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E vennero da ultimo i diserbanti [III]

E vennero da ultimo i diserbanti… Ci scrolliamo di dosso quest’orrenda

3 pulizia. Anche una pulce

potrebbe confortarsi. Siamo all’osso.

Il testo manoscritto che trasmette la poesia, dedicata al tema tanto caro all’ultimo Montale delle scoperte scientifiche, reca in calce la data del «21 luglio 73». Esso sembra essere strettamente correlato a un altro breve epigramma contenuto ne La casa di Olgiate, Nel campo della scienza [XXIX], in cui ancora

una volta si riflette la ben nota professione di scetticismo e disincanto con cui il poeta dell’ultima stagione assiste ai rapidi e minacciosi progressi delle scienze:

Nel campo della scienza si fanno e si faranno

infinite scoperte e invenzioni. Ma anche la pulce si rallegrò

5 quando trovò la pelle dell’uomo. Quale mirabile veicolo di trasporto

di sangue a sangue.

L’immagine della «pulce» fa però la sua prima comparsa in una lirica di

Satura I del 21 ottobre 1968, Gerarchie, una vera esplosione linguistica ai limiti

del nonsense. Una prima e superficiale lettura lascerebbe pensare a una beffa aperta e dichiarata alla ragione, condotta con gusto ludico e divertito; in realtà, dietro al divertissement, si nasconde una polemica nei confronti della società occidentale, che pur ambendo ad ordinare l’universo secondo schemi razionali, si mostra impotente di fronte alla sua complessità. Vale forse la pena riportarne il testo:

La polis è più importante delle sue parti. La parte è più importante d’ogni sua parte. Il predicato lo è più del predicante

e l’arrestato lo è meno dell’arrestante. 5 Il tempo s’infutura nel totale,

il totale è il cascame del totalizzante, l’avvento è l’improbabile nell’avvenibile, il pulsante una pulce nel pulsabile.

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Con un incrocio tra poliptoto («pulsante-pulsabile») e paretimologia («pulsante- pulce»), unito alla voluta ambiguità della parola «pulsante» (“ciò che pulsa”, ma anche, semplicemente, “bottone”, “tasto”), il termine «pulce» del v. 8, in quella che sembra essere la sua prima occorrenza nel corpus poetico montaliano, designa semplicemente una frazione infinitesimale: ciò che pulsa, e che è quindi dotato di vita, costituisce solo una parte infinitamente piccola di ciò che potrebbe essere.

L’immagine torna ne Il principe della Festa, una lirica del Diario del ’72, datata nell’indice 24 novembre 1972, forse però «da correggere in 24 settembre in base all’indicazione dei testimoni e all’Indice del dattiloscritto Forti (redazione definitiva), supponendo lo scambio nelle stampe tra i numeri romani IX (settembre) e XI(novembre)».199 Riportiamo i versi centrali della poesia, in cui si afferma l’inadeguatezza dell’occhio-intelletto umano nei confronti di un concetto che sfugge alle sue capacità:

5 Se è vero che la pulce vive in sue dimensioni (così ogni altro animale) che non sono le nostre, se è vero che il cavallo vede l’uomo più grande

quasi due volte, allora non c’è occhio umano che basti.

In un rovesciamento dell’inno hölderliniano Friedensfeir (La sfera della pace), in cui «il Principe della Festa», den Fürsten des Fests, rivelava la propria natura cristica e di mediatore tra l’umano e il divino, il Dio montaliano, se c’è, sicuramente ignora il destino degli uomini. Nel testo tutto è ricondotto alla relatività delle dimensioni, e l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande si materializzano rispettivamente nelle immagini della «pulce» (v. 5) e del «cavallo» (v. 7). Giacomo Zazzaretta parla invece di «uno spunto di anatomia comparata»200 funzionale alla relativizzazione delle facoltà visive e intellettive dell’uomo, allineato alla pulce e al cavallo. A questo proposito, interessanti sono le parole espresse dal poeta nel 1977 durante l’intervista Nascimbeni, in cui peraltro torna la menzione della «pulce»:

Può darsi che l’uomo sia un particolare come una pulce. Conosce le tesi di Monod? L’uomo è nato sulla terra per caso, siamo i beneficiati di questo caso. Non so se Monod

199 La nota è di R. Bettarini e G. Contini e si legge in E. MONTALE, OV, cit., p. 1095.

200 G. ZAZZARETTA, 19 fogli del Diario del ’71 e del ’72 di Eugenio Montale, Maestà di

84 abbia ragione o torto. Non so se il Padreterno abbia fatto una specie di lotteria e abbia estratto il numero “vita”.201

Ma all’immagine della «pulce» è dedicata soprattutto Le pulci di Altri

versi I, il cui anno di composizione, stando al dattiloscritto che ci ha trasmesso la

poesia, è il 1974:

Non hai mai avuto una pulce che mescolando il suo sangue col tuo

abbia composto un frappé 5 che ci assicuri l’immortalità?

