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veritatis inquisitionem in numeris posuit? Quem platonici et nostri etiam primi in tantum secuti sunt, ut augustinus noster et post ip- sum Boethius affirmarent indubie numerum creandarum rerum in animo conditoris principale exemplar fuisse. Quomodo aristote- les, qui singularis videri voluit priores confutando, aliter nobis in metaphysicis specierum differentiam tradere potuit quam quod ipsas numeris compararet? et idem dum de formis naturalibus, quomodo una sit in alia, scientiam tradere vellet, ad formas mathe-

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della natura, non c’è nessuna immagine che sia così simile o egua- le al suo esemplare da non poter essere ancora più simile ed eguale, all’infinito, come abbiamo già chiarito in precedenza81.

Ora, quando conduciamo una ricerca partendo da un’immagi- ne, è necessario che tale immagine non dia luogo ad alcun dubbio, in quanto è dalla sua proporzione trascendente che procediamo ad indagare ciò che non conosciamo, perché la via che conduce ver- so le cose incerte non può passare che attraverso le cose che pre- supponiamo e che ci risultano certe82. tutte le cose sensibili, tutta-

via, sono in una condizione di continua instabilità, dovuta al grado abbondante di possibilità costituito in esse dalla materia. Quando consideriamo i diversi oggetti, tuttavia, vediamo che quelli che, ri- spetto alle cose percepibili sensibilmente, sono più astratti, come gli enti matematici, sono molto stabili e ci risultano assolutamente certi83, anche se essi non sono del tutto privi di connessioni mate-

riali, senza le quali non possiamo rappresentarceli, né sono del tut- to sottratti ad ogni possibilità di mutamento. È per questo motivo che i sapienti hanno cercato accuratamente nell’ambito della mate- matica gli esempi per indagare le cose mediante l’intelletto, e nes- suno degli antichi, fra quelli che vengono considerati grandi, ha af- frontato questioni difficili impiegando similitudini diverse da quel- le tratte dalla matematica, al punto che Boezio, il più erudito dei romani, affermava che nessuno può giungere ad una conoscenza delle cose divine, se manca completamente di esercizio nelle cose matematiche84.

e pitagora, il primo filosofo di nome e di fatto, non ha forse rite- nuto che ogni ricerca della verità dovesse essere condotta median- te i numeri85? i platonici86 ed anche i nostri primi pensatori lo han-

no seguito, a tal punto che il nostro agostino, e dopo di lui Boezio, hanno affermato che «nella mente del creatore» il numero è stato indubbiamente «il principale esemplare» delle cose che dovevano essere create87. ed anche aristotele, che pure ha voluto mostrar-

si originale confutando i suoi predecessori, come avrebbe potuto nella Metafisica insegnarci la differenza fra le specie se non le aves- se paragonate ai numeri88? e allo stesso modo, quando, a proposi-

to delle forme naturali, ha voluto insegnarci in che modo una for- ma è contenuta nell’altra, ha dovuto fare necessariamente ricorso

maticas necessario convolavit dicens: «sicut trigonus in tetragono, ita inferior in superiori.» taceo de innumeris exemplis suis simili- bus. aurelius etiam augustinus platonicus, quando de quantitate animae et eiusdem immortalitate et ceteris altissimis investigavit, ad mathematica pro adiutorio convolavit. ista via Boethio nostro adeo placere visa est, ut constanter assereret omnem veritatis doc- trinam in multitudine et magnitudine comprehendi. et si velis, ut compendiosius dicam: nonne epicurorum de atomis et inani sen- tentia, quae et Deum negat et cunctam veritatem collidit, solum a pythagoricis et peripateticis mathematica demonstratione peri- it? non posse scilicet ad atomos indivisibiles et simplices deveniri, quod ut principium epicurus supposuit.

Hac veterum via incedentes, cum ipsis concurrentes dicimus, cum ad divina non nisi per symbola accedendi nobis via pateat, quod tunc mathematicalibus signis propter ipsorum incorruptibi- lem certitudinem convenientius uti poterimus.

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Quomodo signis mathematicalibus sit utendum in proposito.

Verum quoniam ex antehabitis constat maximum simpliciter nihil horum esse posse, quae per nos sciuntur aut concipiuntur, hinc, cum ipsum symbolice investigare proponimus, simplicem si- militudinem transilire necesse est. nam cum omnia mathematica- lia sint finita et aliter etiam imaginari nequeant: si finitis uti pro exemplo voluerimus ad maximum simpliciter ascendendi, primo necesse est figuras mathematicas finitas considerare cum suis pas- sionibus et rationibus, et ipsas rationes correspondenter ad infini-

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alle forme matematiche, dicendo: «come il triangolo è contenuto nel quadrato», così la forma inferiore è contenuta nella superiore89.

e tralascio gli innumerevoli altri esempi simili a questi impiegati da aristotele. anche il platonico aurelio agostino, quando ha con- dotto le sue ricerche sulla quantità dell’anima, sulla sua immortali- tà e su altri argomenti molto profondi, ha fatto ricorso alla matema- tica per trovarvi aiuto90. al nostro Boezio questo metodo è parso

così utile, che egli ha affermato ripetutamente che ogni vera dottri- na risulta compresa nell’ambito della molteplicità e della grandez- za91. e, se vuoi, per illustrare questo argomento in modo più con-

ciso: la teoria epicurea degli atomi e del vuoto, che giunge anche a negare Dio e che è in contrasto con ogni verità, non è stata forse di- strutta dai pitagorici e dai peripatetici con una dimostrazione ma- tematica? intendo la dimostrazione secondo la quale non è possibi- le giungere a degli atomi indivisibili e semplici, che era quanto epi- curo aveva presupposto come principio92.

procedendo lungo questa strada percorsa dagli antichi e in gara con loro, anche noi diciamo quanto segue: dal momento che la via per accedere alle cose divine ci viene dischiusa solo attraverso sim- boli, potremo allora impiegare con molta convenienza i segni mate- matici, data la loro certezza incorruttibile93.

capitOlO Xii

Come devono essere impiegati i segni matematici per il compito che ci siamo proposti

Dalle considerazioni precedenti risulta evidente che il massimo in quanto tale non può essere nessuna delle cose che noi siamo in grado di conoscere o di concepire. Di conseguenza, essendoci noi per questo proposti di condurre la nostra indagine sul massimo in maniera simbolica, dobbiamo oltrepassare la semplice forma del- la similitudine94. tutti gli enti matematici, infatti, sono finiti, per-

ché, altrimenti, non potremmo neppure rappresentarceli [con la fa- coltà immaginativa]; pertanto, se vogliamo servirci del finito come esempio per ascendere al massimo in quanto tale, dobbiamo in pri- mo luogo considerare le figure matematiche finite con le loro pro- prietà e i loro rapporti; in secondo luogo, dobbiamo trasferire que-

tas tales figuras transferre, post haec tertio adhuc altius ipsas ratio- nes infinitarum figurarum transsumere ad infinitum simplex abso- lutissimum etiam ab omni figura. et tunc nostra ignorantia incom- prehensibiliter docebitur, quomodo de altissimo rectius et verius sit nobis in aenigmate laborantibus sentiendum.