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Palazzo Capponi

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Academic year: 2022

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Palazzo Capponi

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Ringraziamenti

Archivio Notarile Distrettuale

Archivio di Stato di Frosinone (sez. di Veroli) Archivio di Stato di Roma

Archivio Storico del Vicariato Archivio Storico Capitolino Biblioteca Apostolica Vaticana Biblioteca della fondazione Besso Biblioteca della Camera dei Deputati

Biblioteca dell’Istituto Storico della Compagnia di Gesù Collegio Internazionale degli Agostiniani

di S. Monica, Archivio degli Agostiniani in S. Maria del Popolo

“La Civiltà Cattolica”

In copertina: Prospetto di Palazzo Capponi, , disegno a china su carta. Roma, Archivio Capitolino Progetto grafico di Gianni Trozzi

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

©Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici

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 Roma, viale Battista Bardanzellu, 

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 ---

Il volume è stato realizzato d’intesa tra l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici e l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e con il contributo di:

Associazione nazionale artigiani dell’edilizia, dei decoratori, dei pittori ed attività affini Associazione nazionale costruttori edili Associazione nazionale imprese edili

Associazione delle organizzazioni di ingegneria, di architettura e di consulenza tecnico-economica Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori

Consiglio nazionale geometri Consiglio nazionale degli ingegneri San Paolo

Unipol Assicurazioni

Trascrizione dei documenti Alessandra Camerano Referenze fotografiche Roma, Fondazione Besso

Roma, Archivio Storico Capitolino Roma, Biblioteca dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte

© Biblioteca Apostolica Vaticana (Vaticano), pp. , ,

, , , , -, , , , -

C. Benocci, , G. Sale, , G. De Rosa, 

Giorgio Rossi, pp. -, , , , , -, , -

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Palazzo Capponi a Roma

Maria Letizia Papini

Casa vicino al Popolo, a man manca

per la strada di Ripetta

Campisano

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pag.  Presentazione

Francesco Garri, Vincenzo Mungari

 Introduzione Sandro Benedetti

 Premessa

Maria Letizia Papini

ORIGINI E SVILUPPO DELLAREA URBANA INTORNO APALAZZOCAPPONI

 L’area intorno al Palazzo Capponi in epoca medioevale

 L’area intorno al Palazzo Capponi in epoca moderna

Da Niccolò Va Sisto V. La via di Ripetta e la prima urbanizzazione del quartiere.

Da Paolo Va Clemente X. La trasformazione barocca del quartiere.

Le ultime trasformazioni tra Otto e Novecento.

LA STORIA DEL PALAZZO NEL XVI SECOLO

 Premesse ad uno studio sulle origini del palazzo

 Il palazzo dei Serroberti

IL PALAZZO E LA FAMIGLIACAPPONI NEL XVII SECOLO

 Il ramo romano della famiglia Capponi: Amerigo

 Il palazzo di Amerigo Capponi

 Il giardino

 Le fontane e l’Acqua Vergine

 Le vicende del palazzo fino alla fine del XVIIsecolo

 Mecenatismo e collezionismo della famiglia Capponi a Roma nel XVIIsecolo PALAZZOCAPPONI NEL XVIII SECOLO

 Alessandro Gregorio Capponi

 La residenza di Alessandro Gregorio

 Alessandro Gregorio, collezionista e bibliografo

La “Libraria”. La collezione moderna: dipinti, disegni, stampe e sculture.

La collezione di antichità.

 Il palazzo e le collezioni: l’allestimento delle opere LA STORIA DEL PALAZZO FRA XIX E XX SECOLO

 Il palazzo nel XIXsecolo: le famiglie Crespi, Koebel, Mencacci e Campanari

 Il palazzo nel XXsecolo: dalla Civiltà Cattolica all’Istituto Nazionale Assistenza Infortuni sul Lavoro

 Tavole APPARATI

 Nota sulle indagini diagnostiche eseguite sugli affreschi esistenti nel palazzo

 La cappella Capponi in San Giovanni dei Fiorentini

 La villa Capponi fuori Porta del Popolo

 Regesto dei documenti

 Documenti

 Fonti manoscritte

 Bibliografia

 Indice dei nomi

Indice

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 Il recupero di Palazzo Serroberti-Capponi, anche

noto come Campanari, voluto dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), quale proprietario dell’immobile, e dall’Auto- rità per la vigilanza sui lavori pubblici, che qui ha la sua sede, è stato accompagnato dalla convinzione che con tale restauro non solo si riconsegnasse alla città un palazzo dalla recuperata e manifestata bellezza, ma si consentisse anche di restituirlo a funzioni coerenti con quelle originarie.

Il libro che qui presentiamo è la storia puntuale, ripercorsa anche grazie alla consultazione di fondi archivistici, di questo edificio, testimonianza particolar- mente interessante dell’architettura del secondo Cin- quecento e delle sue aggiunte e trasformazioni nei seco- li successivi.

Inoltre, l’accurato lavoro storico-critico di Letizia Pa- pini, ha evidenziato come il palazzo sia stato da sempre legato alla vita di personaggi pubblici con importanti ruoli civili e culturali, spesso impegnati in funzioni di pubblici amministratori.

E in questo segno la sua storia è proseguita anche nel più recente XX secolo: acquistato dall’INAIL, fu inizial- mente sede di alcune strutture della Direzione generale dell’Istituto. La destinazione attuale lo vede gestito dal-

l’Autorità, istituzione voluta dal Parlamento italiano.

All’Autorità è affidata la funzione di garantire l’osser- vanza delle norme dei principi dell’Unione Europea e delle Leggi italiane in materia di appalti, nonché di assicurare, con la sua azione, la qualità delle opere, an- che in termini di sicurezza sul lavoro, la rispondenza alle esigenze della collettività, la coerenza dell’attività delle amministrazioni pubbliche e del mercato ai prin- cipi di concorrenza, di efficienza e di economicità.

Al recente restauro dell’immobile hanno collaborato, con convinta e sinergica determinazione, professiona- lità di entrambe le Istituzioni; si è così recuperata una testimonianza storico-artistica affacciata su quella via di Ripetta, voluta da Leone Xall’inizio del Cinquecento, nell’ambito del piano leonino e disegnata forse da Raffaello, quale più rapido accesso alla Basilica di San Pietro per i pellegrini provenienti dal nord.

Negli ambienti dell’edificio così restaurato, trovano oggi ordinata e funzionale collocazione, grazie anche ad una moderna tecnologia, rispettosa dell’esigenza di salvaguardare l’originaria architettura, gli uffici del- l’Autorità.

Francesco Garri Vincenzo Mungari

Presidente dell’Autorità per Presidente INAIL

la vigilanza sui lavori pubblici

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 L’architettura nella sua motivazione basale nasce per

dare risposta alle esigenze di vita di chi ne promuove la costruzione o di chi, dopo la sua prima realizzazione, la usa adeguandola alle proprie esigenze. Non solo a quelle puramente funzionali, ma soprattutto a quelle di livello superiore di tipo rappresentativo; legate al ruolo che il committente o le famiglie rivestono nella città, nella società, nel mondo culturale.

Di qui la notevole importanza giuocata dalla commit- tenza rispetto alla qualità della singola architettura soprat- tutto nei tempi precedenti l’avvento della Modernità.

Cosa sagacemente messa in evidenza da Letizia Papini – attraverso il notevole risultato conseguito col presente li- bro – intrecciando le scoperte sulla stratificata realtà edili- zia dell’edificio studiato alla illustrazione del mondo e della vita dei suoi committenti. Primo tra tutti quell’Ales- sandro Capponi, che fece assurgere il Palazzo ad impor- tante luogo di incontro e di studio nella Roma del primo Settecento. In effetti mentre l’originario edificio “palazzo o casa grande”, fatto costruire da Geronimo Serroberti

“speziale di origine perugina” intorno alla metà del XVI

secolo tra il  ed il  poi incrementato con acquisto di una casetta contermine nel  divenendo “domum magnam”, resta quasi sconosciuto nelle rappresentazioni iconografiche di Roma del ’, esso comincia a compari- re nella pianta di Roma del Maggi del ; cioè successi- vamente al passaggio nel  dell’immobile dai Serroberti ad Amerigo Capponi. Il quale era divenuto nel  Vice Castellano di Castel Sant’Angelo.

