Le variabili che identificano la governance locale sono essenzialmente di tre tipi:
a. le forme di cooperazione/integrazione verticale che si stabiliscono lungo le filiere agricole e agroalimentari;
b. le forme di cooperazione/integrazione orizzontale nelle singole filiere, sia nella fase primaria della produzione che nella trasformazione e com- mercializzazione dei prodotti;
c. le forme di cooperazione/integrazione orizzontale tra settori diversi dell’economia e/o tra settore privato e settore pubblico, seguendo una logica più ampia di aggregazione di attori diversi in un territorio.
Si tratta di tre forme che richiedono soluzioni organizzative e di governan- ce molto diverse: le prime due coinvolgono la creazione di forme contrattuali e/o associazionistiche dentro il settore agroalimentare; la terza è una forma di colla- borazione tra partners di natura diversa. Il campione di aree che abbiamo esami- nato, viste non già nei singoli comportamenti aziendali bensì nelle caratteristiche complessive, presenta una certa varietà di forme organizzative, che corrispondono a diverse strategie prevalenti tra gli attori locali. Queste forme naturalmente pro- ducono risultati diversi in termini di capacità di utilizzazione e di risultati delle po- litiche. Vediamo come si articolano queste diverse forme di governance nelle aree in questione e quali risultati possono evidenziarsi.
Vi è un gruppo di aree dove la governance prevalente nel settore agricolo è quella che si esprime attraverso forme di integrazione verticale dominate da poche grandi imprese agroindustriali. Si tratta di territori rurali alquanto svilup-
pati, dotati di buone risorse naturali e reputazionali, nonché di una buona capacità organizzativa sul fronte produttivo e commerciale, accumulata nel tempo grazie ad una forte specializzazione e nel contempo grazie ad un cospicuo investimento di capitali pubblici e privati. La presenza di imprese “trainanti”, che hanno saputo innovare e conquistare anche i mercati esteri è stata determinante per lo sviluppo produttivo dell’area. La capacità di innovare e di adeguare la strategia nel tempo, in funzione del mercato, deriva più da qualità imprenditoriali singole che da capa- cità diffuse di cooperare degli attori, privati e pubblici. Anche la distribuzione della ricchezza e del potere economico locale è concentrata in alcune grandi imprese e/o consorzi che hanno la leadership del territorio e dettano la linea strategica dello sviluppo locale. Di conseguenza vi è una scarsa propensione verso forme di cooperazione orizzontale, sia dentro il settore agroalimentare, sia al di fuori di esso, con altri settori e con le amministrazioni locali, verso le quali queste grandi imprese cercano di esercitare forme di condizionamento (e non forme di partena- riato), funzionali agli interessi settoriali e di sviluppo produttivo. Anche il rafforza- mento della strategia produttiva con altri componenti settoriali (ad es. il turismo, i beni culturali, il patrimonio ambientale, etc.) è vista attraverso una logica di mera diversificazione aziendale e non già di attivazione di una serie di attori economici con cui cercare alleanze e collaborazioni.
Nei confronti delle relazioni con la regione e dei programmi di intervento per lo sviluppo rurale, l’azione di lobby è rilevante sia in fase di disegno delle strategie e delle regole regionali di attuazione, sia nella fase di accesso ai benefici delle politiche. L’attenzione di queste imprese si colloca, però, soprattutto sul fronte dei classici aiuti alle imprese e del 1° pilastro in particolare, di cui esse sono storica- mente tra i principali beneficiari. Meno forte è l’attenzione verso forme di proget- tazione integrata sul modello PIT o Leader.
Tipici esempi di queste modalità di governance guidate da grandi imprese e/o da imprese leader sono state messe in evidenza nelle aree del Chianti, della bassa Langa e, in parte, anche delle colline del medio Friuli. In queste aree, la modalità di governance verticale tende a divenire una strategia con cui le imprese dominanti rispondono alle sfide del mercato. Vi è una spinta anche ad intraprende- re una certa collaborazione con attori di diversa natura, interessando anche le am- ministrazioni locali, gli attori non agricoli, le rappresentanze di altri settori, etc., ma in realtà non riesce a prendere corpo con successo perché comportamenti particolaristici tendono a prevalere, generando conflitti con le altri parti in gioco. L’evoluzione verso forme di cooperazione di tipo distrettuale, nel caso del Chianti e delle colline del medio Friuli, non sembra funzionare appieno e, comunque, non
sembra incentivare forme di integrazione intersettoriale. Quindi, la diffusione di iniziative in settori collegati all’agroalimentare o nella fornitura di servizi pubblici necessari al territorio sembra legato più all’azione di altri soggetti in forma auto- noma, che ad una progettazione integrata in cui anche rappresentanze dell’agroa- limentare hanno un ruolo pro-attivo.
