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La somiglianza tra natura umana e natura di piante e animali

Capitolo 5. La natura vivente

5.7. La somiglianza tra natura umana e natura di piante e animali

Sulla base del discorso fatto, vediamo come sia possibile pensare la somiglianza tra viventi. Si è detto, che un aspetto problematico dell’impostazione di Hursthouse è riuscire a mantenere la continuità naturale tra gli esseri viventi a partire dall’attribuzione di un tipo di natura al mondo vivente non umano in cui piante ed animali “non possono agire diversamente”. Senza entrare nel dettaglio della relazione tra metodo scientifico e questo modo di concepire la natura, si è visto che l’idea di un movimento vivente deterministicamente orientato non si combina bene con l’attribuzione da parte del naturalismo neo-aristotelico di caratteristiche teleologiche alla natura vivente non umana. Animali e piante, in realtà, sono enti che per natura sono principio di un movimento orientato. La scoperta della relazione tra normatività e natura teleologica nel mondo vivente, in tal senso, è un aspetto sottolineato in maniera chiara anche da Hursthouse che afferma che un cactus morente può essere buono come oggetto ornamentale, ma non è un buon esemplare della sua forma di vita. Secondo questo esempio, allora, l’idea che il criterio di valutazione di un cactus particolare non dipenda dalla volontà di un essere umano, si fonda sull’attribuzione della capacità di movimento orientato alla natura del cactus. Se si può parlare di un bene a cui tende il cactus, allora Hursthouse e Foot sembrano rintracciare una struttura teleologica anche nella natura vivente non umana.

Per questa ragione, la tesi di Hursthouse per cui il movimento vivente non umano coinciderebbe con una realtà deterministica, mal si conciliacon il riconoscimento di un principio intrinseco di movimento nella natura del cactus. Inoltre, l’attribuzione di un movimento deterministico alla natura vivente non umana mi sembra renda complicato per Hursthouse rendere conto della somiglianza con il movimento umano.

Al contrario, riprendendo il discorso fatto nel paragrafo precedente, un essere umano cogliendo la propria capacità di agire, può rinvenire una capacità analoga anche nella realtà vegetale e animale. Anche se non possiamo sapere come si muovano veramente piante ed animali, un essere umano può rintracciare dei movimenti simili all’agire. I viventi non umani non agiscono in senso proprio, ma si muovono in maniera orientata secondo una capacità non attribuibile, per esempio, ad un sasso. L’animale, poi, ci sembra che sia principio di movimento in una maniera più simile a quella umana di quanto non lo sia il movimento di una pianta.

Hursthouse, secondo cui esseri viventi non umani hanno capacità simili e perseguono fini simili a quelli umani, tenendo conto che, però, in virtù del parziale accesso osservativo alla loro natura, possiamo attribuire solo in maniera approssimativa certe capacità e certi fini. Per questo anche la non attribuzione della facoltà della razionalità al mondo vegetale e animale non segna un salto difficilmente spiegabile perché si potrebbe riconoscere che in virtù di una conoscenza solo approssimativa della natura vivente non umana non sembra possibile riscontrare una facoltà analoga nelle piante e negli animali. L’espressione che McDowell riprende da Wittgenstein secondo cui “se un leone potesse parlare non lo capiremmo”256 mi sembra metta in luce bene questo punto. Se anche gli animali avessero la capacità di agire, esattamente la stessa capacità di agire che noi attribuiamo ad altri esseri umani, probabilmente non potremmo saperlo. In questo modo, sembra essere importante la sottolineatura di Hacker-Wright secondo cui solo un accesso personale ad un certo tipo di natura permette la comprensione e l’esercizio di quella natura. La non condivisione della stessa forma di vita ci permette di avere un accesso parziale e impreciso alla natura degli altri viventi e il grado di antropomorfizzazione con cui conosciamo altre nature richiede continuamente uno studio che osservi il movimento del mondo vivente non umano da un punto di vista esterno.

