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Nessuno ha mai visto in viso [XIX]

Nessuno ha mai visto in viso la morte.

Solo si sa che sia

scomparsa e putrefazione.

5 Il mio cagnuolo Galiffa

è morto da sessant’anni ora saltella felice

nell’orto del suo paradiso.

È nella sopraccitata Da una torre che il «cagnuolo Galiffa», nascosto dietro ad un trasparente pseudonimo, faceva la sua prima apparizione, andando a popolare, assieme al «merlo acquaiolo», quello che sopra abbiamo definito l’universo affettivo del poeta: «Ho visto il festoso e orecchiuto / Piquillo scattar dalla tomba / e a stratti, da un’umida tromba / di scale, raggiungere il tetto» (vv. 5-8). Nella lirica de La bufera il cane riemergeva dal sepolcro nel pieno della sua energia, richiamando i «cani fidati» (v. 6) de L’arca e il «Bedlington» (v. 1) della seconda parte dei Madrigali fiorentini («Un Bedlington s’affaccia, pecorella / azzurra, al tremolio di quei tronconi», vv. 1-2).284

Come attesta una precedente redazione dattiloscritta della poesia comparsa nella già citata lettera a Gianfranco Contini del 1º novembre 1945, in un primo momento la scelta montaliana era ricaduta su «Perrito» («Ho visto il festoso e orecchiuto / Perrito scattar dalla tomba / e giunger, su per la tromba / dei pianerottoli, al tetto», vv. 5-8), variante sopravvissuta anche ne «Il Politecnico», dove, come abbiamo visto, la poesia era stata pubblicata per la prima volta il 3 novembre dello stesso anno, preceduta da una chiosa d’autore volutamente allusiva: «Quanto al Perrito (che vuol dire cagnolino) il nome spagnolo e l’accenno ai lunghi orecchi ci fanno supporre trattarsi di un Cocker Spaniel. Ma

284 D. Boffo parla di «un Bedlington terrier dal manto grigio azzurro» che si affaccia sui pilastri

mozzati del Ponte Santa Trinita, distrutto dai bombardamenti nazisti della notte tra il 3 e il 4 agosto 1944. Boffo svela anche il retroscena dell’apparizione della «pecorella / azzurra» presso ciò che del Ponte Santa Trinita era rimasto dopo i bombardamenti sui quartieri attorno a Ponte Vecchio. Qualche mese prima il console tedesco, lasciando la città dopo essersi prodigato per salvare dalle razzie naziste le opere d’arte, aveva consegnato al signor Boffo il cane Dalo, un Bedlington terrier dal singolare colore grigio azzurro: cfr. D. BOFFO, A proposito di Montale, «Resine», 98 (2003), p. 112.

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chissa?».285 Ma se il nome proprio «Perrito» è in realtà un nome comune, dato che, come chiarisce lo stesso Montale, in spagnolo «vuol dire cagnolino», occorrerà osservare, supportati dal suggerimento di Lonardi, come anche la lezione definitiva «Piquillo» sia sorretta esattamente dalla stessa logica, poiché l’universalizzazione della figura del cane passa attraverso il richiamo al repertorio operistico: «Piquillo s’impadronisce» infatti «del nome del personaggio della

Perichole di Offenbach oltre che di un personaggio secondario della Traviata».286

Certamente il primum biografico resta però «Galiffa», che con tratti e abitudini simili torna, con una certa frequenza, sia nelle liriche sia nelle prose della produzione montaliana. Esso è per esempio protagonista di una poesia composta il 12 aprile 1974 e inclusa nel Quaderno di quattro anni, Nei miei primi anni

abitavo al terzo piano…, che, secondo quanto attestato dall’apparato de L’opera in versi, in origine recava proprio il titolo Il cane Galiffa:287

Nei miei primi anni abitavo al terzo piano e dal fondo del viale di pitòsfori

il cagnetto Galiffa mi vedeva

e a grandi salti dalla scala a chiocciola

5 mi raggiungeva. Ora non ricordo

se morì in casa nostra e se fu seppellito e dove e quando. Nella memoria resta solo quel balzo e quel guaìto né molto di più rimane dei grandi amori 10 quando non siano disperazione e morte.

Ma questo non fu il caso del bastardino di lunghe orecchie che portava un nome inventato dal figlio del fattore

mio coetaneo e analfabeta, vivo

15 meno del cane, è strano, nella mia insonnia.

