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La «tigre» de La casa di Olgiate: un nuovo tu femminile

Giunti a questo punto della disamina, si sarà certamente acquisita consapevolezza del livello di problematicità e complessità di quella che Gianfranca Lavezzi ha definito «una poesia dimenticata»122 di Eugenio Montale. Non compresa neppure tra le poesie disperse, La casa di Olgiate ci appare infatti come una poesia che l’autore deve aver voluto deliberatamente non ricordare, e che per questo deve essere letta «con una lente particolare», «nella convinzione che tra il falò delle carte e la forzatura della chiave sia possibile imboccare una terza via, di difficile ma opportuno rispetto».123

In ogni caso alcuni problemi ermeneutici possono comunque essere risolti, a cominciare da quello dell’identificazione della casa e del nome della sua antica abitatrice. Anche se ai fini della comprensione del testo non ha molta importanza stabilire con esattezza chi fosse la «tigre» del v. 25, dato il consueto sincretismo depistante con cui Montale amava di proposito contaminare i tratti distintivi delle sue diverse ispiratrici, sarà opportuno ricordare brevemente le ricerche che hanno condotto Gianfranca Lavezzi all’identificazione della casa dell’alta Lombardia e della donna che la abitava. Esse ci saranno, infatti, utili per sciogliere alcuni nodi interpretativi, in particolare l’identità del piccolo «cardellino» e il significato dell’immagine del «giglio rosso» ad esso correlata.

Provando a sollevare con discrezione «il velo che nasconde oggetti e persone presenti nella lirica»,124 la curatrice della raccolta è anzitutto riuscita a rintracciare la casa della poesia. Si tratta di una villa a due piani di ben ventiquattro vani, sita nel comune di Olgiate Olona al numero civico 13 di via Roma e negli anni Settanta demolita per far posto ad un anonimo condominio. Avvalendosi della collaborazione e delle preziose ricerche del dottor Giuseppe Belloni, presidente della Pro Loco di Olgiate Olona, nonché dell’aiuto dei molti olgiatesi che con i loro ricordi hanno contribuito alla ricostruzione dei dati, la studiosa è arrivata ad

122 G. LAVEZZI, Dalla parte dei poeti: da Metastasio a Montale, cit., p. 246. 123 Ibidem.

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individuare l’esatta collocazione dell’abitazione e il nome del suo antico proprietario:

Percorrendo l’Autostrada dei laghi, dopo l’uscita di Castellanza in direzione di Busto Arsizio e dopo il ponte sull’Olona, guardando in alto a destra del primo dei quattro cavalcavia che attraversano Olgiate, si vedeva spuntare sopra gli alberi la parte alta della bella villa bianca, circondata da uno splendido parco. Conosciuta come Villa De Ferneix, dal nome dei proprietari che l’abitarono fino al 1936, venne acquistata nel 1939 da Antonio Tognella, industriale tessile fra i maggiori in Italia, nominato Cavaliere del Lavoro nel 1943, che la abitò con la famiglia fino agli anni Cinquanta. Successivamente, fino ai tardi anni Sessanta, nella villa rimase il giardiniere, che accoglieva – facendo loro da guida – i visitatori desiderosi di vedere la casa e soprattutto il parco, popolato anche da uccelli esotici. Ed è probabile che si situi in questo periodo la visita di Montale alla casa.125

La «tigre» cui l’autore si rivolge nella poesia, declinata al vocativo («mia tigre», v. 25), esito di una precedente lezione più emotivamente connotata («mia cara tigre»),126 fino ad ora era rimasta ignota al già popoloso bestiario montaliano. Passando per l’individuazione della casa, Gianfranca Lavezzi è riuscita a riconoscervi la maestra triestina Dora Zanini, che nel 1939, all’età di diciotto anni, sposò Piermario Tognella, il figlio primogenito di Antonio Tognella,127 originario proprietario della casa di Olgiate. Dal matrimonio, l’anno seguente, il 26 agosto 1940, a Trieste, nacque un bambino al quale fu assegnato il nome del nonno, affettuosamente sostituito dal diminutivo Tonino. Il bambino, che alcune testimonianze ricordano come biondo e con gli occhi azzurri, e da chi lo conobbe lodato anche per intelligenza e sensibilità (si vedano le strazianti parole che rivolge alla madre, riportate nella lirica al v. 11), ebbe una tragica fine da “fiore reciso”: morì, infatti, per una grave malattia in un ospedale fiorentino il 30 dicembre 1947, gettando in uno stato di comprensibile disperazione i genitori e il nonno paterno, di cui era il primo e prediletto nipote.128

125 Ibidem. Alcune notizie sulla famiglia Tognella e sul condominio che negli anni Settanta sostituì

la casa di Olgiate si trovano in E. RAFFO, Un condominio anni ’70 e l’autostrada al posto della

casa amata da Montale, «Corriere della Sera», 27 ottobre 2006, p. 12.

126 Cfr. apparato critico, nelle Note, in E. MONTALE, La casa di Olgiate e altre poesie, cit., p. 73. 127 Antonio Tognella (1877-1964) e la moglie Anita Crespi (1884-1977) ebbero quattro figli: oltre

a Piermario (1911-1982), Lucia (detta Cia), Anna e Elena. Alcuni ritratti fotografici di Antonio Tognella e della moglie, eseguiti da Emilio Sommariva a Milano negli anni 1946-1947, sono conservati presso la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano (Fondo Sommariva, SOM. D. IS. I. 938-949).