Con i Capponi l’edificio tra ’ e ’ si evidenzia co- me luogo di vita di una famiglia con un importante ruolo civile e culturale. Al punto che nella Pianta planimetrica di Roma di Matteo Gregorio De Rossi del , nella quale non sono rappresentate le volumetrie edilizie ma soltanto sono evidenziati i luoghi più importanti della città con scritte, viene individuato il sito del Palazzo con la scritta “Pal. Capponi”. Mettendone in emergenza la presenza rispetto all’anonimo tessuto degli isolati residen- ziali circostanti.

In effetti saranno i Capponi che arricchiranno trasfor- meranno in maniera decisa l’originario organismo cinque- centesco. Non solo realizzando un giardino interno di particolare importanza, ma incrementando l’organismo stesso con più interventi. Dapprima – come sagacemente ha ricostruito la Papini – da Amerigo Capponi all’inizio del Seicento, dopo l’acquisto dai Serroberti, con l’omoge- nizzazione formale, la rifusione funzionale e formale tra le due parti costituenti l’insieme su via Ripetta – costruzione

cinquecentesca e casa contigua sulla sinistra – lasciate accostate da Francesco e Geronimo Serroberti, poi ag- giungendo un gruppo di case a schiera con orti sull’origi- naria via delle Scalette (oggi via Brunetti), anche al fine di ampliare l’area del giardino preesistente. Un intervento che, iniziato nel 5 e finito nel , determinerà l’esten- sione della facciata cinquecentesca sulla sinistra ingloban- do la “domuncula” acquistata da Serroberti, la rifazione totale del tetto, una nuova copertura a cupola alla torre esistente posta su via delle Scalette, una massiccia ristrut- turazione interna con la creazione di una fila di mezzanini nella facciata tra piano terra e piano nobile, la trasforma- zione della parte finale dei cantonali da bugnati a lesene, l’inserimento di statue agli angoli della balaustra sommita- le al di sopra del cornicione preesistente e ai fianchi del balcone posto sul portale di ingresso. Col risultato di una intensificazione rappresentativa dell’immobile, fatta docu- mentare espressamente a tal fine da Giacomo Lauro in un’incisione datata . A cui aveva fatto seguire tra il

 e  una completa riprogettazione e qualificazione del giardino del Palazzo con tre fontane, di cui una gran- de a tre vasche, con alberi, con siepi, riquadri, aiuole, melangoli, cedri e così via. Un giardino purtroppo forte- mente manomesso dalle costruzioni del XXsecolo.

Quindi con l’ulteriore trasformazione settecentesca fatta intraprendere da Alessandro Capponi, che vissuta la propria giovinezza presso il Palazzo occupato dalla Regi- na Cristina di Svezia alla Lungara e nominato Conservato- re della Camera Capitolina nel , aveva maturato uno spiccato interesse per gli studi eruditi unita alla passione per la raccolta di oggetti d’arte, l’antiquaria, i libri, i manoscritti: finalizzata alla costituzione nel Palazzo di via Ripetta di una Biblioteca di Letteratura Italiana ed un Museo privato di Antichità. Membro dell’Accademia degli Arcadi, di quella dei Quirini, di quella della Crusca e di altre prestigiose strutture culturali non solo italiane, Alessandro diventerà nel  consigliere personale di Papa Clemente XII Corsini, oltre ad occupare ulteriori cariche pubbliche. Tra cui quella conseguita nel  di Presidente antiquario del nuovo Museo Capitolino, realiz- zato nel Palazzo Nuovo del Campidoglio con la definizio- ne museale del Barigioni. Per adeguare il Palazzo di Ripetta alle notevoli utilizzazioni culturali e di studio deri- vanti dai suoi molteplici interessi il Capponi sottoporrà il Palazzo a revisioni, trasformazioni e adattamenti. Sia per arricchirlo di spazi di rappresentanza, che per accogliere la sua “singolarissima Libreria”, lo “scelto Museo” di

“cammei e pietre intagliate”, i reperti di antichità celebra-

Introduzione

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ti enfaticamente nel  da una Guida di Roma.

Una serie di lavori, ottimamente documentati dalla Papini; con interventi murari al secondo piano, ai mezza- nini sottostanti, per i quali compare l’architetto Francesco Bianchi; di realizzazione tra il  ed il  di una “nuova fabbrica” verso il giardino nel secondo piano, in cui è atti- vo dal  Francesco Ferruzzi con “l’aggiunta di nove stanze al piano superiore del Palazzo”, trasformazioni nei

“primi mezzanini”, nei due piani nobili, nell’androne, nei cortili, nel rinnovo della preesistente scala a chiocciola posta a sinistra dell’androne; oltre a notevoli interventi di stucchi, costruzioni di nuove librerie e credenzoni, nonché decorazioni pittoriche ad opera di Antonio Bicchierari e Onofrio Avellino.

Lavori rinnovati nel  dopo le distruzioni causate da un incendio, che aveva colpito l’area urbana compresa tra via Ripetta ed il Tevere.

Un edificio quindi di particolare importanza, documen- tato dettagliatamente da una stima di Ferdinando Fuga connessa alla morte nel  di Alessandro.

In ombra rispetto all’efficacissima definizione delle vicende architettoniche, culturali e rappresentative del Palazzo nella fase Capponi, così attentamente sviluppate dall’Autrice, è rimasta invece, nonostante l’impegno profuso, la conoscenza delle sue vicende cinquecentesche al tempo dei Serroberti prima della vendita ai Capponi.

La cui costruzione, avvenuta in più interventi tra il 

ed il , aveva consegnato un organismo, che – ancorché impiantato su preesistenze edilizie - tuttavia aveva raggiunto una sua definizione efficace: quale quella forse documentata dal disegno presente all’Archivio Capitolino nel Fondo Cardelli, sagacemente ritrovato e riportato nel testo della Papini. Esso è testimonianza preziosa, perché ci documenta una prima definizione dell’immagine del Palazzo su via Ripetta, che costituirà accordo base nelle trasformazioni successive. Importante, in carenza di altri documenti che consentano di valutare l’opera cinquecen- tesca, è anche la sintetica descrizione pubblicata dal Tomei nel  in un elenco di palazzi di Roma dei primi anni del XVII secolo e citata nel libro. “Casa …. vicino al Popolo, a man manca per la strada di Ripetta: ha la faccia- ta dinanti di passi  et fianchi di passi . Ha doi finestra- ti di  finestre l’uno. La porta non è nel mezzo”. Il dise- gno dell’Archivio Capitolino sopra richiamato evidenzia questa sintetica descrizione, cui però aggiunge qualche ulteriore indicazione. Caratterizza “la porta” come riso- nante Portale bugnato facente sistema con il balcone superiore; colloca tre finestre al piano terra, di cui due

strettamente addossate al portale; inserisce tra i: “doi fine- strati di  finestri”, segnalati nella descrizione nel Tomei del , un nuovo piano di mezzanini formati da 6 fine- stre quadrate; conclude la cornice superiore con una balaustra a balaustrini cadenzati da pilastrini; evidenzia sulla destra una gigantesca altana larga un terzo della facciata ed alta quasi tre piani, a due arcate, chiusa supe- riormente da una lanterna. Elementi tutti che ricompaio- no – a parte una fila di ulteriori mezzanini sopra al piano terra, dell’altana ricondotta a meno preminente torretta, della rifusione conseguente all’allargamento a sinistra con un altro piccolo portone – nell’incisione fatta eseguire dal Capponi a Giacomo Lauro nel .

Sul tono severo e sintetista, che caratterizza la composi- zione dei finestrati di questa facciata, che nel disegno del Fondo Cardelli sembrerebbero disposti in modo da isola- re l’asse del portale principale rispetto alle altre finestre – cosa che invece scompare nei disegni successivi e nella costruzione eseguita, dove le finestre sono cadenzate in ritmo omogeneo –, spicca il vistoso portale a risonante bugnato plastico. Ad esso si aggiunge la balaustrata posta a chiudere superiormente la composizione. Circa questa conclusione a balaustrini, poco usuale elemento per i palazzi, va segnalato che essa introduce un richiamo auli- co nel tema residenziale, e – come accenna l’Autrice – sembra evocare la terminazione superiore dei Palazzi Capitolini.

