ruraLi: iL noDo unione euroPea-Stati memBr
2.3.3 La percezione della governance rurale da parte degli Sm
Da queste osservazioni su alcuni aspetti della governance si ricava l’impres- sione che gli SM dispongono di ampi spazi di manovra, consentiti dai regolamenti, per fare scelte sulla strategie da seguire, nel disegnare l’architettura degli interventi e nell’allocazione delle risorse tra priorità diverse. Le modalità della governance e le procedure da seguire sono un aspetto rilevante ed influente delle politiche per le zone rurali stabilite dallo SM. L’utilizzazione di tutti questi spazi di manovra è varia- bile secondo gli SM (molto forte in alcuni, alquanto debole in altri) e ciò determina una grande diversità di situazioni, di aspetti importanti che non vengono colti attra- verso un’analisi degli aspetti comuni e, quindi, sfuggono o richiedono un’analisi più approfondita per trovare schemi generalizzabili di comportamento.
Gli aspetti della governance che raccolgono più commenti critici da parte degli SM sono la complessità delle procedure, il pesante carico amministrativo che richiede la gestione dei programmi, la sovrapposizione tra sistemi di controllo nazionale e comunitario, la scarsa flessibilità dei programmi per adeguarsi a cam- biamenti inattesi o per introdurre modifiche, le difficoltà di attuazione di alcune misure, in particolare quelle ambientali. Infatti, nel corso del tempo gli SM rilevano che si è andato perdendo il ruolo di leadership nell’innovazione delle politiche e della governance da parte del livello europeo, a scapito di una maggior attenzione per aspetti di trasparenza, supervisione e controllo individuale. La questione del mancato sostegno al coordinamento è un altro punto dolente, l’invenzione della demarcazione per evitare sovrapposizioni tra misure finanziabili da più di un fondo. In questa lista gli aspetti procedurali sono dominanti e fanno parte di un atteggia- mento critico verso i meccanismi di delivery messi in atto.
Nei confronti delle politiche di sviluppo rurale, e dello spezzettamento che le caratterizza, non si esprimono giudizi altrettanto critici da parte degli SM, ad eccezione dalle ridotte possibilità a livello nazionale di coordinare gli interventi dei diversi Fondi strutturali, date le incongruenze fra le procedure che i diversi rego- lamenti contengono.
2.4 Conclusioni preliminari
Il lavoro sin qui svolto ha individuato, in primo luogo, il quadro concettuale generale che dovrebbe fornire un riferimento adeguato all’analisi della governan- ce delle politiche per le zone rurali. La conclusione di questa parte dell’analisi è che la governance rurale come tale non esiste nella pratica, va ricostruita ex-post e questo è tutt’altro che facile.
La governance rurale è risultata priva di una visione d’insieme, spezzet- tata tra amministrazioni orizzontali diverse e molteplici attori istituzionali ai di- versi livelli territoriali, diversamente organizzata in ogni SM, ospitata da politiche con altri obiettivi, con un ruolo residuale e con attori non istituzionali con capacità d’influenza molto squilibrata e non dialoganti fra loro. Si tratta di una governance complessiva non ancora organizzata che agisce in modo separato, a livello euro- peo, e scarsamente coordinato dagli SM.
Data la vastità dell’analisi da svolgere, si sono stabilite tre ipotesi di lavoro per orientare l’analisi preliminare del nodo UE-SM:
- la prima riguarda l’influenza significativa della governance rurale attuale sui risultati delle politiche per le zone rurali;
- la seconda riguarda i maggiori costi di transazione che la complessità di obiettivi e la molteplicità di attori coinvolti ai diversi livelli determinano, considerando la debolezza delle forme di coordinamento esistenti; - la terza sostiene che, nonostante il quadro comune di regole formulato a
livello europeo, gli SM svolgono un’azione di filtro, più o meno forte, che finisce per rendere diverse fra di loro le politiche che arrivano ai benefi- ciari in ogni SM.
