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Il notaio dell’Opera di santa Chiara

5. I notai ad Iglesias: gli scrivani pubblici

5.3. Il notaio dell’Opera di santa Chiara

Nel contesto storico della signoria dei Donoratico prima (1257/58 – 1299 c.ca) e in quello successivo (1301 – 1324 c.ca) in cui il Comune di Pisa dispiegò il controllo diretto sulla città di Iglesias la vita religiosa cittadina si mostrava largamente municipalizzata e l’iniziativa in campo di edilizia ecclesiastica veniva affidata ad una istituzione che, felicemente sperimentata nel Comune dell’Arno424, fu riproposta in Villa di Chiesa; l’Opera425. Questo era un ente patrimoniale, dotato di personalità giuridica, formato da laici e creato dal Comune per curare la costruzione, l’abbellimento e la manutenzione di un edificio di culto attraverso la costituzione e l’oculata gestione di un proprio patrimonio di norma alimentato prevalentemente dalla gestione di beni immobiliari pervenuti perlopiù all’ente attraverso donazioni pubbliche e private e legati testamentari426. Nel

caso iglesiente oltre queste consuete forme di finanziamento l’Opera della chiesa di santa Chiara poteva contare su entrate straordinarie, ma per un certo periodo costanti, derivanti dalla riscossione di contributi provenienti dai profitti maturati nell’attività mineraria, come veniva, del resto, disposto nello statuto cittadino: […] Ordiniamo, che qualunque fossa parte vena rossa, debbia dare per offerta all’opera di Sancta Chiara […] et questo possa et debbia ricevere l’operajo de la suprascripta ecclesia per l’opera della suprascripta ecclesia […]427. L’Opera della chiesa di santa Chiara e il suo rappresentante l’operaio, furono lo strumento attraverso il quale la signoria dei Donoratico portò avanti l’iniziativa finalizzata alla costruzione e alla ordinaria manutenzione di quello che, sin dai progetti iniziali, era destinato a divenire l’edificio di culto più importante della città. Emblematico in questo senso quanto è disposto nello statuto cittadino: Et con ciò sia chiaro che la decta ecclesia di Sancta Chiara sia principale et maggiore de le ecclesie de la dicta Villa di Chiesa, et sia costituita et hedificata de la entrata de la decta opera di Sancta Chiara per li buoni homini de la decta terra428.

Sulla scia di quanto accaduto in Pisa, in materia di controversia fra il clero e la municipalità in merito a chi dovesse competere la gestione della fabbrica e della chiesa

423 BVC, I, LXXII.

424 F. Artizzu, L’opera di Santa Maria di Pisa e la Sardegna, Padova 1974. 425 BVC, I, 36.

426 F. Artizzu, La vita sociale nel Medioevo a Iglesias, cit., p. 94. 427 BVC, IV, LXIII.

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cittadina, anche l’amministrazione di Villa di Chiesa afferma, infatti, precocemente, e lo fa nel proprio statuto, il controllo sull’edificio di culto sottraendolo, in questo modo, alla responsabilità e supervisione ecclesiastica: “constituta et edificata…per li buoni homini di Villa di Chiesa”429, la chiesa di santa Chiara a quegli uomini apparteneva ed essi soltanto dovevano esercitare il controllo su di essa attraverso le istituzioni del Comune e cioè l’Opera. Questa istituzione era comunque attenta a garantire la quotidiana ufficiatura della chiesa affidandola a due cappellani, aiutati da due preti e da quattro chierici. Tutti questi ecclesiastici venivano scelti dal Consiglio di Villa e questo organo poteva anche rimuoverli dall’incarico se avessero mancato di rendere il servizio quotidiano prestabilito ma solo dopo aver sentito in merito il parere del vescovo430. Tra i compiti affidati ai cappellani, designati all’ufficiatura della chiesa di santa Chiara, vi era anche quello di sovrintendere ai riti di esequie e di provvedere a proprie spese alla pietosa sepoltura delle persone indigenti. Sempre il Breve stabiliva che i cappellani per l’adempimento delle loro mansioni non avrebbero dovuto percepire alcun salario ma avrebbero dovuto trarre il loro sostentamento dalla raccolta delle offerte dell’altare in modo così da non gravare sui beni dell’Opera431.

L’Operaio era scelto dal Consiglio fra quanti fossero “borghesi” di Villa da almeno da tre anni ed avessero almeno quarantacinque anni432. Rimaneva in carica un anno e per essere eventualmente rieletto avrebbe dovuto aspettarne altri due433. Egli, che per il suo

429 BVC, IV, LXIIII.

430 Una certa preoccupazione sulla legittimità di questa disposizione del Breve che si assume la competenza in materie ecclesiastiche è espressa dai brevaiuoli – non si può dire se di quelli pisani o di quelli iglesienti all’inizio del governo aragonese – in chiusura di capitolo: «et scrivasi questo capitolo sì veramente che non sia contra la libertà della ecclesia». BVC, I, XL.