Il portale a bugnato nel contesto della sintetica confor- mazione della parete è elemento speciale: caratterizzato da lunghe bugne cuneiformi poste a raggiera intorno all’arcata del portone, fuse a quelle laterali dell’ordine architettonico tuscanico. L’incertezza interpretativa, non risolvibile allo stato attuale delle conoscenze, del disegno Fondo Cardelli – che l’autrice propone come possibile

“stato dell’edificio al momento dell’acquisto” o come

“primo sommario progetto di ristrutturazione”, oltre che la mancanza di rilievi attuali del pluristratificato organi- smo costruttivo – non consentono di avanzare un’ipotesi sull’autore del palazzo. Visto il silenzio al riguardo dei documenti archivistici cinquecenteschi fin qui ricercati e ritrovati. Considerando anche che l’unico tentativo attri- buzionistico, quello di riferire l’opera al Vignola, compare dopo due secoli dalla realizzazione, soltanto nel  nella Guida di Roma del Roisecco.

Circa il carattere dell’architettura documentata dal foglio Archivio Cardelli esso si può individuare in una estrema semplicità compositiva; cosa che lo affianca a modi di orchestrazione parietale propri della lezione di



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Antonio da Sangallo il Giovane, sviluppati dopo la sua morte nelle modalità più sintetiche, dai suoi seguaci: in particolare Nanni di Baccio Bigio, Guidetto Guidetti, Mangone. A cui però si contrappone l’intensa caratteriz- zazione plastica del portale bugnato, facente sistema con il balcone superiore. Su questo elemento che si evidenzia in modo speciale nel contesto formale del Palazzo sarà opportuno un breve cenno, circa la sua immagine finale in confronto a quella dei disegni ritrovati e riportati dall’Au- trice. È facile constatare come la parte superiore del Portale – quella che media il passaggio tra l’arcatura del portone ed il balcone superiore – rappresentata nel dise- gno dell’Archivio Cardelli sia diversa da quanto riportato nell’incisione del Lauro o negli ulteriori disegni connessi a questo: documentanti sviluppi appena antecedenti o successivi. A ciò va aggiunta l’altra diversità, di uno sviluppo orizzontale del piano del balcone fungente da cornice rispetto all’ordine bugnato inferiore, il quale fuoriesce vistosamente dall’allineamento delle finestre soprastanti e sottostanti; con un allargamento maggiore nel disegno del Lauro, rispetto a quello molto più com- patto limitato al filo delle finestre del disegno Cardelli, ed in quello titolato “Palazzo della famiglia di Capponi”.

Donde la possibilità di scalare in qualche modo la sequenza dei disegni stessi e la possibile precisazione delle due fasi progettuali; quella del disegno Archivio Cardelli centro cinquecentesca e quella rappresentata dall’incisio- ne del Lauro primo seicentesca. La cui enfatica allungata caratterizzazione plastica del portale nelle bugne di chia- ve, sembrerebbe alludere a modi da ricercare nell’area espressiva primo Seicento, di cui fu partecipe attore tra altri Orazio Torriani.

Di qui l’interesse di questo Palazzo, così efficacemente restituito al suo valore dal lavoro dell’Autrice condensato in questo volume. Un edificio che, nonostante le aggiunte e le trasformazioni introdotte nel XXsecolo sulle sue parti originarie, è testimonianza particolarmente interessante della ricerca nei primi decenni del secondo Cinquecento.

La quale si stava evolvendo da quel sintetismo che la scuola di Sangallo il Giovane aveva consolidato, verso aperture ed arricchimenti compositivi e plastici. Nelle linee evolutive del Vignola romano o dell’Ammannati fiorentino: poi particolarmente integrate dalle rielabora- zioni degli architetti della “Transizione al Barocco”, attivi nel primo Seicento romano.

Sandro Benedetti



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

Nel momento in cui fu intrapresa la ricerca i cui risulta- ti si offrono in questo volume, poche e frammentarie erano le notizie sul palazzo di via di Ripetta n. . Nessu- na pubblicazione se n’era espressamente occupata in precedenza, e solo poche righe erano ad esso riservate nelle Guide rionali di Roma o nei principali repertori dei palazzi romani. Incerto era, in qualche misura, il nome stesso con cui designare l’edificio: benché indicato come Palazzo Campanari nell’atto di notifica della Soprinten- denza, alcune delle antiche Guide di Roma pubblicate fra la fine del XVIIe la prima metà del XVIIIsecolo lo traman- davano come palazzo de’ signori Capponi. Un primo ed utile spunto si è potuto ricavare dalla pianta di Roma del Lanciani, che nella tavola prima designa l’area dell’edifi- cio come Palazzo Campanari già Capponi – Cardelli: indi- cazione preziosa, sulla cui base l’indagine ha potuto pren- dere avvio dall’Archivio Capitolino, tra i cui fondi sono conservate, all’interno di quello della famiglia Cardelli, le carte del ramo romano della famiglia Capponi.

Qui è stata ritrovata la parte più cospicua dei documen- ti concernenti le vicende del palazzo fra il XVIIe la prima metà del XVIIIsecolo. Le carte più antiche risalgono agli anni in cui Amerigo Capponi, esponente romano della nota famiglia fiorentina, ben accreditato presso la Curia pontificia, acquistò il palazzo e cominciò ad ampliarlo attraverso l’accorpamento di alcuni edifici minori esistenti in via di Ripetta e nel vicolo delle Scalette. Le note sulle spese per i lavori, di mano dello stesso Amerigo, consen- tono di ripercorrere i momenti salienti dell’evoluzione dell’edificio: dalle opere murarie a quelle eseguite per condurvi, dalle pendici del Pincio, l’acqua dell’acquedot- to Vergine; dalla creazione di un giardino nella corte del palazzo alla sistemazione, sulla facciata, delle statue fatte realizzare dallo scultore Francesco Caporale. Fra il  e il  – questi gli anni del cantiere di Amerigo – il palazzo raggiunse la sua forma definitiva, documentata all’epoca da Giacomo Lauro in alcune incisioni e mantenutasi pres- soché inalterata fino agli anni Trenta del Novecento.

Dal medesimo fondo d’archivio si sono tratte le notizie sugli interventi eseguiti dai discendenti di Amerigo e, soprattutto, dal marchese Alessandro Gregorio Capponi, che vi risiedette nella seconda metà del XVIII secolo.

Foriere maggiore del pontefice Clemente XII e primo Presidente antiquario del neocostituito Museo Capitolino, corrispondente con celebri personalità della cultura del tempo ed erudito di consolidata reputazione a sua volta, bibliofilo e collezionista, Alessandro Gregorio si preoc- cupò di apportare al palazzo di Via di Ripetta le migliorie

necessarie, in particolare, alla sistemazione delle sue raccolte di libri e d’arte. Dai documenti è risultata la par- tecipazione al cantiere settecentesco da lui promosso di artisti di un certo rilievo, come i pittori Antonio Bicchie- rari, Giacomo Cennini, Annibale Rotati e Onofrio Avelli- no – della cui opera nella residenza del marchese Cappo- ni, purtroppo, non si conserva oggi più nulla –, nonché dell’architetto Francesco Ferruzzi, per il quale l’incarico ricevuto da Alessandro Gregorio nel , inedito e prima d’ora non rilevato nella sua biografia, segna probabilmen- te una tappa significativa della carriera, caratterizzata, fra il  e il , da numerosi incarichi provenienti dall’en- tourage di Clemente XIICorsini.

Alcune carte conservate presso l’Archivio Capitolino, in particolare gli inventari dei dipinti posseduti da Ameri- go, Gino Angelo e Francesco Ferdinando Capponi, hanno inoltre consentito una prima indagine sulla consi- stenza della raccolta d’arte e sul gusto della famiglia in relazione ai generi e alle scuole, significativo anche per le indicazioni che possono trarsene circa le concezioni esteti- che allora in voga. La ricerca ha potuto assumere un maggiore sviluppo per gli anni relativi ad Alessandro Gregorio Capponi, grazie all’inventario della collezione redatto alla sua morte () e al Diario di acquisti di quadri, oggetti, iscrizioni da lui meticolosamente tenuto in vita, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana:

dalle due fonti si sono potuti ricavare utili elementi per ricostruire, in una visione d’insieme, la tipologia delle opere possedute e i criteri del loro allestimento negli ambienti del palazzo.

È sempre il fondo Capponi dell’Archivio Capitolino a fornire i dati da cui prendere le mosse per risalire alle vicende più antiche del palazzo e alla sua origine: l’atto d’acquisto stipulato fra Amerigo Capponi e Francesco Valeriani Serroberti e i documenti allegati hanno consen- tito, previo il riscontro con le carte di alcuni fondi notarili dell’Archivio di Stato di Roma, di formulare un’ipotesi circa la costruzione dell’edificio e di ricavare notizie sulla famiglia dei Serroberti, di provenienza perugina, cui essa è da attribuire.