In generale, l’analisi ha messo in evidenza che il nodo UE-SM soffre di mol- te disfunzioni ed inefficienze che influiscono in modo negativo sulla performance delle politiche. Tali disfunzioni non sono visibili e affrontate perché la governance viene considerata un fattore tecnico-organizzativo, non si studia l’intera catena di governance dal livello europeo a quello regionale-locale, né si mettono a confron- to i molteplici soggetti e regole che vi partecipano. Un primo risultato è, dunque, quello di aver inquadrato il problema della governance rurale in modo completo e comprensivo.
Più precisamente, per quanto riguarda il nodo UE-SM si può osservare che: - il nodo UE-SM non può essere valutato in modo univoco e semplice, in- dividuando alcuni fattori determinanti; al contrario esso dipende da mol- teplici forme di scambio, formali ed informali, che variano in modo so- stanziale dalla fase di formulazione del quadro normativo (elaborazione dei regolamenti) da parte della UE, alla fase di disegno e d’attuazione dei programmi nazionali o regionali;
- nella fase di formulazione, gli SM intervengono formalmente in sede di discussione ed approvazione dei regolamenti nel Consiglio, con una fun- zione simile a quella legislativa del Parlamento (con cui il Consiglio stesso co-decide) e approvano le regole formali che governeranno le politiche per le zone rurali a maggioranza qualificata. Di conseguenza, si può dire che gli SM hanno una parte importante ed hanno responsabilità per le regole che vengono approvate, soprattutto se si coalizzano su posizioni condivise; - nella fase di disegno dei programmi, la Commissione li esamina e li ap- prova ed ha così un potere forte nei confronti degli SM, spesso esigendo modifiche anche sostanziali. Qui gli SM, almeno formalmente, possono negoziare, ma devono conformarsi. Il gioco delle parti è quello caratte- ristico di una negoziazione in cui la Commissione cerca di ottenere dalla controparte la più stretta adesione alle regole formali e gli SM – chi più, chi meno – cercano di assicurarsi il mantenimento delle proprie prefe- renze di allocazione e di modalità di intervento;
- nella fase di attuazione dei programmi, la Commissione ha, invece, un potere debole, deliberatamente “soft”, ma questo atteggiamento “cor- retto” ha come effetto indesiderato una scarsa conoscenza dei problemi di attuazione sul territorio (informazioni che, invece, sarebbero preziose per svolgere in maniera meno isolata e astratta il compito di formulare proposte normative dettagliate);
- l’UE, e la Commissione in particolare, hanno, in realtà, avuto un ruo- lo determinante nei confronti degli SM nel creare il bisogno di politiche di sviluppo rurale laddove non c’era; di affrontare questioni ambientali, inquadrandole in programmi pluriennali; di dare argomenti validi, espe- rienze innovatrici, nuovi principi come quello della partnership, che han- no modificato in parte i rapporti gerarchici tra livelli istituzionali diversi, in un quadro di regole formali ed informali concordate ed accettate da tutti come buone e spesso migliori di quelle che regolavano le misure esclusivamente nazionali. Questo processo di apprendimento comune è lento ma molto positivo.
Tuttavia questo lavoro pionieristico è stato fatto, per motivi in parte stru- mentali, in tutti e quattro i Fondi strutturali, e questa è stata ed è tuttora la sua grande debolezza ed il motivo sostanziale del mancato coordinamento. È un pro- blema sostanzialmente di governance, piuttosto che di contenuti delle politiche, che ci sono tutti. Ciò è vero soprattutto per la DG Agri, che ha sostenuto politi- che per le zone rurali come uno degli strumenti possibili per riformare la PAC, utilizzando formalmente l’aggettivo rurale, ma privilegiando di fatto un approccio prevalentemente settoriale. La DG Regio ha fatto lo stesso rispetto alle priorità urbane e infrastrutturali. Come pure la DG Mare, la quale, spinta dalla necessità di riformare il settore per esaurimento degli stock di pesci, ha puntato, per le co- munità locali di pescatori, sulla carta dello sviluppo locale, peraltro non sempre assimilabile a quello rurale.