Per questa ragione, la somiglianza col mondo dei viventi non umani è un’arma a doppio taglio per la strategia neo-aristotelica se non si esplicitano il grado di precisione con cui possiamo conoscere nature diverse e il tipo di natura attribuibile a piante e animali. Se, perciò, Hursthouse e Foot considerano la naturalità della moralità sulla base dell’analogia tra sfere di normatività, è necessario esplicitare in che misura anche nel mondo vivente non umano sia possibile rintracciare una struttura teleologica analoga a quella umana.

In questo caso, si può sottolineare di sfuggita che se la scienza restituisce un’immagine della natura vivente non umana come quella proposta da Hursthouse e da Annas, al naturalismo neo-aristotelico non resta che: sancire l’impossibilità di individuare una continuità tra mondo umano e mondo vivente non umano oppure seguire la direzione già intravista a proposito della natura umana per cui anche rispetto a piante e animali il metodo scientifico opera una scelta metodologica che tralascia la struttura teleologica

256 “Altre difficoltà rimangono: l'aforisma di Wittgenstein "Se un leone potesse parlare, non potremmo capirlo” esprime il punto, e dovremmo aggiungere che se non potessimo capirlo, ciò dovrebbe minare la nostra fiducia di avere il diritto di supporre che parlare fosse ciò che stava facendo”. “Other difficulties remain: Wittgenstein's aphorism 'If a lion could talk, we could not understand him.' is very much to the point, and we should add that if we could not understand him, that ought to undermine our confidence that we were entitled to suppose talking was what he was doing”. McDowell, Two Sorts of Naturalism, pp. 169-170.

naturale. In questo modo il naturalismo neo-aristotelico potrebbe continuare a sostenere che anche nel mondo vivente non umano è rinvenibile una struttura teleologica e rendere conto della somiglianza ontologica tra i viventi sulla base di un movimento analogo. In tal senso, secondo De Anna, anche rispetto al mondo vivente non umano, è possibile adottare un “pluralismo metodologico” in cui “spiegazioni meccaniciste e teleologiche possono coesistere”257. Questa direzione di ricerca permetterebbe di osservare da due punti di vista diversi il mondo vivente non umano, senza che la posizione neo-aristotelica debba considerare la somiglianza vivente considerando i concetti teleologici come strumenti euristici258.

Conclusione e articolazione successiva del percorso

In questi due capitoli si è cercato di approfondire come il naturalismo neo-aristotelico possa pensare la questione dell’antropologia valutativa. In particolare, si è cercato di capire come questa posizione possa svincolarsi dall’adozione di una concezione scientifica di natura umana e accogliere un’immagine unitaria di natura umana che, allo stesso tempo, sia in continuità con la natura vivente non umana.

Rispetto alla prima questione si è detto che il naturalismo neo-aristotelico potrebbe fornire un’immagine della natura umana unitaria e non scientifica a partire dalla revisione del rapporto tra prima natura e seconda natura in modo da tenere conto: i) del movimento caratteristico umano, cioè l’agire; ii) dell’orientamento costitutivo dell’azione al bene; iii) della possibilità di ricomprendere la facoltà della razionalità all’interno della prima natura. Allo stesso tempo, il modo in cui Hursthouse, ma più in generale il naturalismo neo-aristotelico, concepisce la somiglianza tra i viventi presenta alcune criticità. In tal senso, solo chiarendo la diversa rilevanza di metodo nella conoscenza della natura umana e della natura vivente, e ammettendo la possibilità di attribuire una struttura teleologica anche alla natura umana non vivente il naturalismo neo-aristotelico sembra essere in grado di sostenere la tesi di una somiglianza ontologica tra i viventi. .

257 De Anna, On the specificity of teleological explanations, p. 49.

258 Alternativamente Foot e Hursthouse dovrebbero concedere che la teleologia rinvenibile nella natura vivente non umana non sia vera teleologia, ma teleonomia. Cfr. Spaemann, Fini naturali, p. 266.