La fondazione del palazzo Serroberti, poi Capponi, s’inquadra infatti nel particolare contesto di febbrile sviluppo urbanistico ed edilizio che, a partire dal secondo decennio del XVIsecolo, fece seguito alla costruzione della nuova via di Ripetta e interessò l’area compresa fra il Mausoleo di Augusto e la piazza del Popolo, dove nume- rosi lotti di terreno, perlopiù di proprietà della Compa- gnia di S. Maria del Popolo e di S. Giacomo degli Incura-

Premessa

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bili, vennero concessi ai privati contro l’impegno di edifi- carvi. Ad una prima lottizzazione, che riguardò soprattut- to estesi appezzamenti, fra i quali si evidenziano quelli ottenuti nel  dalla famiglia di Agostino Chigi e da monsignor de’ Gaddis, seguì una ulteriore partizione negli anni immediatamente successivi. È in questa fase – tra il

 e il  – che Francesco e Geronimo Serroberti, spe- ziali, ottennero la concessione in enfiteusi di due proprie- tà poste in angolo fra via di Ripetta e via delle Scalette; su queste edificarono (negli anni tra il  e il ) una “do- mum magnam” che già presentava le caratteristiche di un vero e proprio palazzetto di città, nella sua veste architet- tonica ispirato a modelli coltivati dalla scuola di Antonio da Sangallo, e dagli stessi proprietari definito con orgoglio come la “Casa de’Serroberti”.

Alquanto più complessa è stata la ricostruzione delle vicende successive alla morte di Alessandro Gregorio Capponi, a partire dalla controversia fra gli eredi Cardelli e il ramo fiorentino di Ferrante Capponi per giungere fino all’acquisizione del palazzo da parte de “La Civiltà Catto- lica” nel 1885. Per questo lungo periodo, durante il quale diverse personalità e famiglie di rilievo dimorarono nel palazzo Capponi – i Crespi, i Koebel, i Mencacci ed infine i Campanari –, la ricerca si è svolta prevalentemente sui documenti catastali conservati presso l’Archivio di Stato e, in particolare, presso il Cessato Catasto Urbano, che hanno consentito di ricostruire, senza soluzione di conti- nuità, i passaggi di mano dell’edificio dal  al . È in questo torno d’anni, mentre “La Civiltà Cattolica” vi ebbe la propria sede, che il palazzo subì l’ultima significativa fase di ampliamento e assunse, attraverso l’accorpamento di altri due immobili contigui, la configurazione attuale.

L’arco temporale considerato – di circa cinquecento anni –, se da un lato ha offerto spunti per approfondire aspetti che si sono ritenuti di particolare interesse, ha d’al- tra parte richiesto che ad ogni parte della ricerca fosse dato sviluppo per quanto possibile omogeneo, con sacrifi- cio, forse, di profili anch’essi meritevoli di esame più attento. Nessun aspetto saliente, tuttavia, si ritiene di aver trascurato: al punto che la vicenda del palazzo, nella sua lunga durata, potrebbe riassumersi con formula sintetica nel tentativo, mai pienamente riuscito benché queste fossero le aspettative dei suoi proprietari, di acquisire quel risalto che altri palazzi, di famiglie patrizie romane, avevano conseguito.

Nel congedarmi da questo lavoro è doveroso ringrazia- re le persone e le istituzioni che in vario modo hanno con- tribuito al suo svolgimento:

l’Archivio Capitolino, per aver agevolato la lunga ricerca archivistica e per aver concesso la riproduzione fotografi- ca di alcuni documenti; si ringraziano la Direzione del- l’Archivio e, in particolare, Michele Franceschini, Elisa- betta Mori e, per la “sala studio”, Anna Maria La Pica, Piero Santoni, Daniela Ronzitti, Alessandra Marrone, Gloria Ludovisi;

la Biblioteca della Fondazione Marco Besso, per l’ampia disponibilità offerta nella consultazione delle fonti e per le riproduzioni fotografiche;

l’Archivio di Stato di Roma – e in particolare Maria Anto- nietta Quesada, assieme a Marina Pieretti e a Angela Lanconelli – per la costante disponibilità e assistenza nelle fasi più difficili della ricerca archivistica;

la Biblioteca Apostolica Vaticana, per aver concesso le riproduzioni fotografiche dal fondo Capponi, e in partico- lare il Prefetto don Raffaele Farina, il Vice-Prefetto Ambrogio Piazzoni, e Giovanni Morello;

la Biblioteca della Camera dei Deputati, per aver con- sentito la consultazione del fondo Kissner e alcune ripro- duzioni fotografiche;

la Biblioteca dell’Istituto Storico della Compagnia di Gesù, e in particolare P. Thomas Reddy;

“La Civiltà Cattolica”, e in particolare P. Giovanni Sale;

l’Archivio di Stato di Frosinone, sezione di Veroli, e in particolare il Direttore della Biblioteca Giovardiana, Pao- lo Scaccia Scarafoni.

Si ringraziano in ultimo, ma certo non in ordine di im- portanza, il Presidente dell’Autorità di Vigilanza sui Lavo- ri Pubblici, Francesco Garri – che ha promosso questa pubblicazione –, e il Consiglio dell’Autorità, nonché il suo personale, che ha fattivamente contribuito alla realizzazio- ne di questo volume.

Si ringraziano inoltre, dell’INAIL, Marco Stancati, Maria Pedroli, e in particolare Andrea Dardano e Raffaele D’Ascia.

Un ringraziamento particolare va ad Antonella Pampa- lone per gli utili suggerimenti in corso d’opera e ad Ales- sandra Camerano per l’assistenza archivistica. Ringrazio inoltre, per le fruttuose conversazioni e i preziosi commen- ti, Aloisio Antinori, Sandro Benedetti, Elisabetta Campo- longo, Adriana Capriotti, Laura Laureati, Angela Negro, Giancarlo Pani.

Non posso non ricordare infine Alessandro e Federico, che con pazienza hanno saputo aspettare il tempo neces- sario a questo lavoro, e Roberto, che mi ha incoraggiato e sostenuto nel portarlo a conclusione.

Maria Letizia Papini



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Palazzo Capponi a Roma

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Palazzo Capponi, sito in via di Ripetta al civico , sorge nel lembo settentrionale dell’antico rione di Campo Marzio, all’estremo di uno degli assi viari del tridente sistino posto a collegamento della piazza del Popolo con il centro dell’Urbe.

L’origine del palazzo e le sue vicende architettoniche furono fin da principio connesse allo sviluppo del circo- stante tessuto cittadino, interessato prima dai progetti di risanamento e di ripopolamento avviati nel primo venten- nio del XVI, durante il pontificato di Leone X, e poi dagli interventi di riqualificazione qui effettuati fra XVIIe XIX

secolo, che riguardarono soprattutto i principali poli ur- banistici da cui l’area è delimitata: la porta del Popolo, la piazza con la chiesa omonima, i singoli assi del tridente – via del Babuino, via del Corso, via di Ripetta – con le chiese di S. Maria in Montesanto e S. Maria dei Miracoli, e il porto fluviale.

Una delle più note tra le antiche guide di Roma, quella del Martinelli che una certa fortuna editoriale ebbe fra

XVIIe XVIIIsecolo, dedicava alla visita del Campo Marzio un unico capitolo, coincidente con la giornata nona, se- condo la consueta scansione in giornate della descrizione della Città e dei relativi percorsi; e suggeriva al visitatore un itinerario che da Palazzo Borghese, dopo aver fian- cheggiato il porto sul Tevere, giungeva a piazza del Popo- lo percorrendo la via di Ripetta. Lungo questo itinerario erano di volta in volta segnalati, uno dopo l’altro, i princi- pali edifici, civili e di culto, che vi erano allineati: la chiesa di S. Girolamo degli Schiavoni, l’ospedale e la chiesa di San Rocco, la casa del marchese Correa, l’ospedale e la chiesa di S. Giacomo degli Incurabili. Superata la chiesa di S. Maria in Porta Paradisi e il Conservatorio di Donzelle, denominato della Divina Provvidenza, si additava all’os- servatore il palazzo Capponi, ritenuto degno di nota forse per i suoi pregi architettonici, oppure per la reputazione della famiglia che vi dimorava, i cui esponenti – come vedremo in prosieguo – ebbero parte di rilievo nella vita cittadina: “poi segue il palazzo de’ Sig. Capponi (che stimasi architettato dal Vignola)”1.