431 BVC, I, XL: «Ordiniamo, che a li nostre ecclesie di Sancta Chiara et di Sancta Maria di Valverde […], si debbiano chiamare in della presenza del Capitano per lo Consiglio ordinato, quando quelle ecclesie o alcuna dilloro vachirà di Rectori, due Capillari buoni et idonei et di buona fama, li quali debbiano stare in Sancta Chiara, et debbiano andari ad officiare a Sancta Maria di Valverde sensa avere alcuno salario; li quali Cappellani debbiano avere con loro altri due preite et sufficiente, et quattro chiereci, continuamente; et debbiano officiare ogni die la ecclesia, sì che lo populo di Villa di Chiesa se ne contente. Et tucte le volte che alcuno dilloro sie richiesto per confessione, o per pigliare lo corpo del Nostro Signore, o per oliare, incontinente vi debbia andare et sia tenuto così di die come di nocte; et si questo non facessero, sia certificato a l’Arcivisco overo al Visco a cui appartiene […].Li quali Capillari debbiano stare continuamente in Sancta Chiara; et se partissimo da lo servigio, overo palisemente tenesse alcuna femina per amansa, si adimisso dall’Officio […]».

432 Cosa si intendesse con il termine borghese non è cosa facile da chiarire. Secondo Francesco Artizzu borghese di Villa di Chiesa è colui che, godendo preliminarmente della cittadinanza pisana, ha stabilmente vissuto nella Villa e lì ha esercitato per un certo periodo un’attività mercantile tale da permettergli l’acquisto e il possesso di beni che gli garantiscono una posizioni agiata e di conseguenza di pagare oneri relativi. Il riconoscimento dello status di borghese sarebbe dunque vincolato alle proprie possibilità contributive. Cfr., F. Artizzu, Civis e burgensis nella terminologia giuridica sardo pisana, in «Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari» V, II (1981)

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servizio riceveva un salario annuo di XX soldi, gestiva con pieno diritto il denaro relativo all’Opera, annotandone le entrate e le uscite finanziarie, e rispettando i capitoli di spesa prioritari in cui l’amministrazione dell’Opera era suddivisa: “Hedificacioni, ornamenti et paramenti”, ma non poteva alienare, ipotecare o tenere per sé alcun bene di proprietà dell’Opera di Santa Chiara o ad esso devoluto senza il consenso del Consiglio di Villa al quale, in caso di parere favorevole, l’operaio avrebbe dovuto versare una parte della somma ricavata dalla vendita. In caso di frode accertata l’operaio veniva immediatamente rimosso dal suo incarico ed obbligato a restituire il maltolto, ciò nonostante in futuro non avrebbe mai potuto candidarsi a ricoprire tale incarico434.

Tra i compiti dell’operaio rientrava anche quello di provvedere, coi denari dell’Opera, alle luminarie della chiesa ed alla fabbricazione di due grossi ceri che i chierici avrebbero dovuto portare in processione quando si sarebbero recati ad amministrare la Comunione agli infermi435. L’operaio aveva inoltre il compito di custodire i cosiddetti “candeli” cioè otto grossi ceri realizzati per la festa de la Nostra Donna Vergini Madonna Sancta Maria de lo Mezo Mese di Agosto che rappresentava la festa più importante dell’anno e che culminava proprio con l’offerta della cera da parte delle diverse componenti della società cittadina436.

In quanto custode dei beni della chiesa municipale ed ente patrimoniale l’Opera aveva una propria sede dell’esistenza della quale, ma non della sua collocazione, ci dà notizia un documento del 1323 che risulta redatto in sala domus opere Sancte Clare437.

Nella gestione degli affari dell’istituzione l’Operaio era coadiuvato da un notaio che stava al servizio dell’Opera per una durata di sei mesi durante i quali provvedeva alla redazione e alla archiviazione dei documenti dell’istituzione così come disposto dalla normativa statutaria:

«… Et abbia uno notajo electo dal Consiglio quando sarà electo lo detto operajo, […] et abbia delle beni della dicta Opera per suo feo et salario soldi Vi per mese, lo quale debbia scrivere tucte intrate et scit’ e carte piplice quindi intervegnente et lo quale notajo sia tenuto di fare jurare ad ogni persona che recevesse alcuno bene della suprascripta Opera, et s’eli ne receve tanto quanto ne confesssa, et nulla altro bene né cosa de la decta ecclesia abbia»438.

434“…mai in perpetuo a quello officio possa né debbia essere”, BVC, I, XXXVI.

435 Questi ceri definiti: “tortesse di cera”, dovevano essere del peso di XX libbre e dovevano essere accese sia durante le piccole processioni diurne sia in quelle notturne. BVC, I, XXXVII,

436 BVC, I, LXII: Dell’operaio di Sancta Chiara, che non possa disfare le candeli. Ordiniamo, che l’operajo di Sancta Chiara non possa né debbia disponete né disfare li candeli grossi che s’offiranno per la festa di Sancta Maria di mezo agosto […]. Et che lo dicto operajo non possa né debbia spiccare li decti candeli vecchie, se non in presensa di quelli personi che fino sopra far fare le candeli nuovi. […] sia tenuto di fare pigliare et riponete li tabacchi de li decti candeli, et mecterle in una de li case dell’opera in altro luogo, sì chi quando li fino dimandati li debbia rinonsare […].

437 Documenti, vol. II, doc. 63. 438 BVC, I, XXXVI.

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5.4. Notai impegnati in vario modo nella civica amministrazione: il caso di