Lo studio della governance rurale dovrebbe sempre includere il livello eu- ropeo, invece di limitarsi al disegno ed attuazione dei programmi, in quanto la formulazione delle regole formali (che è di competenza UE) è anch’essa un dato valutabile tanto quanto il resto dei programmi. Il non averlo mai fatto in modo sistematico, ha prolungato un modo di intendere questo compito come tecnico e apolitico, mentre quasi per definizione la sua formulazione implica scelte di allo- cazione, orientamento e governance che hanno un impatto fortemente sottovalu- tato nella performance delle politiche per le zone rurali.
l’UE, né alcuno SM ha accorpato le politiche di sviluppo rurale in un’unica ammi- nistrazione; queste sono assimilate o attribuite come competenza alle politiche per l’agricoltura, le foreste, lo sviluppo economico (regionale), la pianificazione, il lavoro e gli affari sociali, etc. Data l’organizzazione istituzionale spezzettata delle competenze oggi esistenti ed il fallimento dei tentativi d’accorpamento parziale, tale accorpamento è una strada molto laboriosa da percorrere (riforma degli as- setti amministrativi della UE e degli SM) e, probabilmente, anche poco deside- rabile. Si vuole qui sostenere che la compresenza di diversi soggetti istituzionali – con adeguate istanze di coordinamento – è utile a mantenere un certo equilibrio tra le diverse “visioni” settoriali per un territorio, crea dinamiche di partenariato deliberativo tra gli attori (“tavoli”), rendendo gli interventi e la spesa più efficaci ed efficienti.
La governance rurale richiede dunque qualche forma di coordinamento per assicurare:
a. che qualcuno se ne occupi;
b. che gli interventi siano coerenti tra di loro; c. che non ci siano aspetti trascurati (gaps);
d. che i fondi resi disponibili siano complementari e che, possibilmente, abbiano effetti che si supportano a vicenda, moltiplicando il loro impatto; e. che si chiarisca se le politiche per le zone rurale, data la bassa densità
demografica e l’assenza di economie di scala, hanno particolari specifi- cità rispetto alle politiche per le zone urbane.
Dato che non è prevedibile, né forse desiderabile che tale accorpamento avvenga, l’unica soluzione possibile è stabilire forme di coordinamento (luoghi e componenti) delle diverse politiche quando vengono applicate in zone rurali, ai diversi livelli istituzionali competenti e con gli attori istituzionali e non del partena- riato orizzontale; non bastano le regole, ci vogliono anche forme istituzionalizzate di coordinamento.
L’evidenza emersa finora indica che la governance attuale ha un’influen- za forte (e negativa) sui risultati ed impatti delle politiche, comporta alti costi di transazione che ne riducono l’efficienza, e che gli SM utilizzano in modo variabile e diversificato i margini di manovra consentiti dai regolamenti comunitari, il che riduce la possibilità di confrontare le politiche rurali dei diversi SM, di adottare indicatori comuni e di valutare l’insieme dei programmi.
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SviLuPPo Per i territori ruraLi: i CaSi DeLLa
regione Liguria e DeLLa regione toSCana
Premessa
L’organizzazione delle funzioni regionali in materia di sviluppo rurale ha su- bito nel corso degli ultimi 15 anni significative modificazioni e innovazioni a seguito del processo di graduale riforma dell’ordinamento amministrativo, prima con il disegno del “terzo decentramento” rappresentato dalle c.d. leggi Bassanini, poi con la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione.
Tale disegno si viene ad integrare, all’interno di un processo ancora in corso, con l’attuazione delle norme in materia di federalismo fiscale, la quale va ad incidere sullo scenario normativo in essere, per quanto non sia ancora possibile esprimere un equilibrato e fondato giudizio poiché il percorso di scrittura delle disposizioni at- tuative è tutt’ora in itinere e troverà successiva implementazione negli anni a venire. Il processo vede sullo sfondo, o meglio, si inserisce nel quadro delle politi- che comunitarie in materia di sviluppo rurale, che per loro natura hanno una dura- ta pluriennale e per certi versi attribuiscono un carattere di maggiore stabilità alle politiche, nazionali e regionali, sia pur in un quadro di trasformazione del contesto di riferimento e, in parte, di evoluzione dei contenuti medesimi delle politiche.
