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Nota sulle decorazioni pittoriche presenti nel Palazzo Capponi

Nel documento Palazzo Capponi (pagine 170-173)

Nota sulle decorazioni pittoriche

presenti nel Palazzo Capponi

paratorio ad incisione diretta sull’intonaco fresco.

Allo stesso periodo risalgono anche i due paesaggi collocati sui lati corti della sala (tav. ). Essi presentano, come i tre preceden-ti, tracce dello stacco, avvenuto tagliando in due o quattro porzioni i pannelli dipinti, nonché lo stesso tipo di intonaco a base di calce e pozzolana. Anche la tavolozza risulta essere costituita dai medesimi pigmenti, a base di smaltino per l’azzur-ro, di malachite per i verdi, di terre e terre d’ombra per le tona-lità brune e ocra; analoga anche la stesura del tessuto pittorico, caratterizzata da pennellate più corpose nei chiari e da velature liquide, spesso sovrapposte, per gli altri colori. I restanti quat-tro pannelli con paesaggi presenti nella stanza devono, invece, ritenersi interamente ridipinti, come tutto il fregio, all’epoca dei lavori eseguiti negli anni Cinquanta.

Nelle tre sale adiacenti le caratteristiche delle decorazioni pitto-riche non appaiono molto diverse. Ad eccezione di quelle presenti nell’ultima sala sul fronte stradale, che si possono considerare, sia sotto il profilo stilistico che delle tecniche e dei materiali impiegati, interamente riconducibili agli anni Cin-quanta del Novecento, le decorazioni negli altri due ambienti sono frutto anch’esse di due fasi esecutive: contemporanea per quanto riguarda il fregio e le cornici, e antica per quanto con-cerne i pannelli con le scene di paesaggio.

Nella seconda sala affacciata su via di Ripetta, più piccola di dimensioni di quella posta in angolo, le decorazioni a tema di paesaggio si presentano particolarmente deteriorate, con i segni della perdita estesa della pittura originale maldestramente risar-cita dopo lo stacco e la ricollocazione in loco. Qui i paesaggi, alternati a poco elaborati motivi a grottesca, si caratterizzano per la presenza di un’architettura principale, posta in primo piano centrale o lateralmente; le architetture, di fantasia e di gusto sia archeologico che moderno, dominano lo sfondo natu-rale che raffigura ora un paesaggio fluviale con un’imbarcazio-ne, ora una veduta di campagna con qualche viandante (tavv.

, , ).

Nella terza sala, dove il fregio moderno appare costituito da erme sormontate da ceste di fiori (di tipologia differente rispet-to a quanrispet-to si osserva nella prima stanza), i pannelli con le pitture di paesaggio sono inseriti in cornici di formato rettango-lare sulle pareti lunghe, e sulle altre in clipei inscritti entro ulte-riori cornici quadrate; anche questi ultimi, come rivelano tracce evidenti sulla muratura, dovevano essere in origine di formato rettangolare, talché l’inserimento in cornici rotonde è da ricon-durre alla fase moderna (tavv. , , ).

Accanto alle consuete vedute naturali con resti archeologici o con borghi di città e paesini, figurano in questa sala anche due scene di diverso tema: una marina, o forse una battaglia navale, consistente nella veduta dall’alto di un gruppo di imbarcazioni di varie dimensioni sulle quali sembrano avvolgersi nugoli di fumo; e una scena di vita religiosa, raffigurante una piccola pieve posta su un’altura con un monaco od un eremita in atto di

accogliere altri due religiosi sopraggiunti da un sentiero di campagna (tavv. , ).

Da quanto precede può concludersi che la parte antica delle decorazioni pittoriche è oggi limitata alle sole prime tre sale, a partire da quella in angolo con via Brunetti, e unicamente ad alcuni dei pannelli con le scene di paesaggio; mentre le parti restanti, costituite dal fregio, si devono agli interventi novecen-teschi. Malgrado i rifacimenti moderni, pare plausibile che fin dall’inizio queste pitture fossero inserite in un continuum deco-rativo costituito da un fregio posto alla sommità della parete, secondo il gusto ampiamente diffuso nei palazzi e nelle ville romane a partire dalla metà del Cinquecento, e che, nel corso della seconda metà dello stesso secolo, fu in voga anche nelle committenze pontificie: basti pensare ai lavori per le logge Vati-cane voluti da Pio IV(-); a quelli promossi da Gregorio

XIII(-) in un nuovo settore delle Logge – nella Galleria delle Carte geografiche e nella Torre dei venti –; ai numerosi affreschi con paesaggio commissionati da Sisto V(-) nel Palazzo lateranense; o, ancora, alle decorazioni eseguite per la Scala Santa o per la Sala grande del Palazzo alle Terme di Villa Montalto.

