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omnis esse linealis, linea vero curva, in hoc quod linea, ab infinita est, in hoc quod curva, non ab infinita est, sed curvitas sequitur fi-

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re estesa in atto all’infinito, l’universo non può essere maggiore di come è. e in questo senso l’universo è illimitato, in quanto non un può darsi in atto qualcosa che sia maggiore di esso, nel quale l’u- niverso possa trovare un suo limite. e così, l’universo è infinito in senso privativo. l’universo, tuttavia, esiste in atto solo in modo con- tratto, perché è così che esso può esistere nel modo migliore con- sentito dalla condizione che è propria della sua natura. l’universo, infatti, è una creatura, che di necessità dipende dall’essere divino e assoluto, come mostreremo molto brevemente nelle pagine seguen- ti per mezzo della dotta ignoranza, nel modo più chiaro e più sem- plice che ci sarà possibile.

capitOlO ii

L’essere della creatura dipende dall’essere del primo in un modo che non è per noi comprensibile

nei capitoli precedenti, la sacra ignoranza ci ha insegnato che non c’è nulla che esista da se stesso, tranne il massimo assoluto210,

nel quale l’essere «da se stesso», «in se stesso», «attraverso se stes- so» e «verso se stesso» [come fine] sono la stessa cosa, sono cioè l’essere assoluto stesso. la sacra ignoranza ci ha inoltre insegna- to che è necessario che ogni cosa che esiste abbia ciò che essa è, in quanto è, dallo stesso essere assoluto. ciò che non è da sé, infatti, in quale altro modo potrebbe essere, se non ricevendo il proprio essere dall’essere eterno?211 tuttavia, dal momento che il massimo

è ben lontano da ogni invidia, egli non può comunicare un essere diminuito come tale [ossia in quanto essere diminuito]212. Di con-

seguenza, la creatura, che è un essere «che-deriva-da» [dall’essere assoluto]213, non ha dal massimo tutto ciò che essa è: la corruttibi-

lità, la divisibilità, l’imperfezione, la diversità, la pluralità e le altre proprietà di questo genere la creatura non le ha dal massimo, che è eterno, indivisibile, perfettissimo, indistinto, uno, e non le ha da nessun’altra causa positiva.

la linea infinita è rettitudine infinita, ed è la causa di tutto l’es- sere che è proprio di una linea; ora, una curva, in quanto è una li- nea, deriva anch’essa dalla linea infinita, ma il suo essere una cur- va non deriva dalla linea infinita; la curvità è piuttosto una conse-

nitatem, quoniam ex eo curva, quia non maxima – si enim maxima esset, curva non esset, ut superius est ostensum –: ita quidem con- tingit rebus, quoniam maximum esse non possunt, ut sint diminu- ta, altera, distincta et cetera huiusmodi, quae quidem causam non habent. Habet igitur creatura a Deo, ut sit una, discreta et conne- xa universo et, quanto magis una, tanto Deo similior. Quod autem eius unitas est in pluralitate, discretio in confusione et connexio in discordantia, a Deo non habet neque ab aliqua causa positiva, sed contingenti.

100 Quis igitur copulando simul in creatura necessitatem absolu-

tam, a qua est, et contingentiam, sine qua non est, potest intelligere esse eius? nam videtur, quod ipsa creatura, quae nec est Deus nec nihil, sit quasi post Deum et ante nihil, intra Deum et nihil, ut ait unus sapientum: «Deus est oppositio nihil mediatione entis.» nec tamen potest esse ab esse et non-esse composita. Videtur igitur ne- que esse, per hoc quod descendit de esse; neque non esse, quia est ante nihil; neque compositum ex illis. noster autem intellectus, qui nequit transilire contradictoria, divisive aut compositive esse crea- turae non attingit, quamvis sciat eius esse non esse nisi ab esse ma- ximi. non est igitur ab esse intelligibile, postquam esse, a quo, non est intelligibile, sicut nec adesse accidentis est intelligibile, si sub- stantia, cui adest, non intelligitur. et igitur non potest creatura ut creatura dici una, quia descendit ab unitate; neque plura, quia eius esse est ab uno; neque ambo copulative. sed est unitas eius in qua- dam pluralitate contingenter. ita de simplicitate et compositione et reliquis oppositis pariformiter dicendum videtur.

