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Uscimmo sul bow window o qualcosa di simile [XXI]

Uscimmo sul bow window o qualcosa di simile (il mio inglese è imperfetto) per liquidare

l’impiegato di banca che vantava le sue conquiste. “Io sono una di quelle che s’incontrano nei versi 5 dei sedicenti poeti. Così sarà di me”.

Scartai l’ipotesi con orrore. Eppure quella sera eri più intelligente di me. Senza contare che mai il proiettile

si riconosce nel bersaglio.

È Clizia, la musa de Le occasioni e de La bufera, la protagonista di questa breve poesia del 1978, in cui la donna è raffigurata a colloquio con il poeta sulla terrazza della pensione Annalena di Firenze nel 1934. La lirica, manoscritta in biro nera e cassata con cinque tratti verticali in biro blu, si trova alla pagina [21] del QP e reca in calce la data «26 ottobre [1978]». Importante parrebbe questa integrazione dell’anno da parte del poeta, giustificata dalla posizione della poesia nel QP,dove essa è preceduta e seguita da poesie dello stesso anno. Secondo il parere di Gianfranca Lavezzi, sarebbe allora da ricondurre ad una svista dello stesso Montale la data «1977», che si trova in calce al dattiloscritto in pulito di

Previsioni (Altri versi II), di cui la poesia in questione dovrebbe costituire

l’ipotesto.301 Per comprendere le affinità tematiche e le numerose coincidenze che sussistono tra le due poesie, riportiamo di seguito il testo di Previsioni:

Ci rifugiammo nel giardino (pensile se non sbaglio) per metterci al riparo dalle fanfaluche

erotiche di un pensionante di fresco arrivo e tu parlavi delle donne dei poeti

5 fatte per imbottire illeggibili carmi. Così sarà di me aggiungesti di sottecchi. Restai di sasso. Poi dissi dimentichi che la pallottola ignora chi la spara e ignora il suo bersaglio.

Ma non siamo 10 disse C. ai baracconi. E poi non credo

che tu abbia armi da fuoco nel tuo bagaglio.

301 Il dattiloscritto sarebbe stato inviato a Rosanna Bettarini alla fine del ’78; cfr. R. BETTARINI,

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Il «bow window» dove il poeta e la sua musa trovano riparo si muta nel «giardino (pensile se non sbaglio)» del v. 1; «l’impiegato di banca che vantava le sue conquiste» scopriamo adesso essere un «pensionante di fresco arrivo» con le sue «fanfaluche / erotiche» (vv. 2-3); e troviamo soprattutto la stessa riflessione sulle donne che popolano i carmi «dei sedicenti poeti», unita al timore di Clizia di divenire una di loro («Così sarà di me», v. 6). Quell’«Eppure quella sera / eri più intelligente di me» si traduce invece nel «Restai di sasso» del v. 7; e sopravvive la nota ironica, con la metafora del «proiettile/pallottola» e del «bersaglio», con cui si concludono entrambe le poesie.302 Occorre inoltre segnalare che il sopraccitato «bow window» coincide con il «bovindo» di Clizia dice («Sebbene mezzo secolo sia scorso / potremo facilmente ritrovare / il bovindo nel quale si stette ore / spulciando il monsignore delle pulci», vv. 1-4) e con la «veranda» di Clizia nel

’34 («Sempre allungata / sulla chaise longue / della veranda / che dava sul

giardino», vv. 1-4), due poesie contigue di Altri versi II e rispettivamente datate «’79» e «5/1/1980».303 Per di più, è stato rilevato come la poesia pubblicata ne La

302 Su quest’ultima immagine si è in particolar modo soffermato Luciano Rebay che, dopo aver

mostrato come uno dei possibili anagrammi di IRMA sia ARMI, ha scoperto come questa parola sia nascosta nell’osservazione ironica ed audace di Clizia nei vv. 4-5 di Previsioni: «delle donne dei poeti / fatte per imbottire illeggibili cARMI». All’ironica riflessione di Clizia sul suo possibile destino, replica il poeta con la pronta risposta dei vv. 7-9: «dimentichi / che la pallottola ignora chi la spara / e ignora il suo bersaglio». Al che Clizia ribatte: «Ma non siamo / […] ai baracconi. E poi non credo / che tu abbia ARMI da FUOCO nel tuo bagaglio» (vv. 9-11). Rebay nota come lo stilema «armi da fuoco», per il meccanismo del duplice nesso IRMA/ARMI e BRAND/FUOCO, corrisponderebbe esattamente al nome e cognome di Clizia se la compagna del poeta si chiamasse IRMA BRAND; «ma poiché si chiama BRANDEIS, in effetti essa può scherzosamente ricordargli […] che il suo bagaglio contiene non già armi da fuoco, ma un’IRMA da FUOCO – e da GHIACCIO!» (cfr. L. REBAY, Montale, Clizia e l’America, «Forum Italicum», 16 (1982), pp. 171-202; poi in Atti del Convegno Internazionale La poesia di Eugenio Montale, Milano - 12/13/14 settembre, Genova - 15 settembre 1982, Milano, Librex 1983, pp. 281-308: 292).