Se ci si sofferma, inoltre, ad osservare con maggiore attenzione alcuni elementi del fregio – in particolare le erme della prima sala, terminanti alla base con volute vegetali, o, nella seconda sala, i motivi a grottesca con sirene, dal corpo formato da gran-di foglie da cui si gran-dipartono girali –, e se è lecito supporre che i restauri novecenteschi abbiano replicato, seppure in forma semplificata, i modelli preesistenti, pare plausibile l’accosta-mento di siffatti motivi decorativi a tipologie ancora in voga nei cantieri sistini dell’ultimo quarto del Cinquecento, fra cui quel-lo del Portico del Pio Istituto di S. Spirito in Sassia, dove sche-mi analoghi vennero impiegati nelle pitture del Loggiato attri-buite ad Ercole Perilli (tavv. , ).

Se, dunque, taluni elementi del fregio con scene di paesaggio inducono a collocare la sua esecuzione in un arco temporale coincidente con una fase storica del palazzo compresa tra gli anni di Francesco e Geronimo Serroberti (-) e quelli di Amerigo Capponi (-), meno certa appare la datazione e l’attribuzione delle scene di paesaggio, per l’assenza di docu-mentazione e per i pesanti interventi di restauro subiti. Sotto il profilo tipologico e stilistico, tali dipinti potrebbero tuttavia – ove il tessuto pittorico originario non fosse stato alterato dagli interventi successivi – ricondursi alla mano di più di un artista.

Alcuni paesaggi, come quelli contenuti nei due ovali, la marina e quelli presenti nella seconda sala, presentano infatti alcune comuni caratteristiche: l’elemento architettonico vi domina sul-la parte naturale, risolta con tratti alquanto sintetici; le architet-ture, prevalentemente di gusto classico, sono creazioni di fanta-sia nelle quali convive la memoria di antiche vestigia con sugge-stioni liberamente rielaborate; l’immagine architettonica è filtra-ta in primo piano da un sipario di alberi filiformi, dal fusto



sottile e dalle fronde rade e quasi spoglie; il punto di vista appa-re rialzato, i colori chiari, il tratto sottile e quasi grafico.

Elementi, questi, che denotano probabilmente la progettazione dei soggetti sulla base di modelli tratti dai repertori di incisioni italiane e straniere che circolavano ampiamente nelle botteghe degli artisti (tavv. , , , , , ).

Un altro gruppo di pitture, presenti in tutte e tre le stanze, ap-pare invece caratterizzato da una prevalenza dell’elemento na-turale. È il paesaggio il tema centrale, che occupa la parte prio-ritaria del dipinto: alberi dall’ampia chioma sono disposti a guisa di quinte laterali, tra cui si dischiude un ampio orizzonte, sul quale si alternano in lontananza piccoli borghi circondati da una ricca vegetazione, piccole cascate e corsi d’acqua, catene montuose (tavv. , ).

Tipologicamente a sé stante, nella terza sala, è la scena raffigu-rante la piccola pieve, unico caso in cui ricorre accanto al tema paesaggistico un episodio - benché reso con tratti sommari – di vita religiosa. Peculiare, in questo pannello, pare anche l’inclu-sione nella scena di paesaggio di un costone di roccia e di un arco naturale, elemento forse ripreso da una maniera esecutiva di ambito nordico e osservabile anche in un affresco di analogo soggetto in Palazzo Paravicini (oggi Besso) a Roma, eseguito all’inizio del XVIIsecolo da Tarquinio Ligustri5(tav. ).

