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La storia del palazzo fra XIX e XX secolo

Nel documento Palazzo Capponi (pagine 131-170)

La storia del palazzo

fra

XIX

e

XX

secolo

dente e per la durevole fama del marchese Alessandro Gregorio che per la effettiva notorietà dell’edificio nella seconda metà del secolo XVIII; esso vi è ricordato breve-mente, con formule riprese dalle edizioni degli anni passa-ti, come “il palazzo del marchese Capponi ornato di vari marmi”5, o come “il palazzo de’ Capponi, architettato dal Vignola”6.

Il palazzo rimase di proprietà della famiglia Capponi fino al . Il  gennaio di questo anno infatti, con atto rogato dal notaio capitolino Damiani, l’edificio, il giardi-no e le casette annesse furogiardi-no venduti dal conte Cavalier Ferrante, erede di Ferdinando Carlo Capponi – definito nell’atto “possidente domiciliato a Firenze” – e con il consenso dei padri di S. Agostino della Chiesa di S. Maria del Popolo, al sig. Tommaso Crespi per la somma di 

scudi7.

Da questo momento le notizie storiche sul nostro palaz-zo diradano ancor di più e si riducono alle scarne infor-mazioni, relative soprattutto ai passaggi di proprietà, che si possono ricavare dal Catasto urbano gregoriano.

Tommaso Crespi doveva probabilmente appartenere a quella che il Dizionario storico-blasonico del Di Crollalan-za individua come famiglia Crespi o Crispi di Roma,

“un’antica e nobilissima famiglia diramata in molte città d’Italia e fuori”8, e che nel  contò un importante banchiere e giudice dallo stesso nome. Il palazzo rimase in possesso di questa famiglia per poco tempo: già il  agosto del  il barone Carlo Koebel9lo acquistava, rile-vando e assolvendo un’ipoteca di  scudi gravante sull’immobile e un debito contratto dai precedenti proprietari con la famiglia Coltellacci10.

In questa fase l’edificio non dovette subire particolari modiche nella struttura architettonica, se non forse nella sistemazione interna degli ambienti. Dagli atti notarili, infatti, che ne riportano una breve e succinta descrizione, la proprietà risulta ancora composta da un corpo princi-pale, che si descrive come palazzo munito di giardino interno, situato in via di Ripetta ai civici -, e da cinque casette annesse, site ai civici da  a  del Vicolo delle Scalette. Al suo interno l’edificio continua a presen-tarsi suddiviso in due piani nobili con dodici stanze ciascuno, due mezzanini e, al piano terreno, sei stanze con varia destinazione; le casette si distinguevano invece dal corpo principale del fabbricato in quanto costituite di soli tre piani.

Negli anni in cui fu proprietario, il barone Koebel si adoperò per ampliare il palazzo mediante l’acquisto di un’ulteriore casetta, ad esso adiacente verso il vicolo del

Vantaggio e situata all’ultimo piano del civico , come è riportato nel contratto stipulato il  marzo  tra lo stesso Koebel e Luigi Filipponi dinanzi al notaio Miglio-rucci: “casa contigua (...) consistente in due stanze, cuci-na, due soffitte, canticuci-na, mignano con uso di pozzo”11. In tal modo il palazzo si ingrandì di tre camere al primo piano nobile: “ora unito al detto palazzo e formante tutto un corpo confinante da un lato con il Sig. Domenico Castaldi, l’Ing. Sig. Cometti” e un non meglio individuato

“Sig. Salvi”12.

Malgrado l’interesse mostrato dal Koebel riguardo alla proprietà e al suo ampliamento, non è certo che egli l’ab-bia effettivamente utilizzata per abitarvi, giacché al mo-mento della successiva vendita, avvenuta solo due anni dopo, il barone risultava domiciliato a palazzo Ruspoli in via del Corso13.

Il  giugno del  il palazzo fu infatti venduto dal barone, per la consistente somma di scudi ., a Giacomo, Francesco e Luigi Mencacci del quondam Lorenzo, esponenti di una nota e benestante famiglia romana14.

Originaria forse di Urbino nel lontano XV secolo, la famiglia Mencacci, “benemerita per fedeltà, divozione e sincero attaccamento al governo pontificio”, ebbe del ramo romano15l’esponente di maggior rilievo proprio in quel Lorenzo Mencacci, cittadino facoltoso vissuto fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, che fu il padre di Giacomo, Francesco e Luigi acquirenti del palazzo di via di Ripetta.