Lo stesso quadrante della Città moderna di cui il Marti- nelli censiva le cose notevoli era stato da altri autori, fin dal XVI secolo, immaginato quale doveva apparire in età antica, e idealmente riportato, sulla base dell’interpreta- zione delle fonti storiche e delle emergenze archeologiche, all’epoca romana. Già nel  Andrea Fulvio, nella sua guida alle Antichità della città di Roma, dopo essersi soffermato sulla bellezza naturale che del luogo si traman- dava – per il suolo erboso e per la corona di colline che

avanzavano fino alle rive del fiume –, ricordava come questa parte periferica della Città fosse considerata in antico alla stregua di “luogo religiosissimo”, in cui venne- ro per tale ragione edificati “monimenti e sepolture d’huomini e donne nobilissimi”2.

La pianta restitutiva della Roma antica eseguita da O- nofrio Panvinio nel , Antiquae Urbis Imago, ne evoca i salienti aspetti urbanistici e i principali edifici (fig. ).

Compresa nella parte settentrionale della regio IX, quest’a- rea urbana vi appare delimitata ad occidente dal corso del Tevere e ad oriente da un’altura destinata ad orti e giar- dini, denominata Collis hortolorum, sul quale dovevano sorgere diverse ville romane, fra cui, come le guide mo- derne non mancavano di segnalare ai visitatori, quelle di Sallustio e di Lucullo3.

Sulle pendici di questo colle transitava l’acquedotto dell’Acqua Vergine, una delle principali opere pubbliche costruite nella zona in epoca antica; secondo la tradizione (Frontino) ripresa da Flavio Biondo alla fine del ’, l’acquedotto, fatto costruire da Agrippa nel  a.C., sareb- be stato così denominato “perché cercando certi soldati de l’acqua una fanciulla vergine ne mostrò loro qui certe vene dove quelli cavando, vi trovarono un gran gorgo d’acqua”4.

A settentrione le mura aureliane cingevano l’area urba- na; qui si apriva l’antica Porta Flaminia, all’epoca costitui- ta da due fornici fiancheggiati da due torri rotonde, così denominata dal censore Caio Flaminio che ne promosse la costruzione intorno al  a.C.5(figg. , ).

Lungo la linea dell’antico pomerium, che giungeva all’altezza dell’attuale via Condotti e di Largo Goldoni, correva il confine meridionale contrassegnato, sulla via Lata (attuale via del Corso), da un arco originariamente eretto nel IIsecolo d.C. in onore di Marco Aurelio6, noto fino al  – allorché venne demolito – con il nome di Arco di Portogallo, e più volte descritto nelle guide mo- derne della città, per il suo rivestimento “di belli marmi, con quattro bellissime colonne di colore mischio”7(fig. ).

Questa parte della città, considerata in origine quale area extraurbana, rimase per lungo tempo inedificata. Le fonti tramandano che la zona fu destinata a luogo di pub- blica sepoltura, dapprima – come riferisce Appiano – sol- tanto dei re, e difatti Servio sostiene che vi fosse il sepol- cro di Tarquinio il Superbo; successivamente, lotti di que- sta parte dell’ager publicus vennero assegnati anche a citta- dini benemeriti, che si erano distinti nella vita pubblica8.

Numerosi sepolcri erano allineati, come riportano le fonti, lungo questo tratto della via Lata e dovevano carat-



Origini e sviluppo dell’area urbana

intorno al Palazzo Capponi

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terizzarne l’aspetto: tra i più antichi, quello dei due Scipioni, caduti in Spagna nel corso della seconda guerra punica; quello di Silla, che secondo Lucano doveva trovarsi in medio campo (probabilmente nell’area odierna di Montecitorio), e il tumulus Iuliorum, che custodiva le spoglie di Cesare e di sua figlia Giulia9.

Altre due importanti sepolture, risalenti al periodo augusteo, si trovavano al termine della via Lata, nell’area corrispondente alla piazza del Popolo: le due costruzioni funerarie, erette in forma piramidale su basamento quadrato – e simili per forma e dimensioni alla tomba di Caio Cestio e alla piramide ora distrutta del Vaticano –, avevano forse funzione anche monumentale, disposte com’erano all’ingresso del Campo Marzio, in modo analo- go alle attuali chiese di S. Maria dei Miracoli e S. Maria in Montesanto10. I resti di una delle tombe, quella situata fra la via Lata e l’attuale via di Ripetta, rimasero visibili sulla piazza del Popolo almeno fino all’epoca del pontificato di Clemente VII quando, come riferiva al visitatore la guida del Martinelli, “fu principiata a smantellare un’antica, e gran fabbrica a guisa di un gran quadro alto, e massiccio, che alcuni dicevano fosse il sepolcro di Marcello”11.

Nei pressi dell’ansa del Tevere la pianta del Panvinio riporta la presenza del monumentale sepolcro di Augusto, l’unico in quest’area a preservarsi attraverso i secoli e per tale motivo ricordato costantemente nelle guide medioe- vali della Città e in quelle più tarde: “Veggonsi hoggi grandissime reliquie – scrive ancora Andrea Fulvio nel

 – di esso Mausoleo. È il detto edificio ritondo, e di forma sferica, murato a mattoncini quadrati, in guisa di una rete intorno intorno”12(fig. ).

Fatto edificare dall’imperatore nel  a.C., dopo la conquista dell’Egitto, sul modello della tomba di Alessan- dro Magno, il Mausoleo era formato da una serie di alte mura concentriche sulla cui sommità si stagliava la statua bronzea dell’imperatore. La porta dell’edificio era prece- duta da due obelischi, mentre su due pilastri a lato del- l’ingresso erano apposte le tavole bronzee su cui erano incise le Res Gestae; dietro il Mausoleo, come riferisce Strabone, si apriva un grande recinto alberato con splen- didi porticati.

Sul Colle degli ortuli, rilevato da tutti i topografi della Rinascenza, si ergeva, in ultimo, il sepolcro dei Domizi;

qui, in un’urna di porfido sormontata da un altare di marmo di Carrara, sarebbero state deposte le ceneri dell’imperatore Nerone13(fig. ).

Una diceria popolare, raccolta da più fonti fino a tramutarsi in leggenda, sosteneva che la presenza “dell’in-

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. Onofrio Panvinio, Antiquae Urbis Imago, , particolare dell’area di Campo Marzio. Roma, Fondazione Besso

. Rodolfo Lanciani, Forma Urbis Romae, -, tav. I, particolare dell’area di Piazza del Popolo con l’inizio di via di Ripetta e la localizzazione di “Palazzo Capponi, Cardelli poi Campanari”. Roma, Fondazione Besso

. Rodolfo Lanciani, Forma Urbis Romae, -, tav. VIII, particolare dell’area di via di Ripetta fino al Mausoleo di Augusto. Roma, Fondazione Besso

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

. Giacomo Lauro, Arco di Portogallo,

in Splendore dell’antica e moderna Roma, .

Roma, Fondazione Besso

. Giacomo Lauro, in Mausoleo di Augusto, in Splendore dell’antica e moderna Roma, .

Roma, Fondazione Besso

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felice cadavero di Nerone, (...) riposto poi nel sepolcro de’ Domitij suoi Antenati, situato alle radici del colle degli Ortuli accanto alla Porta Flaminia”, fosse stata foriera di eventi nefasti per il luogo e per le genti che vi capitavano a transitare. “Divenne quel sito” – scrive nel  il padre agostiniano Ambrogio Landucci – “quasi un vero Inferno;

ivi una caterva innumerabile di Demonij havevano eletto per loro trono un’arbore di Noce, che nato nelle rovine dette Neroniane, era tanto venuto alto, e sublime, che di gran segno qualsivoglia altra pianta eccedeva (...). Con particolar permissione dunque d’Iddio li Demonij guar- diani delle sagrileghe ossa, con crudeltà e ferocità corri- spondente alla di loro natura, pieni di rabbia, e furore continuamente cercavano di sperimentare la loro forza à danni della Città di Roma. Non poteva, fusse pure stato di qualsivoglia grado, età, sesso, e conditione, chi passava per la propinqua Porta detta Flaminia, schifar di non ri- manere offeso; alcuni restando spaventati, e indemoniati, altri crudelmente percossi, e feriti; alcuni quasi, che soffo- gati, altri miserabilmente uccisi. Da sì fiero spettacolo, dall’orribil voci, da tremendi voli, dalle voraci fiamme, dalle visibili apparitioni di brutte larve, spaventata Roma, non solo quel sito si rendé subito inabitabile, ma essa tutta à pena, si assicurava da tanta rovina potersi salva- re”14 (fig. ).