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guenza della finitezza, poiché una linea è curva per il fatto che non è la linea massima; se fosse infatti la linea massima, essa non sareb- be curva, come abbiamo mostrato in precedenza214. lo stesso si

può dire delle cose: dal momento che non possono essere il mas- simo, accade, in maniera contingente, che le cose siano diminuite, affette da alterità, divise, e così via, proprietà, queste, che non han- no una causa. Da Dio, pertanto, la creatura ha il fatto di essere una, distinta e connessa all’universo, e quanto più essa è una, tanto più è simile a Dio. il fatto, invece, che la sua unità sia nella molteplicità, la sua distinzione nella confusione, la sua connessione con l’univer- so nella discordia, tutto questo la creatura non lo ha da Dio, né da una qualche causa positiva, ma deriva da una causa contingente215.

chi può dunque intendere l’essere della creatura congiungen- do insieme in essa la necessità assoluta, dalla quale la creatura de- riva, e la contingenza, senza la quale essa non esiste? sembra infat- ti che la creatura, che non è né Dio216, né nulla, venga in certo qual

modo dopo Dio e prima del nulla, e sia collocata tra Dio e il nulla, come dice uno dei sapienti: «Dio è l’opposizione al nulla per la me- diazione dell’ente»217. la creatura, tuttavia, non può neppure esse-

re composta di essere e di non-essere. sembra, pertanto, che non si possa dire né che la creatura sia, in quanto essa discende dall’esse- re, né che non sia, dato che precede il nulla, né che sia un composto di essere e di non-essere. il nostro intelletto, tuttavia, che non è in grado di andare oltre i contraddittori218, non giunge a cogliere l’es-

sere della creatura né procedendo con il metodo della divisione, né con quello della composizione, sebbene esso sappia che l’essere del- la creatura non deriva che dall’essere del massimo. l’essere derivato della creatura non risulta dunque comprensibile, per il fatto che non è comprensibile l’essere dal quale esso deriva, così come non è pos- sibile comprendere l’essere-inerente dell’accidente, se non si com- prende la sostanza alla quale l’accidente inerisce. e di conseguenza non si può dire che la creatura, in quanto creatura, sia una, dato che essa discende dall’unità, né che sia molti, dato che il suo essere de- riva dall’uno, né che sia una-e-molti insieme. l’unità della creatura esiste piuttosto, in una maniera contingente, in una certa molteplici- tà. la stessa cosa sembra la si debba dire anche per quanto riguar- da la semplicità, la composizione e gli altri attributi opposti fra loro.

101 Quoniam vero creatura per esse maximi creata est, in maximo

vero idem est esse, facere et creare, tunc non aliud videtur esse cre- are quam Deum omnia esse. si igitur Deus est omnia et hoc est cre- are, quomodo intelligi hoc poterit, quod creatura non est aeterna, cum Dei esse sit aeternum, immo ipsa aeternitas? inquantum enim ipsa creatura est esse Dei, nemo dubitat esse aeternitatem; inquan- tum igitur cadit sub tempore, non est a Deo, qui est aeternus. Quis igitur intelligit creaturam ab aeterno et cum hoc temporaliter esse? non potuit enim creatura in esse ipso in aeternitate non esse ne- que potuit prius tempore esse, quando ante tempus non fuit prius; et ita semper fuit, quando esse potuit.