Lorenzo è più volte ricordato nelle fonti per gli atti di fedeltà e devozione da lui tributati al pontefice, in parti-colare negli anni dell’occupazione francese di Napoleone I, durante i quali egli si preoccupò di mantenere le comu-nicazioni fra l’esiliato Pio VIIe gli esponenti ecclesiastici rimasti a Roma. Per l’attaccamento alla Chiesa egualmen-te si segnalarono, negli segualmen-tessi anni, i suoi figli, tra i quali, in particolare, Giacomo e Vincenzo si resero, nel , au-tori di un atto di coraggio celebrato dalle fonti: “essi affis-sero pubblicamente in pieno giorno la bolla di scomunica contro l’invasore per ordine del cardinal Pacca seniore segretario di Stato di Pio VII”.

Diversi furono i benefici che la famiglia conseguì dopo il ritorno di Pio VIIa Roma, per la fedeltà e la devozione verso di lui dimostrate. Nel  Lorenzo fu nominato, assieme a Giacomo e Vincenzo, cavaliere dello Speron d’Oro; nel contempo, in attestato di riconoscenza e a tito-lo risarcitorio per le perdite patite negli anni di occupa-zione, fu concesso ai Mencacci dal pontefice l’appalto del



Macinato; nel , inoltre, volendo l’imperatore di Russia Alessandro I partecipare della gratitudine del pontefice, decorò Lorenzo del cavalierato di S. Anna.

Alla famiglia Mencacci i documenti d’archivio attribui-scono la proprietà in Roma di diversi beni, fra cui alcuni immobili nella zona di S. Giovanni in Laterano e, in parti-colare, una casa con giardino presso la chiesa dei Santi Quattro Coronati16, ed altri nei dintorni dell’Urbe, tra cui una residenza di Anzio ed una tenuta di Castiglione. Nella chiesa di S. Maria della Pietà in piazza Colonna la fami-glia aveva la sua tomba gentilizia, mentre in quella di S.

Carlo al Corso fu posto un sontuoso cenotafio in memoria dell’avo Lorenzo17.

Al momento dell’acquisto del palazzo di Via di Ripetta, nel , Lorenzo doveva essere già morto, ed erano i figli, che infatti ne figurano acquirenti, a detenere probabil-mente i beni famigliari. In quegli anni le vicende del palazzo si legano ad un particolare evento politico che ebbe una certa risonanza e coinvolse la famiglia Mencacci.

Nel  Michele Idi Braganza, re del Portogallo, venne a Roma a rifugiarsi sotto la protezione del papa Gregorio

XVI, il quale affidò il sovrano all’ospitalità dei Mencacci che godevano della sua piena fiducia18. Così, scrive il Moroni che fu testimone di quegli eventi, “i fratelli Giacomo, Luigi e Francesco Mencacci gli offrirono i loro servigi, e finchè il re dimorò in Roma per  anni li conti-nuarono, ospitandolo nel proprio palazzo, già Capponi, non risparmiando affettuose cure e gravi sacrifizi, per divozione alla legittimità del monarca. Il re grato a tante nobili e generose dimostrazioni, creò i fratelli Giacomo, Luigi e Francesco commendatori dell’ordine di Torre e Spada, ed uffiziali maggiori di corte col titolo di grandi di Portogallo, e come tali indossandone le divise accompa-gnarono il re alle cappelle papali e nella corte pontificia.

Posso attestare, che col cavaliere Giacomo sono stato spesse volte intermediario per cose anche gravissime tra il re e il Papa, il quale finchè visse continuò a sovvenire lo sventurato sovrano”19.

I Mencacci rimasero proprietari del palazzo fino al 

settembre del , giorno in cui Francesco e Luigi insie-me agli eredi di Giacomo, i figli Ludovico, Raffaele e Paolo, lo cedettero al marchese Francesco Campanari, con rogito del notaio capitolino Filippo Malagricci, per la somma di . scudi e dopo aver estinto il vincolo del fidecommesso da cui il bene era gravato20.