Si tramanda che la soluzione al problema, ritenuto or- mai tale da poter minacciare le sorti della città intera, fosse offerta dalla Vergine apparsa in sogno al pontefice Pasquale II: per sollevare la città da quel terribile malefi- cio era necessario abbattere l’albero, gettare nel Tevere le profane ossa ed edificare sul sito un Tempio. Cosa che puntualmente Pasquale II fece, costruendo sul posto, nel

, una cappella dedicata alla Madonna, il nucleo più antico della chiesa di S. Maria del Popolo.

L’area intorno al Palazzo Capponi in epoca medievale Quando Pasquale II edificò alle pendici del Colle degli ortuli la piccola cappella dedicata alla Vergine, questa parte della Città era quasi del tutto spopolata. Lungo il tracciato della via Lata e appena superato l’Arco di Porto- gallo, le case diradavano fino a scomparire; verso il fiume, le ultime costruzioni erano quelle addossate ai resti del Mausoleo di Augusto – allora chiamato anche Agosta o Aosta. Il territorio restante, compreso all’incirca tra que- ste poche case e la Porta Flaminia – ora ridotta ad un solo fornice fiancheggiato da torri –, era completamente disa-

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bitato, e perlopiù coltivato a vigne e orti. Sparsi fra i po- deri potevano scorgersi numerosi resti antichi, come quel- li del monumento circolare che sorgeva nei pressi della piazza, noto alle fonti e più volte menzionato come mole del “trullo”, e da cui la stessa area della piazza sarebbe stata per lungo tempo denominata del Trullo15.

Lungo le sponde del Tevere, caratterizzate, come si os- serva nelle antiche vedute della Città, da una ricca vegeta- zione naturale di alberi e cespugli, si trovavano alcuni approdi per le imbarcazioni. Tali approdi erano posti in corrispondenza di porte o posterule che si aprivano lungo la cinta delle mura aureliane, presso le quali si riscuoteva il dazio sulle derrate giunte in città attraverso il trasporto fluviale. Esistenti già in epoca romana, molte di esse furo- no murate, nel corso degli anni, a scopo difensivo; all’epo- ca erano ancora in funzione quella detta di S. Agata pres- so l’odierna chiesa di S. Rocco, quella della Pigna all’altez- za dell’odierno ponte Cavour, e, poco più a sud, quella di S. Lucia dinanzi alla chiesa di S. Lucia della Tinta16. Fin dal Medioevo, inoltre, erano attivi sia i porti di Ripa gran- de, a Trastevere, che quello di Ripetta, non distante dal monumento augusteo, e perciò denominato, per un certo periodo, “porto Augusta”17. Mentre il porto di Ripa gran- de serviva principalmente il traffico delle merci prove- nienti dal mare, quello di Ripetta costituiva l’approdo urbano per le merci trasportate dall’alto Lazio, dall’Um- bria e dalla Toscana; vi giungevano, in particolare, le barche di scarso tonnellaggio adibite al trasporto della legna da “abbrugiare” e da costruzione, del vino e del travertino, quest’ultimo proveniente da Tivoli tramite l’Aniene18.

Prospiciente il porto fluviale si ergeva ancora, soprav- vissuto al trascorrere dei secoli, il Mausoleo di Augusto.

All’epoca esso doveva apparire spoglio del travertino e dei preziosi marmi che lo avevano rivestito in passato19, e circondato di nuovi edifici costruiti in appoggio; sulla sommità e attorno – come riporta l’Adinolfi – v’erano

“degli alberi piantati a guisa di bosco che incominciavano a piè del mausoleo e protendeansi verso la moderna piaz- za del Popolo”20. Al boschetto, secondo la tradizione costituito prevalentemente da pioppi, i ben noti populi, sarebbe stata per lungo tempo attribuita la denominazio- ne di tutta questa zona e della piazza21. Davanti al monu- mento si poteva ancora vedere uno dei due obelischi egiziani, che lì erano stati posti per ornamento in epoca augustea, disteso a terra e con “il fusto rotto in tre pezzi;

(...) il compagno – prosegue l’Adinolfi – sen giaceva negli orti dietro l’Aosta”22. Nel corso del Medioevo anche la

. Il Colle degli Ortuli con il Sepolcro di Nerone, da Ercole Trivulzio, Ritratto di Roma Antica, .

Roma, Biblioteca della Camera dei Deputati, Fondo Kissner

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destinazione del monumento mutò, ed esso fu trasforma- to in fortilizio, prima di proprietà della famiglia Colonna e successivamente di quella degli Orsini23.

D’attorno, l’area urbana fino alla piazza del Popolo, secondo indicazioni offerte dalle fonti, doveva essere pun- teggiata di cappelle e piccole pievi. Una prima chiesetta intitolata a S. Angelo de Agosto sorgeva sulla sommità stessa del Mausoleo, come è riportato in un diploma del 

marzo  di Agapito II24. Nei pressi del monumento si trovavano altre tre piccole chiese oggi perdute: la chiesa di S. Marina, quella di S. Giorgio25e quella di S. Tommaso de Vineis. Quest’ultima, secondo l’Armellini, era stata edificata vicino ai ruderi dell’Augusteo e fra i vigneti che si estendevano nel Medioevo fra questo e la porta Flami- nia; da ciò discenderebbe la denominazione de Vineis o Vinearum26.

Altri edifici di culto sono ricordati nei pressi delle po- sterule, fra i varchi detti di S. Agata e della Pila; nei pressi del porto si trovava la chiesa di S. Martino, che dalla de- scrizione datane dal Martinelli s’intuisce assai vicina al fiume: “nella contrada di Posterula possedeva il monaste- ro di S. Ciriaco la chiesa di S. Martino iuxta flumen”27.

Risalendo verso piazza del Popolo, presso il Tevere, nel luogo già allora detto Ripetta si incontrava una chiesa sa- cra a S. Orsola28. Poco distante da questa sorgeva il primi- tivo nucleo dell’antico ospedale di S. Giacomo con annes- sa una chiesa29; quest’ultima, che inizialmente ebbe il tito- lo di Nostra Signora, aveva all’epoca dimensioni assai più contenute delle attuali e vi si accedeva da una stradina secondaria nota come vicolo delle “Tre Colonne”.

Sulla piazza, l’unica costruzione di rilievo era la chiesa di S. Maria del Popolo. Dopo la prima fondazione ad ope- ra di Pasquale II nel 30, la cappella era stata trasfor- mata e consacrata come chiesa nel  sotto il pontificato di Gregorio IX. A poca distanza di tempo, intorno al , il papa fece qui traslare l’antica immagine della Vergine,

“creduta dipinta da S. Luca”, che all’epoca si venerava nella cappella del SS. Salvatore nel Laterano31; secondo il D’Onofrio l’immagine miracolosa, risalente in realtà ai primi del XIII secolo, sarebbe stata collocata sull’altare maggiore in occasione di una crociata promossa da Gregorio IXe non, come riporta la leggenda, per allonta- nare la peste da Roma32. Alla chiesa era annesso un convento, all’epoca retto dai frati Minori, che successiva- mente, nel , per volere di Innocenzo IVpassò assieme alla chiesa alla congregazione Lombarda.

La chiesa e il convento erano già all’epoca proprietari di buona parte dei terreni circostanti occupati da orti e da

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. La leggenda delle origini di S. Maria del Popolo sul sepolcro di Nerone, dalle incisioni

dell’Alberici (): Il noce di Nerone sul Pincio, stanza di spiriti maligni; Demonj che accoppano i passeggeri a porta del Popolo; La B. Vergine ordina in sogno a Pasquale IIdi edificare la Chiesa di S. Maria del Popolo; Pasquale II dà il primo colpo di scure al Noce.

Roma, Fondazione Besso, Fondo Consoni

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vigne, fra cui la Vigna del Trullo situata sul lato sinistro di piazza del Popolo e un grande orto che dalla chiesa si espandeva sulle pendici del Pincio, e si ricongiungeva ad un’altra vigna posta verso la sommità del colle.

L’area intorno al Palazzo Capponi in età moderna Da Niccolò Va Sisto V. La via di Ripetta e la prima urba- nizzazione del quartiere.

Le trasformazioni dell’area urbana di nostro interesse subirono una progressiva accelerazione fra il XV e il XVI

secolo, sotto l’impulso dell’accresciuta importanza acqui- sita dalla Porta del Popolo, con la vicina chiesa omonima, e dall’attracco commerciale sul Tevere nei pressi del Mausoleo di Augusto.