102 Quis denique intelligere potest Deum esse essendi formam nec

tamen immisceri creaturae? non enim ex infinita linea et finita curva potest unum exoriri compositum, quod absque proportio- ne esse nequit. proportionem vero inter infinitum et finitum cade- re non posse nemo dubitat. Quomodo igitur capere potest intellec- tus esse lineae curvae ab infinita recta esse, quae tamen ipsam non informat ut forma, sed ut causa et ratio? Quam quidem rationem non potest participare partem capiendo, cum sit infinita et indivi- sibilis; aut ut materia participat formam, ut socrates et plato hu- manitatem; aut ut totum participatur a partibus, sicut universum a suis partibus; nec ut plura specula eandem faciem diversimode, cum non sit esse creaturae ante ab esse, cum sit ipsum, – sicut spe- culum ante est speculum quam imaginem faciei recipiat.

103 Quis est igitur, qui intelligere queat, quomodo diversimode una

infinita forma participetur in diversis creaturis, cum creaturae esse non possit aliud esse quam ipsa resplendentia, non in aliquo alio

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ma dato che la creatura è creata mediante l’essere del massimo, e nel massimo sono la stessa cosa l’essere, il fare il creare, allora il creare non sembra consistere in altro che nel fatto che Dio è tutte le cose219. se Dio, pertanto, è tutte le cose e se questo significa creare,

come si potrà allora intendere il fatto che la creatura non è eterna, dal momento che l’essere di Dio è eterno, ed è anzi la stessa eterni- tà?220 in quanto la creatura è l’essere di Dio, infatti, nessuno dubita

che essa sia eterna. ma in quanto è soggetta al tempo, essa non de- riva da Dio, che è eterno. chi può dunque comprendere il fatto che la creatura deriva dall’eterno e tuttavia esiste nel tempo? nell’es- sere stesso, infatti, la creatura non poté esistere che nell’eternità, e non poté neppure esistere prima del tempo, dal momento che «pri- ma» del tempo non c’era alcun «prima»221. e così la creatura fu da

sempre, dal momento in cui essa poté essere.

chi può infatti comprendere il fatto che Dio è la forma dell’es- sere222 e che, tuttavia, non si mescola con la creatura? Dalla linea

infinita e dalla curva finita non può infatti nascere un composto unitario, il quale non può esistere senza un rapporto proporzio- nale tra le sue componenti. nessuno, tuttavia, dubita del fatto che fra l’infinito e il finito non può esservi alcun rapporto proporzio- nale223. come può dunque l’intelletto capire che l’essere della cur-

va deriva dall’essere della linea retta infinita, la quale, tuttavia, non informa la curva come fa la forma, ma come fa la causa e il princi- pio razionale? la creatura non può partecipare di questo principio razionale prendendone una parte, in quanto esso è infinito e indi- visibile, né può partecipare di esso come la materia partecipa della forma, come socrate e platone, ad esempio, partecipano della na- tura umana, o come del tutto partecipano le [sue] parti, ad esem- pio come le parti dell’universo partecipano dell’universo, e neppu- re come più specchi partecipano in modi diversi dello stesso volto, perché l’essere della creatura non esiste prima del suo «essere-deri- vata-dall’essere [assoluto]», in quanto l’essere della creatura consi- ste proprio in questo suo «derivare-dall’essere», mentre uno spec- chio è già specchio prima di ricevere l’immagine di un volto224.

chi, pertanto, riesce a comprendere come un’unica forma infi- nita si partecipi in modi diversi nelle diverse creature? l’essere del- la creatura, infatti, non può essere altro che un riflesso dell’unica

positive recepta, sed contingenter diversa? Quemadmodum fortas- sis, si penitus artificiatum ab idea artificis dependens non haberet aliud esse quam dependentiae, a quo haberet esse et sub cuius in- fluentia conservaretur, sicut imago faciei in speculo, posito, quod speculum ante aut post per se et in se nihil sit.