In ragione dei loro caratteri stilistici le decorazioni di cui si trat-ta potrebbero dunque attribuirsi ad uno o più artisti, capaci di assorbire l’influenza di modelli diversi e di riversarli in nuove e fantasiose versioni; certamente legati alla tradizione romana, manierista e con influenze fiamminghe, e a sé stanti rispetto alle innovazioni del “paesaggio naturalizzato” proposto dai maestri bolognesi. Se esse siano poi da ricondurre al periodo dei Serro-berti o agli anni in cui Amerigo Capponi restaurò il palazzo, è arduo da stabilirsi nel silenzio dei documenti. Si può semplice-mente osservare che, nel primo caso, l’esecuzione delle pitture risulterebbe pressoché contemporanea a quella di altri e più importanti cantieri – come quello delle Logge di Pio IV–, e potrebbe pertanto ipotizzarsi l’incarico da parte di Francesco e Geronimo Serroberti ad un’artista alquanto aggiornato circa le tendenze del gusto più innovative. Diversamente, la stratifica-zione dei vari modelli tipologici, quale si riscontra nel ciclo decorativo, potrebbe far pensare ad un’esecuzione commissio-nata da Amerigo Capponi all’inizio del XVIIsecolo, con l’inter-vento di un maestro consolidato su modi tardo-manieristi, in linea con il gusto di stampo tradizionale che caratterizzò altre committenze della famiglia in quegli anni.

NOTE

1Verbale di concordamento dei nuovi prezzi, n.4, datato 20 giugno 1954, p. 14, e Verbale di collaudo del 29 febbraio 1956. Roma, Archivio dell’Inail, Fondo palazzo Capponi.

2Le indagini diagnostiche sono state eseguite nel 2002 a cura dello studio associato EMMEBICIMetodologie di indagine per i Beni Culturali.

3Sull’evoluzione del fregio dipinti nei palazzi italiani fra XV e XVI seco-lo si veda BOSCHLOOA.W.A., 1981, pp. 129-141.

4Oltre alla composizione della malta a base di calce e polvere di marmo, anche la presenza, nei pigmenti, di bianco di zinco e, per i toni di azzurro, di oltremare artificiale, entrambi commercializzati diffusamente a partire dal terzo decennio dell’Ottocento, costituiscono per queste parte delle pitture, un termine post-quem certo.

5Il ciclo di pitture del Ligustri a palazzo Besso è documentato in GUER

-RIERIBORSOIM.B., 2000, pp. 101-112, tav. IX.



La ricerca d’archivio effettuata sul fondo Capponi conserva-to presso l’Archivio Capiconserva-tolino di Roma ha rivelaconserva-to, fra le carte relative al palazzo e alle altre proprietà del ramo romano della famiglia, l’esistenza di un nucleo omogeneo di documenti concernenti l’acquisizione e la decorazione della Cappella in S.

Giovanni dei Fiorentini, in base ai quali è possibile ricostruire le fasi esecutive dei lavori, precisare l’identità dei singoli pro-motori rispetto a quanto già noto, confermare attribuzioni già avanzate circa la paternità delle opere, restituire una datazione certa alla pala d’altare, e, in generale, lumeggiare i rapporti che intercorsero tra committenti ed esecutori.

Poiché l’acquisizione della Cappella costituì, al pari dell’ac-quisto del palazzo cittadino e della villa suburbana, il modo in cui la famiglia consolidò la propria posizione in Roma, ed essendo questa l’unica opera commissionata dai Capponi fino ad oggi conservatasi pressoché intatta – a differenza della villa, oggi scomparsa, e del palazzo di Ripetta, profondamente altera-to nel corso del tempo –, è parso opportuno riportare le notizie tratte dalle carte d’archivio, le quali potranno servire a mettere in più chiara luce gli interessi artistici dei Capponi e i caratteri del loro mecenatismo, con ciò aggiungendo un piccolo tassello alla storia del collezionismo aristocratico nella Roma del XVII

secolo1.

Contemporaneamente alla acquisizione del palazzo di Ripet-ta, fra il secondo e il terzo decennio del XVIIsecolo, la famiglia Capponi volle dunque dotarsi anche di una cappella di famiglia nella Chiesa di S. Giovanni de’ Fiorentini, sita nel quartiere della Nazione fiorentina e punto di riferimento per tutti i concittadini residenti in Roma. La vita della comunità che face-va capo alla Chiesa suddetta era infatti legata alla “Compagnia della Pietà dei Fiorentini”, poi divenuta Arciconfraternita, la quale, istituita in occasione della pestilenza del , riuniva al suo interno banchieri, commercianti, artigiani e artisti fiorentini trasferitisi nella Città (fig. ).

