Capitolo 3. Bene, giudizio morale e azione
3.1. Un problema per il naturalismo neo-aristotelico: le figure dell’immoralista e
Un tema che accomuna la riflessione morale di Williams, Foot e Hursthouse è lo spazio dedicato alle figure che si collocano criticamente verso ciò che prescrivono le considerazioni morali 104. Per Williams il cosiddetto amoralista è colui che “mette in dubbio le considerazioni etiche e suggerisce che non vi sia motivo di seguire i requisiti morali”105.
L’amoralista, per questo, è una figura allarmante, che costituisce una minaccia per la società. La sua vita è al di fuori dello spazio etico e le considerazioni morali non hanno nessuna forza motivante: “per l'individuo, tuttavia, sembra esserci un'alternativa all'accettazione di considerazioni etiche, che consiste in una vita non etica”106. Per Foot, invece, la figura dell’immoralista si pone in aperto contrasto con ciò che la morale prescrive e tale posizione è esemplificata da Callicle, Trasimaco e Nietzsche, ma anche dal politico che sostiene che il vero problema non è difendere ciò che è giusto, ma ciò che è sbagliato107. Il problema, in questo caso, è dover giustificare la bontà di azioni di giustizia e di benevolenza, nei confronti
104 Pur distinguendo la figura dell’immoralista da quella dell’amoralista come fa Williams, in questo paragrafo non mi concentrerò particolarmente su ciò che differenzia queste due posizioni. Piuttosto vorrei sottolineare un aspetto comune che sembra riguardare l’adozione di una concezione della moralità ristretta in cui solo alcune azioni sono moralmente rilevanti. Sulla distinzione tra immoralista e amoralista Cfr. Barney, Rachel, "Callicles and Thrasymachus", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall 2017 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = https://plato.stanford.edu/archives/fall2017/entries/callicles-thrasymachus/.
105 “calls ethical considerations in doubt and suggests that there is no reason to follow the requirements of morality”. Willams, Ethics and the Limits of Philosophy, p. 22. Cfr, anche Williams, “The amoralist”, in
Morality, pp. 3-13.
106 “For the individual, however, there does seem to be an alternative to accepting ethical considerations. It lies in a life that is not an ethical life”. Ibi. p. 23.
107 “Ho letto, per esempio, che un cittadino che doveva passare una giornata in campagna con amici per praticare la caccia, sebbene fosse considerato "la coscienza del gruppo", abbia detto "Sono sulla Terra da 70 anni e se scelgo di passare la mia giornata in campagna facendo ciò che mi va di fare, allora è quello che farò." E ancora, ho letto di un politico di Brooklyn che ha avuto il coraggio di dire che mentre la gente pensa che sia difficile difendere ciò che è giusto, in realtà, è veramente difficile difendere ciò fa lui ossia "giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, promuovere ciò che è sbagliato”. “I have read, for instance, of a member of a group of city louts out for a day in the country to hunt down some small inoffensive animal, who, though described as 'the conscience of the group', said 'I know I'm on earth 70 years and that I'm not going anywhere else. If I choose to spend my day out in the countryside doing whatever I feel like, then that's what I'll do.' And again of a certain Brooklyn machine politician who had the gall to say that while people think it hard to stand up for what is right, what is really hard is what he was doing, 'standing up day after day, week after week, for what is wrong'”. Natural Goodness, p. 13. Foot, per esempio, dedica un intero capitolo di Natural Goodness all’immoralismo nietzscheano.
di chi non le valuta buone e considera, invece, marachelle azioni quali stupri, massacri e omicidi108. In Foot, la trattazione dell’immoralista assume, talvolta, i tratti della riflessione indignata che non si spiega come certi essere umani possano compiere e giustificare certe azioni. In maniera analoga, per Hursthouse, la figura dell’immoralista è esemplificata dal cosiddetto mafioso drug baron109. Anche qui vale la tesi per cui l’immoralista è fuori da ogni contesto etico perché non è in grado di conformarsi ad una serie di princìpi morali minimi necessari alla convivenza. Per questo, Hursthouse sostiene che è inutile tentare di persuadere l’immoralista. Il naturalismo neo-aristotelico non deve fornire ragioni che possano persuadere il mafioso drug baron a ravvedersi e agire diversamente: “Le conclusioni naturalistiche non intendono produrre ragioni motivanti. Non dovrebbero fornire ragioni motivanti al mafioso anche se, per quanto impossibile, lo si convincesse”110.