In buona sostanza, queste aree si caratterizzano per una governance locale verticale, fortemente ancorata all’iniziativa e alle strategie di alcune imprese lea- der in campo agroalimentare. Ciò comporta una governance debole per il territorio nel suo complesso, debolezza che si associa:
a. alla presenza di soggetti forti9, dominanti all’interno dell’economia agro-
alimentare locale, con visioni troppo particolaristiche degli interessi lo- cali, che non riescono a trovare una forma di mediazione in strategie più generali e condivise;
b. alla mancanza o alla scarsa efficacia di istituzioni intermedie o forme di leadership capaci di stimolare forme di cooperazione orizzontale tra settori e soggetti diversi;
c. a forti posizioni di rendita assicurate da politiche di settore esistenti, la cui appropriazione disincentiva forme di integrazione con altri soggetti e spinge a privilegiare, invece, forme di pressione sull’amministrazione pubblica in ogni ciclo di programmazione e nell’applicazione delle rifor- me delle politiche comunitarie.
Vi è un secondo tipo di aree, che chiameremo ad integrazione orizzontale, dove, invece, la governance locale si caratterizza in modo radicalmente diverso. In queste aree non vi sono imprese leader, bensì un tessuto di piccole e medie imprese, anche agroalimentari, la cui sopravvivenza e prospettive di crescita sono strettamente legate ad una cooperazione/integrazione orizzontale, sia nel settore agroalimentare sia al di fuori di esso. Un ruolo chiave viene giocato dall’asset- to proprietario della terra e dalla distribuzione delle imprese per dimensione, che appare meno concentrata dei casi precedenti. Si tratta di aree generalmente meno sviluppate, ma non per questo meno ricche di risorse naturali, culturali e di potenzialità di sviluppo. Nel tempo, la necessità di creare opportunità di reddito e occupazione ha messo in moto le risorse umane, e in particolare le capacità progettuali, ed ha aguzzato l’ingegno imprenditoriale e la ricerca di fonti finan- ziarie, in particolare di quelle policy basate sulla progettazione locale, a partire
dagli anni ’90. Queste policy, costruite con la concertazione tra attori diversi e un ampio partenariato, hanno stimolato l’allargamento degli orizzonti settoria- li e spinto le categorie del settore agroalimentare a promuovere coalizioni forti e diversificate con amministrazioni locali e altri soggetti. Ciò è stato possibile grazie al venir meno delle logiche particolaristiche di settore e/o alla capacità di mediare gli interessi in vista del risultato da conseguire, cioè l’uso di politiche decisive in un contesto di risorse scarse. Si può dire, in sostanza, che la necessità ha ridimensionato le velleità di poter fare da soli, di poter costruire isolatamente una strategia credibile per sé e per il territorio. Ma hanno giocato anche altri fattori, in particolare: a) le amministrazioni locali e l’emergere di una buona lea- dership, dinamica e collaborativa; b) l’emergere nel tempo di agenzie di sviluppo che hanno guadagnato legittimità e credibilità sul territorio; c) l’affermarsi di una consapevolezza, nei soggetti rappresentanti gli interessi di categoria, che proble- mi complessi, come quelli legati al rafforzamento dei servizi pubblici e dei beni collettivi in un’area debole, non si riescono ad affrontare senza una concertazione ampia e coalizioni di interessi più allargate. Quest’ultima condizione è forse meno pressante nelle aree sviluppate, dove gli interessi settoriali sono più forti e i costi di transazione della concertazione e della costruzione di ampie coalizioni sono percepiti troppo elevati.