neque potest intelligi, quomodo Deus per creaturas visibiles possit nobis manifestus fieri; nam non sicut intellectus noster so- lum Deo et nobis cognitus, qui, dum in cogitationem venerit, ex quibusdam phantasiis formam quandam in memoria recipit colo- ris aut soni aut alterius, qui prius informis fuit et post hoc aliam as- sumens signorum, vocum aut litterarum formam se aliis insinuat. nam quamvis Deus propter suam cognoscendam bonitatem – ut religiosi volunt – aut ex eo, quia maxima absoluta necessitas, crea- vit mundum, qui ei oboediat, ut sint qui cogantur et eum timeant et quos iudicet, vel aliter: tamen manifestum est eum nec aliam for- mam induere, cum sit forma omnium formarum, nec in positivis si- gnis apparere, cum ipsa signa pariformiter in eo, quod sunt, alia re- quirerent, in quibus, et ita in infinitum.

104 Quis ista intelligere posset, quomodo omnia illius unicae infini-

tae formae sunt imago, diversitatem ex contingenti habendo, qua- si creatura sit Deus occasionatus sicut accidens substantia occa- sionata et mulier vir occasionatus? Quoniam ipsa forma infinita non est nisi finite recepta, ut omnis creatura sit quasi infinitas fini- ta aut Deus creatus, ut sit eo modo, quo hoc melius esse possit; ac si dixisset creator: «fiat», et quia Deus fieri non potuit, qui est ipsa aeternitas, hoc factum est, quod fieri potuit Deo similius. ex quo

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forma infinita, un riflesso, tuttavia, che non viene ricevuto positiva- mente in qualcosa di altro [da esso], ma che è diverso solo per una causa contingente. si potrebbe forse fare un paragone con un ar- tefatto: se l’artefatto dipendesse interamente dall’idea dell’artista e non avesse altro essere che quello della dipendenza, esso avrebbe il suo essere dall’artista e verrebbe conservato sotto la sua influenza, in modo analogo all’immagine di un volto in uno specchio, suppo- sto che, prima e dopo il riflettersi del volto, lo specchio non sia nul- la per se stesso e in se stesso225.

e non possiamo neppure comprendere come Dio possa rendersi manifesto a noi attraverso le creature visibili226. Dio, infatti, non si

manifesta in modo analogo al nostro intelletto, il quale è noto solo a Dio e a noi stessi: quando inizia a pensare, infatti, il nostro intel- letto riceve da talune immagini della fantasia conservate nella me- moria una certa forma, come quella di un colore, o di un suono, o di altri oggetti sensibili; dopo ciò, l’intelletto, che prima era privo di qualsiasi forma, assume altre forme, come quelle dei segni, del- le voci o delle lettere, e si comunica così agli altri [intelletti]. Dio, invece, qualunque sia il motivo per il quale abbia creato il mondo – che lo abbia creato per far conoscere la sua bontà, come voglio- no gli spiriti pii227, o che l’abbia creato per il fatto che egli è la ne-

cessità massima e assoluta228, per avere un mondo che gli obbedi-

sca, nel quale vi siano coloro che gli sono soggetti, che lo temano e che siano da lui giudicati, o infine che l’abbia creato per altri moti- vi –, è tuttavia evidente che non assume un’altra forma [diversa da quella che egli è], dato che Dio è la forma delle forme229, né appa-

re in segni positivi, in quanto questi stessi segni, per la loro stessa natura, ne richiederebbero a loro volta altri nei quali poter appari- re, e così via all’infinito.

chi potrebbe comprendere questo, ossia che tutte le cose sono l’immagine di quell’unica forma infinita e traggono la loro diversità da una causa contingente, come se la creatura fosse un Dio occasio- nato230, così come un accidente è una sostanza occasionata e la don-

na un uomo occasionato? la forma infinita, infatti, non può essere recepita che in modo finito, cosicché ogni creatura è come un’infi- nità finita, o un Dio creato231, ed esiste pertanto nel modo migliore

subinfertur omnem creaturam ut talem perfectam, etiam si alteri- us respectu minus perfecta videatur. communicat enim piissimus Deus esse omnibus eo modo, quo percipi potest. cum igitur Deus absque diversitate et invidia communicet et recipiatur, ita quod ali- ter et altius contingentia recipi non sinat, quiescit omne esse crea- tum in sua perfectione, quam habet ab esse divino liberaliter, nul- lum aliud creatum esse appetens tamquam perfectius, sed ipsum, quod habet a maximo, praediligens quasi quoddam divinum mu- nus, hoc incorruptibiliter perfici et conservari optans.