La Porta del Popolo gradualmente divenne, infatti, il principale ingresso nella Città per i forestieri, viaggiatori o pellegrini, che vi giungevano da settentrione, attraverso la via Cassia e la via Flaminia; da qui essi potevano raggiun- gere il centro dell’Urbe, allora dislocato sull’asse urbani- stico compreso fra il Campidoglio, il Rione Ponte e il Va- ticano, e proseguire verso le grandi basiliche situate in periferia. La stessa chiesa di S. Maria del Popolo era ormai diventata una importante stazione del percorso devozio- nale dei pellegrini, per la presenza della venerata immagi- ne della Vergine che vi era stata traslata nel .

Un certo incremento delle attività commerciali favorì, nel contempo, lo sviluppo del porto di Ripetta e dell’area adiacente destinata alle relative attività di servizio, quali le dogane, i magazzini, le botteghe per la riparazione di barche, le taverne e le locande; ciò portò ad un graduale stanziamento di artigiani, di piccoli commercianti e di quanti erano occupati nelle faccende portuali, e al conse- guente intensificarsi dell’attività edilizia nei dintorni.

Verso la seconda metà del XV secolo, in particolare sotto il pontificato di Niccolo V (-) e di Sisto IV (-), fu agevolato in questa zona l’insediamento di corporazioni e di comunità di forestieri. Al  risale, in particolare, il formarsi attorno all’ospedale di S. Giacomo di una colonia di Croati, che ottenne da Nicolò V la costruzione di un ospedale dedicato a S. Girolamo e di una chiesa annessa, divenuta poi la chiesa di S. Girolamo degli Schiavoni. Gruppi di croati dovevano, in realtà, esse- re già da tempo presenti nella zona, come riferiscono le fonti: “Molti della gente illirica e Schiavonia, trasmigrati dalle proprie regioni in Roma dopo la presa di Costanti- nopoli fatta da Maometto IIsopracchiamato Bajuc, cioè il

grande che per la sua dispietanza si doveva chiamare il crudele, vennero a cercar di rifugio nella contrada quasi vuota di abitatori sul porto di Ripetta. Quivi intorno ad una chiesa detta di S. Marina, per ricoverarsi al coperto, a somiglianza delle stanze di frasche e di paglia e quasi mendicando un tozzo di pane sel guadagnarono col vile mestiere di caricare legname od altra mercanzia che lo fiume veniva condotta al porto sottostante”33. La comu- nità croata talmente si consolidò nel quartiere che da essa tutta la zona venne ben presto denominata Schiavonia.

Trascorsi pochi anni, nel , Sisto IV concesse alla nazione dei Lombardi residenti in Roma e che si compo- neva, come riporta l’Adinolfi, perlopiù “di garzoni e di molti maestri in arte murale” giunti in Città per lavorare nei numerosi cantieri avviati dallo stesso pontefice34, l’an- tica chiesa di S. Nicola de Tofo, sulla via del Corso, con fa- coltà di fondare una confraternita e un ospedale; a seguito dell’acquisto dei terreni limitrofi appartenenti ai fratelli Orsini, la chiesa fu poi riedificata fra il  e il  e dedicata al santo milanese, Ambrogio35.

Nel  venne ad insediarsi nel rione anche la confra- ternita di S. Rocco, dotata della chiesa omonima – edifica- ta sull’antica chiesa di S. Martino – e dell’annesso ospeda- le; composta di osti e barcaroli del vicino porto di Ripetta, la confraternita molto si adoperava per l’assistenza dei poveri durante le inondazioni del Tevere e le pestilenze36.

Il graduale ripopolamento della zona intorno a Ripetta fu il risultato non di scelte casuali ed episodiche, bensì perseguite all’interno di un più generale progetto di am- pliamento e di sviluppo dell’Urbe che prese l’avvio du- rante il pontificato di Sisto IV, e con cui si intese spostare verso il rione Ponte il centro cittadino, fino a quel mo- mento gravitante sui tradizionali quartieri medioevali (Regola, S. Angelo, Ripa, Campitelli, Pigna, S. Eustachio, Parione).

Il rilievo acquisito da questo quadrante urbano era, d’altra parte, conseguenza a sua volta delle trasformazioni avvenute nella prospiciente area vaticana già nel corso del precedente pontificato di Niccolò V, che del rione di Borgo aveva voluto fare una sorta di “fortezza pontificia”, sede del papa e della curia. Talché il rione Ponte, colloca- to strategicamente tra l’area di Borgo e quella del Campi- doglio, divenne il nuovo polo della vita cittadina: qui venne spostato il mercato cittadino (dalle pendici del Campidoglio a piazza Navona), e si concentrarono le nuove residenze di banchieri, di mercanti forestieri curiam sequentes37, di cardinali e nobili famiglie strettamente legati alla vita della corte pontificia; in via dei Banchi, in

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particolare, si insediarono rappresentanze ed uffici di numerose banche nonché, all’inizio del Cinquecento durante il pontificato di Giulio II, la sede della nuova Zecca pontificia38.

Il collegamento tra l’area urbana di Borgo e quella del rione Ponte, assicurato all’epoca dal ponte S. Angelo, fu da Sisto IV potenziato mediante la ricostruzione dell’anti- co ponte romano di Valeriano, ribattezzato ponte Sisto, mentre per facilitare il transito sul ponte S. Angelo si fece- ro demolire le botteghe che ne restringevano l’accesso.

Ai puntuali interventi di riqualificazione del rione non erano estranei più generali piani di espansione della città nella direzione di Ripetta e di Porta del Popolo.

Ne è prova, in primo luogo, la progettata costruzione di un nuovo asse viario che da ponte S. Angelo, attraverso via di Montebrianzo, giungesse fino alla Porta del Popolo per facilitare il collegamento fra il Vaticano e quello che era ormai divenuto uno dei principali ingressi alla “Città Santa”. Di questo sviluppo viario, rimasto incompiuto, di- ce l’Adinolfi: “Esistendo ab antico una via sul Porto di Po- sterula o di Ripetta, Sisto IVfu preso dal desiderio di voler- la far congiungere alla via Sistina o di Borgo Angelico e di due formarne una acciocché fosse più agevole il passaggio dal Borgo di S. Pietro e dalla Basilica di quell’apostolo alla Chiesa della Madonna del Popolo e per tal convenente la fé dirizzare”39. Oltre a collegare i due quartieri e le chiese che vi si trovavano, la via sistina avrebbe consentito, negli intenti del pontefice, un più rapido e comodo collegamen- to tra il porto di Ripetta e il mercato di piazza Navona, così agevolando l’afflusso entro la Città delle derrate che attraverso il Tevere provenivano da nord40.

L’ambizioso progetto urbanistico non poteva trascurare la riqualificazione della piazza del Popolo, dove infatti, negli stessi anni, il pontefice promosse importanti lavori di restauro e ammodernamento. Nel  la chiesa di S.

Maria del Popolo venne assegnata con l’annesso convento alla Congregazione lombarda degli Agostiniani, che si preoccuparono di riedificarla avvalendosi di maestranze lombarde, e in particolare della bottega del celebre scul- tore e architetto Andrea Bregno. Ne risultò un tempio a tre navate con quattro cappelle pentagonali su ogni lato, un transetto absidato e un lungo coro fiancheggiato da altre due cappelle; l’altare maggiore venne decorato dal- l’ancona con la nota immagine della Madonna, fatta ap- porre dal cardinal Rodrigo Borgia, futuro Alessandro VI, ed eseguita dal Bregno nel , mentre altri artisti rino- mati intervennero nella decorazione interna e nella siste- mazione delle singole cappelle: Bernardino Pinturicchio, Mino da Fiesole e, all’inizio del Cinquecento, Bramante e Raffaello, il primo incaricato di completare l’architettura della zona absidale, il secondo del progetto della Cappella Chigi (fig. ).

Nel contempo, il pontefice avviò a scopo difensivo opere di consolidamento dell’adiacente cinta muraria e della porta del Popolo: le antiche torri circolari furono trasformate in solidi bastioni quadrati rivestendole di spessi blocchi di marmo ricavati dalla spoliazione dei resti degli antichi sepolcri romani che fiancheggiavano la via Flaminia41.