Appare certo, come si è detto in esordio, che tale decisione fosse dettata dall’intento dei componenti del ramo romano dei Capponi di radicarsi nella Città che li aveva accolti, poiché la famiglia già possedeva una prestigiosa cappella a Firenze, nella Chiesa di S. Felicita, acquistata nel  dall’avo Ludovico, dedi-cata alla SS. Annunziata e per intero nuovamente decorata, fra il  e il , dal Pontormo con affreschi ed olii su tavola raffiguranti l’Annunciazione e i quattro Evangelisti, e una pala d’altare con la Deposizione2.

La lunga edificazione di S. Giovanni de’ Fiorentini era stata da poco completata, nell’estate del , dal Maderno (al quale si devono l’abside, il transetto e la cupola), incaricato nel 

dopo che su un primo progetto, risalente al Bramante e agli anni in cui per volontà di Giulio IIfu realizzato il rettifilo di via Giulia (), si erano, per diverse vicende, cimentati alcuni fra i più famosi architetti del tempo, da Raffaello a Jacopo Sansovino a Giuliano da Sangallo il Giovane a Michelangelo a Giacomo

della Porta, con conseguenti cambiamenti del progetto in corso d’opera ed inevitabili rallentamenti durati quasi un secolo3.

È nel , o poco prima, che il fratello di Amerigo Capponi, monsignor Orazio, ottenne, come altre famiglie toscane in quel torno d’anni, il patronato di una cappella nella Chiesa di S.

Giovanni: gli fu assegnata la Cappella della SS. Croce, posta nel transetto sinistro, “concessagli ad effetto di ornarla, e dotarla alla quale lascia un censo di sc. , e vuole che si faccia dall’ere-de”, come apprendiamo dal suo testamento del  marzo 4. Morto il  marzo di quello stesso anno5, Monsignor Orazio fu il primo della famiglia ad essere sepolto nella Cappella6, sebbe-ne i lavori avviati sebbe-nel  non fossero ancora finiti e dovesse portarli a termine, negli anni seguenti, Gino Angelo Capponi, figlio di Amerigo nonché nipote ed erede del prelato7.

A quel tempo la Chiesa doveva avere, per i molti interventi di decorazione delle navate e delle singole cappelle, l’aspetto di un alacre cantiere frequentato da artisti di gran nome: basti pensare agli affreschi del Circignani nella Cappella di S.France-sco d’Assisi (ante ), agli affreschi del fiorentino Giovanni Balducci nella Cappella dedicata a S. Maria Maddalena de’

Pazzi (-), ai quadri del Cigoli, originario di Castelvec-chio vicino Firenze, in quella dedicata a S. Girolamo (), agli affreschi del pisano Orazio Gentileschi nella Cappella di S.

Filippo Benizi (), al rivestimento marmoreo della Cappella della Madonna eretta dalla Nazione fiorentina e decorata su progetto di Carlo Maderno e Matteo Castelli (-), ai dipinti per la medesima Cappella di Agostino Ciampelli e Anastasio Fontebuoni ( e ), alla pala d’altare del Ciampelli nella Cappella di S. Antonio Abate e S. Lorenzo (), alla decora-zione della Cappella Sacchetti con dipinti di Giovanni Lanfran-co (tra  e ), al monumento funebre di Antonio Barberi-ni (), e al progetto di Pietro da Cortona per l’altare maggio-re su incarico di Orazio Falconieri ()8.

I primi incarichi per i lavori da eseguire nella Cappella Capponi – che si volle dedicare a S. Maria Maddalena – risalgo-no al  e sono registrati fra i pagamenti di monsignor Orazio, a riprova del fatto che le committenze provennero dal prelato e solo in seguito, dopo la sua morte, da Gino Angelo Capponi. I documenti relativi, assai dettagliati e di notevole interesse, consentono di ricostruire le varie fasi degli interventi, di indivi-duare gli artisti incaricati e di apprendere, in particolare, quali materiali siano stati impiegati per la decorazione della Cappella, conservatasi fino ai nostri giorni nel suo originario aspetto.

Le opere commissionate dai Capponi riguardarono i rivesti-menti marmorei, gli stucchi, una pala d’altare e alcuni arredi liturgici, e furono eseguite sotto la supervisione del Maderno, come risulta dalla lettera d’incarico destinata al marmista: la balaustra, il pavimento, tutti i particolari architettonici, il colore dei marmi, il disegno complessivo della cappella, “dovrà essere conforme all’ordine che darà l’architetto Carlo Maderno”9. Il celebre architetto, assieme a Bastiano Guidi, è altresì nominato

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Nel documento Palazzo Capponi (pagine 170-173)