Oggetto del presente lavoro è l’analisi della governance nelle politiche di sviluppo economico per i territori rurali, così come si sono venute strutturando in due Regioni, la Toscana e la Liguria. Anche in questa perimetrazione dell’oggetto di indagine, la rilevanza della dimensione comunitaria incide oltremodo, alla luce della constatazione, essenziale, che la gran parte delle risorse per queste politi- che deriva dal bilancio dell’Unione europea, residuando in sede regionale, per non dire locale, una quota minimale di risorse, non comparabile con quelle europea.
L’analisi si concentrerà sulle modalità con le quali si organizza questa politi- ca nelle due Regioni e come le altre politiche, di sviluppo e/o settoriali, si integrano o intercettano il tema “rurale”.
Il tema della governance sarà declinato all’interno della nota nozione di go- vernance multilivello, laddove si fa riferimento “a processi di policy che compor- tano il coinvolgimento sistematico di una pluralità di istanze governative a diversi livelli territoriali, secondo uno schema di relazioni che eccede ed in parte contrad- dice il loro ordinamento gerarchico”1.
Queste considerazioni, inoltre, sono assunte a partire – come si accennava in precedenza – dalla dimensione specifica delle politiche regionali di sviluppo, vale a dire da quel complesso di interventi che interessano in via principale, se non esclusiva, i territori rurali comunemente intesi e le rispettive economie e che sono correlati per convenzione alle linee di finanziamento del FEASR, oltre che delle politiche più strettamente agricole.
Governance e politiche
Una lettura più corretta e completa della governance delle politiche per i territori rurali dovrebbe riguardare, comunque, l’insieme delle politiche che in qualche modo hanno una ricaduta diretta sui territori e le economie rurali e che attengono ad altri settori non strettamente correlati: dalle politiche sociali alle politiche per i trasporti e l’accessibilità; oppure il complesso delle politiche di svi- luppo che interessano i settori diversi da quello agricolo-forestale e che operano in modo significativo sui territori rurali, ivi compresi gli interventi di carattere re- golatorio (come i piani del governo del territorio).
Questo approccio, però, dovrebbe riguardare alla fine l’insieme di quelle po- litiche che incidono direttamente e indirettamente sullo sviluppo e che operano su base territoriale (place-based), che cioè modificano il paradigma in cui si definiscono gli interventi, non a partire dai vincoli di destinazione settoriale o tematica originari delle risorse o dal riparto delle competenze, quanto da una unità di riferimento costi- tuita dal territorio, o meglio, dai fabbisogni di quei territorio, variegati e differenziati. Seguire questo approccio significherebbe procedere ad una scomposizione della tradizionale ripartizione delle politiche – ed in verità anche degli specialismi e delle più o meno velate settorializzazioni – per ricomporle tenendo conto delle unità di intervento che dovrebbero essere costituite per l’appunto dai territori. Ma,
anche in questo caso, si ricadrebbe in un lungo ed estenuate dibattito su come de- finire e elaborare le politiche: il confronto sulle modalità ed i criteri di ripartizione del territorio, porta inevitabilmente da un lato a ripercorrere l’idea di una zoniz- zazione e dall’altro a separare e settorializzare gli interventi, per poi ricomporli successivamente secondo la declinazione territoriale. Questo potrebbe riguardare qualsiasi tipo di territorio che nella sua definizione è caratterizzato da specificità e particolarità: la città, la montagna, il mare.
Uno dei vizi di origine di questo limite delle politiche di sviluppo (territori vs. settori) ha origine nella separazione organizzativa che storicamente si è ve- nuta determinando per effetto della costruzione delle forme statuali nei suoi vari sviluppi ed articolazioni, sovranazionali come infra-nazionali. Queste ultime, poi, tendono storicamente a replicare il modello di riferimento,2 attraverso o una mi-
nisterializzazione (è il caso delle regioni) o una articolazione per ambiti omogenei di competenze o talvolta per ordinamenti sezionali3, ricongiungendosi sul piano
giuridico, sul tema delle materie.