Francesco Campanari, figlio del marchese Vincenzo, apparteneva al ramo romano di una nobile famiglia origi-naria di Veroli. Le prime notizie su quest’antica casata

risalgono al , allorché compare in alcuni documenti d’archivio il nome di Andrea Campanarius, mentre già prima della metà del secolo suo figlio Antonio risulta canonico di S. Erasmo. La famiglia venne gradualmente affermandosi nella cittadina laziale nel corso dei secoli successivi, rivestendo incarichi di rilievo nell’ambito della curia locale e svolgendo redditizie attività commerciali che le consentirono di ampliare i propri possedimenti, fra cui il feudo di Massimo acquistato nel 21. Secondo la storia tracciatane da Teodoro Amayden, la famiglia venne insignita del titolo nobiliare fin dal XVsecolo; ascritta alla nobiltà di Todi, di Orvieto e di Viterbo, ottenne quella romana nel  con Agostino Campanari. I legami con Roma erano dovuti principalmente agli incarichi ecclesia-tici rivestiti da alcuni componenti della famiglia: dopo Francesco vescovo di Alatri nel , nel secolo successivo Stefano fu nominato vicario generale della diocesi di Veroli, e Domenico fu prelato della curia romana.

Nel , con Breve del  marzo, un altro Agostino, discendente del primo, venne insignito dal pontefice Benedetto XIVdel titolo di marchese di Castel Massimo di Veroli. Da questi discende in linea diretta Vincenzo Campanari, ricordato come maggiore di cavalleria ed appartenente alla guardia nobile di Sua Santità, padre di Francesco22, che al momento dell’acquisto del palazzo di via di Ripetta risultava residente con la sua famiglia in piazza Poli al civico .

La trascrizione del titolo di proprietà a favore del mar-chese Campanari risale al  giugno del : “Faccio istan-za in infrascritto nuovo possessore affinchè da questa Can-celleria del censo sia seguita a mio favore la voltura dei seguenti fondi: (...) palazzo e giardino in via di Ripetta nn.

-”23; in tale documento, la residenza di via di Ripet-ta appare ancora invariaRipet-ta nella sua fisionomia rispetto agli anni di Carlo Koebel, e costituita dal palazzo con il giardi-no, dalle note casette e dall’annesso terzo piano del fabbri-cato adiacente, contrassegnato dal civico 24.

Subito dopo l’acquisto il marchese Campanari fece ese-guire consistenti lavori di restauro, dei quali non è stato purtroppo possibile reperire alcuna utile traccia nei docu-menti25. A testimonianza dei lavori svolti rimane, ancor oggi visibile, la data MDCCCLVIIIscolpita a lettere capitali sull’architrave lapideo della porta che dà accesso all’ap-partamento nobile del primo piano (fig. ). La datazione incisa sulla sommità della porta può presumersi riferita proprio all’apertura di quell’ingresso, che non figurava nella sistemazione settecentesca, e che fu forse realizzato per accedere all’ampio pianerottolo e alla scala che scende



al piano terreno, anche questi, probabilmente, fabbricati ex novo giacché non risultano dalle precedenti descrizio-ni; originariamente il palazzo era servito da una scala a chiocciola, oggi non più esistente, e da una scala padrona-le collocata sul lato sinistro dell’edificio.

Si può ipotizzare, pertanto, che i lavori fatti eseguire da Francesco Campanari fossero finalizzati alla creazione di una nuova scala di rappresentanza, forse costruita su una precedente struttura di servizio, e collocata sul lato oppo-sto di quella antica. Questa scala, che raggiungeva solo il primo piano del palazzo, conduceva direttamente al centro dell’appartamento nobile, occupato probabilmente da un vestibolo intorno al quale si aprivano i diversi salo-ni, secondo il gusto dell’epoca che inclinava ad una dispo-sizione centrifuga degli ambienti, in luogo della sequenza di camere caratteristica delle grandi dimore settecente-sche (fig. ).

La nuova scala era costituita da una prima rampa più

breve disposta specularmente dinanzi a quella più antica, che da quel momento avrebbe assunto una funzione secondaria, e terminava su un piccolo ammezzato. Da qui, con una seconda rampa, proseguiva fino ad un pianerot-tolo con grandi vetrate affacciate direttamente sul giardi-no, e con una terza ed ultima rampa raggiungeva gli ap-partamenti (figg. , ).

Allo stesso torno d’anni potrebbero risalire le decora-zioni in stucco, raffiguranti motivi geometrici campiti da elementi vegetali di gusto classicheggiante, che ancora oggi ricoprono le volte della scala: cassettoni con rosoni centrali rappresentati in scorcio nelle volte a botte sopra-stanti le rampe, delicati festoni composti da ornamenti vegetali trattenuti da nastri nell’intradosso degli archi, e grandi rosoni ripartiti in specchiature poligonali con al-l’interno piccoli putti, reggenti ora una ghirlanda, ora una palma o altri attributi, nelle volte dei pianerottoli (figg. -).