Così avvenne nell’aureo Seicento. Ma oggi nell’età del tempo pieno si è immortali per meno

anche se il tempo si raccorcia e i secoli 10 non sono che piume al vento.

La lirica fa certamente riferimento a una celebre poesia di John Donne, The Flea, in particolare ai vv. 1-4: «Mark but this flea, and mark in this, / how little that which thou deny’st me is; / it suck’d me first, and now suks thee, / and this flea, our two bloods mingled bee».202 A dimostrare l’interesse montaliano per il poeta inglese sarebbe un testo alternativo della poesia, anepigrafo e senza data,

201 Cfr. Int. Nascimbeni (G. NASCIMBENI, Non ama essere nella storia per qualche verso…,

intervista a E. M. 1977), in E. MONTALE, SMA, cit., p. 1729. Ma per la «pulce» si veda anche la recensione montaliana al racconto mimico Allez-hop di Berio-Calvino, rappresentato alla Fenice il 21 settembre 1959 e ora leggibile in E. MONTALE, Prime alla Scala, a cura di G. Lavezzi, Milano, Mondadori 1981; poi in ID., SMA, cit., p. 479: «C’è un domatore di pulci e una pulce che gli sfugge dalle mani, saltando tra i vari personaggi del pubblico».

202 Cfr. J. DONNE, Liriche sacre e profane. Anatomia del mondo. Duello della morte, a cura di

Giorgio Melchiori, Milano, Mondadori 1983, p. 56; sulla presenza di John Donne nella poesia montaliana cfr. R. GIGLIUCCI, Petrarchismo metafisico, in Realismo metafisico e Montale, Roma, Editori Riuniti 2007, pp. 27- 56. L’immagine della «pulce» era però già presente in un sonetto di Ronsard, Ha, seigneur dieu, que graces écloses (negli Amours del 1553), in cui l’autore sognava di poter essere una pulce per mordere il seno della donna amata:«Hé, que ne sui-je puce! / La basoitant, tous les jours je mordroi / ses beaus tetins, mais la nuit je voudroi / que rechanger en homme je me pusse» (vv. 11-14). Ma anche T. Watson, in un sonetto amoroso, userà la stessa immagine della pulce «che gusta, come da una coppa, le bellezze della donna, e simboleggia il desiderio struggente nel raffigurarsi come un profumo bruciato in suo onore» (cfr. C. G. CECIONI, Thomas Watson e la tradizione petrarchista, Milano-Messina, Principato 1969, pp. 327-32). Infine, occorre citare il Rimbaud delle Chercheuses de poux, dove «la sublimazione ha luogo in una direzione mitica» (cfr. A. RIMBAUD, Opere, a cura di Ivos Margoni, Milano, Feltrinelli 1964, n. a p. 397; cfr. anche ID., Opere complete, a cura di Antoine Adam e Mario Richter, Torino, Einaudi-Gallimard 1992, pp. 184-185 e pp. 1059-1060).

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trasmessoci da un altro dattiloscritto, che, assieme alla lirica in questione, contiene anche Forse non era inutile… e Costrette a una sola le sue punte…:

Mescolare il mio sangue col tuo come può fare la pulce

(e fu la grande scoperta del reverendo John Donne)

5 se fu una sbornia per il succhiatore e fama per il poeta,

nulla per noi, ‘materia prima’, creta.203

Lo stesso riferimento a John Donne, «il monsignore delle pulci» (Clizia dice, v. 4), torna al v. 24 di Poiché la vita fugge… in Altri versi II: «Poi (sovente hai portato / occhiali affumicati e li hai dimessi / del tutto con le pulci di John Donne)» (vv. 22-24). Ma nell’ultima raccolta di Montale il poeta ricompare anche in un'altra poesia legata a Clizia, Interno/esterno: «[…] siamo insieme nella veranda / di “Annalena” / a spulciare le rime del venerabile / pruriginoso John Donne» (vv. 13-16). Del resto, lo stesso Donne era presente, nelle vesti di «poeta egregio», anche in una precedente variante ai vv. 5-6 di Nel campo della scienza: «La pulce stessa da un poeta egregio / lodata quale mezzo di trasporto».204 Desunta evidentemente da Donne, come adesso appare chiaro, l’immagine della «pulce» che si serve del sangue umano come mezzo di trasporto, potrebbe essere apparsa per la prima volta nell’epigramma de La casa di Olgiate, in connessione però allo spinoso problema delle scoperte scientifiche: se nel campo della scienza si fanno e continueranno a fare «infinite scoperte e invenzioni» (v. 3), bisogna però tenere presente – osserva il poeta con intento volutamente ironico – che anche per la pulce costituì una vera e propria scoperta trovare nella pelle dell’uomo un «mirabile veicolo di trasporto / di sangue a sangue» (vv. 6-7). Del resto, la consueta marca ironica tipica dell’ultimo Montale non manca neppure ne

Le pulci di Altri versi I, di cui l’epigramma in questione potrebbe costituire –

anche se non ne conosciamo, purtroppo, la data – un accurato studio preparatorio.

203 Il testo ora si legge in E. MONTALE, OV, cit., p. 1144.

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