128 Tonino Tognella è sepolto nella tomba di famiglia, al campo XIV, n. 437, del Cimitero

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Tutti questi dati ci consentono, dunque, di individuare con precisione la casa, il bambino e la figura femminile, e rendono adesso chiari i significati del «boudoir di diciottenne» e del fiorentino «giglio rosso», lasciato dal poeta sulla tomba del piccolo Tonino in suo ricordo e omaggio.

Con tutte le cautele del caso, si può inoltre osservare come questa Dora triestina presenti degli involontari ma inevitabili legami con Dora Markus e Gerti; una certa sorpresa desta il fatto che tigre costituisca proprio l’anagramma di Gerti, la protagonista della seconda parte di Dora Markus,129 oltre che, ovviamente, del

Carnevale di Gerti, di cui Montale spiegava l’antefatto con queste parole:

Il giorno di capodanno [1928, Gerti ed io] avevamo estratto a sorte alcuni doni per gli amici triestini e per gli stessi avevamo fatto un sortilegio abbastanza usato nel nord. Gettare per ognuno una cucchiaiata di piombo fuso in una tazza d’acqua fredda e dalle strane deformazioni solidificate che ne risultano dedurre il destino di ciascuno.130

La «tigre» de La casa di Olgiate non scruta il piombo fuso ma spia, «dietro le lenti affumicate», «l’efflorescenza dei disinfestanti» sul fiume Olona, triste variante moderna del deposito del piombo sull’acqua.

Per di più, il tu femminile condivide la città natale con Drusilla Tanzi e Lucia Rodocanachi,131 la donna cui Montale fu legato, almeno secondo quanto attestano i biografi, da «una vera intesa foriera d’una liaison forse pericolosa»,132 che ebbe probabilmente la sua acme nelle due settimane (24 aprile-8 maggio1933) trascorse da Lucia, su invito dello stesso poeta, a Firenze.

129 Sollecitato da Silvio Guarnieri, Montale rivela che, mentre «in Dora Markus, I, Dora non è

ancora Gerti, […] nella seconda parte è presente solo Gerti, ebrea» (L. GRECO, Montale

commenta Montale, cit., p. 32; poi in E. MONTALE, SMA, cit., p. 1509).

130 Lettera di Montale a Barile del 6 luglio 1932, edita in E. MONTALE, Giorni di libeccio.

Lettere ad Angelo Barile (1920-1957), a cura di Domenico Astengo e Giampiero Costa, Milano,

Archinto 2002, p. 93. Nella prima nota alla lettera (p. 94) i curatori tratteggiano un profilo sintetico ma esauriente di Gertruden (Gerti) Frankl, nata a Graz nel 1902 e morta a Trieste nel 1989, moglie, dal 1925, dell’ingegnere triestino Carlo Tolazzi e amica di molti letterati triestini, da Italo Svevo a Silvio Benco, da Anita Pittoni a Giani Stuparich.

131 Si tratta di Lucia Morpurgo, nata nel 1901 a Trieste, dove trascorse l’infanzia, trasferendosi poi

con la famiglia, nel 1913, a Genova. La donna è più nota con il cognome del marito, Paolo Stamaty Rodocanachi. Per ulteriori informazioni sulla sua vita si vedano G. MARCENARO, Una

amica di Montale. Vita di Lucia Rodocanachi, Milano, Camunia 1991, G. MARCENARO, Dear Lucy: cinque lettere di Eugenio Montale, Alpignano, Tallone editore tipografico 1996 e F.

CONTORBIA, Lucia Rodocanachi: le carte, la vita, Firenze, Società editrice fiorentina 2006, pp. 101-128.

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Infine, la casa friulana cui si allude nel finale si troverebbe a San Giovanni di Casarsa, dove Dora era solita trascorrere le estati della sua infanzia, ospite degli zii materni.

La preziosa testimonianza della sorella di Dora, Yolanda Zanini Bonazzi, direttrice della Galleria d’arte milanese Montenapoleone,133 ha permesso inoltre a Gianfranca Lavezzi di raccogliere altre informazioni biografiche assolutamente inedite, come il momento del primo incontro della «tigre» con il poeta: pare che i due si conobbero verso la metà degli anni Cinquanta all’Hotel Alpemare di Forte dei Marmi, dove Montale soggiornò con la Mosca per la prima volta nel 1952. La frequentazione, particolarmente intensa fino alla morte della moglie del poeta, non si limitava al periodo estivo delle vacanze al Forte, ma continuava a Milano, alla Scala o in casa Montale, peraltro frequentata, oltre che da Dora e dalla sorella, da Maria Corti, Goffredo Parise, Paola e Marco Forti. Da queste informazioni possiamo allora evincere che nella poesia sarà la stessa Dora a condurre il poeta in auto alla casa ormai disabitata e ad aspettarlo, durante la sua visita in compagnia del vecchio custode, seduta al volante, guardando l’Olona putrido dietro gli occhiali da sole (che pare amasse portare con montature grandi e talvolta di tartaruga, con effetto “tigrato”, secondo la moda del momento).