Piuttosto, secondo Hursthouse, si devono fornire le credenziali razionali per l’agire virtuoso all’interno di una prospettiva neurathiana in cui il punto di partenza è la condivisione di una comune prospettiva etica. Il malvagio, allora, non è un interlocutore e dovrebbe piuttosto seguire un percorso di riabilitazione etica che lo porti a “vedere” la malvagità del suo agire. In tal senso, si può dire che per Williams, Foot e Hursthouse, è vero che può esserci disaccordo morale su certi casi limite in cui la valutazione morale è particolarmente complessa. Tuttavia, nel caso dell’immoralista, ma anche dell’amoralista, non si può discutere sulla liceità di un massacro, di uno stupro o dell’infliggere sofferenza ad un innocente per divertimento111. Il mafioso drug baron se non vede certe ragioni come ragioni potenti per non compiere certe azioni, per certi versi, può essere derubricato allo stadio di un giovane immaturo per il quale certe lezioni di filosofia morale sarebbero inutili.
Tuttavia, per quanto le figure dell’immoralista e dell’amoralista non sembrino costituire una minaccia particolarmente importante dal punto di vista teoretico, lo spazio che gli viene dedicato da Williams, Foot e Hursthouse lascia trasparire una certa difficoltà nel collocare queste posizioni all’interno della riflessione etica. In questo modo, si può iniziare a rilevare che una tesi che accomuna Foot, Hursthouse e Williams concerne la possibilità di ammettere un agire che sia “al di fuori” delle considerazioni morali. Si traccia, così, uno
108 Foot, Natural goodness, p. 72.
109 Hursthouse, On Virtue ethics, p. 125.
110 “The naturalistic conclusions are not intended to produce motivating reasons. They are not supposed to be providing motivating reasons for the mafioso drug baron even if, per impossibile, we did convince him”. Ibi, p. 148.
spartiacque tra azioni moralmente rilevanti e azioni moralmente non rilevanti. Le prime sono le azioni di giustizia e di benevolenza, azioni che, in un qualche modo, riguardano la relazione con gli altri. Al contrario, le azioni moralmente non rilevanti sono le azioni sempre auto-interessate, egoiste o che ricercano solo il piacere112.
Williams, in questo senso, opera una chiara scelta teoretica nel distinguere lo spazio etico e quello non etico. Per quanto l’egoismo potrebbe essere considerato una precisa opzione in etica, per Williams l’uso del termine 'etico' deve circoscrivere azioni che hanno caratteristiche distintive:
È possibile usare il termine "etico" per qualsiasi schema di vita che fornisca una risposta intelligibile alla domanda di Socrate. In tal senso, anche l'egoismo più convinto sarebbe un'opzione etica. Non credo, però, che dovremmo seguire questo uso del termine. Per quanto vaga, abbiamo una concezione della sfera etica che comprende le nostre azioni, le esigenze, i bisogni, le richieste, i desideri e, in generale, la vita delle altre persone, ed è utile preservare questa concezione rispetto a ciò che chiamiamo una considerazione etica113
In questo modo, è possibile anticipare che questa distinzione è alla base della critica che Williams rivolge al tipo di fondazione di stampo aristotelico ricercata in etica. In particolare, Williams considerando la vita etica un tipo di vita alternativo e in concorrenza con vite eticamente non rilevanti (il malvagio, ma anche, l’artista, che sembra realizzare la natura umana pur non seguendo principi morali) ritiene che la strategia aristotelica di giustificare la vita etica a partire dal riferimento alla natura umana non funzioni.
L’impostazione della questione giustificativa in questi termini mi sembra problematica e non aderente all’intento neo-aristotelico. Secondo questa prospettiva, infatti, non credo sia possibile distinguere in maniera così netta tra azioni moralmente rilevanti e azioni che non lo sono come anche tra vite eticamente rilevanti e vite che non lo sono114. In
112 Hursthouse, On Virtue ethics, p. 125.
113 “It is possible to use the word “ethical” of any scheme for living that would provide an intelligible answer to Socrates’ question. In that sense, even the baldest egoism would be an ethical option. I do not think we should follow that use. However vague it may initially be, we have a conception of the ethical that understandably relates to us and our actions the demands, needs, claims, desires, and, generally, the lives of other people, and it is helpful to preserve this conception in what we are prepared to call an ethical consideration”. Williams, Ethics and the Limits of Philosophy, p. 12.