105 capitUlUm iii

Quomodo maximum complicet et explicet omnia inintelligibiliter

nihil dici aut cogitari potest de veritate investigabili, quod in prima parte non sit complicatum. Omnia enim, quae cum eo, quod de veritate prima ibi dictum est, concordant, vera esse necesse est; cetera, quae discordant, falsa sunt. ibi autem ostensum reperitur non posse esse nisi unum maximum omnium maximorum. maxi- mum autem est, cui nihil potest opponi, ubi et minimum est maxi- mum. Unitas igitur infinita est omnium complicatio; hoc quidem dicit unitas, quae unit omnia. non tantum ut unitas numeri com- plicatio est, est maxima, sed quia omnium; et sicut in numero ex- plicante unitatem non reperitur nisi unitas, ita in omnibus, quae sunt, non nisi maximum reperitur. ipsa quidem unitas punctus di- citur in respectu quantitatis ipsam unitatem explicantis, quando nihil in quantitate reperitur nisi punctus; sicut undique in linea est punctus, ubicumque ipsam diviseris, ita in superficie et corpore.

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poiché Dio, che è la stessa eternità, non poteva essere fatto, è stato fatto ciò che poteva essere fatto di più simile a Dio. Da ciò inferia- mo che ogni creatura, in quanto tale, è perfetta, anche se può sem- brare meno perfetta in rapporto ad un’altra. nella sua somma be- nevolenza, infatti, Dio comunica l’essere a tutte le cose nel modo in cui esse lo possono recepire. poiché Dio, pertanto, comunica l’es- sere senza diversità e senza invidia232, e poiché ciò che egli comuni-

ca viene recepito in modo tale che la contingenza non consente che esso venga recepito in modo diverso o in misura più elevata, ogni essere creato riposa nella propria perfezione, che esso riceve con li- beralità dall’essere divino; e non desidera essere un’altra creatura, come se questa fosse più perfetta233, ma predilige ciò che ha ricevu-

to dal massimo, quasi come un dono divino, e si augura di poterlo perfezionare e conservare in maniera incorruttibile.

capitOlO iii

Il massimo complica ed esplica tutte le cose in un modo per noi incomprensibile

Della verità, nella misura in cui può essere da noi indagata, non si può dire o pensare nulla che non si trovi già complicato nella prima parte. tutto ciò, infatti, che concorda con quanto nella pri- ma parte abbiamo detto a proposito della prima verità è necessa- riamente vero. Quanto invece non concorda con esso è falso; ora, nella prima parte si è dimostrato che non può esservi che un solo massimo di tutti massimi234. il massimo, tuttavia, è ciò che non

può avere nulla come suo opposto, e nel quale anche il minimo è il massimo235. l’unità infinita, pertanto, è la complicazione di tutte le

cose236. Unità, infatti, significa proprio questo, ossia che essa unisce

tutte le cose. l’unità infinita è massima non solo perché è la compli- cazione del numero, ma perché è la complicazione di tutte le cose. e come nel numero, che è l’esplicazione dell’unità, non si rinviene che l’unità237, così in tutte le cose che esistono non si rinviene che il

massimo. Questa unità si chiama punto in riferimento alla quanti- tà, la quale è l’esplicazione di tale unità; nella quantità, infatti, non si rinviene altro che il punto. come nella linea, per quanto tu la di- vida il punto è presente ovunque, così accade anche nella superficie