Questa separatezza, alla fine, si è cercato di recuperarla nella elaborazione delle politiche, e spesso alcune soluzioni sono state trovate negli strumenti delle politiche, in cui si tende a definire talvolta ambiti integrati di intervento, che con- sentono di assemblare linee di attività separate, divise e segmentate, in una unità di riferimento unitaria (un programma piuttosto che un progetto).
Molti dei recenti tentativi di innovazione sono connessi sostanzialmente al concetto di integrazione, comunque la si voglia intendere; ed anche nel caso dell’in- tegrazione si pone il problema se tale condizione/modalità di intervento si applichi ad una unità territoriale omogenea (la città, la montagna, il territorio rurale) piut- tosto che ad un settore di riferimento (l’industria della trasformazione agroalimen- tare, le imprese del settore turismo e commercio, etc.) oppure ancora a gruppi di beneficiari (imprese e/o produttori in specifiche aree di riferimento), riproducendo le problematiche, d’ordine teorico e organizzativo, degli interventi settoriali.
Governare mediante gli strumenti
In questo contesto, una linea di lettura che può aiutare ad analizzare e meglio descrivere anche nelle loro differenze i modelli di governance oggetto del presente
2 Melis G. (1996), Cassese S. (1983). 3 Giannini M.S. (1989).
lavoro può essere costituito dalle modalità in cui, all’interno di un quadro organiz- zativo e nell’ambito di una medesima politica, analoga nei contenuti e nelle prescri- zioni (la componente regolativa), sono utilizzati gli strumenti dell’azione pubblica.
Per strumenti dell’azione pubblica si intende “l’ensemble des problèmes posés par le choix et l’usage des outils (des techniques, des moyens d’opérer, des dispositifs) qui permettent de matérialiser et d’opérationnaliser l’action gouvernementale”4: attraverso l’analisi degli strumenti di politica, delle scelte sot-
tese alla loro adozione, è possibile giungere ad individuare o se non altro a descri- vere “la sequenza di azioni immaginate attraverso le quali i decisori concepiscono, si rappresentano e articolano la propria razionalità decisionale”5. La varietà e la
eterogeneità delle scelte possibili, in presenza di un superamento della identità tra fini e mezzi, porta inevitabilmente ad una analisi della differenziazione del qua- dro di riferimento e delle conseguenti scelte degli attori della politica, divenendo rilevante “l’osservazione della varietà delle forme e dei modi attraverso le quali si scelgono dei fini e poi si identificano (…) dei mezzi per raggiungerli. (…) I modi sono plurali, le matrici valoriali eterogenee, modelli puri non ve ne sono più”6.
Tale fenomeno si accentua ancor più in presenza di un processo di incre- mento costante del riconoscimento dell’autonomia delle forme e dell‘organizza- zione delle istituzioni titolari di competenze, della possibilità di produrre forme di policy originali e differenziare, e, quindi, in presenza di strumentazione implemen- tativa diversificata.
Nell’ambito delle politiche oggetto dell’analisi, per quelle di sviluppo rurale strictu sensu si è in presenza di una relativa rigidità delle forme e delle modalità con le quali si pongono in essere, in quanto il processo di regolazione (a livello di instruments, dunque) è estremamente penetrante: i regolamenti comunitari, per fare un esempio, giungono a definire a livello di singola misura i contenuti degli interventi dei Piani di sviluppo rurale; la possibilità di diversificare all’interno di tali previsioni è minima, è connessa a poche variabili di carattere quantitativo, avendo una limitata possibilità sui contenuti qualitativi.
Invece, a livello di organizzazione dei processi gestionali è possibile regi-
4 Lascoumes P., Le Galès P. (2004), pag. 34, individuano tre tipi di strumenti: gli “instruments”,