114 In aggiunta, si può rilevare che la stessa distinzione aristotelica tra vita etica e vita contemplativa è problematica laddove si concepisce la vita contemplativa indipendentemente dal possesso delle virtù etiche. Questo è il grande tema del circolo (non vizioso) tra virtù etica e phronesis, ma anche della natura delle virtù dianoetiche e del loro rapporto con le virtù etiche, e della relazione tra ragione nella sua dimensione pratica e in quella speculativa (Cfr. Natali, La saggezza di Aristotele; Samek Lodovici, L’emozione del bene, pp. 197-208; Vaccarezza, M.S., Le ragioni del contingente. La saggezza pratica tra Aristotele e Tommaso d’Aquino, Orthotes, Napoli 2012, pp. 17-38). Su quest’ultima distinzione mi sembra si possa rinvenire la separazione tra
tal senso, lo spazio che Foot e Hursthouse dedicano all’immoralista non è convincente almeno nella misura in cui concedono che questa figura possa essere al di fuori dello spazio etico.Questa ambiguità emerge non appena si rileva che vi sono diversi passaggi115 in cui Foot, in Natural Goodness, sembra proporre una diversa relazione tra azione e moralità, tesi che si può ritrovare, in maniera chiara, in Elizabeth Anscombe. La sfera della moralità non ha a che fare con un tipo particolare di azioni, piuttosto il giudizio morale è implicito nella costituzione dell’azione. Per questo anche l’immoralista (ma questo vale anche per l’amoralista) nella misura in cui agisce compie un’azione moralmente rilevante. Più semplicemente, si dirà, l’immoralista compie azioni moralmente malvagie.
Nei prossimi paragrafi vorrei chiarire questa tesi per concludere che il problema giustificativo del naturalismo neo-aristotelico non si propone di fondare la vita eticamente rilevante. Questo perché solamente nel caso in cui non ci fossero azioni si potrebbe escludere qualsiasi discorso sulla moralità. Il riferimento alla natura umana in etica, allora, per il naturalismo neo-aristotelico deve tenere conto della diversa relazione tra azione e giudizio morale. In tal senso se le distinzioni tra azioni auto-interessate/altruistiche, vite etiche/vite non etiche, azioni moralmente rilevanti/azioni moralmente non rilevanti non sono centrali nell’impostazione del problema giustificativo nel naturalismo neo-aristotelico116 allora anche la critica che Williams muove al naturalismo neo-aristotelico deve essere rivista.
fatti e valori. Cfr, Miller, The Continuum Companion to Ethics, pp. xv-xvi. A questa distinzione corrisponderebbe due dimensioni della ragione: una che “riconosce come sia il mondo”, l’altra che “considerando facit”. In questo senso, si può sottolineare che la dimensione speculativa e la dimensione pratica sono due facoltà della stessa razionalità che, in Tommaso e in Aristotele, lavorano in sinergia (Cfr. Campodonico, A., “Ragione speculativa e ragione pratica in Tommaso d’Aquino: analogie, differenza, sinergie”, in Rivista di filosofia neo-scolastica, LXXXIX, 2/3 (1997), pp. 267-298). Ciò significa che quando si parla di vita contemplativa o di vita attiva è sbagliato pensare che in una intervenga solo l’attività della ragion speculativa e nell’altra l’attività della ragion pratica. Anche nella vita contemplativa, nella misura in cui essa è oggetto di scelta, è richiesto il possesso delle virtù etiche e della phronesis. Pensare alla vita contemplativa come dimensione extra-etica, come del resto pensare la ragion speculativa non inserita all’interno di uno spazio in cui anche nel conoscere vi è una dimensione di scelta, mi sembra problematico e si può sottolineare che almeno in Aristotele e in Tommaso c’è il tentativo di mantenere le differenze tra i due ruoli della ragione, pur riconoscendo la stretta relazione: la conoscenza può essere scelta come fine, in questo senso è la conclusione di un sillogismo pratico, e, allo stesso tempo, ogni scelta richiede l’intervento della ragione per conoscere il bene in concreto.
115 Cfr. Foot, Natural Goodness, pp. 45-46.
116 Un punto messo in luce da J. Frey nell’intervento “Virtue, happiness, and the common good” durante la conferenza “Political Communities Normativity and the Metaphysics of Politics”, 2-3 luglio, Università di Udine.