Nel testo in questione, il «balzo» di Galiffa, fissato nella memoria del poeta assieme ai «grandi salti» con cui dalla scala a chiocciola il cane lo raggiungeva, corrisponde all’atto di «scattar dalla tomba» di Da una torre, perché per un attimo

285 E. MONTALE, Monologhi, colloqui, Sulla propria lingua, «Da una torre , in ID., SMA, cit., p.

1475.

286 G. LONARDI, Il fiore dell’addio, cit., p. 25.

287 Cfr. E. MONTALE, OV, cit., p. 1109. Interessanti notizie sulla figura del cane «Galiffa» si

trovano in G. NAVA, Una lettura montaliana, in Tradizione / Traduzione / Società. Saggi per

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il festoso cagnetto torna vivo nel ricordo del suo antico padrone. Si osservi inoltre come, in entrambe le poesie, identico sia il verbo «raggiungere», come del resto permane anche il dettaglio delle «lunghe orecchie» del bastardino, che nella lirica de La bufera era semplicemente definito «orecchiuto». Infine, non sussistono dubbi sul fatto che «Galiffa» – il cui nome era stato inventato, apprendiamo adesso, dal «figlio del fattore» – restò sempre vivo nella memoria del poeta, se in un frammento come quello edito ne La casa di Olgiate e risalente all’aprile 1978, il cane torna a fare la sua comparsa, saltellando felice «nell’orto del suo paradiso». Non occorrerà insistere troppo sul valore larico del cane in Montale, dal «magro cane» che «vigila steso al suolo» (v. 11) in Sarcofaghi (Ossi di seppia), al «bassotto festoso che latrava, / fraterna unica voce dentro l’afa» (vv. 15-16) di

Verso Vienna (Le occasioni), che anche nell’aggettivazione richiama il «Piquillo»

di Da una torre; fino ad arrivare ai già ricordati «cani fidati» che ne L’arca venivano associati ai «miei morti» e alle mie «vecchie serve» (vv. 5-7), oppure a quell’amuleto a sua immagine e somiglianza, il «bulldog di legno» (v. 34) di

Ballata scritta in una clinica – il «cagnuccio / di legno di mia moglie» (vv. 3-4)

ricordato anche ne I nascondigli – cui era affidato l’impari compito della lotta all’«iddio taurino». Importante sarà invece segnalare come il nome spagnolo del cane – prima, abbiamo visto, «Perrito», poi «Piquillo» – vada indubbiamente ricondotto alla presenza nella Monterosso dell’infanzia dei cosiddetti «sudamericani», ex emigranti tornati in patria a costruirsi la casa, di cui si parla in

Farfalla di Dinard, in Donna Juanita.288 Effettivamente «il piccolo bastardo color ruggine» vanta molte presenze anche nella prosa montaliana, venendo per esempio ricordato, in Farfalla di Dinard, in due racconti rispettivamente del 1946 e del 1952: in Sul limite è «il canino che prediligevi da bambino»;289 ne

L’angoscia è «il cane Galiffa […] morto più di quarant’anni fa»,290 di cui il poeta resta l’unica persona a conservare ancora vivo il ricordo. Infine, il festoso bastardo dal pelo rossiccio è menzionato in due prose giornalistiche: Una spiaggia

in Liguria («La Lettura», 27 dicembre 1945), in cui è il «segugio bastardello»,291 e

288 Cfr. E. MONTALE, Prose e racconti, cit., pp. 18-22. Lo stesso riferimento alle «ville dei

sudamericani» era presente in Dov’era il tennis… (La bufera): «Anche le ville dei sudamericani sembrano chiuse. Non sempre ci furono eredi pronti a dilapidare la lussuosa paccottiglia messa insieme a suon di pesos o di milreis».

289 Ivi, p. 189. 290 Ivi, p. 209. 291 Ivi, p. 660.

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in Satelliti privati («Corriere d’Informazione», 7-8 novembre 1957), di cui riportiamo per esteso un passo:

Lo chiamavo con un fischio dal terzo piano di una villa che aveva la forma di una pagoda; alla quale si accedeva da un lungo viale in salita, fiancheggiato da due siepi di pitosfori. Galiffa partiva, percorreva a rapide folate la salita, annullava in poche raffiche le tre rampe di scale e piombava su di me, in un arruffato delirio di gioia.292

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