Con questi due importanti interventi di restauro si posero le premesse di quel più ampio piano di sviluppo urbanistico ed edilizio ideato per tutta l’area urbana. In particolare il restauro della chiesa di S. Maria del Popolo, i cui frati dalla metà del XVsecolo detenevano il controllo della maggior parte delle proprietà immobiliari e dei terreni della zona42, doveva avere anche l’obiettivo di dar lustro e adeguato risalto alla sede dell’istituzione che maggiormente avrebbe dato impulso a tale sviluppo43; fu in quegli stessi anni, infatti, che per favorire l’insediamen- to di nuovi abitanti e l’edilizia nelle vicinanze, la Compa- gnia di S. Maria del Popolo cominciò a rilasciare le prime concessioni in enfiteusi di terreni e abitazioni a privati con l’impegno di costoro a edificarvi o ad apportarvi si- gnificative migliorie44.

Nel solco del predecessore, papa Leone X (-) diede impulso ai cantieri sorti lungo la via dei Banchi – a riprova del consolidato ruolo dei banchieri nella società romana –, e rafforzò il legame con il quartiere papale oltre Tevere attraverso la concessione, ad esponenti della nazio-



. Chiesa di S. Maria del Popolo,

da Prospero Parisio, Le cose meravigliose dell’alma città di Roma, o.

Roma, Fondazione Besso

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ne fiorentina, di appezzamenti posti alla testata di via Giulia, dove venne avviata la costruzione della chiesa di S.

Giovanni dei Fiorentini. Contemporaneamente, abbando- nando il programma di Giulio II (-) che vedeva nello sviluppo urbanistico ed edilizio di via Giulia il nuovo centro del potere romano e pontificio45, egli riprese l’idea sistina di promuovere l’ampliamento urbano verso nord attraverso la formazione di un asse viario diretto ver- so la porta del Popolo; la realizzazione della strada avrebbe promosso nel contempo lo sviluppo edilizio delle aree cir- costanti, così favorendo la formazione di un nuovo quar- tiere destinato all’insediamento della emergente classe borghese che si andava formando all’ombra del papato46.

Nel , quando era ancora cardinale, Leone X aveva preso a dimora l’attuale palazzo Madama, il cui fronte principale era all’epoca rivolto verso il Pantheon; è su questo lato che nel , una volta divenuto papa, promos- se l’apertura del lungo asse di via Leonina, comprendente le attuali via della Scrofa e via di Ripetta, che avrebbe finalmente unito il rione Ponte con la porta del Popolo co- steggiando l’area portuale.

Il progetto del rettifilo leonino fu affidato dal pontefi- ce, come si può evincere da alcuni documenti, a Raffaello Sanzio e ad Antonio da Sangallo il Giovane. Ai magistri viarum Bartolomeo Della Valle e Raimondo Capodiferro, affiancati dall’architetto Antonio da Sangallo, venne asse- gnata la direzione dei lavori con l’impegno di portare a termine quanto fissato nel progetto approvato da Leone

X, affinché si realizzasse uno spazio pubblico conveniente a chi lo aveva commissionato e adeguato alle esigenze cittadine: “di perpetua gloria ed onore a papa Leone e di gradita soddisfazione a tutti”47.

La nuova strada veniva, con ogni probabilità, a sovrap- porsi ad una precedente via pubblica che partiva da S.

Rocco, presso il Mausoleo di Augusto, e si dirigeva verso S. Maria del Popolo48. L’intervento cinquecentesco, doven- do provvedere a raddrizzare e allargare il vecchio e irre- golare tracciato viario, comportò l’occupazione di alcuni fondi preesistenti e l’interruzione della loro continuità;

sicché nel tratto verso piazza del Popolo, in particolare, vennero espropriati terreni49delle famiglie Orsini e Chigi nonché dell’Ospedale di S. Giacomo, che erano all’epoca – assieme ai frati della Chiesa di S. Maria del Popolo – i maggiori proprietari della zona50.

Come avvenuto già ai tempi di Alessandro VI in occa- sione della costruzione del rettifilo di Borgo (), si cercò di ripartire il costo dell’operazione urbanistica tra finanze pubbliche e private. Nel , prima di dare inizio

ai lavori, il pontefice congegnò una leva fiscale consistente nell’imposizione di una tassa straordinaria dovuta in proporzione alle migliorie che la realizzazione della nuova strada avrebbe apportato ai fondi privati; colpite dalla tassa furono, soprattutto, le cortigiane che si concentrava- no nella zona, le quali vennero tassate sulla base dei loro consistenti guadagni51.

Contemporaneamente all’apertura del nuovo asse viario furono in vario modo incoraggiati il popolamento dell’area e la riqualificazione delle proprietà che affaccia- vano sulla nuova via. Sull’esempio di quanto era stato fatto sotto Sisto IVallorché si volle incentivare l’attività edilizia e promuovere l’espansione residenziale in aree urbane periferiche, venne prospettata, ai privati che in- tendevano acquistare una casa o un terreno nel nuovo quartiere, la cessione in enfiteusi dei fondi con il vincolo, per i terreni, di edificarvi entro un termine stabilito. Con apposite misure legislative si agevolarono coloro che, già proprietari di una prima abitazione sulla via, acquistavano una casa o un terreno contigui per ingrandire la propria abitazione o riedificare “ob decorem Urbis”52; analoga- mente, a quanti avevano in locazione una vecchia abitazio- ne o fossero intenzionati ad apportarvi migliorie o a riedi- ficarla, fu concesso di ottenere la trasformazione dell’affit- to o del censo annuo in enfiteusi perpetua, e così di conse- guire, almeno di fatto, la proprietà dell’immobile53.

Tali provvedimenti, oltre ad incrementare gli insedia- menti lungo la via Leonina, favorirono il formarsi in zona di una nuova categoria di proprietari immobiliari e di piccoli costruttori, dapprima esponenti prevalentemente di ceti e corporazioni già presenti nel rione, fra cui si annoveravano – oltre alle cortigiane – i barcaioli, locan- dieri e, in particolare, gli architetti54.

La concessione dei terreni, iniziata qualche anno prima della realizzazione del nuovo rettifilo, coinvolse in un primo tempo – secondo quanto è possibile trarre dalle fonti55– gli appezzamenti confinanti con il Tevere e quelli più prossimi all’area portuale, e solo successivamente quelli collocati nella parte alta della strada, verso la piazza del Popolo. Fra quanti ottennero in concessione una proprietà già prima dell’inizio dei lavori della “strada nova”, figura lo stesso Antonio da Sangallo, che, già nel

, acquistò dall’architetto Giorgio da Coltre, consen- ziente la Compagnia di S. Maria del Popolo, “una casa cominciata, ma senza solai e senza tetto con muri commu- ni d’ambe le parti”; costruito su un terreno della Compa- gnia situato “in conspectu molis de Augusta prope sanc- tum Roccum”, l’edificio confinava sul retro con il Tevere

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e sul fronte con la via pubblica che andava verso S. Maria del Popolo56.

Che l’esito complessivo dell’operazione urbanistica sia stato infine coronato da successo, e fosse perciò rispon- dente agli intenti dei suoi promotori, appare evidente se si pongono a paragone i dati ricavabili da un censimento voluto da Leone X prima del  con altri acquisiti suc- cessivamente, fra il -. Il rione di Campo Marzio appare, dopo pochi anni, assai più popolato: se si conteg- giano i “fuochi” e le “bocche”, com’era uso degli antichi censimenti, esso risulta il terzo per densità di popolazione dopo i rioni Ponte e Regola. È, inoltre, il primo fra i rioni romani per la presenza di cittadini appartenenti alla nazio- ne lombarda, mentre significativa è anche la presenza di quella fiorentina, maggiore soltanto nel rione Ponte dove sorgeva la chiesa di S. Giovanni de’ Fiorentini57.

I lavori della nuova via di Ripetta, ancora lungi dall’es- sere completati al momento della morte di Leone X, furo- no proseguiti e portati a definitivo compimento sotto il pontificato di Clemente VII(-)58. Negli stessi anni, probabilmente prima dell’anno santo del , il pontefice avrebbe progettato anche l’apertura del rettifilo di via Clementina (attuale via del Babuino), poi realizzato sotto Paolo III(-)59, così predisponendo il complesso viario sulla cui impronta si sarebbe sviluppato il futuro tridente di Sisto V(-).

La nuova configurazione urbanistica e lo sviluppo im- presso al quartiere sono nitidamente documentati dal- la coeva cartografia, a partire dalla pianta del Bufalini del

 (fig. ).

La piazza, denominata Forum Populi, si presenta nella sua tradizionale forma trapezoidale che resterà invariata



. Leonardo Bufalini, Pianta di Roma, , particolare dell’area di Campo Marzio con via di Ripetta.

Roma, Fondazione Besso

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