Qualche ulteriore commento merita l’emergere in queste aree di agenzie di sviluppo. È il caso dei Gruppi di azione locale (GAL) in Garfagnana o nello stesso Chianti in una fase iniziale (Romano e Tudini, in questo volume) o nell’alta Langa (Garofoli, in questo volume), che hanno saputo agire come istituzioni intermedie, capaci di mediare interessi e creare coalizioni funzionali a obiettivi collettivi. Essi hanno contribuito a migliorare la governance locale, facilitando le relazioni tra amministrazioni locali e associazioni di categoria, le sinergie tra iniziative priva- te e iniziative pubbliche e la progettazione di nuove iniziative in campi innovativi per il contesto locale. Questo mestiere non è facile da quantificare e apprezzare, tuttavia in questi territori è stato realmente prezioso e rappresenta uno dei core business dei GAL. Un mestiere analogo era nelle intenzioni di alcuni distretti pro- mossi a livello locale a seguito della legge nazionale sui distretti: un esempio è quello del Parco agroalimentare delle colline del medio Friuli (Tarangioli, in que- sto volume), che ha avuto l’ambizione di mediare ad un livello più alto le strategie del Consorzio San Daniele, da un lato, e degli enti locali associati nella Comunità collinare. In realtà, guardando all’insieme di progettualità locale che è scaturita nella zona (PIF, PIT, Interreg, Life, etc.), non si può dire che questo tentativo sia riuscito appieno. L’emergere di nuove istituzioni intermedie, quindi, non sempre
ha facilitato i processi di mediazione e di confronto dei diversi interessi in gioco: a. sia per la difficoltà di mediare gli interessi settoriali con quelli della
comunità;
b. sia perché le istituzioni intermedie necessitano di tempo e di lavoro per legittimarsi e affermarsi con successo;
c. sia, infine, perché le istituzioni intermedie in cerca di legittimazione e successo sono effettivamente troppe e operano in un contesto di alta densità istituzionale, generando conflitti con altre agenzie e con le am- ministrazioni locali.
Tra le aree con governance verticale e quelle con governance territoriale vi sono certamente varie situazioni intermedie. Le aree esaminate in questa ricerca non possono esaurire la variabilità esistente nel territorio italiano. In prospettiva, una ricerca sulla governance locale dovrà ampliare lo spettro delle aree oggetto di indagine. Tuttavia, già l’esame di queste cinque aree consente di far emergere modelli differenziati di governance, anche all’interno di singole aree (es. tra alta e bassa Langa, due sub-aree con dinamicità demografica ed economica e capacità organizzativa molto diverse, cfr. Garofoli in questo volume) o nell’arco di un tempo lungo nella stessa area (ad es. Garfagnana e Chianti, cfr. Romano e Tudini in que- sto volume). Anche la governance, come tutti gli assetti economici e istituzionali, accompagna le dinamiche del contesto locale e ne è parte integrante. Lo possiamo vedere, ad esempio, nell’evoluzione di aree come la Garfagnana: da assetti pro- duttivi molto concentrati nelle mani di poche imprese agricole e/o agroalimentari (nell’immediato dopoguerra) e con istituzioni locali molto deboli e dipendenti dagli uffici decentrati del Ministero dell’agricoltura (come negli anni ’50 e ’60), si passa, intorno agli anni ’70-’80, a forme nuove di governance “duale” a seguito dell’intro- duzione delle regioni e lo sviluppo di forme cooperative e consortili nella produ- zione agricola, dove convivono sistemi gerarchici e forme decentrate di organizza- zione produttiva. Ma la vera svolta si nota negli anni ’90 e nella prima metà degli anni 2000, grazie alla crescita della capacità organizzativa delle amministrazioni locali (singoli comuni, comunità montane, province) e al contemporaneo diffon- dersi di esperienze di pianificazione/progettazione locale con Fondi UE e nazionali. Ciò contribuisce alla diffusione della partecipazione attiva delle amministrazioni locali e all’emergere, come si è già detto, di agenzie di sviluppo e di partenariati locali. In generale, la più recente evoluzione della governance ha avuto esiti quanto mai differenziati, con risultati incoraggianti in alcune aree e deludenti in altre, ma comunque ha contribuito in modo significativo a rimettere in discussione equilibri esistenti e a generare nuove istituzioni intermedie (Arrighetti e Serravalli, 1999).