. Roma, Palazzo Capponi,

particolare dell’ ingresso alla nuova scala nobile del palazzo, 

. Roma, Palazzo Capponi, particolare della scala nobile del palazzo, 

Il palazzo nel XXsecolo: dalla Civiltà Cattolica all’Istituto Nazionale Assistenza Infortuni sul Lavoro La famiglia Campanari fu l’ultima delle nobili famiglie che dimorarono nel palazzo26: a far data dall’ottobre del

 esso divenne la sede del Collegio degli Scrittori della Compagnia di Gesù, nonché dell’Amministrazione e dell’Ufficio centrale della rivista La Civiltà Cattolica27 (figg. , ).

L’insediamento dei Padri gesuiti nel palazzo di via di Ripetta coincise con un momento importante nella storia della celebre pubblicazione.

Fondata nel  a Napoli col favore di Pio IX, la reda-zione della rivista fu quasi subito trasferita a Roma, dove ebbe sempre sede28ad esclusione della parentesi fiorenti-na fra il  e il . Nel , infatti, dopo l’occupazio-ne dell’Urbe “da parte delle truppe del re d’Italia, Vitto-rio Emanuele II, al comando del generale Raffaele

Cador-na, il  settembre, forse per la paura di violenze anticleri-cali o per il timore non infondato che la rivista fosse sotto-posta alla censura del nuovo Governo, oppure che le fosse negata l’autorizzazione alla pubblicazione, come era avvenuto per la stampa cattolica di quel tempo, si decise di trasferirla a Firenze”29. Questo trasferimento costrinse a sospendere la pubblicazione per tre mesi; col gennaio del , La Civiltà Cattolica uscì di nuovo stampata pres-so il libraio Manuelli di Firenze, dove rimase fino al , quando per volontà del papa Leone XIIIil Collegio degli scrittori e la redazione fecero rientro a Roma così ponen-do termine al volontario esilio fiorentino. Il primo fascico-lo pubblicato, dopo la pausa, nella “città eterna” reca la data del ° ottobre , e corrisponde all’insediamento dell’amministrazione e della rivista in via di Ripetta, non lontano dal Vaticano. La stessa stampa tipografica della rivista, dapprima effettuata presso la “Libreria di Roma”

in via Celsa , presso piazza del Gesù, è dopo poco

trasfe-

. Roma, Palazzo Capponi,

particolare della nuova scala nobile del palazzo, 

. Roma, Palazzo Capponi, particolare della nuova porta d’ingresso agli appartamenti del piano nobile, 

rita nella sede nel Rione Campo Marzio.

Alla scelta della nuova sede non furono forse estranee la vicinanza con il Vaticano e la facilità dei collegamenti;

l’area intorno a via di Ripetta era stata infatti interessata da importanti interventi di riqualificazione urbana, quali, a partire dal , l’edificazione degli argini lungo il Teve-re, che liberarono la zona riparia dal pericolo ricorrente delle inondazioni, e (nel -) la costruzione di un ponte di ferro, sostituito nel  dall’attuale ponte Cavour, che rendeva più agevole il collegamento con il nuovo quartiere di Prati e con il Vaticano.

Nei decenni in cui La Civiltà Cattolica ebbe sede in Via di Ripetta e dispiegò la sua influenza sulla vita politica ed intellettuale romana e nazionale, vi fu piena identificazio-ne tra il palazzo e la rivista, al punto che ad essa si poteva comunemente alludere come alla “rivista di via di

Ripet-

. Roma, Palazzo Capponi, particolare della decorazione a stucco della nuova scala nobile del palazzo, 

. Roma, Palazzo Capponi, particolare della decorazione a stucco della nuova scala nobile del palazzo, 

ta”. Osservatorio critico del dibattito politico post-unita-rio, la rivista fu polo di riferimento anche per la vita cultu-rale, grazie anche ad illustri membri del Collegio come l’archeologo Antonio Ferrua, il quale dall’antico palazzo trasse probabilmente ispirazione per dedicare alcuni dei suoi studi alla collezione epigrafica di Alessandro Grego-rio Capponi30.

Sebbene il  fu certamente l’anno d’insediamento della rivista in via di Ripetta, il suo trasferimento in Roma e nella nuova sede doveva essere stato predisposto da almeno due anni; l’atto di acquisto dal marchese France-sco Campanari, stipulato presso i notai Antonio Torrioni e Romualdo Cucchi, è infatti datato  maggio 31.