303 Da E. MONTALE, Lettere a Clizia, cit., note a pp. 286-287, apprendiamo che la già

menzionata Pensione Annalena, ancora oggi aperta nel medesimo edificio di via Romana (l’attuale numerazione è però 34, non 32 come è scritto negli indirizzi di Montale), «era all’epoca residenza abituale per ragazze straniere di buona famiglia, in particolare americane, durante i loro soggiorni fiorentini. Il nome di Annalena è quello della benefattrice che aveva fondato, sul finire del XV secolo, il monastero domenicano femminile che lì aveva sede, e al quale pure apparteneva l’attiguo giardino degli Horti Annalenae, su cui guardano finestre e terrazze delle camere. Proprietarie della pensione erano le sorelle Alma e Dina Landini; Irma Brandeis fu particolarmente amica della figlia di Alma e dello scultore Olindo Calastri, Giovanna». In una lettera del 29 gennaio 1934, Montale raccomandava così la pensione a Lucia Rodocanachi: «Pensioni non ne conosco bene nessuna. […] può venire in via Romana, alla Pensione Annalena, di cui conosco la proprietaria Sig.ra Calastri, una bravissima donna. Anche qui può farsi dare la stanza al piano di sotto, che è indipendente o quasi, e farsi scalare qualche pasto preso fuori» (cfr. G. MARCENARO, Una

133 casa di Olgiate con il titolo Nella veranda [XLVIII] sembri proprio costituire

l’ipotesto di Clizia nel ’34.304 A dimostrazione, riportiamo di seguito entrambi i componimenti:

Nella veranda

mollemente allungata su la sedia a sdraio tu scrutavi il pensiero di San Bonaventura e altri giganti celebri e obsoleti.

5 Più tardi fosti accolta da un mondo eslege, io nelle fauci della burocrazia.

Ma che importa? L’amore non si spezza che col disprezzo e questo non albergò mai. Sempre allungata

sulla chaise longue della veranda

che dava sul giardino,

5 un libro in mano forse già da allora vite di santi semisconosciuti

e poeti barocchi di scarsa reputazione non era amore quello

era come oggi e sempre 10 venerazione.

E a margine si osservi come nell’Esposizione sopra Dante tenuta da Montale a Firenze il 24 aprile 1965, il libro dantesco di Irma Brandeis (The Ladder of Vision, 1961), si ponesse proprio «sotto il patronato di San Bonaventura», cui si fa riferimento al v. 3 del primo testo.305

Interno/esterno (Altri versi II): «oppure siamo insieme nella veranda / di “Annalena” / a spulciare

le rime del venerabile / pruriginoso John Donne» (vv. 13-16); ma ad un «bovindo» si allude anche in Dov’era il tennis… (La bufera): «ma là, sull’esorbitante bovindo affrescato di peri meli e serpenti da paradiso terrestre, pensò invano la signora Paquita buonanima di produrre la sua serena vecchiaia confortata di truffatissimi agi e del sorriso della posterità» (qui si tratta però del «bovindo» monterossino). A questo proposito, interessante è notare come, nelle Note alle edizioni de La bufera, Montale ricordi che «bovindo» era parola di origine ligure, derivante dalla catacresi e dallo storpiamento delle voci inglesi bow e window e indicante un balcone coperto. Nel racconto

Sulla spiaggia, pubblicato per la prima volta sul «Corriere della Sera» il 24 settembre 1946 col

titolo L’angelo dimenticato e ora in Farfalla di Dinard, quello di «Annalena» è invece uno dei nomi che il protagonista enumera cercando di ricordare come si chiamasse una donna conosciuta a Firenze nell’ambiente dei colleges femminili americani (cfr. E. MONTALE, Prose e racconti, cit., pp. 193-198: 198).

304 Si veda R. BETTARINI, Retroscena montaliano, cit., p. 383. 305 Cfr. E. MONTALE, SMP, cit., p. 2686.

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Non bisognerà però dimenticare che il finale di Uscimmo sul bow

window… presenta una forte affinità con l’explicit306 della poesia che nella

raccolta mondadoriana reca il titolo Siamo imprigionati in un’allegoria [XXVI], dove il poeta torna ancora una volta a rivolgersi a Clizia:

Siamo imprigionati in un’allegoria che sarà decifrata da esseri non umani. 3 Non dirmi Clizia che questo è pessimismo.

La palla del fucile non sa dove è diretta.

La poesia, manoscritta in biro blu e cassata con sei tratti verticali, è conservata alla pagina [106] del QP. Di seguito si trova il manoscritto de L’allegoria, confluita in Altri versi I e datata, in redazione, «’78», con dedica «a C.»:

Il senso del costrutto non è chiaro neppure per coloro che riguarda.

Noi siamo i comprimari, i souffleurs nelle buche ma i fili del racconto sono in mano d’altri. 5 Si tratta chiaramente di un’allegoria

che dura da un’infinità di secoli supponendo che il tempo esista oppure sia parte

di una divina o no macchinazione. Alcuni suggeriscono marchingegni 10 che facciano crollare il tutto su se stesso.

Ma tu non credi a questo: la gioia del farnetico è affare d’altri.

Anche se l’epigramma pubblicato ne La casa di Olgiate non presenta la specificazione della data di composizione, il riferimento a Clizia, mantenuto nella dedica de L’allegoria, ci induce ad ipotizzare che il breve frammento possa costituire il materiale preparatorio per la poesia edita in Altri versi I. Entrambe ruotano infatti attorno allo stesso spunto di riflessione: l’impossibilità per l’uomo di comprendere il senso dell’esistenza (l’«allegoria» in cui siamo «imprigionati», v. 1), tanto che nella lirica di Altri versi I si specifica che i «fili del racconto», metafora della vita, «sono in mano d’altri» (v. 4). Infine, nella chiusa, il poeta torna a rivolgersi alla donna amata con quel «Ma tu non credi a questo» del v. 11,

306 Ma si consideri anche il primo degli Appunti (A caccia), in Altri versi I: «C’è chi tira a pallini /

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che ricalca il «Non dirmi Clizia che questo è pessimismo» del v. 3 della lirica de

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