per l’individuazione di un tratto virtuoso. Se il naturalismo neo-aristotelico non adotta una nozione scientifica di natura umana, allora deve esplicitare i criteri attraverso cui la propria antropologia è migliore di altre. L’alternativa, allora, è quella di considerare veramente l’antropologia valutativa come una concezione della natura umana in cui i tratti virtuosi sono selezionati in base a criteri che hanno a che

94 Questo problema è evidenziato, per esempio, da Lenman in “The Saucer of Mud”, pp. 37-50.

95 Questa è una possibilità ammessa anche da Williams che tuttavia ritiene che Aristotele non abbia successo nel suo intento. Cfr. Williams, Ethics and the Limits of Philosophy, p. 44.

fare con il tratto distintivo umano che è la razionalità. A questo punto ci si può chiedere, però, in che modo il naturalismo neo-aristotelico è ancora una forma di naturalismo morale.

2.3.3. Quale naturalismo morale?

La critica di Donatelli insieme a quella di Annas fanno dunque emergere un problema circa la strategia dell’adozione di un’antropologia valutativa. In particolare, il naturalismo neo-aristotelico non sembra rendersi conto che la mossa strategica di adottare un’antropologia valutativa, per evitare la critica iniziale di Williams, implicitamente sposta la questione da come è la natura umana a come la valutiamo. Se il naturalismo neo-aristotelico abbandona la pretesa di affidarsi ad una concezione della natura umana descrittiva e avalutativa allora sembra anche abbandonare la tesi del naturalismo morale secondo cui le virtù realizzano la natura umana. In altre parole, il giudizio morale, dipendendo dalle valutazioni che forniamo sulla natura umana, sembra svincolarsi dalla questione ontologica su come sia la natura umana, e ha come problema principale il dover fornire credenziali razionali all’antropologia valutativa che adotta. In effetti, se il naturalismo neo-aristotelico ammette di derivare le sue conclusioni etiche da una descrizione neutrale della natura umana, è facile comprendere in che modo questa posizione sia una forma di naturalismo morale. Al contrario, se Hursthouse rifiuta questa tesi, Lenman sostiene che la proposta neo-aristotelica non è in grado di rispondere alla domanda sul tipo di naturalismo morale accolto:

[Secondo Hursthouse] gli esseri umani sono speciali, in quanto una caratteristica distintiva è la razionalità. In questo modo, la valutazione della condotta umana è molto diversa da quella dei ghepardi o degli orsi polari. In quanto esseri razionali, possiamo non assegnare un peso normativo ad una caratteristica del nostro comportamento o anche assegnarle un peso normativamente negativo. Rimane comunque un modo distintivo e caratteristicamente umano di movimento: il modo razionale, che caratteristicamente consideriamo buono e abbiamo motivo di perseguire (Hursthouse, esp. 221–222). Detto questo, si potrebbe obiettare, però, che è stato abbandonato il naturalismo. Non abbiamo bisogno, infatti, dell'etologia per fornire buone ragioni a certe conclusioni etiche96

96 “[According to Hursthouse] humans are special, as a highly salient characteristic feature of human beings is rationality. This makes the evaluation of human conduct very different from that of cheetahs or polar bears. Being rational, we can elect to assign some feature of our characteristic behavior no normative weight at all, or even negative weight. There nonetheless remains a distinctive and characteristically human way of carrying on: the rational way, which we characteristically regard as good and take ourselves to have reason to pursue (Hursthouse, esp. 221–222). Once this is said, it might be objected that we’ve more or less left the naturalism behind. We don’t need anything remotely like ethology to tell us that we should favor ethical views supported by good reasons over those not so supported. Nor do we need to be any sort of naturalists to believe it”. Lutz,