La Civiltà Cattolica non fu da principio intestataria della proprietà, in ragione presumibilmente delle allora vigenti restrizioni legislative poste alle proprietà degli enti

ecclesiastici. Dagli atti il marchese Campanari risulta aver venduto l’immobile ai “Signori Carlo Ludovico Lavigne del Pietro, Francesco Ehrle del vivente Francesco, Giuseppe Ampoulange fu Giovanni Battista, e Luigi Filippo Boussac fu Stefano”, tutti, come si ricava dal Catalogo della Compagnia, Padri gesuiti; sia Lavigne, allora segretario del Padre Generale, che Boussac, docen-te di Teologia presso il Collegio Pio Latino Americano, come anche l’Ampoulange, lettore di lingua ebraica pres-so la Pontificia Università Gregoriana del Collegio Roma-no, e, infine Ehrle. Quest’ultimo, all’epoca definito soltanto “scrittore”32, non è altri, con ogni probabilità, che il cardinale Franz Ehrle, insigne medievalista e prefet-to della Biblioteca Vaticana (-), al quale, oltre ad un’ampia produzione di studi storici, di archeologia cristiana e storia dell’arte dedicati alla città di Roma e alle



. Roma, Palazzo Capponi, particolare della decorazione a stucco della nuova scala nobile del palazzo, stemma raffigurante una palma con cartiglio e iscrizione “Vincenti dabitur”, XIXsec.

sue trasformazioni topografiche, si deve un fondamentale contributo all’arricchimento e alla moderna riorganizza-zione della stessa Biblioteca, fra cui la realizzariorganizza-zione dei cataloghi a stampa dei manoscritti e delle grandi edizioni fotografiche nelle quali sono stati riprodotti i più impor-tanti codici vaticani33.

Nei decenni che seguirono – e dopo il Concordato – la proprietà passò, a partire dal , alla “Civiltà Cattolica”

ditta Editrice Libraria34, e, infine, con atto di donazione35, nel  al Collegio degli Scrittori della “Civiltà Cattoli-ca”, che la mantenne fino al  dicembre del , quando questa fu acquistata dall’Istituto Nazionale Assistenza Infortuni sul Lavoro, al quale tuttora appartiene.

Negli anni in cui il palazzo fu sede dell’autorevole isti-tuzione cattolica esso subì notevoli modifiche interne, necessarie ad adattarne gli ambienti alle esigenze di rappresentanza, di studio e di convitto dei Padri gesuiti.

Gli interventi realizzati in questo periodo, quali si ricava-no dalla documentazione catastale e dagli atti relativi al successivo acquisto da parte dell’Inail, impressero all’edi-ficio la conformazione moderna36.

L’operazione più significativa fu certamente l’amplia-mento della proprietà con l’acquisizione, nel dicembre del

, di due nuovi edifici, definiti nelle fonti semplice-mente come “Case”a tre piani, su via di Ripetta compresi fra i civici -, adiacenti l’antico palazzo Capponi, e di una terza “Casa” su via del Vantaggio ai nn. -37.

Fra il  e il  i due fabbricati su via di Ripetta vennero interamente demoliti e riedificati38: la nuova ala del complesso architettonico, costituita da un unico lun-go corpo rettanlun-golare che dal fronte di via di Ripetta si spinge verso il giardino e affaccia sia sul fronte principale che su via del Vantaggio, fu destinata ad ospitare la bi-blioteca del Collegio (fig. ); dei lavori effettuati a tale scopo è testimonianza una foto conservata presso l’archi-vio della Civiltà Cattolica che raffigura, assieme a nume-rosi componenti del Collegio degli Scrittori e a qualche muratore, il cardinale Eugenio Pacelli (all’epoca Segreta-rio di Stato di Pio XI e suo futuro successore) in visita al cantiere (fig. ).

Il trasferimento nel nuovo fabbricato della biblioteca, che prima doveva aver trovato collocazione nel corpo centrale del palazzo – forse proprio al secondo piano nobile dove già Alessandro Gregorio Capponi aveva disposto la propria –, richiese una serie di interventi di ristrutturazione interna anche del nucleo più antico del-l’edificio, dove vennero ricavati alcuni appartamenti: uno al piano ammezzato sul lato destro (coincidente con

quel-

. Roma, Palazzo Capponi, particolare della facciata all’epoca in cui fu sede de “ La Civiltà Cattolica”.

Roma, Fondazione Besso, Fondo Consoni

. Roma, Palazzo Capponi, particolare del cortile all’epoca de “La Civiltà Cattolica”.

. Roma, Palazzo Capponi, particolare del cortile all’epoca de “La Civiltà Cattolica”.

Nel documento Palazzo Capponi (pagine 131-170)